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mercoledì 13 settembre 2017

The Leftovers (3a stagione)

E alla fine giunse la fine. Ultimo episodio non solo della terza stagione ma anche della serie. The Leftovers termina infatti con un bellissimo ultimo episodio. Un ultimo episodio che, dopo una non personalmente straordinaria prima stagione e una leggermente deludente seconda stagione, qui la recensione, sintetizza molti motivi della sua grandezza (perché in ogni caso questa serie lo è comunque), dalla resa del dolore e dell'essere umani, dalla costruzione di personaggi profondi e iconici, dalla realizzazione di scene con dialoghi intensi, aiutati dalla bellissima musica, interpretati da attori e attrici davvero bravissimi. Damon Lindelof (noto soprattutto per essere stato lo showrunner di Lost) e Tom Perrotta (scrittore e co-produttore per la HBO dell'adattamento del suo romanzo) ci hanno difatti accompagnato per questi tre anni (su Sky Atlantic), regalandoci episodi intensi che ci hanno fatto commuovere, pensare, divertire, innervosire, interrogare. Dovevano scrivere ora il finale di questa lunga storia, iniziata con un mistero inspiegabile e conclusasi con una risposta dopotutto semplice (seppur di non facile interpretazione) a quella domanda che la scena finale della "premiere" di questa terza stagione aveva suscitato. Una risposta che comunque non chiarisce gli eventi che per tre lunghi anni ci hanno fatto perdere il senno. Chi si aspettava delle chiare risposte, sarà rimasto infatti e sicuramente deluso, ma d'altronde The Leftovers, come chiaramente era intuibile all'inizio, non è e non è mai stata una serie per gente che pretende risposte. Spesso è lo spettatore che sceglie la serie tv, ma The Leftovers fa un'opera diversa, è lui a scegliere lo spettatore. E lo sceglie appunto così, con episodi criptici e retorica a fiumi, con simbolismi religiosi e mistici che possono farti innamorare o farti odiare la vita e tutto ciò di cui è pregna (personalmente nessuno dei due ma va bene così).
E non ci si può offendere né lamentarsi di una mancata spiegazione ad un evento che sin da subito ci è stato posto così, insensato, inspiegabile, incomprensibile. La dipartita del 2% della popolazione mondiale non è il fulcro di The Leftovers, bensì ne è solo lo sfondo (anche se avrei preferito il contrario e forse saperlo prima, seppur m'è piaciuta ugualmente). E sebbene il titolo sembra voler sottolineare come tutta l'attenzione sia dedicata a "coloro che rimangono", in realtà la vera protagonista (ma non l'unica) di tutta quest'epica avventura è l'assenza. Perché in The Leftovers ogni personaggio è protagonista solo nella sua personalissima ottica di assenza, che sia essa fisica (la sparizione di un suo caro) o spirituale (la mancanza di uno scopo nella vita). Ogni personaggio è sfocato nei suoi contorni più intimi e viene messo a fuoco solo nel disagio e negli effetti che la dipartita ha provocato a lui e alle persone intorno a lui. Ma non solo, la serie chiude il suo viaggio regalando ai suoi protagonisti anche e proprio quello che, a volte senza rendersene conto, avevano sempre cercato, la pace della normalità. Quasi fosse una fiaba troppo drammatica per pensare che possa avere il classico happily ever after, la serie lascia infatti i suoi eroi in una perenne serenità. L'unico a cui sembrerebbe essere negato il lieto fine è Matt (interpretato sempre benissimo da Christopher Eccleston, visto anche recentemente in Legend), del cui funerale ci informa sinteticamente Kevin. Ma quelle quattrocento persone che intervengono alla cerimonia funebre e quell'elogio letto da Mary ci dicono che, in realtà, anche Matt ha avuto il suo happy ending. Come quello ovviamente tra Kevin e Nora, dopotutto The Leftovers è anche una bellissima storia d'amore.
