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martedì 31 ottobre 2017

Movies for Halloween: 31 (2016)

Non c'era film migliore, a mio modesto parere, da postare per questo Halloween 2017 e concludere così la due giorni (il primo appuntamento lo trovate qui) dedicata alla festività preferita dagli amanti dell'horror. 31 infatti, folle e divertente horror del 2016 diretto da Rob Zombie, segna il gradito e gran ritorno, con un horror creato grazie al crowdfunding e quindi libero da qualsiasi censura e qualsiasi interferenza da parte di terzi, in grande stile del regista statunitense, che dopo la visionaria ed estrema pellicola Le streghe di Salem (probabilmente il suo più brutto lavoro e uno dei più brutti horror mai visti da me) sembrava ormai finito. E lo fa tornando alle origini (evocando i suoi lavori migliori), ad uno stile sporco, crudo e vintage che ha caratterizzato la prima parte della sua carriera e che si rifà in modo esplicito e palese al cinema di genere anni '70, con forti riferimenti ad autori come Tobe Hooper. Anche perché la storia, violenta, cruda e senza freni, vede un gruppo di circensi scapestrati venire rapiti, in una zona rurale dell'America anni '70 (più precisamente nella notte di Halloween del 1976, tra le lande desolate e le sterpaglie aride del Texas), da uno strano gruppo di folli (e una strana associazione di potenti), che li rinchiudono in una fabbrica abbandonata, braccati da una serie di killer spietati e ognuno con le sue peculiarità. Lì, intrappolati in un inferno costruito dall'uomo, avranno 12 ore di tempo per sopravvivere al gioco più terrificante mai ideato prima, il gioco chiamato 31. Un gioco al massacro a vari livelli, fatto ad arte per il piacere e il divertimento dei ricconi burattinai che si nascondono dietro questo fatale passatempo. Passatempo che cambierà per sempre il destino dei 5 e l'umore dello spettatore, che si ritroverà catapultato in un divertente e quasi del tutto riuscito splatterone, dal retrogusto grindhouse che non potrà non fare la felicità dell'amante del genere.

lunedì 30 ottobre 2017

Movies for Halloween - Hellions: Piccoli Demoni (2015)

Halloween, la notte delle streghe, quale miglior giorno possibile per ambientare una storia horror? quale miglior modo per riproporre per il secondo anno consecutivo (dopo Tales of Halloween e Holidays, che vi consiglio di vedere) due pellicole (il secondo ci sarà domani) per la rubrica Movies for Halloween? E' il caso appunto di Hellions: Piccoli Demoni, film del 2015 diretto da Bruce McDonald, noto soprattutto per l'horror Pontypool (anche se io l'ho ricordo per alcuni passabili thriller e la non eccezionale serie televisiva Transporter: The Series) ambientato questa notte speciale, anche se la festa delle zucche è solo un pretesto per segnare il (folle ad allucinatorio) confine dall'età spensierata dell'infanzia e delle feste casalinghe, a quella dell'età adulta e complicata. Infatti il film, che pare essere "roba già vista", ma che non lo è se solo semplicemente ci si libera dallo stereotipo dei film a tema halloween, è un film surreale dall'introduzione "realistica" con a seguire totale immersione spiazzante, ci si sposta in una dimensione di impossibile collocazione spazio-temporale, caratterizzata da toni violacei in cui gli unici colori a spiccare sono il rosso del sangue e l'arancio delle zucche. Questo perché la storia appunto è ambientata durante la notte di Halloween, quando la diciassettenne Dora, in attesa del fidanzato per recarsi ad un party e soprattutto per rivelargli di essere in dolce attesa, si trova assediata da un gruppo di bambini dalle terrificante maschere. Deve trovare un modo quindi di sopravvivere, anche se questa è una home invasion (che vede assoluta protagonista la ventunenne Chloe Rose, nota soprattutto sul piccolo schermo per la partecipazione a diverse serie televisive di successo) che va oltre la classica lotta per la sopravvivenza, nulla è scontato in quanto la sceneggiatura segue schemi per lo più indecifrabili. Possibile la lettura onirica di un incubo generato dalla gravidanza, ovviamente indesiderata, probabile fonte di inquietudine e paure. Ma niente potrebbe essere come sembra.

venerdì 27 ottobre 2017

Rogue One: A Star Wars Story (2016)

Il primo dei cosiddetti "film antologici", che usciranno in alternanza con i film della saga principale (l'ottavo è già pronto e il secondo spin-off ha già il titolo), in modo da non lasciare mai a bocca asciutta i fan, Rogue One: A Star Wars Storynoto semplicemente come Rogue One, film del 2016 diretto da Gareth Edwards, si rivela, inaspettatamente, un film più riuscito de Il risveglio della Forza, e questo è dovuto ad una serie di fattori. Innanzitutto, non s'impone con il ricatto emotivo derivante dall'inevitabile effetto nostalgia scatenato da quel film per poi proporre un remake sotto mentite spoglie dell'originale del '77 (come sottolineato nella mia recensione di un anno fa, anche se era comunque uno dei pregi), ed anzi si concentra su una storia collaterale e su personaggi quasi del tutto sconosciuti al grande pubblico (in quanto, per la gran parte, inventati appositamente per il film). Anche perché Rogue One si propone di dare una spiegazione accettabile (cercando di rendere giustizia ad un "personaggio" che fino ad ora era rimasto sullo sfondo, nonostante 7 film), al come l'Alleanza Ribelle sia entrata in possesso dei piani della Morte Nera, che sarà poi il punto di partenza della trilogia originale. Dopotutto l'alleanza ribelle era il presupposto che permetteva l'azione dei personaggi principali, ma la storia è sempre stata guidata da pochi. Qui invece puntando sui ribelli il film riesce e permette di confrontare le diverse origini e motivazioni dei personaggi che compongono questa ribellione. Non un gruppo monolitico ma un insieme di storie personali diverse e opinioni anche distanti su come agire che trovano il loro senso e il loro scopo comune nella rivolta contro la dittatura dell'impero.

giovedì 26 ottobre 2017

Black Sails (4a stagione)

