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venerdì 31 marzo 2017

I peggiori film visti del mese (Marzo 2017)

Come anticipato in occasione del mio compleanno più di due settimane fa (qui), il classico post cinematografico di fine mese di tutti gli altri film visti è stato da questo mese sostituito da i peggiori film del mese, ma con recensioni in versione short, solo poche righe e in un certo tipo programmato (come potrete vedere), in più a fine post elencherò anche i film, passati in tv e Sky, che ho scartato, infatti da adesso in poi ho deciso di snellire un po' la lista dei film da vedere, perché mi sto stancando sempre più di vedere certe effimere ed inutili pellicole, perciò sceglierò con cura e solo se mi interessano davvero. Ecco quindi per cominciare i peggiori film visti in questo mese di Marzo.

LOST RIVER (Thriller Usa 2014): Ho visto questo film per i nomi, ma il film che vorrebbe omaggiare altri registi, finisce per essere una drammatica vicenda senza nessun coinvolgimento, nessun pathos ma soprattutto senza senso e il regista Ryan Gosling al suo esordio fa un buco nell'acqua. Ambiguo e strano come la trama, quella confusa di una madre (una generosa Christina Hendricks) che per provvedere al mantenimento dei figli accetta di lavorare in un locale di una città fatiscente dove Eva Mendes intrattiene col sangue il pubblico. Nel frattempo il figlio grande Iain De Caestecker (il Fritz di Agents of SHIELD), finito nelle mire di un pseudo-bullo, che non fa per niente paura, scopre insieme alla vicina (che abita con la nonna pazza), con cui ha una specie di relazione, interpretata da Saoirse Ronan (ultimante tanto apprezzata), una città sottomarina dove sembrerebbe esserci un mistero, ma invece è solo il pretesto per una storia senza capo né coda, con un finale bislacco, eccentrico ma soprattutto sciocco seppur scontato. E non basta della buona musica o discreti attori a dare ritmo ad un film lento, insopportabile e per niente estremo, fantasioso o consigliabile. Tutto fumo niente arrosto. Voto: 4

SEDUZIONE FATALE (Thriller Usa 2016): Come potete dedurre non ho mica visto questo film per la trama, d'altronde basta leggere il titolo per capire tutto, e vedendo la storia di una donna che durante la sua festa d'addio al nubilato che cede alle avance di un barista Patrick che ovviamente comincerà a perseguitarla per averla tutta per sé, la conferma c'è stata, prevedibile, scontato, per niente originale e per niente intrigante. Questo perché nonostante la presenza della bella Jaimie Alexander per lui e di Wes Bentley (AHS) per lei (più il fidanzato palestrato Cam Gigandet), i dialoghi (assurdi), le situazioni (grottesche) e il doppiaggio (forzato e scialbo) hanno affossato un film così brutto che mi veniva voglia di cestinarlo immediatamente. Invece ho continuato e ho perso solo tempo, perché davvero non c'è niente per cui valga la pena vederlo, musica zero, tensione ed empatia zero, risultato pessimo anche grazie ad un finale che fa solo ridere. Voto: 3

giovedì 30 marzo 2017

Vikings (2a stagione)

Con ben sapete, o forse no, da febbraio ho cominciato a vedere una serie tanto attesa, uno dei tanti recuperi che quest'anno spero di fare, dato che prima di vedere la terza stagione di Twin Peaks urge un recupero, come quello entro fine anno di Penny Dreadful e Banshee in primis (gli altri dipende), per cui dopo la sorprendente ed eccezionale prima stagione rieccoci tornati con Vikings che, come c'era da aspettarsi, fa un salto di circa 4 anni rispetto alla prima (potete leggere qui la mia recensione), ma questa seconda stagione ha riservato non poche sorprese, innescando quello scossone narrativo che per certi versi sembrava essere assente nella prima stagione, la quale ha però avuto il merito di introdurre lo spettatore nelle atmosfere di quella antica civiltà e di inquadrare i personaggi, solidificando le loro caratterizzazioni e cominciando a tessere la trama di ambizioni e intrighi che costituiscono la spina dorsale del racconto. Un racconto che in questa straordinaria seconda stagione inizia con il botto e finisce altrettanto con il botto. In questa seconda stagione ci sono stati infatti molti più colpi di scena della prima, soprattutto nella spiazzante parte finale, che non m'aspettavo, soprattutto per l'eccellente recitazione di Floki, che come vedremo (probabilmente e successivamente) di continuo, ha un rapporto di amore/odio con Ragnar (che svela finalmente la sua vera natura, spietato contro chiunque faccia del male alla propria famiglia), anche se su una cosa c'è una certezza, Floki (che continua ad essere uno dei miei preferiti) non tradirebbe mai il suo amico. In ogni caso, senza soffermarsi sulla trama o gli eventi nello specifico (per non rovinare il gusto di vederla a chi non l'ha ancora vista o per non annoiare chi l'ha già vista e adorata), vediamo ancora Ragnar Lothbroke e l'intero villaggio di Kattegat alla ricerca di un'autonomia d'azione e una volontà di potenza che ha sempre a che fare con la convinzione di una predestinazione di grandezza sancita dagli dei.

mercoledì 29 marzo 2017

Land of Mine: Sotto la sabbia (2015)

Candidato agli ultimissimi Premi Oscar come miglior film straniero, rappresentante la Danimarca, ma senza risultarne vincitore, Land of Mine: Sotto la sabbia (Under sandet), film del 2015 diretto da Martin Zandvliet, è un film crudo, spiazzante e doloroso, che rievoca una pagina di Storia poco conosciuta, eventi realmente accaduti poco trattati nei libri, quella di un massacro silenzioso, alquanto spietato ma ottimamente raccontato con ritmi serrati e scelte stilistiche efficaci. Land of Mine infatti, racconta la poco nota vicenda storica dello sminamento di centinaia di chilometri di costa danese, per portare a termine il quale vennero utilizzati al termine della Seconda Guerra Mondiale, clandestinamente e fuori dalle Convenzioni belliche, duemila prigionieri tedeschi per lo più giovanissimi, che per metà sarebbero morti o rimasti mutilati durante le operazioni di bonifica. E il film tratta questa drammatica pagina come pena di contrappasso contro gli sconfitti, prevedendo non solo il conseguente capovolgimento dei ruoli tra le parti, con i soldati nazisti prigionieri e oppressi e i loro colleghi danesi carcerieri e aguzzini, ma anche la perfetta ri-ambientazione invertita degli elementi materiali e psicologici, come la casa-dormitorio modello lager, i lavori forzati, la denutrizione, le umiliazioni e le sofferenze psicologiche. Certo, siamo lontani dagli orrori dei campi di sterminio nazisti, manca la fredda e folle logica dello sterminio a determinare la stessa cupezza e crudeltà da girone infernale dei lager, tuttavia anche qui non mancano né la crudezza descrittiva, né gli accenti sadici e disumani che le circostanze impongono. Sappiamo bene infatti che 'i colpi di coda' sono tremendi e quando le guerre finiscono tutto il lavoro sporco prima dei vari rientri a casa è un momento dolente dove rabbie, frustrazioni e violenze gratuite si abbattono sui sopravvissuti.

