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martedì 20 dicembre 2016

Gli altri film del mese (Dicembre 2016)

In questo mese nonostante il poco tempo a disposizione, dato che questo mio classico post è stato anticipato per permettere ai Saba Awards di essere pubblicati ininterrottamente dal 27 all'11 gennaio, come già accennato pochi giorni fa, qui, ho visto ugualmente tanti film oltre a quelli già pubblicati, alcuni interessanti, altri meno, come alcuni che per forza di cose e come ormai divenuta abitudine all'inizio di questo post, adesso vi parlerò brevemente. Partendo da un horror che partiva coi migliori auspici, un inedito horror in cui i migliori amici dell'uomo diventano mostri assetati di sangue, Night of the Wild (2015), fino a quando ci si rende conto che è prodotto dalla Asylum e tutte le buone intenzioni fanno a farsi benedire. Eppure era diretto da Eric Red, il creatore di "The Hitcher", e il cast comprendeva la bellissima Tristin Mays, invece brutto come la peste. Disgustoso e verdastro come il meteorite che cade nei pressi di una tranquilla cittadina, alterando il comportamento di tutti i cani del posto che si trasformano in belve feroci, che ovviamente attaccano e uccidono tutti, tranne la classica famiglia 'fortunata'. Ma se l'idea (che prendeva esempio dai classici eco-vengeance anni '70 e '80) risultava interessante il risultato è pessimo. Un non film con una trama sterile che annoia, con degli effetti speciali assurdi e situazioni imbarazzanti e tragicomiche da far ribollire il sangue, con un finale deludente e per niente appagante, praticamente una schifezza. Una mezza boiata è invece Swept Under, thriller del 2015 di produzione canadese che parte come un improbabile poliziesco figlio delle inflazionatissime serie tv che ormai portano agli onori della cronaca ogni figura professionale possa avere a che fare con un fatto delittuoso (lei infatti è solo esperta delle scene del crimine perché le pulisce e lui il giovane detective in completo perfetto, tipico del principiante), e finisce per essere una crime-love-story assurda e inconcludente, dato che i due, dopo il ritrovamento di un indizio sfuggito agli investigatori, che innesca un dialogo, formeranno una strana collaborazione che li porterà (forse) ad individuare il serial killer (un killer per niente credibile). In più la regia è piatta e inconsistente, e gli attori, conosciuti e affascinanti, la bella Devin Kelley e l'inossidabile Shawn Ashmore (The Following), non fanno scintille, anzi, il film scivola senza sussulti, nonostante la svolta nel finale, quando la vicenda cambia pelle e si discosta almeno un po' dalla banalità. Insomma guardabile ma non da consigliare. Si salva invece ma solo perché i primi due capitoli mi erano discretamente piaciuti (li trovate qui), Antboy e l'alba di un nuovo eroe (2016), terzo, probabilmente inutile, di cui non si sentiva il bisogno, lungometraggio del piccolo supereroe danese, dai poteri di formica che lotta contro il crimine. In questo capitolo per affrontare un super criminale farà ricorso all'aiuto dei suoi amici (e di un nemico) senza i quali difficilmente potrebbe uscirne vincitore. Perché come ovvio lui vince, perde interesse invece la trama banale e superficiale come tutta la storia, stavolta non credibile anche se bella. Insomma un film per ragazzi comunque discreto che però perde brio e sostanza dai precedenti capitoli, facendo così perdere lucidità e creatività. Troppo poco per consigliarlo. Consiglio invece di leggere le prossime recensioni poiché alcuni di essi meritano di essere visti.
Grandma, pellicola statunitense del 2015, è una commedia briosa e di buon ritmo, girata in modo convenzionalmente brillante da uno specialista dei toni leggeri, quel Paul Weitz, già autore di American Pie e About a boy. Un film in grado di salvarsi da un ordinario anonimato, grazie soprattutto, od esclusivamente, al carisma leonino e alla verve da mattatrice indomita, della simpaticissima Lily Tomlin, attrice comica molto conosciuta in America. Una commedia amara di grande impatto comico e drammatico insieme perché prende di petto una serie di tabù, l'aborto, l'omosessualità femminile, la sanità a pagamento, la violenza domestica, la scomparsa dell'educazione sessuale nelle scuole, le contraddizioni del femminismo militante. Il tutto affrontato attraverso una