Se dovessi riassumere Black Sails in una sola parola sicuramente "epico" è quella che userei, perché davvero epica fu soprattutto (qui la mia recensione) la terza stagione (similmente le prime due), lo stesso anche questa quarta stagione che grazie a Sky Atlantic ho potuto vedere, poiché dopo l'abbandono su Axn non sapevo come recuperarla, ma un pizzico di delusione c'è ugualmente. Giacché il finale lascia un po' l'amaro in bocca per quello che doveva e poteva essere, seppur esso ha chiuso il cerchio in modo perfetto (una conclusione equilibrata ed emozionante, capace di unire perfettamente la malinconia alla gioia e la rabbia all'amore, quello vero), come perfettamente si era svolta l'intera serie. Giungiamo difatti dopo un'ultima stagione ricca di colpi di scena (basti pensare alla fine della povera Eleanor alias Hannah New), all'epilogo del nostro amato Black Sails, nel quale assistiamo a degli sviluppi davvero inaspettati. Infatti, anche se la trama fin dal principio ci lasciava intuire che saremmo arrivati ad un finale cupo e distruttivo, gli sceneggiatori hanno puntato in tutt'altra direzione. Una direzione ugualmente giusta (perché la serie non ha deluso le aspettative di molti, regalandoci comunque un finale inaspettato e godibilissimo), ma non quella che personalmente volevo. Ma d'altronde c'era d'aspettarselo, poiché sapendo e conoscendo la componente storica (nonché che i pirati mai hanno davvero "ribaltato" le sorti) e quella fantastica, infatti, per chi non lo sapesse, Silver e Flint sono personaggi immaginari del romanzo "L'Isola del Tesoro" mentre personaggi come Barbanera, Anne Bonnie, Rackham, ecc.. fanno parte della storia reale, era alquanto prevedibile un finale differente dalla storia reale. In tal senso però la fine di Barbanera (Ray Stevenson) senza troppi complimenti non mi è piaciuta. Per gli altri per fortuna un finale degno, anche se, frutto dell'immaginazione degli autori, la loro sorte la si deve certamente e più che d'altro ad un finale aperto alla fantasia e alla libertà delle nostre menti.

mercoledì 25 ottobre 2017

Commemoration Days - Martin Landau: 9 (2009)

Era da tanto che volevo vedere 9, film di animazione del 2009 diretto da Shane Acker, basato sull'omonimo cortometraggio del 2005 che nel 2006 venne candidato all'Oscar. Del film infatti ne avevo sentito parlare tempo fa, ma a causa di molte dimenticanze ho sempre rimandato, ora per una strana coincidenza e dopo sfortunatamente avuto la notizia della dipartita di Martin Landau, una delle voci del cast originale del film in questione, ne ho approfittato e l'ho finalmente visto. Anche perché del grande attore americano solo ultimamente, grazie al bellissimo thriller Remember (in cui insieme a Christopher Plummer, che ritroviamo anche qui nel notevole cast di voci, ha dato prova della sua bravura), ho avuto modo di conoscerlo fino in fondo, giacché proprio non saprei (seppur certamente qualcuno sicuramente) se qualche altro film con lui protagonista ho mai visto. Probabilmente Ember: Il mistero della città di luceFrankenweenie (in cui ha prestato la voce) e qualche altro vecchio film, anche se sono ricordi un po' sfocati. Ma tralasciando ciò, quando se ne va un grande attore (e ultimamente purtroppo sta accadendo troppo spesso) è sempre un dispiacere, soprattutto nel caso in cui come questo scopro, anche grazie al suo prezioso supporto (perché importante è in questo film l'interpretazione degli attori per far rendere al meglio i loro personaggi, tra cui ovviamente un perfetto e convincente Martin Landau, capace nel suo poco tempo a disposizione di fare la differenza), un piccolo e autentico gioiellino, soprattutto per un particolare, ovvero lo zampino del grandissimo Tim Burton. Ma prima di addentrarci nel film in questione un piccolo ringraziamento a chi ha collaborato ed ai partecipanti della rassegna (Commemoration Days) che io oggi comincio, fatta per commemorare grandi artisti e attori che quest'anno ci hanno lasciati e che durerà per un po' di giorni. Tim Burton dicevo, lui che insieme a Timur Bekmambetov (regista dell'inutile remake di Ben-Hur), entrambi in veste di produttori, hanno avuto la brillante idea di riscoprire il corto originale del regista Shane Acker, che si è fatto conoscere proprio per quel bellissimo cortometraggio (che ho recuperato dopo la visione del film), e di sviluppare pertanto questo lungometraggio d'animazione di sbalorditivo livello tecnico.

martedì 24 ottobre 2017

Barriere (2016)

Valutare un film come Barriere non è affatto facile. Quello di Denzel Washington, alla sua terza regia dopo Antwone Fisher (2002) e The Great Debaters: Il potere della parola (2007) e qui nelle vesti di attore e regista, è un lavoro, l'adattamento cinematografico (del 2016) dell'opera teatrale del 1983 Fences di August Wilson (accreditato come sceneggiatore del film nonostante sia morto nel 2005) e vincitrice del premio Pulitzer per la drammaturgia, che nella sostanza rimane prigioniero della sua impostazione teatrale soprattutto nella regia che concede molto poco, come poche sono l'escursioni all'esterno delle quattro mura di casa e del cortiletto posteriore, piccoli palcoscenici dove si sviluppano e si sviscerano in un profluvio di parole, le vicende ed i caratteri dei personaggi. E non amando molto le impostazioni teatrali l'ho trovato molto spesso noioso, causa anche la durata forse eccessiva che appesantisce la visione. Perché se Steve JobsCarnage o Birdman, avevano nel loro manico la storia avvincente, l'intrigo e il coinvolgimento, qui niente di tutto ciò. D'altronde anche se Barriere è un film intenso, molto parlato e ben recitato (che offre in ogni caso bei momenti e buoni spunti) è irrimediabilmente teatrale. E non si capisce quindi come abbia fatto a meritarsi la candidatura all'Oscar, e non si spiega neanche come Viola Davis abbia fatto a vincere l'Oscar come migliore attrice non protagonista, non perché lei non è brava, anzi, è un'ottima interprete ma il ruolo non mi è sembrato un ruolo tale da meritare un simile riconoscimento. Certo, ci sono scene emotivamente struggenti impreziosite dalla bravura degli attori (giacché certamente Washington e la Davis fanno la parte del leone), ma come detto prima è un film prigioniero della sua stessa struttura teatrale nella verbosità e nella ridondanza dei dialoghi. Barriere difatti si muove fra il sublime ed il noioso allo stesso tempo, e l'unico motivo di interesse diventa il tema.

