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mercoledì 31 gennaio 2018

Gli altri film del mese (Gennaio 2018)

Come anticipato giorni fa, ecco nuovamente tornare una rubrica accantonata e ora di nuovo operativa, poiché per diversificare un po' alternando post di diverso genere, era necessario che la suddetta tornasse, dopotutto la mole di film non è diminuita e certamente non diminuirà. Anche perché in questo mese di Gennaio, e nonostante sia passata una sola settimana da un post simile, ho visto tanti film. Ma prima di leggere ciò, un piccolo riassunto di due documentari di stampo prettamente televisivo che altresì ho visto. Il primo è Agnelli, il buon e interessante biopic della HBO, andato in onda su Sky Atlantic a 15 anni dalla sua scomparsa, dedicato appunto alla storia di una figura mitica, che ha segnato la storia d'Italia, Gianni Agnelli (noto a tutti come l'Avvocato). La sua storia infatti, (di cui molto già sapevo grazie al bellissimo documentario Bianconeri Juventus Story: Il film) intrecciandosi con quella economica e politica del nostro Paese, ha segnato, come la sua dinastia, un'epoca. Un'epoca che tra successi e drammi familiari, ha fatto di lui un'icona. E il film appunto, presentato anche alla 74a Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, attraverso un ricco susseguirsi di immagini anche d'archivio e testimonianze di famigliari, amici, professionisti, collaboratori e rivali, ci rivela il suo ritratto tra pubblico e privato. Un ritratto storicamente interessante che senza troppa retorica si vede con piacere. Al contrario un po' indigesto è stato il docu-film del 2016 Ibrahimović: Diventare leggenda. Nel film infatti, si parla poco di campo, ma si preferisce più il lato umano che, seppur interessante alla lunga stanca. Anche perché il film si concentra su pochi momenti importanti della carriera di un campione, tra i più forti di sempre, che però da giovane aveva un carattere indomito. Difatti questo film documentario ripercorre la carriera del calciatore attualmente del Manchester United, "solo" dal suo debutto nel 1999 nel MALMO FF, passando per l'approdo nel calcio europeo con l'Ajax e l'incontro con il potentissimo manager Mino Raiola, fino allo sbarco in Italia nella Juventus (e stop). Nel mentre, interviste, video amatoriali e d'archivio davvero incredibili in cui Zlatan sviscera il suo passato di sacrifici e mancanze (ostacoli, solitudine e invidie), ma che però, dato il continuo utilizzo di sottotitoli, non coinvolge e non emoziona a sufficienza. Tuttavia non male perché abbastanza innocuo e minimamente gradevole a vedersi.
E' un film che mi è piaciuto, Free State of Jones, film del 2016 scritto e diretto da Gary Ross. Il film infatti, nonostante alcuni difetti che in ogni caso non ne pregiudicano la sua lodevole riuscita, e raccontandoci una storia del tutto sconosciuta ai più (un fatto storico per troppo tempo seppellito e distorto e un personaggio intenso e carismatico, magistralmente interpretato dal premio Oscar Matthew McConaughey), quella incredibile e vera del contadino Newton Knight che durante la guerra di secessione americana guidò una rivolta che portò la contea di Jones alla separazione dagli Stati della Confederazione, si fa moderatamente apprezzare. Giacché questo è un film davvero bello, teso e diretto come la traiettoria di una freccia tesa al bersaglio, il bersaglio della vergogna e della disperazione di chi, per secoli si è visto negare i diritti più elementari. Free State of Jones non è però solo una storia di ribellione o di schiavitù, è soprattutto un'aperta denuncia nei confronti di pregiudizi che ancor oggi offuscano la mentalità di un'America in cui il Ku Klux Klan non è purtroppo solo un ricordo. La lotta intrapresa da Knight è una battaglia in difesa di una libertà e di diritti troppo spesso ignorati o violati. A sottolineare ulteriormente questo aspetto, nel film affianca e completa la narrazione il processo del 1948 dello Stato del Mississipi contro Davis Knight che, in quanto discendente di Newt Knight e della sua seconda compagna, la