narrazione elegante e mai scontata, con battute gustosissime, gag spassose, e una sceneggiatura che, come quella di Juno (il film che Grandma ricorda più da vicino per tono e sense of humor, e non solo perché si parla di un'adolescente incinta e di un aborto in predicato), entra ed esce dal politically correct con sorprendente agilità e intelligenza, anche se il film dura davvero poco, solo 70 minuti. Comunque le protagoniste sono "solo" una nonna che accompagna la nipote nella clinica per abortire, le due protagoniste di un confronto serrato, comico, brillante, ma anche amaro, che avrà come tematiche un confronto generazionale che farà bene ad entrambe. Insomma un film leggermente pesante ma anche leggero e senza pensieri, perché sembra incredibile ma, in questo film c'è tutto quello che un discreto film deve avere, tempi morti molto significativi, confronti generazionali molto acidi e diretti, amori di qualsiasi genere (dall'amore canonico, all'amore omosessuale, all'amore materno, all'amore fraterno, all'amore per la letteratura, all'amore stupido ed adolescenziale). La storia e il soggetto poi sono scritti benissimo, il montaggio e la sceneggiatura sono esatti, la regia e gli attori non potrebbero fare di più. Certo non siamo davanti a un capolavoro, ma questa storia non sarebbe potuta essere affrontata meglio di così. Solo la fotografia lascia spazio al realismo e quindi non è perfetta, ma non ce n'è bisogno quando un film è così ben scritto diretto recitato e montato. Da vedere, apprezzare e per molti forse sentirsi coinvolti in qualcuno dei soggetti, persino le comparse qui hanno un grande seppur velocissimo significato. Voto: 6
Ennesima trasposizione cinematografica, la quarta per la precisione, dell'omonimo romanzo di Thomas HardyVia dalla Pazza Folla (Far from the Madding Crowd, 2015) del regista danese Thomas Vinterberg ripropone la natura dei sentimenti e soprattutto delle relazioni amorose tra individui, cercando di rappresentarne la complessità e, a volte, l'incoerenza nonché la vanità sulle orme di quanto proposto dal grande scrittore inglese, senza purtroppo riuscirvi. Questo perché la vicenda, che ruota tutta intorno alla figura di una donna, la bella, ostinata ed indipendente, Bathsheba Everdene (Carey Mulligan), che attira le attenzioni di tre pretendenti tra loro molto differenti, a contendersi il suo amore infatti ci sono l'allevatore di pecore caduto in disgrazia Gabriel Oak (Matthias Schoenaerts), l'affascinante e spericolato sergente Frank Troy (Tom Sturridge) e il ricco e maturo scapolo William Boldwood (Michael Sheen), non riesce a coinvolgere, certo raccontata in questa maniera la trama appare poco più di un banale feuilleton, perché ovviamente è già più che prevedibile all'inizio come andrà a finire, ma è evidente anche senza aver letto il libro che del romanzo originale viene tratto solo l'aspetto più superficiale ovvero la storia d'amore, non quello più importante, la critica sociale e la profondità e ricchezza dei temi, qui purtroppo assai riduttive. Certo la ripresa è indubbiamente ottima, lo stesso dicasi per la post-produzione che completa un lavoro senz'altro ben fatto, piacevole alla vista (scenografie, fotografia, costumi, attori, l'intero pacchetto è, oggettivamente, bello), ma incapace di sondare e restituire le ambiguità, le profondità del paesaggio umano, che restano sulla carta, insomma non è riuscito affatto a rappresentarle appieno, limitandosi soltanto alla mera esposizione di fatti, sia pure interessanti ed avvincenti ma non riuscendo, a cogliere l'anima e la concezione dello scrittore inglese. Il film pertanto risulta in sé ben girato, con uno stile lineare e pulito, ma esso appare più come uno sceneggiato televisivo e nulla di più. Costrette in quest'ottica, di conseguenza, le interpretazioni degli attori non convincono nonostante le scelte più o meno azzeccate, Sheen è il solito buon caratterista, il belga Schoenaerts deve limitarsi a fungere da belloccio (come già successo in Le regole del caos e Suite francese), ma a mancare clamorosamente è la protagonista Mulligan, carina sì ma del tutto inadeguata a rendere le sfaccettature del suo personaggio. Comunque, un film piacevole da vedere e per immergersi totalmente in un'atmosfera del passato, anche se delude parecchio. Voto: 6-