martedì 28 marzo 2017

Kick-Ass 2 (2013)

Come molti, anch'io non ero convinto della trovata commerciale di realizzare un sequel di Kick-Ass, considerato che l'originale era già un film perfetto, senza bisogno di alcun sequel. Ho visto quindi Kick-Ass 2 (film del 2013 scritto e diretto da Jeff Wadlow, con protagonisti Aaron Taylor-Johnson, Chloë Grace Moretz, Christopher Mintz-Plasse e Jim Carrey, sequel del film del 2010 Kick-Ass, tratto dell'omonimo fumetto scritto da Mark Millar ed illustrato da John Romita Jr) senza aspettative relativamente alte, ma durante la visione ho dovuto ampiamente ricredermi, anche se come ogni seguito che si rispetti è l'accumulo che scandisce la differenza con il primo bellissimo episodio (che soprattutto a livello tecnico non può che essere superiore). Ma nonostante ciò il regista è riuscito a dirigere un film dall'incredibile ritmo, ma soprattutto dalla sceneggiatura fresca, moderna, si con qualche intoppo qua e la, ma anche con una leggerezza trash davvero invidiabile. Poiché a parer mio questo secondo capitolo non ha deluso le aspettative, tutti gli ingredienti del primo capitolo ritornano e forse questa volta sono anche più marcati, violenza, cattiveria, sesso, humor nero ci sono e si sentono. E quindi ancora una volta la lotta tra il bene e il male, ancora una volta risalta la voglia di diventare qualcuno pur facendo del male, male e solo male. Anche se in verità se non fosse trattato con humor nero questo "Kick-Ass 2" sarebbe un film d'azione violento che aprirebbe allo spettatore un mondo marcio, malato e dominato dal male. Per fortuna i nostri super-eroi (normali e con problemi) anche se spesso e volentieri ridicoli lanciano ancora una bella speranza all'umanità. Ma mentre nel primo film eravamo venuti a conoscenza delle problematiche derivanti dall'essere un supereroe nel mondo reale e ci siamo divertiti a riconoscerci in dei personaggi più che normali, in questo sequel l'elogio alla normalità non viene dimenticato, anzi, viene ancor più rimarcato il fatto che non servono super-poteri per fare del bene.

lunedì 27 marzo 2017

Regali da uno sconosciuto: The Gift (2015)

Lontano dal genere horror o (puro) thriller cui, la locandina, farebbe intendere, Regali da uno sconosciuto: The Gift (2015) è un dramma psicologico, notevolmente diretto, scritto e interpretato da Joel Edgerton (attore di discreto livello, interprete di parecchi film, Star Wars V e VI, il prequel de La cosa, Il grande Gatsby ed Exodus: Dei e re), al suo debutto alla regia di un lungometraggio. Davvero notevole e non solo perché è recitato bene e sceneggiato meglio, ma soprattutto perché fa della suspense la sua arma vincente. Le fasi iniziali lasciano intendere uno sviluppo diverso e più banale, con il classico stalker che prepara il terreno per l'assalto finale, ma procedendo i facili calcoli cominciano a non essere più tanto facili, le psicologie si delineano meglio, si intravede un piano più ampio e più coerente, la bozza iniziale che lasciava supporre la mano di uno psicopatico, rivela invece un disegno lucido. E avviene così un sorprendente ribaltamento del punto di vista sull'amico del protagonista dapprima visto come stalker e che in seguito risulta essere la vera vittima della situazione. Poiché The Gift è un thriller-dramma realistico, senza ombra di paranormale, ma con una solida base di paranoia, gelosia e mistero. Un triangolo di inquietudine che si crea quando una coppia decide di cambiare città per cercare di superare un momento difficile e per una nuova opportunità di lavoro dell'uomo. La nuova vita di Simon (Jason Bateman) però, insieme alla moglie Robyn (Rebecca Hall), viene sconvolta dalla presenza di Gordon (Joel Edgerton), un ex compagno di liceo di lui, che con continui regali e visite inaspettate perseguita la coppia. E ad un certo punto, entrambi stanchi delle attenzioni morbose che ricevono da Gordo, oltre che infastiditi dal suo atteggiarsi come uno stalker, decidono di parlagliene e affrontare il problema. Ma da quel momento in poi la situazione precipita gradualmente, vecchi segreti sepolti tornano alla luce e le maschere dei protagonisti iniziano a cadere.

sabato 25 marzo 2017

L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo (2015)

Il nome Dalton Trumbo, prima di vedere la pellicola di Jay Roach, non mi diceva assolutamente niente. Ora invece posso dire di aver rivissuto la vita e le gesta di un piccolo grande eroe della nostra epoca. Tratto dall'omonima biografia composta da Bruce Alexander CookL'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo (Trumbo) prende le mosse nel 1947 quando, a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale e alla vittoria degli Alleati, i rapporti fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica già cominciano ad incrinarsi. Di questo si risente anche nella politica interna, con una crescente fobia di massa, abilmente alimentata dai media e da giornalisti e personaggi dello spettacolo quali John Wayne e Hedda Hopper, nei confronti del comunismo e dei suoi sostenitori. Iscritto al Partito Comunista americano fin dal 1943, Trumbo si ritrova inevitabilmente preso in causa e vedrà il suo lavoro ridimensionato. Si assiste perciò ad un dipanarsi di eventi, narrati con l'espediente di mixare momenti di finzione pura a filmati di repertorio oppure a ricostruzioni in bianco e nero appunto di fasi dei processi subiti da Trumbo e gli altri dissidenti che con lui formavano i cosiddetti 'Dieci di Hollywood', dove però si ha l'impressione che tutto sia un po' edulcorato. Trumbo infatti, ci racconta il calvario umano non solo del protagonista, ma di tutte le persone che come lui si sono trovate nella parte dei "colpevoli" nella famigerata caccia alle streghe di quegli anni. Perché in realtà scopriamo che il personaggio interpretato da un eccezionale Bryan Cranston (che ha lavorato degnamente e benissimo in All The Way, film per la tv dello stesso regista) altri non è che un geniale sceneggiatore, reo solamente di scrivere le sue brillanti storie fumando nella sua vasca da bagno.