Una storia d'amore che Lindelof è stato bravissimo a non banalizzare ma soprattutto ad usare come metro per narrare dell'ennesima tragedia umana che ti lascia col culo per terra. E a quel punto devi risollevarti. Metafisica, spiritualismo, terapia. Le strade sono state tante, le possibili fine altrettante. Ma ciò che contava era ritrovarsi, in particolare per Kevin e Nora. E questo ci porta ad un series finale potente a livello emotivo anche se si ferma agli occhi lucidi, i pianti a dirotto non li ho incontrati. In tal senso quindi, dopo quello che è parso come il degno finale, di una serie comunque originale e straordinaria che risolleva in questa ultima stagione definitivamente e personalmente le sorti (per la mancanza di evitabili elementi che nella seconda avevano leggermente annoiato e la non mancanza di altri che invece hanno nuovamente funzionato alla grande), possiamo dire che The Leftovers è un prodotto televisivo di grande fattura, in cui l'approfondimento psicologico si unisce a una capacità di storytelling sorprendente, che destabilizza in molte maniere lo spettatore. Nell'ultimo episodio, infatti, i timori di un'imminente apocalisse a tre anni di distanza dalla prima "dipartita" si sono rivelati nient'altro e in ogni caso solo uno specchietto per le allodole, giacché ai personaggi principali viene posta l'ennesima e "vecchia" sfida, il superamento dei propri demoni interiori. E se per il Kevin di un Justin Theroux (azzeccatissimo nel ruolo) questo si traduce banalmente nel recupero del suo rapporto con Nora, per quest'ultima, al contrario, significa riuscire ad andare oltre la perdita dei proprio figli.
È proprio la magistrale interpretazione di Carrie Coon, nei panni del personaggio forse più riuscito della serie, a dominare completamente l'ultimo episodio, dal titolo in questo senso emblematico The Book of Nora, tutto incentrato sulla possibilità di recarsi nella dimensione spazio-temporale dei "departed". Il risultato è ovviamente assolutamente spiazzante, in pieno stile Lindelof. Lo abbiamo visto fin da subito in questa prima stagione, da quella prima puntata, così collegata a questo finale già nel titolo, The Book Of Kevin, qui erano metafore tratte dal passato a destabilizzare lo spettatore, altre volte è stato il silenzio sul destino di alcuni protagonisti, altre ancora il grande spazio lasciato a personaggi mai visti prima. La trama complessa da seguire, fatta di incroci, collegamenti, salti temporali e spaziali frenetici, colpi di scena assolutamente spiazzanti, rivela la firma di Lindelof, al punto che il paragone con Lost sembra quasi scontato (giacché realtà e finzione si sovrappongano paurosamente, seguendo una trama fitta di citazioni, metafore e simboli). Anche in questo caso troviamo una comunità ristretta (nella prima stagione quella della città di Mappleton, particolarmente toccata dall'Improvvisa dipartita, dalla seconda in poi quella di Jarden, cittadina invece miracolosamente rimasta intatta) che deve fare i conti con un evento soprannaturale che nessuno sa spiegare. Del resto, è proprio grazie al profondo scavo psicologico dei personaggi che The Leftovers funziona così bene. Come reagiscono le persone alla scomparsa dei propri cari? Le conseguenze della Dipartita vengono tutte indagate e poste sotto la lente d'ingrandimento dell'autore, dall'alcolismo al fanatismo religioso, dall'organizzazione di terapie di gruppo all'istituzione da parte del governo di speciali dipartimenti incaricati di vigilare su ciò che accade "dopo".
Mai come in questa terza stagione è apparso evidente l'intento di far compiere ai personaggi un preciso percorso di crescita. La serie, non a caso, è partita in sordina, con tre episodi che svolgono la funzione di lungo prologo prima dell'imminente cambio di location che porterà tutti quanti in Australia. Tra i soliti salti avanti e indietro nel tempo, molte puntate sono incentrate su un singolo protagonista, una sorta di piccole "parabole" che portano a compimento il destino di ogni singolo personaggio, con una complessità e dovizia di particolari che non risparmia neanche le figure secondarie. È il caso ad esempio, nel terzo episodio, di Kevin Garvey senior (Scott Glenn), la cui vicenda ha il preciso compito di fare da ponte tra Miracle e l'Australia, il nuovo continente che farà da sfondo al resto della serie. Altro forte parallelo con Lost riguarda il legame con la religione. Se è vero che una sorta di misticismo aleggia su tutte le vicende, dove