lunedì 23 ottobre 2017

New header, new posts and news for next year

Come vi avevo promesso e come mi ero ripromesso, ecco che a 3 mesi dal secondo anno del blog e del cambio grafico avvenuto, il nuovo header (che cambierà ciclicamente ogni tre mesi) è già operativo, come potete già vedere. Un header (che riprende lo stile d'impostazione del blog) che per molti non ha bisogno di presentazione, in quanto rappresenta uno dei migliori film quest'anno visti da me e uno dei conosciuti ultimamente soprattutto dagli amanti dei cine-comic e dei fumetti (tanto che le scritte riprendono quello specifico stile). Il migliore in assoluto visto da me sarà omaggiato invece a Gennaio, quando scoprirete dalle mie classifiche finali il vincitore di questa specie di "contest". Ma nel frattempo, in attesa che la mia stagione cinematografica si chiuda il 30 novembre (perché a dicembre tutti i post già pronti saranno pubblicati per darmi la possibilità di stilare tutte le classifiche), colgo questa occasione per fare un piccolo bilancio e informarvi di alcune piccole novità e alcuni aggiornamenti. Innanzitutto son contento di aver provveduto a spuntare con una bella crocetta quasi tutta la lista, fatta l'anno scorso, delle cose da fare quest'anno, qui. Ho cambiato grafica, ho aggiustato un po' di cose (ma tanto altro c'è comunque da migliorare), sono stato molto più attivo sui social, tanto che da due settimane sono su Instagram (anche se purtroppo il gadget per mettere nel blog non è più disponibile, e quindi non so come metterlo, un aiuto da chiunque in questo caso sarebbe gradito), come già ripetuto ho finalmente trovato il metodo di pubblicazione più consono ai miei standard (nel 2018 infatti non cambierà la programmazione da lunedì a venerdì), ho partecipato a qualche rassegna cinematografica con gli amici blogger (una comincerà spero dopodomani) ed infine ho continuato (e continuerà ovviamente) il viaggio dei ricordi. Non sono invece riuscito a fare una collaborazione (ci riproverò presto, anche perché un'idea già potrebbe esserci) ma tutto sommato è stato un discreto anno. Un anno che comunque deve ancora finire e che riserverà ancora e probabilmente alcune sorprese, a partire dalla prossima settimana che sarà riservata a film horror in tutti i sensi, due pellicole per Halloween, il classico post dei peggiori film del mese e due recensioni di due film horror. Non solo, dall'anno nuovo ho in mente (sempre se ci riuscirò) di fare settimane cinematografiche a tema di genere come quella appena descritta. Ma ci sarà tempo per vedere se riuscirò in questo, anche perché non sempre tutto va secondo i piani. In ogni caso una cosa certamente farò, vedrò tutti i film d'animazione di Miyazaki e dello studio Ghibli che mi mancano, senza ovviamente dimenticare tutti gli altri della mia lunghissima lista. Perciò non vi resta che restarmi incollati e seguirmi sempre, perché senza il vostro sostegno non sarei mai arrivato a questo punto, a programmare, inaspettatamente all'inizio, il terzo anno di blogging. Per questo non smetterò di ringraziare tutti, grazie mille.

venerdì 20 ottobre 2017

Mine (2016)

Ciò che mi incuriosiva di Mine, film del 2016 scritto e diretto da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, non era tanto la trama o il tema in sé, dato che Land of mine aveva già donato spessore a questo argomento (quello delle mine antiuomo ovviamente), ma era il fatto che fosse (semplificando) per un terzo italiano (prodotto e girato negli USA) e che fosse per la coppia di registi l'opera prima. E quindi ero curioso di vedere come se la fossero cavata, d'altronde quando il cinema italiano arriva ad Hollywood c'è sempre il rischio di fare una figuraccia, ma come recentemente visto in Escobar del regista italo-americano Andrea Di Stefano (e in altre rare eccezioni), quando c'è la qualità, la voglia e la bravura, qualcosa di buono esce sempre. E infatti davvero sorprendente è questo film realizzato con un budget non elevatissimo, un film molto curato tecnicamente (un prodotto di altissima qualità, con ottimo montaggio e direzione artistica) e ben recitato (dopotutto Armie Hammer qui dimostra tutta la sua bravura, perché il film si basa e si poggia per più di un ora su di lui) che raggiunge un discreto voto grazie ad un'ottima idea di base che forse poteva anche essere sfruttata (anche se la suddetta è comunque efficace e funzionale alla pellicola) ancora meglio. L'inizio infatti (della missione fallita miseramente) non è proprio perfetto, anzi, un po' banale e forzato, ma come il film prosegue devo ammettere che ti cattura. La pellicola, difatti, racchiude in sé particolari in grado di coinvolgere lo spettatore dall'inizio alla fine. Questo grazie non solo a una narrazione ben delineata e dal ritmo serrato (talvolta lento, ma adeguato al tipo di storia raccontata), ma anche all'attenzione ai dettagli sia dal punto di vista degli avvenimenti, sia da quello psicologico che ne deriva. Anche perché seppur i primi 20 minuti si presentano nel modo classico di un film di guerra moderna, ma che non è il classico film sui militari americani (anche se ricorda un po' il comunque personalmente discreto American Sniper), il racconto, che parte dalla situazione senza via di scampo in cui un soldato calpestando una mina e rimanendovi sopra per non farla esplodere si trova in una situazione apparentemente senza via d'uscita, si apre a una miriade di riflessioni (con la comparsa dello splendido personaggio berbero) che scorrono quasi come fossero allucinazioni nel deserto.

giovedì 19 ottobre 2017

Allied: Un'ombra nascosta (2016)