venerdì 24 marzo 2017

Very Pop Blog - I miei anni '80

In settimana il buon Mozzino, sempre vigile a ricordare i bei vecchi tempi ormai andati, ha pensato benissimo a proporre un tag di sua invenzione, e poiché il tag in questione era riferito agli anni '80, i mitici anni '80, mi ha nominato, ma anche se non l'avesse fatto mi sarei sicuramente auto-nominato, dato che è stato probabilmente il periodo più bello di sempre, personalmente parlando, per cui ricordarlo mi fa sempre piacere, nonostante di quel periodo, la mia infanzia, non ricordo granché di quello che mi circondava, e poi nascendo nell'85 non ho avuto tanto tempo di viverli al meglio, ma quel poco è bastato, perché è inutile dirvi per esempio che se ascolto una canzone di quel periodo (dove non ha importanza, anche in tanti film, anche recenti) m'illumino e mi viene la pelle d'oca. E così ho subito preso la palla al balzo ed eccomi a presentare il tag, che ha soprattutto lo scopo di far conoscere meglio tanti blogger e far conoscere magari nuovi blog, portando ovviamente un po' del pop targato Moz O'Clock in giro per la blogosfera. Ma ecco nel dettaglio, anche se per una corretta spiegazione è meglio leggere il post originario (qui), cos'è questo tag e in che consiste. Semplice, come sempre quando si ha a che fare con un tag, nominare o taggare cinque bloggers (scegliendolo tramite un qualsivoglia sistema), bloggers che a loro volta dovranno (se vuol continuare l'avventura, anche se tutti sono liberi di auto-nominarsi e farlo, ovviamente scrivendo nel blog o scrivendomi via e-mail per farmelo sapere) nominare altri cinque (ovviamente avvisandoli) e via dicendo. Due note importanti bisogna in ogni caso tenere in considerazione, come immagine in apertura del post siete liberissimi di usare ciò che più vi piace, anche la stessa che io ho messo e che inizialmente ha proposto Moz, ma soprattutto il nocciolo della questione consiste nell'elencare tutto ciò che per noi sono stati gli anni '80, in base ai vari macro-argomenti forniti da Moz e qui, attenzione però perché bisogna parlare del vissuto dell'epoca, non di ciò che il decennio rappresenta per noi oggi! (a proposito anche se molto spesso nei miei 'post dei ricordi' tanto ho già detto dell'epoca, musica, tv e cinema soprattutto, mi presterò comunque di nuovo al compito di scrivere ciò) mentre per chi non era ancora nato può parlare invece per esperienze indirette. Ecco quindi "I miei anni '80".

giovedì 23 marzo 2017

Il sapore del successo & Le ricette della Signora Toku (2015)

Era da tanto che non vedevo un film di ambito culinario, l'ultimo fu il più che discreto e piacevole Amore, cucina e curry, ebbene in questa settimana ne ho visti ben due. Due film abbastanza buoni ma soprattutto deliziosi da vedere, due film dove l'aspetto culinario è però solo il 'contorno' (più accentuato nel primo) delle storie raccontate, difatti il tema principale sono il riscatto e redenzione, la libertà e la ricerca della felicità. Ma andiamo con ordine, il protagonista de Il sapore del successo (Burnt), film del 2015 diretto da John Wells (I segreti di Osage County) e scritto da Steven Knight, è una specie di Gordon Ramsey con un passato tormentoso alle spalle. Adam Jones, questo è il suo nome, uno chef da due stelle Michelin che ha attraversato un brutto periodo, finendo in un gorgo tutto droga donne alcol. Ma, una volta liberatosi dalle sue dipendenze, torna alla ribalta con un nuovo ristorante e un solo obiettivo, ottenere la terza stella Michelin. Protagonista assoluto di questa pellicola è Bradley Cooper (credibile quanto basta), qui ancora una volta alle prese con personaggi dal carattere estremo e poco equilibrato, che si conferma un attore di talento, a cui il regista affianca la talentuosa Sienna Miller, con la quale riesce a ricreare la stessa chimica di American Sniper, interprete che riesce benissimo a tenere testa al suo comprimario. E quindi, dopo aver raccontato di una famiglia allo sbaraglio, questa volta si concentra su un cuoco anch'esso allo sbaraglio che cerca di tornare alla ribalta, e il suo talento registico si conferma, poiché riesce a rendere questo film culinario sufficientemente incisivo, delineando benissimo il suo protagonista, per cui la cucina ha un valore ben preciso, e quindi sono giustificabili le (forse troppe) inquadrature sui numerosi piatti di cucina. La regia infatti non fa altro che rafforzare il mordente della pellicola, regalando stuzzicanti inquadrature, un montaggio frenetico e accattivante, e una colonna sonora che accresce la tensione del film. Ma nonostante questo e nonostante mi sia moderatamente piaciuto, il film non è un granché, cioè intendiamoci per quanto riguarda il lato culinario è molto apprezzabile e ben girato, ma dal punto di vista della sceneggiatura e di come i personaggi evolvono stenta un po'. Quello che manca alla pellicola insomma è forse la scintilla della sorpresa, tutto difatti appare prevedibile fin dall'inizio, quando il protagonista appare con il suo atteggiamento sprezzante e la terza stella sembra già nelle sue tasche.

mercoledì 22 marzo 2017

Cicogne in missione (2016)

Come mai in questi ultimi anni è sceso drasticamente il numero delle nascite? che fine ha fatto il baby boom? Ce lo svela Nicholas Stoller, sceneggiatore di Cicogne in Missione (Storks), film d'animazione del 2016, di cui è anche regista insieme con Doug Sweetland, che affronta questa realtà, purtroppo, attuale. Il film infatti inizia con una voce fuori campo che recita: "In principio le Cicogne consegnavano i bambini (…) grazie al cielo ora non lo facciamo più, ora le cicogne consegnano pacchi" e segue l'immagine di famiglia che esulta ricevendo un cellulare. La metafora non richiede un genio per essere capita, oggi il desiderio dei bambini è sostituito da quello per gli oggetti e la cosa non è sanissima. E il film la sviluppa (su due piani narrativi complementari eppure indipendenti, che divertono lo spettatore e che tengono bene le sotto-trame grazie all'originalità del tema) in modo divertente, molto, con un susseguirsi di trovate e un ritmo sostenuto, deliziosamente spezzato dagli inserti di tenerezza indotti dai bambini in fasce. Ma soprattutto anche grazie al film stesso che non indugia mai troppo sulla singola gag o battuta, tutto scorre via fresco, tra il geniale è un pizzico di sana follia animata, tra cui, strano a dirsi leggendo i nomi dei doppiatori italiani, un doppiaggio perfetto. Nella versione italiana infatti le voci dei protagonisti sono di Alessia Marcuzzi e Federico Russo, che se la cavano abbastanza bene accanto ad altri doppiatori esperti (Pino Insegno su tutti, ma anche un Vincenzo Salemme più che discreto). Non solo ovviamente, perché di trovate folli e geniali li troviamo anche nella trama e in tanti personaggi buffi e spassosi, su tutti i lupi 'transformers', sì avete capito bene, lupi capaci di tutto, ma proprio tutto, di esilarante e divertente. Ma tornando proprio alla trama, ecco nel dettaglio di cosa parla questo sorprendente e bel film d'animazione (visto in settimana su Infinity e ancora disponibile fino a domani).

martedì 21 marzo 2017

The Affair (3a stagione)