schiava Afroamericana Rachel, è considerato per un ottavo nero e quindi colpevole per aver sposato una donna bianca e aver così violato la legge sui matrimoni misti. Questo caso, inserito nella storia principale attraverso il sapiente uso di flashforward, mette in luce come, a 85 anni di distanza dalla rivolta di Newt, vengano violati gli stessi diritti per i quali lui stesso si era battuto. Una battaglia (anche emozionalmente coinvolgente) sceneggiata e girata bene come la pellicola stessa dal poco prolifico Gary Ross (regista di PleasantvilleSeabiscuit e del primo eccezionale Hunger Games) e con un cast perfettamente adeguato all'impegno (perfetti sono i personaggi di contorno dove si nota con piacere Mahershala Ali), in cui si fa ovviamente notare il bravo protagonista assoluto Matthew McConaughey, che si conferma nuovamente attore di fortissima personalità e bravura. Sicuramente il film non ha un ritmo indiavolato, anzi, ha dei momenti anche troppo lenti (soprattutto nella parte centrale dove, alcune scene notturne prolungate senza costrutto sembrino solo allungare il brodo e dove alcuni episodi trattati un po' sbrigativamente senza fornire i dovuti particolari, dato che spesso lo spettatore assiste un po' passivamente all'evoluzione graduale della società di Jones senza che i passaggi di livello gli vengano chiariti), però guardandolo con lo spirito giusto, non si può fare a meno di apprezzarlo e di dargli quindi un'amplissima sufficienza. Anche perché una fotografia efficace, una buona ambientazione e un cast che riesce bene a ruotare attorno al personaggio di Knight danno alla pellicola una giusta riuscita con una convinzione di aver assistito ad una proiezione misurata, lineare ma certamente con un tono convincente, seppur non del tutto sicuro, che appassiona o coinvolga non al massimo dell'intensità o profondità. Voto: 6,5
Ho visto tutti i film dei Fratelli Coen e sono uno dei loro più grandi fan. Ma ahimè con l'ultimo Ave, Cesare! (Hail, Caesar!), film del 2016 scritto, montato, co-prodotto e diretto da una delle coppie di registi più influenti in circolazione, è stato fatto mezzo passo falso. Sarà che da loro mi aspetto molto, d'altra parte quando dietro alla macchina da presa ci sono dei registi che ci hanno regalato capolavori come FargoA Serious Man o Il Grande Lebowski, le aspettative sono sempre altissime, e forse per questo motivo mi ha deluso di più, anche perché seppur le suddette le soddisfano a tratti e anche se ci regalano comunque un film irresistibile e sempre e comunque "Coeniano", poco o nulla incide veramente. I fratelli Coen infatti confezionano un prodotto che nonostante l'altissima fattura, oramai un loro marchio, non incide. Difatti anche se come nelle altre commedie di Joel e Ethan Coen, anche in Ave, Cesare! l'ideologia è un influsso irresistibile, che domina e coccola i personaggi, in questo film manca proprio quello che li ha fatti diventare grandi, la piccola stupidità umana che ci costringe in un labirinto senza via d'uscita e possibilità di redenzione dove poco si può contro un destino più grande o più forte, manca anche l'ironia che teneva in piedi loro opere minori come Burn After Reading Ladykillers. Giacché qui c'è quasi niente dei Cohen, né una trama surreale o coinvolgente, né la caratterizzazione dei personaggi accurata e divertente, né i dialoghi cult visti negli altri loro film. Questo è uno stralcio della vita di Hoollywood dove sembra ci vogliano mostrare quanto è difficile fare cinema e cosa sia vedere dal di dentro tutti gli "intrighi" di questo mondo, ma non diverte, non coinvolge, non lascia il segno. Anche perché la sceneggiatura fallisce nel suo personaggio più importante, il direttore degli Studios Eddie Mannix (un non troppo espressivo Josh Brolin che cerca di scoprire cosa è accaduto a un attore scomparso nel bel mezzo delle riprese di un kolossal), che mal collega le varie situazioni in cui tocca destreggiarsi mostrandolo quasi come una guida turistica per la Hollywood di quegli anni. Il film è sicuramente godibile, in particolare per i cinefili