Tratto dal romanzo di Michelle WildgenQualcosa di Buono (You're Not You), pellicola del 2014 diretta da George C. Wolfe, narra la storia di una talentuosa giovane pianista classica (Hilary Swank) che un giorno si ammala improvvisamente di SLA. Kate (questo il suo nome) e suo marito Evan (Josh Duhamel) però, nella ricerca di un assistente a tempo pieno per Kate, si imbattono in Bec (Emmy Rossum), una studentessa di college che ha risposto impulsivamente all'annuncio pur non avendo la minima esperienza. Una ragazza che, nonostante sia una persona confusionaria ed incapace di creare stabili relazioni sentimentali e professionali, riuscirà a farsi apprezzare, anche perché Kate vede qualcosa di speciale in lei e la sceglie come suo 'angelo custode'. Quello che prima di tutto colpisce in questa pellicola e ne decreta un certo valore è l'indubbia ottima interpretazione di Hilary Swank (anche produttrice della stessa, comunque decisamente più in parte che in The Homesman) che come sempre si dimostra essere una fuori classe in tutti i più svariati ruoli che interpreta. Come in Million Dollar Baby, la Swank qui impersona una donna affetta da una grave malattia degenerativa che viene da lei espressa e presentata in una maniera talmente realistica ed efficace da sembrare che ella sia veramente affetta dalla SLA. Insomma, quello che poteva risultare soltanto un film serio e toccante su di un tema delicato e difficile da trattare, ma nulla di più, viene, appunto, notevolmente nobilitato dalla Swank. Interessante e da menzionare però è anche Emmy Rossum che impersona la giovane badante sbandata ed inconcludente e che spicca su tutti e tutto per i suoi modi simpatici e diretti. Insomma, anch'ella è da tenere ben presente. In ogni caso, pregi e difetti di film simili li conosciamo già ed è inutile parlarne, l'importante è che sappiano almeno creare emozioni a chi li guarda e a me qualcosa è arrivato, è inutile non riconoscerlo (anzi per alcuni simili problemi non è stato facile per me vederlo), ma mi ha fatto conoscere la Rossum, davvero brava, perché alla fine è lei la vera stella del film, fino ai titoli di coda, dove canta (bene) un bel brano. In generale, comunque, nonostante un finale pessimista e drammaticamente forte, il film risulta ben girato e fortunatamente in maniera non troppo pesante e melodrammatica riesce ad affrontare con la giusta leggerezza, ma anche profonda sensibilità, il tema serio e non certo allegro dei malati di SLA. Da vedere? direi proprio di si, anche se sapete già in modo chiaro a cosa andate incontro. Da non sottovalutare? no, sebbene non costituisca ovviamente un capolavoro vero e proprio. Voto: 6+
Ultimo film interpretato da Robin Williams (anche se Una notte al museo 3 è dello stesso anno), Boulevard, film del 2014 diretto da Dito Montiel, è la storia di un sessantenne chiamato Nolan che dopo tanti anni trascorsi in un matrimonio di facciata con una moglie che nonostante tutto lo ama, decide di provare a vivere per una volta i suoi sentimenti omosessuali, anche se si infatua di un giovane gigolò (Roberto Aguire) che naturalmente non può ricambiare e gli causa diversi problemi. Qualcuno potrebbe pensare che Williams (che in quella che ora potremmo definire una battuta profetica durante il film infatti dice che la morte è ingiusta, e purtroppo è davvero così) abbia messo molto di personale nel caratterizzare quest'uomo afflitto da una malinconia profonda che nella realtà era ormai una depressione senza scampo, ma io preferisco vederla come un'altra brillante interpretazione di un attore a cui il talento di certo non mancava. Il film gioca le sue carte migliori proprio nell'interpretazione e oltre a quella del protagonista va segnalata la buona prova di Kathy Baker nel ruolo della moglie, a cui l'attrice trasmette una dignità e una costante inquietudine nonostante le poche scene in cui appare. Nel complesso però il film non spicca più di tanto a causa di certe incongruenze nella trama che fra l'altro si conclude con un finale un po' troppo vago che andava definito meglio, e una regia un po' scolastica che non evita alcune sequenze che sembrano dei riempitivi (la rivelazione al padre malato del proprio orientamento sessuale, ad esempio, avrebbe potuto risultare molto più emozionante di quello che è). Peccato perché le buone intenzioni sicuramente non mancavano e Robin Williams deve aver creduto in questo progetto