L'aggettivo che più si addice alla terza stagione di The Affair, la serie tv di Showtime acclamata da pubblico (anche da me, qui) e critica nei primi due cicli, è 'strana'. Complice il fatto che la stagione 2 aveva chiuso il cerchio della storia, complice il fatto che la terza nell'intenzione iniziale degli ideatori Hagai Levi e Sarah Treem doveva essere il capitolo finale ma il telefilm è stato rinnovato per un quarto ciclo, c'è stata quindi un po' di confusione narrativa (forse troppa) fin dalla premiere di stagione. Certo, dopo due stagioni era chiaramente improponibile continuare a raccontare le conseguenze drammatiche della relazione adultera tra Noah e Alison e il disfacimento inarrestabile delle loro famiglie con la necessario riassestamento nelle vite anche dei loro ex coniugi Helen e Cole, soprattutto perché il season finale del secondo anno aveva mostrato un Cole finalmente in cammino verso una nuova serenità con Luisa e un Noah volutamente sacrificatosi prendendosi la colpa della morte di Scotty pur di salvare il presente di Helen e Alison. Iniziare la terza stagione con un salto temporale di tre anni era perciò una necessità comprensibile, dal momento che permetteva di avere tutti i personaggi (incluso un Noah appena scarcerato) in una situazione differente da cui ripartire iniziando un nuovo viaggio che si sperava fosse interessante. Ma un viaggio verso dove? Su che strade? In compagnia di chi? Proprio il non aver saputo rispondere in maniera interessante a queste tre domande è la condanna di questa stagione, dato che la stessa rimane impressa nella mente dei suoi appassionati come quella del vorrei ma non so come fare. Esemplare, in questo senso, il percorso di Helen che rincorre disperatamente Noah invece di guardare al presente che ha creato con Vik ed è disposta a distruggere la rinnovata serenità familiare, che il fin troppo comprensivo dottore ha portato (venendo accettato in pieno dai ragazzi), per espiare la colpa di essere stata la ragione dell'immolarsi dell'ex marito. Un andirivieni umiliante per un personaggio che finisce per farsi odiare per la sua caparbia insistenza nel fare le scelte sbagliate, al punto che anche la confessione finale diventa l'occasione per mostrarsi inopportuna invece che per una necessaria catarsi. Il season-finale potrebbe suggerire una finalmente ritrovata consapevolezza, ma dura troppo poco per essere sicuri che non si tratti di una accettazione forzata di una situazione indesiderata. Anche se è il nono episodio che si è però dimostrato più risolutivo del finale, con Helen in gran forma che si conferma (nonostante tutto) il miglior personaggio di tutta la serie.

lunedì 20 marzo 2017

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015)

In una Roma quanto mai cupa e inquieta, minacciata da una serie di attentati dinamitardi, varie combriccole di malviventi si muovono nei bassifondi, contendendosi la gestione di traffici illeciti e arrabattandosi tra piccoli crimini e regolamenti di conti. Tra questi piccoli criminali c'è anche Enzo Ceccotti, ladruncolo schivo e solitario che un giorno, per sfuggire a due poliziotti che gli stanno alle calcagna si tuffa nel Tevere e entrando in contatto con alcune sostanze tossiche fuoriuscite da dei barili gettati sul fondo del fiume, si scopre in possesso di una forza e resistenza sovraumane. L'uomo, che vive da solo e non ha grandi aspirazioni per il futuro, finirebbe sicuramente col diventare un super-delinquente se il destino non gli facesse incontrare Alessia, una giovane ragazza sensibile e schietta, ma mentalmente instabile, ossessionata dal personaggio di Jeeg Robot d'acciaio (in omaggio alla serie manga e anime Jeeg robot d'acciaio di Gō Nagai, della quale il film riprende alcune tematiche), che Enzo salverà da una brutta situazione, con cui inizierà a stringere con lei un legame sempre più forte, portandolo pian piano dalla parte del bene. Enzo-Hiroshi però dovrà lottare contro la banda dello Zingaro, un cattivissimo Joker 'de noantri' disposto a tutto per raggiungere il potere e la fama. Una serie incredibile di colpi di scena e di trovate esilaranti condurrà i due rivali allo scontro finale, alla battaglia epica tra il bene e il male, dove naturalmente non potrà che trionfare il bene. Detta così, la storia raccontata dallo strepitoso esordio di Gabriele Mainetti sembrerebbe assurda e strampalata, cinematograficamente una follia, un azzardo destinato a un b-movie da dimenticare in fretta. Invece no, Lo chiamavano Jeeg Robot (film del 2015 diretto e prodotto da Gabriele Mainetti e scritto da Nicola Guaglianone e Menotti) è un film tanto coraggioso quanto riuscitissimo, un'opera geniale destinata a rappresentare un passaggio importante nella storia del cinema italiano. Apparentemente la struttura narrativa del film segue difatti l'archetipo classico del mito del supereroe, anche qui, infatti, un uomo qualunque riceve inaspettatamente dei super-poteri, ovviamente non senza difficoltà, attraverso una maturazione interiore in cui diventa consapevole della responsabilità che la nuova condizione esistenziale gli impone, ma non deve trarre in inganno perché l'opera prima del regista è un film duro, violento, malinconico, realistico, stratificato, che concede ben poca ironia e leggerezza rispetto ai blockbuster d'oltreoceano, piuttosto omaggia con nostalgia lo spirito più adulto e agrodolce dei manga nipponici, in cui l'eroe spesso e volentieri cammina su quella linea sottile che separa la giustizia dalla criminalità, il bene dal male, e spesso agisce volutamente nell'ombra, senza cercare né fama né gloria.

sabato 18 marzo 2017

Ghostbusters (2016)

Se n'è parlato e discusso per mesi, addirittura per descrivere questo film sono stati usati termini come, "Stupro", "Sacrilegio", "Profanazione" ed altri termini, addirittura da chi non l'aveva nemmeno visto. Anch'io avevo molti dubbi, ma di certo non sulla condotta apparentemente "anti-maschile" della pellicola ma perché non si può negare che le major abbiano contratto il vizio di ripescare marchi e nomi noti e aggiornarli ai tempi moderni, con risultati non sempre convincenti. Ebbene, non si può certo dire che questo Ghostbusters (2016), remake del celebre film Ghostbusters del 1984, sia l'eccezione che conferma la regola, ma neanche il più brutto film mai visto, perché di film peggiori di quest'ultimo ce ne sono davvero tanti (di uno di questi infatti ne parlerò presto). Ma ora, in quanto maschio e fan dell'originale Ghostbusters, non mi sono affatto sentito né offeso né umiliato né tradito, dato che questa pellicola, diretta da Paul Feig, che sembra avere una passione per le donne e per Melissa McCarthy, al suo terzo film dopo Spy e Corpi da reato, che segna il riavvio dell'omonima serie ma con il nuovo team di acchiappa-fantasmi interpretati appunto da attrici donne, Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones, non è così brutto o inutile come pensavo. Certo, poco nel film si salva, ma non la componente femminile che, nonostante tutto, fa bene il suo lavoro. Di solito infatti, quando si ironizza sulle donne, fare un fiato in senso contrario significa essere ipocriti e politicamente corretti (e di questi tempi non è un bene), mentre quando sono gli uomini il bersaglio, la loro ira (stando ai segnali che invia l'opinione pubblica) è giusta e sacrosanta. Perché, mi domando? Forse perché non sono abituati a essere ridicolizzati? Mi fermo qui, ulteriori disamine spettano ai sociologi e io solo sono un amante del cinema e nulla più, che ha visto questo film senza pressioni o remore.

venerdì 17 marzo 2017

The Loft (2014)