Un film classico girato da un regista che ha fatto la storia del cinema negli anni '80 e '90. Un manifesto di un cinema che ormai non c'è più, un film d'altri tempi, ben girato, curato, elegante, che ricorda in molti punti Casablanca, anche se non ha la stessa potenza. Perché anche se Allied: Un'ombra nascosta (Allied), film del 2016 diretto da Robert Zemeckis, si presenta come un tentativo, discretamente riuscito, da parte dell'acclamato regista statunitense, di ricreare i film di un'epoca, quelli che si facevano a Hollywood una volta e che ormai sono completamente scomparsi, in stile Casablanca appunto, non è la stessa cosa, seppur questo film, tipicamente anni '40/'50 e riportato ai giorni nostri, riuscendo a non cadere nei soliti cliché, trasporta e coinvolge. Il film difatti rievoca e ricrea quell'atmosfera di un tempo (ma non del tutto priva di elementi anacronistici), dei film classici, raffinati, ed esteticamente impeccabili (grazie all'uso misurato della fotografia e scenografia). Allied infatti si basa su una solida costruzione narrativa, semplice e lineare, e può contare anche su una ambientazione ed un'estetica molto curata che si rifà ai veri film d'autore. Le riprese dall'alto delle dune del deserto marocchino sono veramente d'impatto e risultano memorabili, la scena del parto di Marianne sotto i bombardamenti a Londra è un'altra immagine che colpisce e rimane impressa nello spettatore. Ma al di fuori di queste sequenze, si nota l'amore e la cura per i dettagli, la ricostruzione degli spazi interni, i costumi dei protagonisti. Ma anche la storia, che racconta di Max (Brad Pitt) e Marianne, agenti segreti nella Casablanca occupata dai nazisti che si innamorano e si sposano e che una volta a Londra l'ombra del sospetto si insinua nel loro matrimonio, pur non essendo indelebile, appare gradevole da seguire.

mercoledì 18 ottobre 2017

Riviera (1a stagione)

Più soap che crime, Riviera, una delle ultime serie proposte da Sky Atlantic (in onda dall'11 luglio in Italia), creata dal regista e sceneggiatore premio Oscar Neil Jordan (Intervista col vampiro, La moglie del soldato) insieme allo sceneggiatore e scrittore John Banville, nata da un'idea dello storico manager degli U2 Paul McGuinnes, pur presentandosi benissimo (come un'intrigante spy thriller), alla fine è eccessivamente serioso, molto spesso inverosimile, e non ce la fa a lasciare il segno. Riviera infatti, assomigliando a una cornice molto costosa ma piazzata su un dipinto fatto con le dita, manca decisamente di spessore. Ed è un peccato perché nonostante l'enorme budget, che la rende una serie progettata per attirare il grande pubblico, e nonostante il gran cast internazionale, guidato da Julia Stiles (Save the last dance, la saga di Jason Bourne, Il lato positivo), Lena Olin (Remember me, Chocolat), Iwan Rheon (l'odiatissimo Ramsay Bolton de Il Trono di Spade, Misfits), Adrian Lester (Jimi: All Is by My Side e Hustle) ed Anthony LaPaglia (A good marriage), completato dall'attore egiziano Amr Waked (Lucy e Il pescatore di sogni) e Phil Davis (Whitechapel, Poldark), a cui si aggiungono le splendide vedute della Costa Azzurra, macchine sportive, yacht e opere d'arte da milioni di dollari, per alcune evidenti lacune o problemi, quasi poco o niente ha fino in fondo convinto. Si ha l'impressione infatti che dietro la patina dorata del glamour, delle auto da capogiro, degli elicotteri, delle ville che trasudano un lusso sfrenato, alla fin fine resti ben poca sostanza, anche se in questo torbido mondo dei ricchissimi (come già visto in altre serie simili, Billions per esempio, ma più deciso), è sempre bello sguazzare. Purtroppo come detto il risultato è confuso, privo di umorismo e (salvo una manciata di momenti interessanti) noiosamente generico.

martedì 17 ottobre 2017

Arrival (2016)

Anche se non è più una novità, il regista dell'appassionante e convincente Prisoners, dello spiazzante Enemy e dell'avvincente SicarioDenis Villeneuve (uno dei migliori registi del panorama mondiale contemporaneo), colpisce ancora (e non è detto che non farà altrettanto con Blade Runner 2049). Con Arrival infatti, film del 2016 diretto dal regista canadese, egli si conferma, portando sui grandi schermi di tutto il mondo una pellicola di fantascienza atipica ma efficace (con un'evoluzione strana, ma d'effetto), anche a questo giro. Dato che questo film propone sì una storia di primo contatto con un popolo extraterrestre, ma esso si evolverà in una maniera alquanto insolita eppure convincente. Il regista infatti, ispirandosi ad un racconto dell'americano Ted Chiang (coetaneo del regista), racconta ben più di una storia di invasione aliena della Terra. Giacché Arrival non è il classico prodotto fantascientifico americano pieno di battaglie, esplosioni e astronavi che viaggiano alla velocità della luce (seppur spettacolare il film lo è ugualmente), Arrival è un film sul linguaggio, sulla comunicazione, sulla diversità, sulla fiducia e la comprensione fra popoli e razze differenti, un titolo molto intelligente che onora il genere e lo fa sfruttandolo per trasmettere un messaggio di grande spessore. Il film difatti, che parla dell'arrivo degli alieni senza scene pirotecniche e senza americanismi conditi da effetti speciali a raffica e dati senza sosta, che cerca di esplorare la tematica (del confronto tra razze) mettendoci un pizzico di sentimentalismo e profondità emotiva, anche rischiando di diventare in alcuni punti un po' autoreferenziale e poco scorrevole nel ritmo, infastidendo chi da un film di fantascienza vuole qualcos'altro di meno psicologico e riflessivo, è un bell'esempio di fantascienza che sa unire spettacolarità e tensione a un contenuto non banale, che mescola linguistica, matematica, politica e fisica, nel raccontare una storia che parla di comprensione e accoglienza dell'altro, ma anche del modo in cui la lingua plasma il pensiero (e viceversa) e del nostro modo di concepire il tempo.