non mancano riferimenti biblici e altri tentativi di spiegare con la fede il soprannaturale, The Leftovers, tuttavia, è soprattutto una riflessione sulla propagazione del culto e del fanatismo. Un tema quanto mai attuale oggi, che fa della serie ideata da Lindelof uno specchio che, dietro il soprannaturale, riflette in realtà il mondo in cui viviamo. E lo fa senza prendersi troppo sul serio, alternando il registro drammatico, spesso e volentieri amplificato da un uso magistrale delle musiche, al nonsense comico, con l'aggiunta (stilisticamente ineccepibile) di sigle iniziali dedicate al tema (con l'idea eccezionale di sigle concepite come overture).
Ma soprattutto lo fa ponendo domande, puntata dopo puntata lo spettatore, e con lui i personaggi, viene posto di fronte a nuovi enigmi e, in una dimensione che ha l'aspetto di un mondo post-apocalittico, anche se a grandi linee la vita continua come prima, si cercano delle risposte che puntualmente non arrivano. D'altronde il fornire delle risposte facili non è mai stato il vero intento di Lindelof. La particolarità di questo "philosophical drama", pur tra riflessioni esistenziali sulla fede e la vita dopo la morte, consiste semmai, ancora una volta, nella volontà di concentrarsi sui rapporti tra i personaggi, accompagnandoli in un preciso percorso verso la consapevolezza. Kevin e Nora, i due protagonisti con i cui nomi la stagione si apre e si chiude definitivamente, alla fine troveranno infatti (e come detto) il loro lieto fine, imparando a convivere con un nuovo mondo che non si potrà mai conoscere fino in fondo. Possiamo quindi concludere che questo, seppure non era il finale che tutti si aspettavano, è sicuramente e probabilmente il "finale più giusto" a cui potessimo aspirare. Un finale bellissimo, davvero un applauso per la costruzione di un series finale variegato e dalle mille facce. Amaro sotto ogni profilo, ma poetico e dolce, triste ed emozionante. Molto piccolo ma recitato benissimo, con una fotografia impressionante e una colonna sonora tornata grande protagonista in questi ultimi due episodi e in tutta questa, più che discreta, stagione. D'altronde tutto ciò che ha inizio ha una fine. Ma The Leftovers vivrà sicuramente a lungo nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di seguire una serie (in cui da segnalare ci sono anche gli altri bravi attori e soprattutto attrici, da Amy Brenneman a Liv Tyler, da Margaret Qualley a Ann Dowd) che ha regalato emozioni indimenticabili e che finalmente convince, seppur avrei preferito qualche spiegazione in più. Ma nonostante ciò, grazie al finale certo, la qualità tecnica e la capacità di sconvolgere e spiazzare al pari della mitica serie Twin Peaks, un giudizio più che positivo lo merita senz'altro. Voto: 8-

6 commenti:

  1. Questa serie mi aveva incuriosito, devo recuperarla tutta...anche se mettermi in pari con tre stagioni non sarà facile :D

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    1. Eh no, non sarà facile, soprattutto perché ti sorprenderà e spiazzerà continuamente ;)

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  2. Io ho mollato con i primi episodi della terza.
    Troppo lenta per i miei gusti.

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    1. La lentezza è però il marchio di fabbrica e qualità di questa serie, non è mai stata "veloce", comunque i gusti son gusti ;)

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  3. Ma vedi Pietro che tu riesci anche a convincermi a vedere una serie televisiva? Questa angoscia, commozione, perdita, mistero, colonna sonora mi affascina a tal punto che devo recuperare il tutto e vederlo dall'inizio.Questa trama cosi' senza risposte precise che lascia intendere ma non definisce indubbiamente affascina e incanta.
    Ora lo cercherò disperatamente.
    Grazie ancora per i tuoi preziosi aiuti!
    Buon pomeriggio e abbraccio di gratitudine!

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    1. Sì, è qualcosa che poche serie riescono a fare, e questa è una di quelle ;)
      Buona visione e come sempre grazie a te, ciao :)

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