puri, per la capacità di far rivivere per brillanti spaccati momenti chiave di un'epoca che ha visto la nascita del cinema come fenomeno di massa, con tutti i pro e i contro connessi. E tuttavia come detto non è tra i migliori dei Coen (lo stile è sempre quello, unico ed inconfondibile, solo che non si capisce dove vuole andare a parare). L'insieme ha infatti l'aspetto di un'antologia frammentaria priva di un elemento unificante. Anche la godibilità dei singoli episodi presi per sé è intermittente, a scene spassose come quelle della sirena "scodata" Scarlett Johansson, o dell'incontro consultivo con rabbino, pastore, prete cattolico e ortodosso sull'accettabilità ecumenica del polpettone biblico, o il numero di Channing Tatum cantante/ballerino, si alternano effetti fin troppo facili o decisamente e noiosamente stiracchiati. Alden Ehrenreich è forse il più bravo in un cast veramente stellare, con anche Jonah HillTilda SwintonFrances McDormandRalph Fiennes e ovviamente George Clooney. Alla fine comunque non mi è neanche dispiaciuto nonostante sia lontanissimo dai fasti del passato dei due fratelli, un poco lento e compassato e non particolarmente divertente seppur capace altresì di strappare qualche sorriso oltre a saper raccontare, in modo ben contestualizzato, un lato di Hollywood particolarmente criticabile, ma in definitiva, in questo caleidoscopio mediamente gradevole e scintillante, manca la consueta zampata d'autore. Voto: 6+
Non sapevo cosa fosse un guilty pleasure finché non ho visto Monster Trucks, film del 2016 diretto da Chris Wedge che, rifacendosi molto ai modelli Old-Style '80s, regala allo spettatore 90 minuti di divertimento senza grosse pretese. Perché anche se il divertimento è leggero, insomma, un po' affrettato, però c'è, e ci sono le giuste facce (Lucas Till degli ultimi X-Men di Bryan Singer compreso Apocalisse e la bella Jane Levy di Man in the Dark). Non la si può dire una favola ecologista, perché su quel versante c'è una certa confusione di fondo, ma va riconosciuto al film di Chris Wedge, che torna alla regia dopo lunga assenza, da Epic: Il Mondo Segreto del 2013, il merito non da poco di stare brillantemente, quasi elegantemente, in equilibrio sopra un'idea a dir poco balzana. Quella di approcciarsi allo schema classico nel cinema per ragazzi, ma in modo decisamente accattivante, nulla di particolarmente originale o di sfizioso (innovativo o coraggioso), ma tanto da essere adatto a tutti, lasciandosi così guardare senza danni, assicurando quindi un passatempo sufficientemente godibile. Dopotutto quello che dal trailer sembrava il più furbesco e meschino dei disastri, in realtà è stato l'opposto. Certo, la storia è sempre quella del teenager che fa amicizia con una strana creatura che è braccata dai cattivi di turno che vogliono disfarsene per il proprio tornaconto e che man mano che si affeziona finirà perfino per aiutarlo, e poi seguono riunioni di famiglie, con tanto di lieto fine, ma è semplicemente affascinante, proprio nel senso letterale del termine. La particolarità del film infatti è sicuramente la sua piacevole ed emozionante semplicità. Una semplicità affascinante. Perché in fin dei conti Monster Trucks è l'esempio lampante di come non servano grosse innovazioni stilistiche o degli impianti enormemente improbabili ed esagerati, per girare un film. Serve solo che rispetti il suo copione, cosa che Monster Trucks esegue magistralmente a tavolino. Chris Wedge riesce difatti a farti affezionare ed attaccarti a Creech (il mostro polipo che si nutre di petrolio), ma il lato emozionale non è l'unico punto forte in questione della pellicola, giacché il film possiede tanti altri pregi oltre all'uso intelligente della vecchia generazione anni '80. Perché anche se la storyline è tecnicamente semplice e basilare, essa è in verità studiata con grande classe tecnica e visiva. Non solo per l'utilizzo funzionale delle musiche e della colonna sonora, ma anche per gli effetti visivi/speciali davvero belli. Non sono né troppo esagerati, né troppo ingombranti. Infatti la CGI (di gran livello dato il consistente budget messo a disposizione) non è assolutamente massiccia ed invadente. Insomma, qualcosa di veramente semplice ma davvero affascinante, come la scena alla "Mad Max" con i Trucks e le trovate geniali alla E.T., in cui mi sono divertito ed emozionato allo stesso tempo. A tal proposito è sempre bello vedere Danny Glover, in un film forse certamente innocuo, ma di grande spessore tecnico e visivo che consiglio ai nostalgici e a chi adora il cinema semplice di vedere. Voto: 6