prima di scegliere di cedere alla disperazione col suicidio. Comunque è un buon film con buoni dialoghi e non tirato troppo per le lunghe, difatti ha una trama semplicissima anche se intensa. Buona in ogni caso la scelta di evitare emozioni fisiche a discapito di quelle 'interne'. Quindi per concludere questo è un film delicato anche se non tanto piacevole per i miei gusti (io infatti l'ho visto soprattutto perché si trattava dell'ultima pellicola in cui il mitico Robin ha partecipato ed essendo un suo fan non ho potuto non vederlo, poiché rivederlo fa sempre un grande effetto emotivo), ma che io vi consiglio di vedere comunque anche se non eccelle, anzi, lento e troppo riflessivo, ma forte. Voto: 5,5
Prima che un regista, Peter Bogdanovich, che torna dopo 12 anni sul grande schermo, è un cinefilo con una spiccata passione per le commedie scatenate, tutte equivoci e battute, della Hollywood dei tempi d'oro. E infatti, Tutto può accadere a Broadway (She's Funny That Way), film del 2014 scritto e diretto da lui stesso è una commedia degli equivoci, leggera, senza volgarità, dal gusto delicato, anche se non perfetta. Una pellicola dall'umorismo contagioso, dai dialoghi efficaci e divertenti e da una comicità genuina, mai eccessiva, mai gratuita, ma sempre frutto di idee brillanti. Regala infatti novanta minuti di divertimento leggero e assai gustoso, nonostante una trama non del tutto originale, e un soggetto semplice ma complicato al tempo stesso. Adrian, un regista teatrale con il pallino di redimere le prostitute, atterra a New York e passa la notte con una di esse, Isabella, che ha come sogno nel cassetto quello di fare l'attrice. Ma dopo averla convinta a lasciare la professione se la ritrova al casting per il nuovo lavoro, dove però recita la moglie Delta a sua volta concupita dal primattore Seth. La ragazza, figlia di chiassosi proletari, è brava e ottiene la parte, e oltre al regista susciterà anche l'interesse del commediografo di turno, che però è impegnato con una psicanalista che non ha proprio tutti i lunedì a posto, insomma un macello di relazioni. Relazioni che ovviamente vanno a costituire una serie di fili che si intrecciano fino a che, classicamente, i nodi si sciolgono in una sorta di tutti contro tutti al quale si giunge attraverso il succedersi di una serie di situazioni imbarazzanti (e perciò divertenti) che includono figuracce nei luoghi pubblici e gli immancabili balletti nei corridoi di lussuosi alberghi. Girata interamente nella sua New York, ritratta in maniera romantica, la pellicola si avvale di un ottimo cast, in opere in cui i tempi comici sono fondamentali infatti, importante è soprattutto la resa degli attori che, peraltro, si dimostrano ben scelti, sia per i ruoli minori (la prostituta stordita di Judy Punch) sia per i principali, che vanno da Owen Wilson (che conferma le sue doti, come anche visto in No escape: colpo di Stato, e in alcune sequenze ricorda la precedente esperienza di Midnight in Paris, quasi a voler rimarcare la vicinanza alle commedie, non tanto alla Zoolander 2, ma di Woody Allen) nei panni del regista alla bellezza irregolare di Imogen Poots (lo scorso anno vista in Jimi - All Is By My Side) in quelli della sua protetta per arrivare alla prova irresistibile di Jennifer Aniston alle prese con il personaggio, assai diverso dal solito, della psicanalista tutta nevrosi e parolacce. Ma tutto diverte e coinvolge. C'è però un altro livello sul quale il film può essere goduto, quando Bogdanovich si lascia andare alla passione per il cinema accennata all'inizio disseminando la sceneggiatura (scritta con l’ex moglie Louise Stratten) di citazioni. Il risultato è quindi un inno alla settima arte e alla sua capacità di far sognare, consentendo di dimenticare le angosce almeno davanti al grande schermo, anche riciclando materiali già usati si può creare qualcosa di nuovo capace comunque di affascinare. Quella di Bogdanovich si rivela infatti come una passione davvero contagiosa e non ha importanza quale sia la fonte di ispirazione, come dimostra il più giovane emulo che compare nell'ultima scena per trascinare Isabella in un vortice di spettacoli che comprende vecchi western e film di kung-fu (ovvero un simpatico cameo finale di Quentin Tarantino). Insomma un film interessante anche se la parte iniziale si prende il suo tempo perché vi vengono presentati i singoli personaggi che magari possono risultare in troppi. La fase di riscaldamento è forse un po' lunga, ma, superata la prima mezzora, la storia raggiunge una brillante velocità di crociera che fa volare i minuti che separano dai colorati titoli di coda. Comunque il ritmo è un po' altalenante, alcune battute risultano scontate, prevedibili, altre addirittura forzate e alcuni ruoli andavano approfonditi invece di ridurli a semplici macchiette. In definitiva, però film discreto e piacevole, con tanti ingredienti per 90 minuti di piacevole ironia. In ogni caso non aspettatevi risate a crepapelle. Voto: 7