Inedito per tanti, sottovalutato da altri, sorprendente per pochi, ma The Loft, film del 2014 diretto da Erik Van Looy, nonostante le premesse poco ispiratrici, è un thriller davvero ben fatto, ben girato e non certo banale. Quest'ultimo film infatti, è il terzo remake e il secondo per il regista dopo quello originale del 2008, perciò di originale c'è ben poco, dato che credo anche di averlo visto, ma in ogni caso riesce ugualmente a farsi apprezzare. Questo perché, questo thriller psicologico/giallo in questione è ricco di misteri ed intrighi, con colpi di scena numerosi e una buona scenografia, tutti elementi che rendono The Loft un film interessante e sicuramente da vedere per gli amanti del mistero. Poiché grazie alla fotografia patinata e l'ottimo montaggio lo spettatore è indubbiamente incuriosito dal sapere chi si cela dietro l'orrendo delitto, quello che avviene in un loft di proprietà di cinque uomini sposati, Vincent, un brillante e affascinante architetto (Karl Urban), Chris un giovane e belloccio psicologo (James Marsden), Luke il più tranquillo e mansueto del gruppo (Wenthorw Miller), Marty forte bevitore di grossa stazza (Eric Storestreet), e Philiph, il fratello drogato e sociopatico di Chris (interpretato da Matthias Schoenaerts che recitò la stessa parte nel film originale), che lo usano in segreto per soddisfare i propri desideri sessuali con diverse amanti occasionali (un posto in cui svolgere i loro affari e scatenare le loro fantasie più profonde). Ma quando nell'appartamento viene ritrovato il cadavere di una sconosciuta, la fantasia diventa un incubo e i cinque si ritrovano sotto l'occhio del ciclone e le relazioni (ma anche le proprie vite) tra di loro iniziano a vacillare, i cinque difatti iniziano a sospettare uno dell'altro in quanto sono gli unici a possedere le chiavi per entrare nel locale. Chi è l'assassino ma soprattutto sarà stato un omicidio o un suicidio? Lo scopriamo attraverso diversi flashback, che si intrecciano con scene svolte nel presente, la storia quindi si dipana, fino all'imprevedibile finale.

giovedì 16 marzo 2017

Gli ultimi saranno ultimi (2015)

Dopo la brillante e innovativa esperienza vissuta con Perfetti Sconosciuti, un'altra pellicola italiana riesce a fare breccia, riuscendo nonostante alcuni evidenti difetti a sorprendere ed emozionare. Colpa, se così si può dire, dell'ultimo film di Massimiliano Bruno, che dopo il suo non eccellente penultimo lavoro (comunque sufficiente) Confusi e felici, realizza una drammatica commedia molto interessante, forte e potente, ma soprattutto dannatamente reale, Gli ultimi saranno ultimi, film del 2015 che, in modo credibile, naturale e senza forzature, sembra continuare con la nuova tendenza del cinema italiano a trasporre sul grande schermo le tematiche sociali che più ci affliggono in questo critico periodo della nostra storia, ma in modo non banale e superficiale, ma diretto e convincente. Dato che questo film le tematiche più scottanti le affronta tutte, la mancanza di lavoro in primis, la mancanza di casa, la mancanza di un sostegno economico che ti priva di ogni più elementare necessità (il frigo vuoto, la morosità nel pagare affitti, bollette e quant'altro), le crisi di coppia, il doloroso problema delle scommesse, del gioco, che rovina tante famiglie. Tutto questo il film lo affronta, non in punta di piedi, ma con una forza devastante (anche se in verità non in modo netto e approfondito), come devastante è la prova di una grandissima Paola Cortellesi, il cui bellissimo viso si trasfigura sequenza dopo sequenza, fino a diventare la maschera di disperazione delle sequenze finali. Forse un po' sottovalutata come attrice cinematografica, qui dà prova di una grandissima capacità di coinvolgimento emotivo, dal riso alla rabbia, e che alla fine ti strappa pure qualche lacrima. Lei difatti non smette di sorprendere per bravura in questa versione cinematografica di un testo presentato per due anni a teatro e che la vede come attrice protagonista. Un'interpretazione drammatica della storia di Luciana che nel momento in cui corona il suo desiderio di maternità perde un umile e mal retribuito lavoro dipendente in una piccola azienda della provincia laziale. Quello che rende inaccettabile oltre la causa del licenziamento è il cinismo del datore di lavoro e l'avversione nei confronti di questa sua nuova condizione da parte di donne come lei, le compagne di lavoro che evitano questo fatale incidente in un'epoca, in cui la maternità è tutelata in ogni settore pubblico con il diritto, dopo la gravidanza a rioccupare il posto di lavoro temporaneamente abbandonato.

mercoledì 15 marzo 2017

La Isla Minima (2014)

Le sorprese al cinema e in tv sono sempre ben accette e quando sono positive come in questo caso lo sono di più. Perché La Isla minima, film spagnolo del 2014 diretto da Alberto Rodríguez, è veramente un bel film, fatto bene e recitato altrettanto. Un gradevolissimo thriller di grande equilibrio complessivo girato in luoghi suggestivi e "complici" di una trama assolutamente coinvolgente. Due investigatori cercano chi ha ucciso delle giovani ragazze, una storia già vista ma che in questo film assume un carattere particolare, per l'ambientazione nel sud della Spagna e per un'atmosfera densa, vischiosa che rende tutto molto complesso. Siamo difatti abituati a vedere poliziotti in azione, ne conosciamo le dinamiche e il modus operandi quando sono a caccia di un assassino. Il regista invece gioca la carta del contesto sociale per raccontare un caso di cronaca nera, inserendo elementi politici anche nella vita dei due investigatori, uno democratico e l'altro compromesso con il franchismo. Ma ciò che colpisce veramente è il paesaggio, la palude presentata in riprese zenitali per mostrare le sue trame, le anse contorte, gli uccelli che si alzano in volo in tramonti surreali. Il film infatti è impreziosito da una ambientazione davvero molto suggestiva ed è proprio su quella che il regista gioca le sue carte migliori (ed anche più originali). I paesaggi acquatici e bucolici magnificamente fotografati (che dimostrano un notevole gusto estetico del regista) che fanno da cornice al racconto, rappresentano infatti il vero elemento catalizzate e vincente (insieme al contesto storico, qui fondamentale anche se poco utilizzato, dato che il regista non si sporca le mani ma tocca in maniera delicata gli avvenimenti politici senza metterci il carico, a mio avviso poteva osare di più, colpevole di farlo solo nel finale) che (più ancora del plot narrativo fine a se stesso abbastanza convenzionale per il genere) rende ambiguo e coinvolgente il risultato proprio perché capace di amplificare alla massima potenza l'atmosfera di tensione latente che il film trasmette allo spettatore e a far diventare più palese e disturbante il clima morboso, malsano e angosciante che si respira intorno a questa storia ambientata nel settembre del 1980, e quindi già in era post-franchista, ma quando la lunga, perniciosa dittatura era ancora ben fresca nella memoria dell'intero popolo spagnolo e ne condizionava ancora il pensiero, anche con inaspettate punte di nostalgia che il regista ben stigmatizza, come se i fantasmi del passato continuassero ancora a riecheggiare lugubremente con la loro pesante carica di sopraffazione.

martedì 14 marzo 2017

Point Break (2015)