Continua il viaggio nella filmografia di Denis Villeneuve e forse questo era l'ultimo tassello importante che mi mancava (anche se in verità devo ancora vedere Maelström e ho ancora da recuperare l'ultimo Blade Runner 2049). Polytechnique infatti, film del 2009 diretto dal regista canadese, mi era, in che modo e perché non so, sfuggito. Ma per fortuna l'ho visto, poiché il film, che racconta la strage avvenuta il 6 dicembre 1989 all'École polytechnique di Montréal, quando il venticinquenne Marc Lépine (ben interpretato da Maxim Gaudette) uccise a colpi d'arma da fuoco quattordici studentesse, per poi togliersi la vita, esplicitamente dedicato alla memoria delle vittime del massacro e in generale a tutti gli studenti e gli impiegati dell'Ecole Polytechnique e alle famiglie delle vittime, basato sulle testimonianze dei sopravvissuti, in particolare attraverso gli occhi di Valérie e Jean-François (il bravo Sébastien Huberdeau e la carinissima Karine Vanasse), due studenti che videro la loro vita messa a rischio quando un estraneo si introdusse nella scuola con il proposito di uccidere quante più donne possibile, è un film potente, uno dei migliori sul tema. Molto più intimista e autoriale del precedente Elephant (2003) di Gus Van Sant, quest'opera intensa e a tratti straziante infatti tratta questa storia cosi dolorosa con rispetto, riuscendo ad emozionare in numerosi frangenti. Anche perché, costruito come la docu-fiction del resoconto romanzato di una tragedia annunciata, il terzo film di Denis Villeneuve è il piccolo olocausto di una follia sessista, la fredda meccanica di una epurazione di genere che sembra prendere le mosse dallo squallore emotivo e dalla disperazione di chi, abbandonato a sé stesso dalla famiglia e dalle istituzioni, sembra avere smarrito quel senso di empatia e di umana pietà che fa di un modesto studente universitario l'elemento di un disordine sociale in grado di riversare sulle proprie vittime innocenti l'odio e la violenza di una istintiva intolleranza verso un diverso con cui da sempre si identifica il nemico. Peccato che, seppur il film mostra, senza sensazionalismi e spettacolarità alcuna, le gesta del folle killer viste dagli occhi dei due protagonisti, dato che quello che interessa al cineasta non è tanto capire il perché di un gesto cosi folle e insensato, quanto sottolineare gli effetti di un'esperienza cosi lacerante su chi l'ha vissuta, non tutto è perfetto. Perché anche se le ragioni psicologiche potrebbero apparire più o meno credibili (questo ognuno poi si fa un concetto), Denis Villeneuve non evita di eccedere in una immancabile schematizzazione degli elementi drammaturgici (compreso il rendez-vous shakespeariano di un'amore spezzato), presentandoci da un lato le debolezze del carnefice (Marc) che scrive alla madre distante e invisibile la sua disperazione postuma e dall'altro quelle dell'agnello sacrificale (Jean-François) che dopo la visita ad una madre comprensiva e amorosa assume su di sé le colpe di una intolleranza di genere. Ma, si sa, per indagare i misteri dell'animo umano e cavarne qualcosa di buono a volte si deve pur rinunciare al rigore ed all'eleganza delle cose non dette. Tuttavia molto bella è la sua regia, comunque attento a non cadere in eccessi spettacolari e mantenendo quel giusto tono distaccato che accentua un senso di frustrazione verso una tragedia cui possiamo assistere impotenti. Il film infatti, gelido nei movimenti quanto brutale nelle rappresentazioni delle morti, annichilisce lasciando inebetiti. Il tema però, legato al sessismo, è ancora più pesante del corrispettivo di Gus Van Sant, appesantito ulteriormente da un malinconico (seppur in parte estremamente efficace) bianco e nero, ma la narrazione sfilacciata (che percorre i fatti andando avanti e indietro riducendo molto spesso il pathos) non convince e pur nella plumbea violenza di cui il film si immerge, non riesce a graffiare tantissimo. Di certo nel suo genere decisamente un'opera originale e ben realizzata, ma riuscita (come la durata) a metà. Voto: 7-