Abbraccialo per me, film del 2015 di genere drammatico, diretto dal regista Vittorio Sindoni, è un film di grande impatto emotivo, che tratta il difficile tema della quotidianità familiare in presenza di un componente affetto da disagio mentale. Il film racconta infatti come una famiglia di un ragazzo con disabilità mentali affronti la situazione all'interno del nucleo familiare e in relazione col mondo esterno. Il disagio mentale, più ancora di quello fisico infatti, crea una distanza incolmabile con il mondo che circostante con il quale, col passare del tempo, diventa impossibile rapportarsi. E le difficoltà per questo sono tante, immense e dolorose, e richiedono amore, cura, attenzione. E amore, cura e attenzione hanno generosamente speso gli attori che si sono presi, con umiltà e professionalità, la responsabilità di raccontare una realtà così dura. Stefania Rocca su tutti, dona generosamente al ruolo di Caterina (la madre di Francesco) un'umanità caparbia e disperata che ricorda le meravigliose "donne del popolo" raccontate dal cinema neorealista. Moisè Curia è il giovane Francesco, in una prova d'attore che poteva essere piena di insidie, superata a pieni voti. Un menzione la merita anche Giulia Bertini, alla sua prima esperienza cinematografica nel ruolo di Tania (l'altra figlia, unico punto fermo, stabile della famiglia nonostante la giovane età) la sua interpretazione è vera, sensibile, e senza manierismi o sbavature ma allo stesso tempo incisiva e coinvolgente. Senza dimenticare gli altri, Vincenzo Amato, Paolo Sassanelli e Pino Caruso. Nel film ovviamente spicca più di tutto "l'amore" di una madre verso il figlio e di come ella lotti contro tutti e non si arrenda per amore del figlio. Una donna che fino all'ultimo rifiuta di accettare che il figlio debba necessariamente vivere una vita diversa da quella sognata per lui. Ma con sapienza vengono anche descritti i differenti comportamenti dei membri della famiglia e come questi conducano all'incomunicabilità e alla disgregazione. Insomma un film che fa riflettere, ed è come se fossimo noi stessi a dover decidere cosa fare, un momento solidali e un momento rabbiosi verso questa donna il cui tanto amore obnubila la capacità di decidere. Non è facile infatti capire cosa è meglio. Comunque il film non è proprio così eccezionale però si lascia vedere, perché in fin dei conti è un film che tutti dovrebbero vedere, per avvicinarsi anche solo un po' a una realtà ancora poco raccontata dal nostro cinema. In ogni caso film istruttivo e complimenti al regista per aver voluto collocare la storia in un paesino della Sicilia, realtà dove purtroppo spesso e volentieri si fa fatica più che in altri luoghi e ci si trova a dover fare i conti con i pregiudizi della gente. Voto: 6
Partendo dal presupposto che Calvario (Calvary), film del 2014 diretto da John Michael McDonagh, non è un film comico, non almeno nel senso tradizionale del termine, bisogna osservare ed ammettere che si tratta di un'opera non trascurabile, ma di un mix assai riuscito tra un vero e proprio dramma (il calvario di un uomo) e una black comedy dove non mancano tocchi di black humor sparse per tutta la durata del film. Difatti stupisce subito il modo di raccontare questa storia, infatti i toni non sono quelli del dramma esistenziale, bensì è un film piuttosto vivace, a tratti condito con elementi grotteschi di commedia nera, cosa che non fa pesare la visione, e non da noia. Comunque la storia parte da un confessionale, in chiesa, in un paesino sperduto irlandese, dove un uomo dall'identità ignota, annuncia a padre James (Brendan Gleeson, il nostro protagonista) di aver subito violenza da un prete pedofilo in gioventù e per una sorta di vendetta verso