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lunedì 19 settembre 2016

Romantic Weekend: Tutte le strade portano a Roma (2015), Una promessa (2013), Tre cuori (2014) e Romeo & Juliet (2013)

Da questo post e da ora in poi per facilitare la grande mole di film che vedo, ho deciso di snellire leggermente le mie solite lungaggini per le recensioni (soprattutto per i film che non mi sono piaciuti), cosa che non credo sia un male, ma poiché a volte è meglio vederlo un film più che scoprirlo e spiegare tutto, credo sia meglio anche per me di concentrare la recensione in un modo preciso, ovvero spiegare solamente le caratteristiche e le peculiarità (positive o negative) della pellicola e dire il mio pensiero e il mio giudizio anche con dei voti. Questo cambio è doveroso poiché certe volte proprio per le mie difficoltà e quelle di certi film perdo davvero troppo tempo, quindi in questo modo sarà più facile sia per me che per voi leggere. Comunque sembrerà strano ma comincerò partendo da questo post dove recensirò ben 4 film romantici (visti essenzialmente durante il weekend), non un genere mio preferito, anzi, ma a volte fa bene vederli perché alcuni sono davvero belli, ovviamente alcuni no, come in questo caso poiché a parte forse uno, sono tutti mediocri sia nella sostanza sia nella narrativa. Ebbene, senza perdere altro tempo eccoli qui.
Tutte le strade portano a Roma (All Roads Lead to Rome), è una commedia romantica che parte da un presupposto importante, ovvero da uno dei proverbi italiani più famosi, citato anche da Totò, ma purtroppo questo film del 2015 diretto da Ella Lemhagen, abolisce totalmente ciò, in più usa questa celebre frase per imbandire una tavola vuota negli intenti e priva di originalità nella sostanza, e addirittura ci scrive una canzone bruttissima. Brutta come il film, banale, superficiale, stereotipato (e tanto, a usi e costumi italiani), scontato, prevedibile ed ovviamente piena di cliché. Difatti questo film di produzione Italo-Americana (soprattutto a stelle e strisce) comincia davvero in modo assurdo, con la protagonista Sarah Jessica Parker, nella parte di Maggie, una quarantenne single di New York, che spiega alla figlia Summer (Rosie Day), una diciassettenne dal carattere ribelle, in viaggio verso Roma per una vacanza di come l'Italia sia un paese tremendamente corrotto, dove il cibo è così buono che dalla spazzatura alcuni si cibano e dove una una giornalista (Paz Vega sempre bella come ne Il caso Novack) ha la possibilità di inventarsi una notizia a cui tutti credono per poi ribaltarla e condizionare perfino il giudizio della polizia (arma come sempre di scarso rilievo e ingenua) che non si prende cura di verificare come stanno fatti e testimonianze ma che credono a tutto ciò che dice la televisione. Il peggio del peggio perché poi all'interno del film niente è credibile, dalla storia improbabile, alle vicende, fino agli attori. Comunque queste due arrivano a Roma e si trasferiscono in una cascina dello zio George in Toscana. Ma mentre la madre che intanto (così per caso) incontra Luca (Raoul Bova), un suo ex amante, con il quale prova a riallacciare i rapporti, la figlia, che non ha alcuna voglia di rimanere e vuole tornare dal suo amore che è in prigione negli USA e vuole che Summer la raggiunga per prendersi la colpa, insieme alla madre di lui, Carmen (Claudia Cardinale), stravagante nonna ex hippie e cantante, che vuole scappare a Roma per sposarsi con l'amore di un tempo Marcellino (nientemeno che Shel Shapiro), rubano una macchina per raggiungere assieme le loro destinazioni, dando così inizio ad una romantica (prevedibilissima e neanche minimamente coinvolgente) avventura, con ribaltamenti amorosi e non, addirittura un (finto e forzato) amore lesbo. Insomma niente di nuovo o minimamente originale, anzi, produttori e produttori esecutivi impiegano un parco macchine italiano all'avanguardia (una Panda anni '80 gialla, la spider Duetto dell'Alfa Romeo sempre nei cuori USA dal "Il Laureato" in poi e l'ennesima Ape) e una 'entusiasmante' colonna sonora con le ultime Hit italiane, ovvero "i successi di Rita Pavone" (compare anche un brano di Ferro). Davvero tutto imbarazzante come le recitazioni pessime della Parker, Bova e Cardinale (in difficoltà con i dialoghi assurdi e la differenza di linguaggio anche visivo). Un vero peccato e un vero spreco, perché tutto è francamente evitabile. Voto: 4,5