lunedì 16 ottobre 2017

Blogger Recognition Award

Nella blogosfera di certo non mancano i premi o riconoscimenti da assegnare ai tanti nuovi e vecchi blogger che vagano incessantemente in questo intricato mondo, ora dopo il Liebster Award 2017 eccone un altro graditissimo, il Blogger Recognition Award che, come il precedente è un riconoscimento assegnato ai blogger da altri blogger, ma che non prevede limiti di follower. Identico è quasi invece lo scopo, quello di far conoscere ai propri lettori altri blog interessanti e creare un collegamento tra loro, oltre in più a raccontare la nascita del proprio blog e dare consigli a nuovi blogger. Ebbene a questo giro sono stati quattro (a dir il vero tre moschettieri e D'Artagnan dell'Isola del Gran Sasso che ha lasciato a tutti la possibilità di prenderne il testimone) gli amici che mi hanno insignito di questo premio. Premio che come ogni progetto che prevede un riconoscimento ha le sue regole:

1.Ringraziare il blogger da cui si è stati nominati e linkare il suo blog
2.Raccontare la nascita del proprio blog
3.Dare qualche nuovo consiglio ai nuovi blogger emergenti
4.Commentare il blog di chi ti ha nominato linkando il tuo articolo di ringraziamento
5.Nominare a tua volta quindici (15) blogger che ritieni meritevoli

E quindi senza ulteriori indugi si parte!

RINGRAZIAMENTI: In ordine di tempo devo prima di tutto ringraziare Vanessa di questo premio, perché è sempre un piacere riceverli e darli questi riconoscimenti, lei che con il suo blog Gattara Cinefila in due anni ha raggiunto meritatamente importanti traguardi, sempre gentile, cortese e tanto simpatica. Poi ringrazio anche Marco Contin de La Stanza di Gordie, un appassionato di cinema sempre ben educato e bravo nelle sue interessanti recensioni, e quel gran simpaticone di Cassidy de La Bara Volante, sempre eccellente nei suoi mirabolanti post. Infine devo anche ringraziare il mitico Miki Moz del Moz O'Clock, un personaggio esuberante da cui c'è sempre da imparare e grande fonte d'ispirazione.

venerdì 13 ottobre 2017

Doctor Strange (2016)

Quattordicesimo titolo di quello che ormai viene chiamato "L'universo cinematico Marvel", Doctor Strange, film del 2016 diretto da Scott Derrickson, è fin dal titolo, una delle mosse più azzardate della casa di produzione, forse persino più di Ant-Man. Al pari de I guardiani della galassia, il personaggio in questione è fra i meno conosciuti dal pubblico al di fuori della cerchia ristretta dei cultori dei fumetti Marvel (io infatti non conoscevo affatto), ed è, tra l'altro (da quello che prima ho percepito e poi visto), uno dei più bizzarri ed eccentrici, ma quasi sicuramente uno dei personaggi più affascinanti usciti dalle menti e dagli inchiostri di Steve Ditko e Stan Lee. Una origin story su queste basi quindi non era solo difficile da realizzare, ma per di più il risultato finale poteva rivelarsi di un kitsch estremo. Oltreché precipitare nel ridicolo, con il suo carico di misticismo New Age e orientalizzante. Invece, per fortuna, il regista e la sua squadra sono riusciti a contenere al minimo indispensabile le sferzate "mistiche", concentrandosi più sull'azione e sullo stupire lo spettatore, e, soprattutto, non trascurando la componente dell'autoironia, che in più occasioni salva il film dal cadere nel già menzionato ridicolo involontario. D'altronde in Doctor Strange, che ci mostra qualcosa di innovativo ed incredibilmente originale, come mai si era visto prima nei vari film, lo spettacolo straordinario e l'azione non mancano affatto, anche se per questo viene fuori il vero tallone d'Achille, la sceneggiatura, che produce un film che non sembra saper bene dove voler andare a parare, e spesso procede per semplice accumulazione, di effetti speciali, di combattimenti, di allenamenti, di scenette comico-ironiche, di lunghi e stanchi monologhi sul tema stantio dei supposti limiti della scienza che impedirebbero di vedere "oltre". E tuttavia il film, che certamente non brilla per acume o intelligenza data l'indubbia semplicità e superficialità della storia, girando su binari già percorsi, con cliché ed altro, riesce efficacemente ad andare avanti senza fermarsi. Anche perché, anche se questo non è difatti un film eccezionale, è però singolare, atipico, piacevole da seguire e vedere, e non è poco.

giovedì 12 ottobre 2017

[Games] The Crew, RAGE, Dishonored e Beyond Good & Evil

Dopo aver finalmente trovato la via giusta per la pubblicazione dei post e quindi aver finalmente trovato più tempo a disposizione per giocare, anche quest'estate la mia passione per i videogiochi (e d'ora sempre così sarà) è tornata in gran fermento. Ho infatti giocato spesso, anche durante le vacanze e le due pause forzate (per colpa dell'interruzione della linea internet e telefonica), senza mai stancarmi. E così come fu a maggio scorso (qui) sono stati ben 4 i titoli a cui ho giocato, soprattutto da Ubisoft e Steam, da Origin ultimamente non ho comprato niente. Giochi di cui ovviamente ora farò una piccola recensione, anche se prima di fare ciò, ecco le mie impressioni sui giochi gratuiti ricevuti dalle piattaforme di gioco e quelli ad accesso limitato e a tempo (anche in questo caso 4 titoli). A partire da Steep, il videogioco sportivo della Ubisoft sugli sport estremi sulle montagne e la neve, un gioco certamente originale, affascinante e di sicuro d'impatto, peccato che da non amante di questi tipi di giochi e per colpa della discreta difficoltà di gioco (data dai controlli complicati), è stata solo un perdita di tempo (e quindi lo consiglio solo per chi ama gli sport estremi). Come anche per Trials Fusion, un simulatore di guida motociclistica, sempre della Ubisoft, visivamente spettacolare ma poco duttile, poiché la piattaforma a 2D personalmente non convince e perché di fare acrobazie proprio non mi è mai piaciuto, per cui evitabile anche questo (consigliabile solo a chi piace il genere). Discorso diverso invece per Tom Clancy's The Division che (seppur uguale è lo sviluppatore) in stile Call of Duty, convince, coinvolge e appassiona, tanto che mi ha convinto a metterlo in lista per un eventuale acquisto. Non solo perché amo i giochi action e di guerra (i cosiddetti RPG), ma perché questo survival game è davvero fatto bene, con una storia alquanto interessante. Gratuito (interamente o quasi) mi è stato infine regalato da Steam, il FPS cooperativo Payday 2. Ma è stato una vera delusione, giacché nonostante ho trovato intrigante e avvincente la possibilità di entrate in una banda di criminali per commettere furti e rapine, e nonostante il genere a favore, per colpa di alcune (forse mie) difficoltà, di alcuni bug e di una sistema e gioco troppo incentrato sul multiplayer, niente mi è piaciuto (consigliato perciò ai fan della saga). Bene, ora ecco finalmente le recensioni che stavate (pochissimi lo so..) aspettando.