L'action comedy ha sempre attirato l'attenzione da parte del pubblico e della critica, per poter divertirsi con un humor esilarante per sdrammatizzare la pellicola ma allo stesso tempo intriga molto per come i protagonisti riescono a risolvere alcuni misteriosi casi. The Nice Guys, film del 2016 diretto e co-scritto da Shane Black, si addentra in questo genere, facendolo ambientare negli anni '70. I protagonisti di questa pellicola infatti, che sono Russell Crowe e Ryan Gosling, da investigatori privati maldestri, devono risolvere il caso (che poi finirà per smascherare un complotto) di una giovane attrice porno in fuga dai sicari. Peccato che, seppur l'idea di una Los Angeles nebbiosa e quindi un po' plumbea come immagine di una città dove tutto è un po' sbilenco e sopra le righe non è male, e anche se gli anni settanta sono ricostruiti in modo molto preciso ed anche sofisticato (ottima scusa per ricordare un tempo che si è vissuto in età più giovanile), della trama, frenetica e ingarbugliata, si capisce poco, e comunque, anche supponendo di averci capito, tutto risulta piuttosto inconsistente. Questo buddy movie infatti, stile che Shane Black (lo sceneggiatore di Arma Letale 1 e 2) in ogni caso dovrebbe conoscere bene, non lascia segni né nella mente né nel cuore e risulta complessivamente insulso. Inoltre è intriso fino al midollo di moralismo buonista. Giacché non bastano alcune gag originali e divertenti, se la storia in sé è minuscola. In più l'alchimia tra i protagonisti Crowe e Gosling non è delle migliori (anche se entrambi si dimostrano attori di razza abili a interpretare le più varie sfaccettature dei personaggi che interpretano, dimostrandosi bravi anche in una parte non proprio usuale per loro), tanto che non riesce ad innalzare il film come si deve (e mi dispiace anche dire che il paragone con Bud Spencer e Terrence Hill è sbagliato). Anche perché man mano che la vicenda procede, e al mondo del porno si somma il mercato dell'industria automobilistica, la vicenda si complica banalmente assumendo caratteri surreali, che per certi versi ricordano (anche troppo) Vizio di Forma (o simili) con Joaquin Phoenix. Giacché il film è divertente solo a tratti e la tensione cala spesso come l'interesse, come se il regista avesse delle incertezze sul come proseguire il racconto. Un racconto che non riesce a decidersi mai però se essere totalmente stupido (come alcune scene lasciano supporre) o se si prenda anche troppo sul serio (come accade in altre), e che certamente non annoia ma non entusiasma. E dove i personaggi funzionano meglio degli attori, Gosling per me è totalmente fuori parte, Angourie RiceMatt Bomer e Kim Basinger invece altrettanto. Tuttavia, come detto, alcune gag sono davvero divertenti, alcune immagini poi mi son rimaste forti in mente, e di certo non mancano sorprese e una buona dose di violenza, anche se a volte ingiustificata, e quindi la visione è giustificata. Anche perché si può guardare, non è che faccia sto gran schifo, però a fine visione non si è euforici, certo, neppure delusi, ma si poteva dare di più. Il film per me infatti, anche un po' troppo lungo e altresì dimenticabile, è promosso ma con riserva. Solo sufficientemente simpatico e decente, nulla di più. Voto: 6