Premesso che prima di vedere questo film non ho rivisto quello originale e di non ricordare molto di quel famoso film, posso tranquillamente affermare che Point Break, film del 2015 diretto da Ericson Core, remake dell'omonimo film del 1991 diretto da Kathryn Bigelow (una delle migliori registe statunitensi, premio Oscar per The Hurt Locker, e regista del poderoso Zero Dark Thirty), non regge il confronto con la pellicola cult che aveva come protagonisti Keanu Reeves e Patrick Swayze. Difatti non c'è partita, anche se c'era da aspettarselo, dato che il film diretto da Ericson Core si sgancia completamente dall'originale, ma paradossalmente e incredibilmente il film mi è piaciuto lo stesso e anche molto. Questo perché nonostante i tanti problemi, sia per la scelta del cast errata e sia per la sceneggiatura non proprio eccezionale e che addirittura centra poco, o nulla, con la pellicola sui surfisti criminali della Bigelow, questo atipico reboot di Point Break è senza ombra di dubbio spettacolare. Una serie di riprese mozzafiato, di sport estremi, di inquadrature vertiginose e spettacolari che ti trascinano insieme ai protagonisti sulle vette più ripide o si lasciano cadere nelle più profonde acque della terra. Visivamente è evocativo ed ammagliante, un'esperienza quanto più vicina alle vere sequenze delle action cam di chi pratica veramente questo tipo di sport. Purtroppo però, la pellicola viene penalizzata dal fatto che per puntare tutto sulla spettacolarità, indiscutibilmente riuscita, sacrifica (volente o nolente) molto della trama che dovrebbe servire ben più che da semplice cornice attorno al film. Purtroppo la trama traballa non sapendo se restare fedele all'originale o se discostarsi e intraprendere una propria strada. Alla fine propende per la seconda opzione ma come trama, come scheletro narrativo, risulta comunque molto flebile e troppo spesso inverosimile. I giovani attori invece, dal canto loro, sono molto bravi e rendono in maniera verosimile le scene di azione, cariche di adrenalina, anche se quasi sconosciuti e per niente riconoscibili nonché minimamente caratterizzati. Infatti aspetto negativo è che il film sarebbe dovuto durare un po' di più inserendo qualche scena extra che scavava nel profondo della personalità dei personaggi e un paio di scene in più che rafforzavano il rapporto tra il protagonista e la ragazza 'copertina'. Purtroppo questo non è stato fatto anche se il film mi ha appassionato lo stesso e nonostante il mancato approfondimento la pellicola è riuscita ugualmente a farmi capire che tipi di persone fossero i personaggi. Cioè il film te lo lascia solo intuire anziché mostrartelo chiaro e tondo, fatto che in ogni caso non ho per niente apprezzato completamente.

lunedì 13 marzo 2017

Il compleanno è mio, ma il regalo ve lo faccio io!

Come ben sapete, o forse no, oggi è il mio compleanno, per questo e pertanto, spinto dalla volontà di migliorare il blog e dai suggerimenti di alcuni followers, ho deciso di farvi un piccolo regalo, se così si può dire, anche se quest'anno di festeggiare e di ricevere (e farli) regali non c'è voglia, dato che per la prima volta il trittico di compleanni è stato bruscamente interrotto dalla scomparsa di mia nonna (avvenuta mesi fa), che ieri avrebbe dovuto festeggiare 93 anni dopo mio zio sabato 11 e oggi il mio, ma poiché la vita continua, andare avanti è naturale e giusto. Per cui oggi che raggiungo la soglia dei 32 anni, annuncio una novità e confermo alcune cose. Prima di tutto è ormai assodato che da luglio in occasione del secondo anno del blog, l'aspetto dello stesso, subirà un cambiamento grafico e stilistico, anche se per il momento tutto è in alto mare, perché le idee ci sono ma un'intestazione e sfondo ancora no, in ogni caso sarà pronto, ma soprattutto da domani il blog, per venire incontro a esigenze di chi legge e di chi scrive, e come nel promo Sky "Una prima visione al giorno", posterò un post (film, serie ed altro singolarmente) al giorno, tranne ovviamente la domenica. Tornerò insomma all'origine, anche se in modo diverso e migliore. In più il classico post cinematografico di fine mese verrà sostituito da i peggiori film del mese, ma con recensioni in versione short, solo poche righe e in un certo tipo programmato, anche se per essere precisi le recensioni complete alle 'migliori-peggiori' pellicole ci saranno comunque, dato che film come l'ultimo Ghostbusters, che andrà in onda stasera, sembra fatto apposta per rientrare nella categoria 'il meglio del peggio', ma si vedrà dopo. Infine ad aprile tornerà il 'quiz show', che avrà un piccolo premio, cinematograficamente parlando, in palio. Insomma qualche cambiamento e novità che serviva e servirà e che spero vi piaccia e piacerà. In ogni caso ringrazio chi mi segue e chi mi manda suggerimenti, perché senza loro probabilmente mi sarei annoiato a fare sempre in un certo modo, ed ovviamente ringrazio già da adesso, anche se singolarmente risponderò, a chi oggi commenterà per augurarmi buon compleanno, un compleanno che quest'anno raggiunge numericamente parlando, una modesta e importante cifra. Eh sì, il tempo passa che neanche ce ne accorgiamo, ma per tutti è così, come per tutti andando avanti si migliora, e per quello il tempo c'è di migliorare, ovviamente in positivo e ovviamente con l'anima, il cuore e il cervello. Ma questo è un altro discorso che oggi proprio non mi va di esplicare, ma solo di suggerire, d'altronde la mia vita umanamente parlando non è stata tanto clemente, per cui mangio e bevo, vado avanti e non ci penso.

venerdì 10 marzo 2017

Trafficanti (2016)

Basato su fatti realmente accaduti, Trafficanti (War Dogs), film del 2016 diretto da Todd Phillips è una ironica e divertente, anche assurda e demenziale commedia che, basata su un articolo scritto da Guy Lawson per Rolling Stone e successivamente pubblicato in un libro intitolato Arms and the Dudes, intrattiene, spiazza e diverte. Questo perché il regista è bravissimo a scegliere il registro giusto con cui raccontare questa tragicomica storia e soprattutto nel tratteggiarne i protagonisti. La tragicomica storia di due ragazzi (David Packouz ed Efraim Diveroli) che, sfruttando i bandi pubblici messi online dall'esercito degli Usa, diventano in breve tempo due affermati trafficanti d'armi. E quando finalmente riusciranno ad accaparrarsi uno da 300 milioni di dollari, la situazione precipiterà. Infatti, il successo e il denaro faranno perdere la testa ai due trafficanti, che si ritroveranno coinvolti in diversi pericoli. Ora potrebbe sembrare che questa sia una storia che senza dubbio definiremmo assurda quasi da commedia demenziale (d'altronde come detto un po' lo è) e invece è soprattutto una serissima storia vera. Una incredibile storia vera che, dalle ammiccanti luci di Las Vegas alle aride terre del medio oriente, passando per la fredda ed inospitale Albania, viene narrata con avvincente vena comica, misurate sequenze d'azione, un calibrato turpiloquio ed un'incalzante colonna sonora. Tutto molto efficace e sorprendente, se si pensa ai film ultimi del regista, parlo ovviamente della saga comedy (un po' scema anche se dannatamente divertente) che lo ha reso famoso al mondo intero, Una notte da leoni. In questo caso però non si butta sulla (sua) commedia completamente folle, ma scrive e dirige un film (visto su Infinity) più che discreto, estremamente ancorato alla realtà e anche leggermente "impegnato", se così possiamo dire, sotto alcuni aspetti, ma brillantemente gestito. Difatti si potrebbe intuire che il tutto, cioè il contesto estremamente serio, attuale e anche tragico in parte, venga ridicolizzato e banalizzato, invece Phillips in questo caso ci sorprende.