mercoledì 11 ottobre 2017

Indivisibili (2016)

Calato in un contesto di squallore (quello della Campania del malaffare, sordida e disperata, volgare e trash) che ben si sposa con la vicenda, che segue la storia di due gemelle siamesi (senza organi in comune), sfruttate dalla loro squattrinata famiglia (padre, madre e zii) che le "usa" per esibizioni e cerimonie religiose, anche se loro vorrebbero una vita normale, Indivisibili, drammatico film italiano del 2016 di Edoardo De Angelis, grazie appunto al racconto della loro passione e desiderio di libertà, che commuove ed esalta, e del loro slancio di fuga dalla ribalta, verso la normalità, che ci impone rispetto insegnandoci la dignità, riesce a fare breccia. Dopo Jeeg Robot infatti, il cinema italiano sforna un altro piccolo gioiello, anche se da non dimenticare tra i film italiani visti quest'anno il riuscitissimo Perfetti Sconosciuti e il comunque discreto La Pazza Gioia, seppur personalmente non mi ha convinto. Quello che convince è il regista, che al terzo lungometraggio si conferma (dopo il discreto debutto di Mozzarella Story e la buona opera seconda Perez) come uno dei registi più interessanti del panorama nazionale. Giacché Indivisibili con la forza del desiderio di libertà delle due ragazze, in cui famiglia e religione non offrono alcun conforto, ma anzi sono parte integrante di una gabbia a cielo aperto, rappresenta il film più compiuto di questo regista, capace di dare sostanza ai personaggi facendoli interagire in simbiosi con il contesto, anche se qui nonostante la ulteriore capacità di centrare storie ambientazioni, calca nuovamente un po' troppo su toni e situazioni (un po' più di controllo esalterebbe maggiormente le vicende raccontate, e qualche grevità in meno non guasterebbe). Indivisibili però e fortunatamente è una storia più forte e ricca di spunti e simboli, l'immagine delle due sorelle siamesi (le classiche galline dalle uova d'oro per un padre sfruttatore) che caratterizza tutto il film è visivamente potente e umanamente toccante. E quando un medico introduce il dubbio nelle due ragazze (soprattutto in una delle due, più coraggiosa e ribelle), il film fa esplodere nella storia la voglia di fuga da quel mondo asfittico e mefitico delle due protagoniste, interpretate in maniera eccezionale dalle giovani esordienti Angela e Marianna Fontana, due interpreti sorprendenti e indimenticabili.

martedì 10 ottobre 2017

Il Trono di Spade (7a stagione)

C'è chi ha amato la settima stagione, conclusasi appena un mesetto fa, e chi invece l'ha odiata. E chi ancora non sa che cosa dire e pensare. Ebbene, personalmente un cambio di rotta doveva esserci (come avevo sperato al tempo della sesta stagione, qui) e c'è stato, ma è stato decisamente troppo repentino, anche se resta pur sempre ammaliante come prodotto. Anche perché ogni puntata racchiude in sé grandi momenti di televisione, difficili (se non impossibili) da trovare altrove, e al netto di tutti i difetti è pur sempre intrattenimento d'altissima qualità (a partire dalla sempre fantastica sigla, alla colonna sonora e le sontuose ambientazioni). Nella settima stagione de Il trono di Spade infatti, soprattutto le sequenze di azione e battaglia hanno tenuto lo spettatore incollato dal primo fino all'ultimo episodio, in un continuo crescendo di tensione e azioni. Ma queste nuove puntate, diverse dalle precedenti per stile, velocità (con buchi temporali perdonati solo per l'epicità delle sequenze) e numero di avvenimenti che accadono in ogni puntata, non hanno del tutto convinto. Che la serie tv sarebbe cambiata (perché per forza di cose doveva farlo dopo averla tirata un po' per le lunghe), e anche di molto, non era un segreto per nessuno. Ma forse nessuno si aspettava che avvenisse così velocemente, che procedesse lineare e senza grandi intoppi (difatti non ci sono stati più i colpi di scena cocenti delle ultime sei stagioni, i personaggi sono diventati più prevedibili e i tempi narrativi, si sono ridotti) e che si chiudesse come era prevedibile sin dall'inizio, anche se era quello che si prospettava.

lunedì 9 ottobre 2017

Captain Fantastic (2016)

Captain Fantastic, presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2016, vincitore all'undicesima edizione della Festa del cinema di Roma e vincitore del premio alla miglior regia al Festival di Cannes 2016 (proiettato nella sezione Un Certain Regard), è un'avventura emozionante e divertente (del 2016 scritta e diretta da Matt Ross) che vede protagonista un padre fuori dagli schemi ed i suoi sei figli. Dopotutto questa è essenzialmente una commedia, che, strizzando l'occhio al genere indie, e al contempo, e soprattutto, ad una cultura hippie, mai eradicata dallo stereotipo anticonformista statunitense, tratta temi alquanto delicati e riflessivi, come quello dell'adolescenza, e di conseguenza dell'educazione, passando per borghesia e proletariato, nonché per l'economia di mercato, col suo fervente e dissonante capitalismo. Infatti la pellicola racconta di Ben (Viggo Mortensen), un padre decisamente sui generis e sopra le righe, che ha deciso assieme alla moglie Leslie di crescere i figli lontano dalla moderna civiltà consumista, nei meravigliosi boschi del Nord America. I ragazzi seguono una rigida disciplina basata sostanzialmente sulla filosofia della mens sana in corpore sano, questi sono, difatti, quotidianamente impegnanti in duri allenamenti atti a temprare ed irrobustire il loro fisico e vengono inoltre sottoposti ad una impegnativa istruzione che spazia dai testi di filosofia e di politica, a quelli di letteratura, di scienze e via dicendo. In questo modo tanto i più grandi quanto i più piccoli saranno, secondo Ben, perfettamente in grado di difendersi e di procurarsi del cibo da soli nonché di sostenere una discussione su qualsiasi argomento in maniera esaustiva e di avere una propria opinione critica negli ambiti più disparati. Questa vita apparentemente arcadica e paradisiaca però viene interrotta quando arriva la notizia che la madre dei ragazzi si è suicidata in ospedale. A quel punto, nonostante il suocero (Frank Langella) minacci di fa arrestare il padre se oserà farsi vedere al funerale, la tribù sale un vecchio scuolabus dipinto di blu e si mette in viaggio per il caldo del Nuovo Messico. Ma sarà solo l'inizio di un viaggio che porterà la famiglia a confrontarsi non solo con la società moderna ma con le loro idee e modi alquanto poco convenzionali e forse inadatti nel mondo reale.

