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venerdì 10 novembre 2017

Billy Lynn: Un giorno da eroe (2016)

Non sono abbastanza esperto per discutere il film dal punto di vista tecnologico, anche perché di film in 3D non ne ho visto nemmeno uno, mi limito quindi a una lettura "classica" come sempre, come in tutti quei film qui da me recensiti, valutando la pellicola nel rapporto tra sceneggiatura e regia, cercando di coglierne i motivi di fondo e del perché mi è abbastanza piaciuto. Billy Lynn: Un giorno da eroe (Lynn's Long Halftime Walk), film del 2016 diretto da Ang Lee infatti, adattamento cinematografico del romanzo di Ben Fountain "È il tuo giorno, Billy Lynn!", emozionante e tragicamente reale, che non è un film di "guerra" ma sulla guerra (dimenticate il classico film di guerra, dato che qui le scene di azione sono poche, frammentate e vissute in flashback), riesce nonostante un incipit abbastanza ordinario, a stupire e a coinvolgerci (almeno personalmente è stato così). Anche perché una rappresentazione non bellica del soldato e la forte presenza di uno spirito che smonti la logica repubblicana segnano le premesse di questo interessantissimo film, che nella ricerca e nel raggiungimento della propria ragione si trasforma in una ben più comune storia sul reduce di guerra a base di retorica, sul post-trauma, sull'onore del militare, sul suo essere incompreso, sulla sua alienazione e sulla sua voglia di vita, in parametri assolutamente scontati. Tutti temi che però, sviscerati dal grande regista taiwanese, autore di tante piccole perle come La Tigre e il DragoneLussuria: Seduzione e tradimento e Vita di Pi, riescono ad appassionare, grazie anche alla sua costruttiva (severa ma giusta) critica (vista attraverso gli occhi di un'umile ragazzo) alla spettacolarizzazione della guerra.
Nello sguardo di Billy Lynn infatti, giovane soldato diventato una celebrità per un atto di coraggio in Iraq, tutte le contraddizioni della propaganda e la distanza tra chi combatte e chi resta a casa. Lui difatti, rimpatriato insieme alla sua squadra di commilitoni per due settimane per affrontare il Victory Tour (un tour promozionale che risollevi il favore degli americani verso la guerra), che prevede interviste, comizi pubblici fino alla partecipazione ad un famosa partita di football americano nel giorno del ringraziamento, ancora traumatizzato dall'esperienza in Iraq e dalla morte di un suo commilitone, dovrà affrontare con fatica le luci della ribalta cercando di non impazzire. Tuttavia è l'occasione per lui di ripensare alle ragioni del suo arruolamento e domandarsi se abbia senso andare avanti, giacché gli Americani credono di sapere cos'è la guerra stando comodamente seduti sul divano, loro non sanno cos'è davvero la vera guerra. Spetterà forse a loro far capire al popolo americano che la guerra è una cosa seria e non roba da palcoscenico di avanspettacolo?
Anche perché non è nuova all'Esercito Americano la strategia di auto-promozione attraverso squadre di soldati distintisi sul campo di battaglia. È quanto si fece con i soldati che piantarono la bandiera sull'isola di Iwo Jima, come raccontato nel bellissimo film di Clint Eastwood Flags of our Fathers, anche se in quel caso alcuni di loro erano morti prima di poter tornare in patria. Ma se il film di Eastwood, pur non nascondendo le ambiguità e le contraddizioni della macchina della propaganda, si poteva innanzitutto come una celebrazione dell'eroismo e della fratellanza tra i soldati, il film di Ang Lee, invece, appare non solo e non tanto come una complessa e non sempre fruibilissima critica della "guerra americana" in Iraq (la storia, ispirata a un romanzo di successo, è ambientata nel 2004), ma soprattutto come una riflessione, comunque pacata ma incisiva, dato che egli dimostra come per formulare una critica alla disciplina cieca del mondo militare non sia necessario mostrare arti mozzati o colli recisi.
E' sufficiente indagare i meccanismi delle debolezze umane e la fragilità degli umani e dei loro intimi sentimenti, sull'incolmabile distanza che si crea tra chi la guerra la vive sulla sua pelle e chi in patria ne ha una percezione comunque distorta. D'altronde tra Billy e i suoi compagni (tra cui spicca il sergente interpretato dal sempre efficace Garrett Hedlund di Unbroken e Pan: Viaggio sull'isola che non c'è, oltre a tanti altri) e gli americani rimasti a casa c'è un abisso. E per superarlo non basta l'entusiasmo della (sfrontata e audace) cheerleader (la bellissima e graziosa Makenzie Leigh, a cui certamente auguro una lunga carriera, anche solo per ammirarne la sua graziosità nuovamente) che si "innamora" di Billy (inseguito con frequenti primi piani di un ottimo Ang Lee), né la spregiudicatezza del manager della squadra interpretato da (un comunque efficace e funzionale) Steve Martin, che vuole pagare pochi spiccioli ai soldati per finanziare, grazie al favore di una specie di manager (interpretato in modo convincente da Chris Tucker), il film tratto dalla loro storia.