giovedì 9 marzo 2017

Z Nation (3a stagione)

Sin dalla prima puntata della prima stagione, Z Nation, la serie action-adventure made in USA che ha rivoluzionato il genere zombie, che con un mix di violenza e comicità davvero unico nel suo genere ha divertito e appassionato tanti spettatori tra cui anche me, dato che ha saputo fin dall'inizio distinguersi per la sua originalità e ironia, proponendo sempre uno spettacolo spassoso, irriverente e divertente, pareva migliorare sempre più. Ora arrivati alla terza stagione il giocattolo sembra essersi lesionato, se la prima stagione risultava una novità, una eccezionale novità, e la seconda la riconferma delle sue straordinarie peculiarità, questa terza perde un po' la bussola e scivola nella banalità, perché a parti rari momenti non ha saputo divertire in modo esagerato come fece nelle prime due. Seppur i 14 episodi della terza stagione di Z Nation calano lo spettatore in una realtà ancora più feroce, con i nostri sopravvissuti che si trovano a fronteggiare una missione sempre più incerta, mentre sono ancora alla ricerca di Murphy (Keith Allan), ora alla guida di un vero e proprio esercito di ibridi, un genere a metà tra zombie ed umani, impegnati a diffondere il messaggio 'No Fear' in tutto il paese. Toccherà al gruppo formato da Roberta Warren (Kellita Smith), Doc (Russell Hodgkinson), Addy (Anastasia Baranova), e ai nuovi membri del team, Hector Alvarez (Emilio Rivera), unitosi dopo tante vicissitudini, e Sun Mei (Sydney Viengluang), unitosi dopo che la squadra inviata da Pechino (nell'incredibile finale della seconda) muore, cercare di fermare Murphy prima che sia troppo tardi. Ma nuove minacce intralceranno il loro cammino, con la comparsa di nuovi impressionanti orrori come i Wolf-Z, gli Electro-Shock Z, e i selvaggi vagabondi. E tutti i protagonisti si troveranno ad affrontare delle sfide ancora più impegnative e paurose, ma allo stesso tempo ancora più spettacolari, ancora più folli e più zombie che mai. Soprattutto quello che cambia è lo scenario, la missione è cambiata, la composizione della stessa squadra di eroi difatti è cambiata e tutti questi elementi rendono l'apocalisse zombie ancora più 'apocalittica', ma in definitiva meno avvincente e appassionante, perché come detto all'inizio, la stanchezza comincia a farsi sentire, dopo che nelle prime due si è visto di tutto, ma proprio tutto di folle, pazzo e delirante.

martedì 7 marzo 2017

Mad Max: Fury Road (2015)

Dopo più di trent'anni dalla saga originale, George Miller è tornato. Un lunghissimo lasso di tempo, nel quale me lo immagino intento a fondersi le meningi nel tentativo di ridare vigore e dignità alla sua opera più emblematica e dopo tanti ripensamenti eccoci qua, a recensire l'ultimo capolavoro del maestro dell'azione, Mad Max: Fury Road, film del 2015 diretto, co-sceneggiato e co-prodotto da lui stesso, vincitore di ben 6 Premi Oscar, che sviluppa la nuova avventura di Max e lo fa nel modo più roboante e scoppiettante possibile. Perché subito lo spettatore si trova catapultato in un mondo frenetico, nel quale non è consigliabile abbassare la guardia, tra tempeste di sabbia e attacchi in massa di tribù motorizzate. L'asticella dell'adrenalinometro non si abbassa un attimo per tutto il film, non c'è pausa dall'inizio alla fine i motori rombano, i pugni volano e i cannoni sparano. L'eccesso è la norma nell'immaginario di Miller, basti pensare che le lance, intese come armi, non trafiggono, ma esplodono. Un po' forzata come cosa? No, nemmeno minimamente perché Mad Max: Fury Road (quarto capitolo della saga) è estremo, e l'estremizzazione in questo film ci sta dannatamente bene. Nel tripudio di azione che accompagna la folle corsa del film, un film d'azione con la A maiuscola, i pochi che non saranno colti da infarto, potranno accorgersi che tra una esplosione e l'altra c'è anche una storia che, oltretutto, funziona molto bene. Perché se è vero che da una parte la trama è assente (inutile negarlo), il resto è curato e strutturato in modo coerente e "credibile", a fornire un ritratto caricaturale di un umanità poi non così diversa da quella reale, in fondo una moltitudine di straccioni e affamati, sulla quale poggia una classe elitaria, protetta da un corpo pseudomilitare, e paradossalmente osannata da coloro che dovrebbero odiarla, il tutto tenuto assieme dalla paura dello straniero, dalla fame, dalla sete e soprattutto dalla fede, rappresentata qui da un mix di Valhalla e Immortan Joe come dio supremo e immortale, per i quali vale la pena sacrificare la propria vita (ovviamente in modo spettacolare e non mediocre).

lunedì 6 marzo 2017

Confirmation & All the way (2016)

Oggi vi parlerò di due film per la televisione della HBO, due film 'storici' e interessanti, due film mandati in onda nel 2016, due film drammatici che documentano uno spaccato del mondo, di un popolo, quello americano, che è sempre in conflitto, un conflitto interno dove tutto può essere, accadere e succedere. E queste due storie raccontano di due episodi, che hanno in qualche modo cambiato il mondo in positivo, perché hanno saputo, nonostante le difficoltà, migliorare la vita di molte persone. Il primo, Confirmation per esempio, film per la televisione diretto da Rick Famuyiwa, è un film drammatico che offre diversi spunti di riflessione, film che drammaticamente riporta le vicende avvenute negli Stati Uniti nel 1991, in occasione dell'elezione a giudice della Corte Suprema di Clarence Thomas e le accuse di molestie sessuali rivolte contro di lui, da parte di Anita Hill, una delle prime donne che non ebbe paura di dire la verità (purtroppo solo presunta), anche se proprio grazie a lei molte donne si sono fatte avanti e hanno denunciato (cosa che tutte dovrebbero fare) gli abusi da parte di capi o mariti. Ma non solo, poiché il caso in questione, ha segnato un momento cruciale della cultura americana, cambiando per sempre il modo in cui si percepiscono le politiche di uguaglianza tra i generi. Per questo e per altri motivi, è una pellicola che già vi consiglio di vedere. Comunque Confirmation è una pellicola storica, dall'inizio alla fine, quasi un 'film documentario', che ripercorre, uno dei fatti che crearono più scandalo, sul quale ci fu un notevole accanimento mediatico, che ebbe risvolti sia negativi, sia positivi. Si tratta di un film che richiede un certo impegno nella sua visione, è una pellicola dal ritmo lento, che ripercorre (il più possibile fedelmente) le vicende che avvennero in occasione dell'elezione di Clarence Thomas. E lo fa, concentrandosi unicamente sulle interviste, sulle ricostruzioni dei Tg e dei giornali dell'epoca e sui commenti dei rispettivi interessati, Anita Hill (interpretata in modo egregio da Kerry Washington per il quale gli è valsa una candidatura sia al Premio Emmy che al Golden Globe) e Clarence Thomas (interpretato da Wendell Pierce). Perfetta è difatti la Washington nel mostrare i suoi sentimenti, e i suoi quattro diversi stati d'animo che la attraversano durante il film. Originariamente è dubbiosa, poi diventa motivata, verso la conclusione viene sopraffatta da un senso di rassegnazione, e, infine, riesce a trasmettere un senso di soddisfazione e compiacimento, grazie a ciò che (attraverso la lettura delle lettere) realizza essere riuscita a smuovere nella società americana. La pellicola offre, infatti (come già detto), numerosi spunti di riflessione. Tanto che, per comprendere al meglio il film, potrebbe essere d'aiuto avere già qualche informazione in merito al caso in questione e rivedere la pellicola anche un paio di volte. Poiché, in una sola visione, potrebbe essere facile non comprendere in pieno il senso delle parole e capire al meglio la situazione che ci viene mostrata. Detto ciò, gli spunti di riflessione che il film ci offre sono molteplici, la maggior parte ancora più che attuali.