la chiesa decide di volerlo uccidere (nonostante ella sia una persona buona) la domenica successiva. Padre James dovrà quindi affrontare una importante scelta morale quella di accettare la sua morte e farsi carico delle colpe della Chiesa oppure rinunciare alla sua morale e andare via. Il suo "calvario" durerà la settimana che aspetta prima della sua eventuale morte, durante le quali Padre James si interfaccerà con le persone della comunità, con la sua famiglia (una figlia avuta prima di essere diventato prete) e con la comunità religiosa a cui fa rifermento. Una comunità che però gli riserverà non poche sorprese, perché mentre più cercherà di avvicinarsi ai suoi concittadini più riscontrerà ostilità, derisione, avversione nei suoi confronti. Si renderà infatti conto di essere circondato da persone false, ipocrite ma soprattutto disinteressate nei suoi confronti e nei confronti della Chiesa che lui rappresenta, allontanatesi da qualsiasi tipo di fede o spiritualità. Tutti sono possibili carnefici, tutti peccatori, nessuno escluso. Perciò la persona che "moralmente" risulta migliore è proprio Padre James, che però da novello Gesù dovrà decidere se il suo sacrificio redimerà i peccati o se sarà del tutto inutile. Calvario è quindi un film a due facce, perché oltre alla drammaticità degli eventi non manca la satira e la dissacrazione, che qui però tendono soprattutto ad assumere un ruolo di critica nei confronti della società moderna. Una società sempre più persa, cieca, chiusa, un mondo già alla deriva che non può e non vuole essere salvato. Il film quindi, altamente metaforico, trasporta allo spettatore un senso di amarezza e dispiacere per le sorti di questa umanità, completamente distaccata da qualsiasi tipo di empatia, di fede o di spiritualità. Un'umanità fredda, blanda e statica che non dà importanza né alla vita umana ne a ciò che di bello la vita ha da offrire. Per questo e tanto altro, il film si propone subito come un'opera imperdibile che fa riflettere e discutere e forse nel mezzo, giusto per alleviare lo spettatore dal dramma proposto, riesce a rubare qualche sorriso grazie alle battute perfettamente condite nei dialoghi, a volte duri ma mai banali. Insomma un film tosto e dolente e grigio come la fotografia di questa pellicola accompagnata da una malinconica colonna sonora. Ma un film che supportato da una interpretazione intensa e solida di Brendan Gleeson (da segnalare anche la presenza del figlio Domhnall, bravissimo attore, ottimo interprete, Unbroken lo dimostra, e di Aidan Gillen, un ancora più bastardo 'dito corto' (ambiguo come in Maze Runner: La fuga) e da una regia impeccabilmente orchestrata, sullo sfondo di una Irlanda inedita, bellissima e selvaggia, si lascia vedere. E anche se il messaggio forte che esce dal film, ovvero la potenza del perdono, non è per niente consolatorio, da ad una visione del mondo comunque negativa una speranza. Insomma un'opera struggente, nervosa davanti alla quale risulta impossibile restare indifferenti. Consigliato. Voto: 7
Mr. Right, film del 2015 diretto da Paco Cabezas e scritto da Max Landis, è un inedita spy-comedy alquanto spassosa e divertente, soprattutto per niente volgare, simpatica ed eccentrica come i due attori che interpretano due personaggi, una coppia a dir poco stravagante. Una coppia formata da Martha (la deliziosa Anna Kendrick, sempre carina come anche fu in Into the woods), una giovane ragazza appena uscita da una delusione amorosa, che appare sin da subito che è totalmente fuori di testa, che si imbatte in un altro ragazzo (un bravo Sam Rockwell e comunque migliore che in Poltergeist), anche lui decisamente strano, che la conquista dicendole chiaramente di essere un assassino. Lei ovviamente prende tutto come uno scherzo e ride, finché non vede con i suoi occhi un omicidio. Poco cambia però, perché anche lei scopre di avere talento come assassina e la coppia funziona. Ma c'è diversa gente che vuol fare la pelle al killer, su tutti un suo ex collega (Tim Roth) e quindi ne succederanno di cotte e di crude. Prima di tutto Mr.Right non è un film esilarante, non è eccezionale ma è garbato e piacevole proprio perché leggero e per niente sopra le righe, anzi, è un film che ha qualche buon momento, discrete scene d'azione, due grandissimi attori, ma che poi si perde un po' con una storiella che diverte poco o nulla e che è prevedibilissima. Un film che ricorda Sette psicopatici, soprattutto per il fatto che li (Rockwell) dava un assaggio di quello che qui invece porta all'esagerazione, anche se il risultato è decisamente inferiore in qualità ed efficienza. In ogni caso è un film perfettamente salvabile anche grazie ad una perfetta colonna sonora e dei siparietti comicamente divertenti, come il messaggio del film, ovvero che ammazzare sia in fondo un gioco divertente. Certo non il massimo e sicuramente si poteva fare meglio, soprattutto con due come Roth e Rockwell, ma in minima parte è vedibile e godibile, ma non tantissimo. Voto: 5,5