Non è merito della filosofia e della religiosità un po' generica del comandante morto in quella famigerata operazione (a cui dà volto e carisma un sorprendente ed ottimo Vin Diesel, che porta con sé una statuetta di Ganesh e che lontano dai suoi soliti film alquanto trash come Xxx: il ritorno di Xander Cage riesce a dare buoni segnali d'attore vero), se Billy (l'esordiente ma convincente Joe Alwyn, protagonista perfetto in un ruolo non facile) è diventato un altro e fatica a farsi capire anche dall'amata sorella (Kristen Stewart, sempre più brava e sempre più bella, capace di momenti malinconici talmente languidi da innamorarsene) che ora vorrebbe riportarlo a casa. O almeno non solo. Pur nelle contraddizioni che sperimenta sulla sua pelle (ottimamente rese anche con i comportamenti scorretti e imbarazzanti di alcuni altri soldati e di persone alquanto ipocrite), infatti, Billy ha ormai raggiunto un'altra dimensione. Giacché l'America che incontra (fatta di spettacoloni, esagerazioni, soldi che girano ma non arrivano mai, gente che parla di cose che non conosce e gente che disprezza senza cercare di capire) non gli appartiene più.
Anche perché il film è praticamente ambientato nell'unica location di uno stadio dove si celebra la "pacchianissima" festa dedicata alla squadra dei "Bravo", festa consumata in un delirio di assurdo patriottismo che a noi europei sembra solo ciarpame folkloristico (e in buona parte credo che lo sia). Molto più viva è invece l'esperienza, rivissuta come un puzzle attraverso i flashback della guerra e della sua violenza (dei tremendi momenti in cui ha vissuto in prima persona il terrore di concitate azioni di guerra), in cui Billy (lui, proprio lui, che si era arruolato con passione animato da sinceri ideali di difesa della patria, che vede ora scricchiolare tutta l'idea che s'era costruito dei rapporti tra militari), proveniente da una famiglia che appare priva di riferimenti, ha trovato un'appartenenza in cui riconoscersi. E così all'America dei grandi riti collettivi (sport, cibo, spettacolo) finisce per preferire altro, per trovare e forse ritrovare una dimensione sia fisica che spirituale capace di dargli un'identità. Dopotutto il film non è altro che il racconto dell'evoluzione del livello di consapevolezza di un giovane patriota che mette ordine (ci prova) in un cervello bloccato dall'impatto sconvolgente con la Paura dell'essere in prima linea, determinato allo scontro fisico con l'avversario.
Un racconto insolito ma interessante, purtroppo credibilissimo e vero che Ang Lee dirige con mano sicura e felice. Egli infatti racconta con grande potenza visiva sia la violenza cieca della guerra che la spettacolarità barocca ed eccessiva dell'America di oggi, e costruisce un racconto articolato, esplorando concetti e caratteri in modo spesso indiretto e costruendo un'inusuale (ma efficace e funzionale) pellicola che abbina la grandiosità (anche nel budget) a una complessità che potrebbe rendere a volte (e per qualcuno, per me non lo è stato) un po' faticoso il procedere e difficile il coinvolgimento, ma che certamente sfida lo spettatore (su questo punto bersaglio centrato) a costruire uno sguardo critico sugli eventi, senza limitarsi a dividere il campo tra buoni e cattivi o a liquidare il contestatissimo conflitto con un giudizio generico, e invece a concentrarsi sull'esperienza umana del protagonista. Un'esperienza atroce ma vera, un'esperienza inedita e strana, come questo inusuale ma sorprendente (seppur non originale), intrigante, intenso, spettacolare e bellissimo film. Voto: 7+

6 commenti:

  1. Mi ricordo che fu un flop l'anno scorso, mi fa pensare che gli americani non vogliano vedere questi film contenenti critiche alle loro guerre e alla loro società, in più diretti da un regista straniero!

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    1. Mi sa proprio di sì, anche perché non escono molto bene sotto il profilo morale e sociale da questo film, che in un dialogo afferma che gli americani sono dei bambini che per crescere vanno all'estero...

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  2. Bella recensione Pietro. Un film contro la guerra che non spinge il pedale sull'acceleratore sulle scene di violenza della guerra stessa: un'idea molto apprezzabile. Se anche Vin Diesel fa la sua parte al meglio..direi un ottimo cast per un buonissimo film. Lo metto in agenda :)

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    1. Già, infatti è una riflessione sulla guerra, la sua spettacolarizzazione e le sue problematiche, tutto in un film non eccezionale ma rispettabile, dove tutto il cast appunto non sfigura affatto ;)

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  3. Io credo che tu scriva delle recensioni in modo...professionale! Lo sai, vero?!

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    1. Sì, credo proprio di saperlo :D
      Ma grazie di avermelo detto, fa sempre piacere e ti ringrazio ;)

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