Una promessa (A Promise) è invece, al contrario del precedente, un film decisamente più romantico, intenso e bello anche se leggermente prevedibile, perché la storia che viene raccontata è delicata, dolce e sensibile ma non del tutto originale. Il film (del 2013) che difatti si basa sulla novella Il viaggio nel passato (Reise in die Vergangenheit) di Stefan Zweig, diretto da Patrice Leconte, regista poliedrico e molto famoso in Francia (il suo ultimo lavoro è Tutti pazzi in casa mia), racconta di un giovane appena laureato in chimica siderurgica, con origini modeste, Friedrich Zeitz (interpretato dal bravo Richard Madden ex de Il trono di Spade) che nella Germania pre-grande guerra diventa il braccio destro del magnate Karl Hoffmeister (interpretato dal compianto Alan Rickman), proprietario di aziende siderurgiche. Quando le condizioni di salute di Hoffmeister peggiorano, Friedrich Zeitz si trasferisce a casa Hoffmeister per agevolare il lavoro. Così Friedrich fa la conoscenza della giovane moglie di Hoffmeister, Charlotte (la bellissima Rebecca Hall), una donna molto più giovane del marito, bella e riservata. Egli immediatamente si innamora di lei ma lotta con i suoi sentimenti credendoli (erroneamente) non corrisposti. Proprio quando i due dichiarano finalmente il proprio amore, Friedrich deve lasciare il paese per rappresentare Hoffmeister in Messico. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo tiene lontano dalla Germania per un lungo periodo di tempo. Solo dopo la fine della guerra e la morte di Karl Hoffmeister, Friedrich e Charlotte riusciranno a ritrovarsi. Il film perciò come è ovvio, è un (melo)dramma su un amore che diventa irrimediabilmente impossibile per quanto intenso e travolgente fosse al principio, anche se il film racconta dell'amore più platonico che fisico. Una storia forte e passionale, fatta di sguardi, di parole, di momenti condivisi e di attrazione quasi istintiva. Ci si aspetterebbe quindi un mélo tradizionalissimo e infallibile, date le premesse, ma il dramma dell'amore impossibile, per respirare, necessiterebbe di conflitto, passione, disperazione. Invece i due protagonisti s'attraggono per dovere di script, ma senza alchimia visibile, mentre un Alan Rickman stanco (e pur sempre impeccabile) li osserva bonario da lontano, rassegnato a vedersi soppiantare più per regole narrative che per l'irruenza irrefrenabile del desiderio. A Promise fa dell'intensità e della sensualità velata i suoi cavalli di battaglia, è infatti un'opera che si costruisce su non detti, su tocchi impercettibili, su baci troncati sul nascere e sull'idea di attesa ma limita le emozioni e la ingabbia in un continuo gioco di virtuosismi verbali e fotografici, facendo così risultare spesso il film artefatto e stantio. Comunque nonostante non riesca nell'intento di catturare l'attenzione e nonostante in definitiva, finisce per non dire proprio nulla, a nessuno, il film è piacevole, godibile e bello. Voto: 6
Tre cuori (3 cœurs) è una pellicola che parla di un destino avverso e capriccioso come il cuore malato del protagonista, un cuore che anche dal punto di vista organico fa i capricci e che si diverte a complicare la vicenda, a giocare con i suoi personaggi. Perché il film, del 2014 diretto da Benoît Jacquot, racconta la storia di Marc (Benoît Poelvoorde), un ispettore delle imposte che una sera, dopo aver perso il treno per Parigi, incontra per le strade di una cittadina di provincia Sylvie (Charlotte Gainsbourg). Dopo aver fatto conoscenza i due si danno appuntamento a Parigi ma perde l'amata (e l'incontro) per una questione, diciamo così, "di cuore". Per caso, poco dopo, ne incontra un'altra, Sophie (Chiara Mastroianni), che lo attrae. La frequenta, la sposa, ma scopre anche che Sophie è la sorella di Sylvie. Che fare? Niente, ormai non si possono fermare gli eventi già in movimento ma sarà al quarantesimo compleanno di Sylvie (e il sessantesimo della madre Catherine Devenue) che qualcosa succederà, poiché in questa occasione i cuori di Sylvie di Marc che sembrano essere tornati a battere all'unisono, forse perché sembrano infelici e preoccupati entrambi, ma non quello che ci si aspetterebbe, poiché il cerchio si chiuderà in modo prevedibile ed inaspettato insieme. Tre cuori è perciò un film delicato ed emozionante anche se purtroppo il film non è completamente riuscito. Poiché sebbene il lavoro di Jacquot ci conduca a riflessioni alla 'Sliding Doors', nelle quali ci si può perdere mentre la mente rimbalza tra una quello che è stato e quello che sarebbe potuto essere, a smorzare tale fascino è la voce narrante che sente l'esigenza di spiegare, ed un inquietante e inopportuno sottofondo da horror (neanche da thriller) che incalza e stride. L'idea è quindi bella, il regista è bravo ma il film procede a strappi e nel finale cade nel più scontato dei melodrammi, oltre a suggerire anche una verità alternativa (un epilogo che avrebbe potuto suscitare anche grandi e forti emozioni che invece procura fastidio), che volutamente non si capisce se è sogno o vera linea narrativa e l'atmosfera che dovrebbe coinvolgere lo spettatore qualche volta diventa