Un milione di modi per morire nel West (A Million Ways to Die in the West), pellicola del 2014 scritta, diretta ed interpretata da Seth MacFarlane, è una divertente commedia (anche geniale), ma tremendamente demenziale e infantile nonché forzata. Questo perché il creatore dei Griffin, al contrario di Ted e il suo seguito (Ted 2) dove era riuscito a trasformare in cinema, in una commedia semplice e divertente, la sua comicità e il suo nonsense unico, non riesce a fare la stessa cosa. Qua infatti ci sono moltissimi difetti a cominciare dalla prima cosa, il suo personaggio, personaggio che proprio per la scelta di interpretarlo lui stesso non funziona alla perfezione anche perché lui non è un attore. Anche gli altri personaggi però sono costruiti malissimo e ultra-stereotipati e la sceneggiatura definirla banale è dire poco. Certo, cosa vuoi di più, è pur sempre una commedia demenziale, però pure se vuoi fare cinema demenziale deve esserci sempre una sceneggiatura (anche stupida) che regga e dei personaggi che facciano cose inerenti alla storia che vivono. Qui invece si lascia andare alla sua comicità lasciando da parte ogni credibilità e inevitabilmente il suo film perde ritmo e sinceramente questi 110 minuti (troppi per un film del genere) non scorrono con ritmo come in Ted. Tre cose però funzionano nel film che racconta la semplice storia di un vile contadino, che appena lasciato dalla sua ragazza, si allena per diventare un asso del grilletto con l'aiuto della moglie di un noto pistolero, sperando così di riconquistare la sua amata, anche se pian piano comincerà a nutrire nei suoi confronti sentimenti che vanno ben al di là dell'amicizia, ovvero Charlize Theron, non tanto il suo personaggio solo lei, il fatto che i due personaggi principali parlino e critichino continuamente il loro periodo storico come se fosse già passato e fossero nel presente (colpo di genio classico nella sua comicità) e il montaggio di due o tre scene che mi ha fatto capire che la sua comicità con flashback o stacchi veloci di regia potrebbe funzionare anche al cinema oltre che in tv, anche se le scene splatter di "visceri e sangue" non hanno lo stesso effetto comico che possono avere nelle animazioni virtuali. Ma in definitiva è il classico film usa e getta, tutto infatti sembra preso a noleggio in questo film, dalla trama appena accennata, dall'ambientazione western solo funzionale, dalla storiella d'amore gratuita, quello che non è usa e getta è però la straordinaria capacità di McFarlane di far ridere, di inventare gag frutto del suo personale stile di comicità ultramoderno che funziona senza trama, senza l'ambientazione, senza un conflitto vero, e che stupisce per la facilità apparente con cui l'ha fatto. Anche se questa è soprattutto la classica americanata (alla Zoolander 2 per intenderci, leggermente volgare in alcuni punti), che poteva senza dubbio riuscire meglio. Peccato, perché certe battute e gag funzionano, sono carine, magari già viste ma rese in qualche modo originali da questi grandi interpreti (tra tutte, il balletto dei mustacchi, il cavallo sul treno, l'addestramento...). Quindi non mi sognerei mai di promuovere questo film se non fosse per certi camei straordinari (Ryan Reynolds e Django), e uno in particolare (con tanto di citazione musicale) che toglie il respiro al vero cinefilo (ma non posso spoilerare, non posso...) e viene da chiedersi perché l'intero film non sia basato unicamente su quello. Data l'annata del contesto (1882) si può pensare che sia un trucco, che non sia veramente lui, che abbiano usato la motion capture, ma i titoli di coda confermano che ci abbiamo visto bene. Solo per quello è un film da vedere ma è poco davvero poco. Voto: 5+