venerdì 6 ottobre 2017

Very Pop Blog - I miei anni '90

Ed eccomi nuovamente a ricordare bellissimi momenti passati, come fu 6 mesi fa con il Tag relativo agli anni '80, ora grazie a Mikimoz e alla nomination ricevuta dall'autore del blog La stanza di Gordie (che ovviamente ringrazio, anche se avevo già in mente di fare questo post), oggi mi ritrovo a viaggiare negli altrettanti mitici anni '90, anche perché sono stati per me anni importanti (essendo nato nel 1985), dopotutto erano e sono stati gli anni della mia crescita ed adolescenza, che seppur vissuta diversamente da tutti, ha regalato momenti intensi e indimenticabili, momenti che hanno segnato il mio percorso personale, in positivo e in negativo. Giacché molte delle mie attuali passioni sono maturate proprio in quegli anni, come adesso vedrete, prima però, ecco le regole da seguire:

1. Elencare tutto ciò che per noi sono stati gli anni '90, in base ai vari macro-argomenti forniti (nota: parlare del vissuto dell'epoca, non di ciò che il decennio rappresenta per noi oggi! Chi non era ancora nato può parlare invece per esperienze indirette)
2. Avvisare Moz dell'eventuale post realizzato, contattandolo in privato o lasciando un commento QUI 
3. Taggare altri cinque blogger avvisandoli
I MIEI ANNI '90

MUSICA: come detto nel precedente post, solo ad inizio anni '90 ho scoperto la vera musica anni '80, e quindi oltre agli immancabili Queen, ecco che finalmente scopro tanti altri grandi artisti, Michael Jackson in primis e poi Madonna, i R.E.M., The Cranberries e Aerosmith tra gli altri. Ma è soprattutto con la musica italiana che si crea il feeling maggiore, anche perché in quel periodo faccio la conoscenza di un gruppo che mai smetterò di amare, parlo ovviamente degli 883, però non dimentico Raf, Vasco Rossi, Articolo 31, Gigi D'Agostino, Jovanotti ed Alexia.

CINEMA: Non ho visto tanti film al cinema in quel periodo (anche perché ero giovanissimo ed economicamente bisognava risparmiare), al massimo quando andavo con la scuola, anche se soprattutto due film ricordo benissimo, soprattutto per i ricordi legati ad essi, il primo è con mio padre a vedere La vita è bella e il secondo con mio fratello per vedere Entrapment.

FILM: Ecco, questo è un altro discorso, perché grazie alle vhs ho potuto vedere tantissimi film, oltre a quelli che passavano in tv, tra cui il mio primo horror, che mi procurò tanti incubi, ovvero IT. Ma tramite noleggi vari vidi Jurassic Park, Forrest Gump, Stargate e Ghostbusters, senza dimenticare che Le mie personali Top Ten cinematografiche si formano in particolare proprio in questi anni.

giovedì 5 ottobre 2017

Escobar (2014)

Nick, giovane surfista, raggiunge il fratello in Colombia, pensando di aver trovato finalmente il paradiso. L'incontro con Maria, una bellissima ragazza del posto, segna però l'inizio di un amore che cambierà presto il resto dell'esistenza di Nick. Nel momento in cui tutto sembra perfetto infatti, Maria decide di presentare a Nick suo zio: Pablo Escobar, il capo del cartello della droga colombiano di Medellin, che inevitabilmente lo coinvolgerà nelle sue losche attività. Queste le premesse che ci introducono all'opera prima di Andrea Di Stefano, al suo debutto internazionale come regista e sceneggiatore. Un'opera, un film, Escobar (Escobar: Paradise Lost), del 2014 scritto e diretto dal regista italo-americano, indubbiamente riuscito e discreto seppur non memorabile, che però ancora una volta ci consegna una robusta e magnetica interpretazione di un sempre più affermato Benicio Del Toro, qui calatissimo nella parte di Pablo Escobar, di cui riesce perfettamente a far esaltare luci e ombre, debolezze e manie, regalandoci un affresco impeccabile di uno dei più noti e controversi criminali dei nostri tempi, e lasciando come attore la sua impronta distintiva. Il ruolo di Escobar, infatti, sembra naturalmente pensato per essere indossato da un fenomenale Benicio, che ancora una volta ruba la scena al vero e proprio protagonista, Nico (interpretato da Josh Hutcherson), diventando il centro gravitazionale del film. Inquietante ma affascinante al tempo stesso, la figura di El Patron assume nuove dimensioni, e ci viene presentata in tutte le sue forme più umane e spietate al tempo stesso, prima un uomo e padre modello, un punto di riferimento per il popolo colombiano, un uomo devoto alla famiglia e alla religione ma anche uno spietato assassino che ordina le stragi persino dei suoi collaboratori più fidati, e un narcotrafficante tra i più pericolosi e ricercati al mondo.

mercoledì 4 ottobre 2017

Black Mirror (3a stagione)