nebbia più che mistero. Insomma, alla fine l'avventura del cuore malato si risolve in una radiografia che mostra zone sane e zone malate, vale a dire film non disprezzabile, con un'ottima recitazione, ma non del tutto riuscito. Una pellicola quindi irta di fatalità e di dispetti vari dove prevalgono emozioni e i sentimenti ma che non aggiunge nulla di nuovo, film simili dal pathos sentimentale che si fa gioco del destino ne è piena la storia del cinema, però devo ammettere che è recitato benissimo che è assai credibile, nonostante nessuno dei protagonisti sembra al posto giusto. Il regista in ogni caso scava bene nei caratteri dei personaggi e li delinea con grande semplicità, nonostante siano tutti estremi in certe loro incapacità di osare e comunicare e per questo facili preda del caso o del destino. Comunque interessanti le interpretazioni di Charlotte Gainsbourg (però sempre con le solite mosse e smorfie come in Samba) e Benoit Poelvoorde, finora più visto in ruoli comici (tra cui l'irriverente Dio esiste e vive a Bruxelles), che sorprendono anche se lasciano il tempo che trova, poiché il film nonostante le buone intenzioni è lento, apatico, insipido anche se si lascia vedere nonostante duri effettivamente troppo. Voto: 6-
Romeo & Juliet è l'ennesima trasposizione (come se fosse ancora necessaria) di una delle più note ed appassionanti tragedie shakespeariane, la storia d'amore più bella di tutti i tempi (anche se io non sono mai stato d'accordo con questa affermazione visto il finale). Ovviamente il film che ripropone questo celeberrimo dramma, presenta alcuni piccoli adattamenti in quanto liberamente tratto dall'opera originale. La pellicola del 2013, infatti, diretta da un regista italiano Carlo Carlei, e sceneggiata dal premio Oscar Julian Fellowes (Gosford Park) riprende alla base il romanzo, forse troppo dato che sembra di assistere ad una pièce teatrale (quasi musical) e non ad un film, ma certe piccolissime innovazioni introdotte nella vicenda stonano un pochino. Questo perché la sceneggiatura invece di soffermarsi alla narrativa e al modo di appassionare e coinvolgere è più attenta alla superficie formale e dunque indotta verso una trasposizione troppo di maniera ed estetizzante.  E dunque va bene, fino ad un certo punto, puntare sulla bellezza ultraterrena di attori ed attrici, anche se Hailee Steinfeld appare più appassionata e coinvolta (più che in Ten thousands saints) che il solo unicamente appariscente suo partner-bambolotto Douglas Booth, che al contrario pare impegnato unicamente a sfilare in passerella, ma poi la contesa tra due famiglie che rende irraggiungibile il sogno di un amore assoluto che sostituisce i capricci e le naturali ritrosie giovanili, si svilisce in una mera vuota fiera della vanità e del capriccio. In ogni caso la regia è diretta e rappresentata in maniera egregia ma solo l'ambientazione cinquecentesca con delle pregevoli location è l'unico elemento ad elevare un film altrimenti piatto, in cui tutti gli elementi dell'opera di Shakespeare, poetici, ironici o drammatici, risultano semplificati e banalizzati. Ma a parte questo non sarebbe neanche un brutto film, se non fosse per due difetti che rendono molto difficile apprezzarlo, uno è che la storia di Romeo e Giulietta è già stata rappresentata più volte al cinema con risultati migliori, e l'altro è un pessimo lavoro di casting. Non solo i due protagonisti comunque minimamente credibili grazie alla loro giovane età nonché avvenenza fisica, ma anche per il grande cast di contorno, spesso fuori parte e che in ogni caso non riesce a risollevare il pur dinamico film di Carlei da una maniera e da una stucchevolezza che fanno rimpiangere senza scrupoli le formali, ma anche puntuali e corrette riduzioni Zeffirelliane troppo spesso frettolosamente bollate come esteticamente ridondanti e calligrafiche, frutto invece di una passione più viscerale e colta di quella che si intravede in questo puro calcolo commerciale laccato e iper-calligrafico. Un cast che comprende davvero grandi nomi, Stellan Skarsgard (principe di Verona), Natasha McElhone (Lady Capuleti), Laura Morante (Lady Montecchi), Ed Westwick (Tebaldo) e infine, anche se questa volta non c'è un duro faccia a faccia come in Billions, di Paul Giamatti (Frate Lorenzo) e Damian Lewis (Lord Capuleti). Insomma, una realizzazione mediocre ma di tutto rispetto che richiama alla lontana, seppure ovviamente non la eguagli, anzi, molto meno, quella del capolavoro del 1968 di Franco Zeffirelli. In definitiva però nonostante il film riproponga una storia sicuramente d'altri tempi e sempre toccante e suggestiva, non convince e non emoziona, che non consiglio di vedere se non agli amanti del genere. Voto: 5,5

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