9 commenti:

  1. Confermo, vedi cose a cui non darei una lira XD
    Di questi non ne ho visto manco uno, e letto il tuo post... non credo li vedrò mai XD
    Però AntBoy mi piaceva...

    Moz-

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    1. Si ma io non è che pago per vederli, ossia sì ho Sky e pago ogni mese però per questi al cinema non ci sarei comunque andato :)
      Lo so perfettamente che non sono di tuo gradimento, a parte Antboy che anche a me piace ma questo terzo è davvero poca cosa ;)

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    2. Dopo aver letto il tuo post sono andato a vedermi il trailer... Non so, da lì non si capisce molto ma mi fido del tuo parere...^^

      Moz-

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  2. Ho Sky ma ho visto solo Mr.Right del tuo elenco, il quale a me non è dispiaciuto affatto devo dire, forse perché adoro sia Rockwell che Roth, e comunque ho apprezzato l'originalità del plot e della recitazione.. mi riservo Calvario invece, che sembra interessante... e ringrazio MySky... grande invenzione!!

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    1. Sia benedetto mysky! Invenzione del secolo, senza sarei perso ;)
      Sì non è male, soprattutto la canzone iniziale per entrare in sintonia con il film è perfetta :)
      Ha me Calvario ha sorpreso positivamente infatti, non dovresti perderlo ;)

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    2. No no.. è in lista... intanto ieri mi sono fatto un pianterello con Se solo fosse vero.. con Mark Ruffalo... si lo so.. non prendermi in giro, dai!...;))

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    3. Eh purtroppo non era vero, che tristezza, no ma ti capisco ;)

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  3. "Qualcosa di buono" mi ricorda "Quasi Amici", mi potrebbe piacere!😊

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    1. Sì un po' lo ricorda ma è molto meno commedia e più dramma..non un film facile da digerire in ogni caso..ma bello :)

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