venerdì 3 marzo 2017

Brooklyn (2015)

Nick Hornby prosegue la sua carriera di sceneggiatore, e così dopo il non eccezionale risultato con Wild, ma soprattutto dopo An Education, film per il quale ricevette una nomination all'Oscar, eccolo nuovamente in un film che definire bello sarebbe riduttivo, perché Brooklyn, film del 2015 diretto da John Crowley, è un film eccezionale, semplice, non banale a lunghi tratti, coinvolgente ed emotivamente intenso. Il film infatti, tratto dall'omonimo romanzo di Colm Toibin, che ha ricevuto l'anno scorso tre nomination all'Oscar, senza però vincere nessuno, anche se si è aggiudicato il premio come miglior film britannico, è essenzialmente un dramma, anzi, melodramma intenso e avvolgente, che se anche non raggiunge la complessità di quelli di Todd Haynes e il suo Carol, film a cui la pellicola sembra avere tanto in comune, soprattutto nello stile, anche se questo film è visivamente più vivace nei colori e sfumature, e quindi più piacevole da vedere, grazie anche alla freschezza di alcune battute e della stessa bravissima protagonista femminile, dato che la carina e dolcissima Saoirse Ronan sfoggia una invidiabile tempra di attrice che in ogni caso potrà ulteriormente perfezionare in futuro, è lo stesso un film interessante e sicuramente più coinvolgente di quell'altro comunque discreto film, film che come ritratto intimista non è assolutamente da buttare, anzi, da elogiare, nonostante il racconto, per la sua vitalità. Comunque la storia, ambientata negli anni '50, dove i colori pastello e i vestiti accessi sono molto vivi e funzionali (stranamente particolare che ho notato e in positivo), racconta di una ragazza irlandese, che non avendo né arte né parte, cerca fortuna a New York, nel quartiere di Brooklyn, ovviamente, dove grazie ai buoni uffici di un prete conterraneo amico, riesce a trovare un lavoro dignitoso. Inesperta e timida ma volenterosa e tenace, impara presto e soprattutto trova l'amore, in un giovane idraulico, persona semplice ma di buoni sentimenti. E quindi dopo un duro periodo di adattamento la serenità finalmente arriva, ma un tragico evento è dietro l'angolo e costringerà Ellis a compiere una scelta difficile. Il suo mondo infatti verrà messo in discussione, fino a quando la coscienza gli darà una mano a scegliere il suo destino.

giovedì 2 marzo 2017

Per non dimenticare mai e poi mai: Elser (2015), Colette (2013), The Eichmann Show (2015) & Il labirinto del silenzio (2014)

Anche se è passato più di un mese dal Giorno della Memoria e dal film visto in quell'occasione, ovvero Il figlio di Saul, di cui consiglio la visione, anche se non facile da vedere e digerire (per questo da prendere con le giuste precauzioni), non potevo non tornare sull'argomento, dato che in questo periodo di film inerenti a questo tema complesso ne ho visti ben 4. Film che cercano di far conoscere al mondo intero, con ancor più forza, ancor più vigore, qualcosa che mai avremmo voluto vedere che accadesse nella realtà, invece purtroppo è accaduto davvero, quel qualcosa di umanamente squallido, quel qualcosa di psicologicamente orrendo chiamato Olocausto. E questi quattro film, tratti tutti, tranne uno, comunque tratto da un romanzo di un sopravvissuto, da fatti realmente accaduti e da persone davvero esistite, che hanno provato e alcuni ci sono riusciti a smuovere le coscienze di chi ancora adesso, comunque meno che all'epoca, crede e stentava a crederci che fosse tutto vero (e lo è stato), disegnano un quadro agghiacciante di quello che è accaduto a 6 milioni di Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale dai nazisti e dalle ideologie deliranti di un folle. Film che in questo caso per comprendere più in profondità questo delicatissimo tema saranno recensiti in ordine temporale. A partire da un momento che non è entrato nei libri di Storia davvero per pochissimo, se George Elser non avesse fallito il suo intento, quello di uccidere Adolf Hitler. Sì perché, Elser: 13 minuti che non cambiarono la storia (Elser: Er hätte die Welt verändert), film storico del 2015 (andato in onda il 27 gennaio scorso su Rai2, e probabilmente ancora disponibile in streaming su RaiReplay) diretto da Oliver Hirschbiegel, da tempo trasferitosi oltreoceano, suo il celebre e pluripremiato "La caduta", con l'ottimo Bruno Ganz, opera che lo ha reso celebre dopo l'interessante "The Experiment" e prima delle meno riuscite incursioni nella fantascienza con l'imbarazzante "Invasion" e nel biopic con il neutro "Diana", che torna a girare in Germania dopo una parentesi di quasi dieci anni, racconta l'incredibile vicenda di uomo che seppe intuire, quasi 5 anni prima di Claus Schenk von Stauffenberg (un ufficiale tedesco che svolse un ruolo di primo piano nella progettazione e successiva esecuzione dell'attentato del 20 luglio '44 contro Adolf Hitler, e nel successivo tentativo di colpo di stato, purtroppo non riuscito), quanto quel movimento nazista rappresentasse un mostro che andava fermato decapitandone il vertice, come? piazzando una potente carica esplosiva da far detonare, mentre l'8 novembre 1939, Adolf Hitler tiene un discorso alla Bürgerbräukeller di Monaco. Georg Elser difatti avrebbe potuto cambiare il corso della storia mondiale e salvare milioni di vite umane se solo avesse avuto 13 minuti in più. In quel breve arco di tempo, la bomba che aveva assemblato personalmente sarebbe esplosa e avrebbe fatto saltare in aria Adolf Hitler e i suoi più alti collaboratori, decimando il futuro terzo Reich (invece di 8 persone presumibilmente innocenti). Ciò però non accadde perché Hitler lasciò la scena dell'attentato prima del previsto, lasciando Elser fallire miseramente.