Ho aspettato forse troppo a vedere la terza stagione di Black Mirror, la serie antologica che ho adorato nelle precedenti due incarnazioni e che Netflix ha preso in mano producendo ben sei nuovi episodi, ma l'attesa è stata ripagata. Perché la serie tv britannica sulla distopia tecnologica creata da Charlie Brooker, ha nuovamente fatto centro, inquietando, divertendo e facendo riflettere, anche meglio e più che nelle precedenti stagioni. La serie infatti ci costringe a fare i conti con la nostra realtà, un vero e proprio pugno nello stomaco che ti lascia al tappeto. Sedersi davanti ad una puntata di Black Mirror difatti, assicura allo spettatore, dalla prima ignaro e poi avvezzo, che dopo un'ora di visione, prima di alzarsi, dovrà spendere 10 minuti buoni a riprendere fiato e raccogliere l'ammasso di budella che gli si sono lentamente colate ai piedi per la tragicità degli eventi che hanno travolto i caratteri in scena. Giacché anche Black Mirror 3 si preoccupa di mostrare l'ignoranza, la pericolosità e l'importanza dell'essere umano di fronte a quelli che sono i nuovi mezzi tecnologici. Un essere umano vulnerabile, apparentemente innocente, ma che al suo interno può celare i misteri più oscuri. Dopotutto la serie non si pone mai in maniera critica nei confronti della tecnologia in sé, ma piuttosto ci mostra come un singolo individuo possa abusare di tali strumenti o trovarsi completamente soggiogato ad essi. Fin dalla sua prima puntata (e via via tutte le altre comprese queste sei) è risultato chiaro difatti come l'intento autoriale fosse quello di esplorare il rapporto tra uomo e tecnologia. Ognuna delle puntate infatti analizza e sviscera una tecnologia (in un paio di occasioni estremamente velata) che nella contemporaneità tutti possiamo concepire o, quantomeno, comprendere. Puntate, sei episodi stand-alone (tutte auto-conclusive e totalmente sconnesse tra loro come format ormai consolidato) di circa un'ora (con eccezione dell'ultimo episodio che è praticamente un film di 90 minuti) che ci raccontano appunto sei diverse vite, sei diversi mondi soggiogati dall'abuso della tecnologia. Sei episodi così incredibili, originali e spiazzanti, su ognuno dei quali, credetemi, si potrebbe parlare per decine di articoli (soprattutto uno), ma mi limiterò a dei soli giudizi tecnici e personali, anche se molto comunque c'è da dire e dirò.

martedì 3 ottobre 2017

Jack Reacher: Punto di non ritorno (2016)

Non sono mai stato un fan accanito di Tom Cruise, ho visto sporadicamente i suoi film (in 2 due anni ben 3, il più che sufficiente Mission Impossible: Rogue Nation, l'affascinante e spettacolare Oblivion e l'originale ed eccezionale Edge of Tomorrow) e non ho mai gridato all'oscar dopo un suo film. E nemmeno in questo caso, nel caso di Jack Reacher: Punto di non ritorno (Jack Reacher: Never Go Back), film del 2016 scritto e diretto da Edward Zwick (discreto regista autore tra gli altri di Attacco al potere, L'ultimo samurai, Defiance: I giorni del coraggio e Blood Diamond: Diamanti di sangue), adattamento cinematografico del romanzo del Punto di non ritorno (2013) di Lee Child e sequel del film del 2012 Jack Reacher: La prova decisiva, è successo. Ma è riuscito ad intrattenermi per le due ore di durata (circa). Perché se anche il film presenta tutti i limiti che i film hollywoodiani ci ripropongono ormai da anni e anni, è un film a mio parere assolutamente piacevole per il genere, anzi, è anche molto meno scontato della media e per niente lento e contorto. Certo, questo secondo capitolo di Jack Reacher è decisamente diverso dal primo per impostazione e anche un po' per il ritmo (e per il risultato), ma è ugualmente godibile. Giacché il film ha ancora una volta il suo punto di forza nella presenza di Tom Cruise, anche se questa volta, con un'apparizione tanto improvvisa quanto narrativamente poco spiegabile. La sua carica anti-sistema però, funziona ancora, poiché grazie agli elementi che hanno reso il primo film un action duro e puro, anche questa volta la sua presenza, coadiuvata con scene d'azione e sequenze permeate in tutto e per tutto dal suo carisma, tutto o quasi viene reso alla perfezione.

lunedì 2 ottobre 2017

Passengers (2016)

Parto subito dicendo che dal regista del buonissimo e bello The Imitation Game mi sarei aspettato di più, perché l'incipit di Passengers, film di fantascienza del 2016 diretto da Morten Tyldum e scritto da Jon Spaihts, è davvero interessante e coinvolgente. In più esso nasce da un'idea intrigante, risvegliarsi (a causa di un grave guasto nella nave, che complicherà di molto l'intera missione) completamente soli nel bel mezzo di un viaggio interstellare, a 90 anni dalla tua meta (con a disposizione una nave galattica con tutti i comfort, compresa una piscina, un barman-robot con il senso dello humour, un ristorante messicano e perché no, una donna a cui rubare la vita per non sentirsi soli). Ma nel momento in cui il film si trasforma appunto in una banale storia d'amore (quella tra i due protagonisti, Jim interpretato da Chris Pratt ed Aurora interpretata da Jennifer Lawrence) qualcosa nel meccanismo s'inceppa e la pellicola sembra iniziare a girare a vuoto, fino ad arrivare ad un finale che, francamente, non mi ha affatto convinto. Passengers infatti, è di fantascienza solamente per l'ambientazione perché la storia non è altro che una sorta di storia d'amore forzata dagli eventi e dalla deludente sceneggiatura. Lei difatti, nonostante scorra bene (seppur con alcuni cliché) e coinvolga, essa si sviluppa un po' (troppo) banalmente nella parte finale, parte che appunto è la parte (che definirei incompleta o, meglio, tagliata troppo presto) meno riuscita, se avessero infatti approfondito e ampliato maggiormente questo punto sarebbe stato eccellente, e invece no, poiché anche se la storia è bella e visivamente il film, è un piacere per gli occhi, dove il film fallisce sta proprio nel modo in cui quella storia è stata scritta. Giacché un film che tenta di affrontare argomenti filosofici, di rielaborare il tema della sopravvivenza e il dubbio morale (è giusto sacrificare qualcuno per la propria felicità?), ha bisogno di una sceneggiatura con i giusti risvolti e dialoghi brillanti quanto intensi, Passengers, purtroppo, non riesce a contare su quello. E il film quindi risulta solo un'epica storia d'amore ambientata nello spazio, senza la profondità che sembrava promettere all'inizio.