Da un'idea di base semplice e apparentemente fine a se stessa, nasce una storia simpatica, gradevole e spiritosa quanto basta per non annoiare ed intrattenere senza danni, offrendo anche spunti da commedia nera. Giacché Mr Cobbler e la bottega magica (The Cobbler), film del 2014 diretto da Thomas McCarthy, reso celebre successivamente dall'ottimo Il caso Spotlight, pur mantenendo una costante falsariga fiabesca, si addentra in un copione avvincente che fa dell'alternarsi di sequenze riflessive ad altre più dinamiche, un ulteriore punto di forza di una trama già di per se estremamente originale. Adam Sandler infatti, propone il consueto volto da "bamboccione" malinconico che ben si presta per questa fantasiosa commedia agrodolce dove un mite calzolaio si ritroverà ad usare una vecchio attrezzo da lavoro dai seducenti poteri magici che daranno, grazie alla capacità di vivere la vita dei suoi clienti dopo aver indossato le loro scarpe, un'improvvisa scossa alla sua apatica esistenza e che faranno altresì prendere una piega quasi "Disneyana" ad un film gradevole alla visione che, sorretto da un cast di prim'ordine (Dustin Hoffman e Steve Buscemi) e con una venatura di tristezza, delicato, mai volgare, semplice nella realizzazione ma denso nei sentimentalismi, si fa amabilmente apprezzare. Tanto che proprio non capisco tanta cattiveria nei confronti di un filmetto non così orribile che dalla critica nazionale e internazionale è stato massacrato, anche dal pubblico. Intanto comincerei col difendere (almeno parzialmente) Adam Sandler, che a me è sempre oltretutto piaciuto, perché le sue commedie sono sempre alquanto convincenti, niente di eccezionale però certamente niente di volgare, simpaticissime al punto giusto e con gag davvero divertenti, anche perché le sue trovate in questi generi di film sono impeccabili. Anche se qui non è il solito divertito e divertente, anzi, qui l'attore interpreta un personaggio che fa una vita monotona, che si sente solo e abbandonato ma che in fondo è una brava persona. Dopotutto in Mr Cobbler e la bottega magica, non servono cose assurde e ridicole per ridere, seppur in modo contenuto, di gusto. In secondo luogo nel film, la tenerezza, simpatia e curiosità colpiscono, tanto che seppur le svolte narrative (che si susseguono a raffica tramite una serie di gag) non sono del tutto riuscite, anzi, ogni tanto il film annaspa e si perde, esso poi riprende quota e riesce a fare breccia. Certo, non tutto funziona ma (ripeto) il film non è affatto quel disastro prospettato dalla critica. Sì, ci sono piccole sbavature dovute a qualche dettaglio ingenuamente tralasciato (mezzo punto fa perdere il doppiaggio "sbagliato" e mediocre), e altresì peccato che gli spunti divertenti siano davvero troppo pochi, dato che il plot consentiva, a mio parere, qualche digressione divertente in più, ma nulla di particolare che non danneggia questo prodotto per l'intrattenimento, che assolve al proprio compito in maniera limpida e coinvolgente. Perché anche se ci si poteva attendere qualcosa in più, e anche se il finale è abbastanza prevedibile però azzeccato, tutto è nella media di una fiaba che, da una bella idea, si trasforma in una commedia per ragazzi e adulti, davvero molto simpatica. Anche perché molto buono è il cast, detto di un buon Adam Sandler (non eccezionale ma decente), segnalo un grande Steve Buscemi, un appena sufficiente Dustin Hoffman, il rapper Method Man nel ruolo del cattivone e infine un quasi cammeo della ancora piacente Ellen Barkin. Tutto per un film non straordinario, ma passabile, onesto e originale. Voto: 6

14 commenti:

  1. Io invece ho adorato sia Ave, Cesare! che, soprattutto, The Nice Guys, un buddy movie allegro e frizzante come non vedevo da un po'.
    Meno interessante Free State of Jones, un po' lunghetto e interamente sorretto da McCoso. Non brutto, per carità, ma nemmeno memorabile!

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    1. Frizzante certo, ma anche abbastanza scemo e prevedibile, anche se comunque godibile :D
      Il problema di Ave, Cesare! è che di humour nero non c'è traccia, al contrario dell'ultimo che ti consiglio ;)
      Infatti non è memorabile Jones, ma si fa vedere, anche perché storicamente interessante :)

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  2. Mr. Cobbler mi è piaciuto tantissimo invece... spiritoso e originale davvero, rispetto alla monotonia cinematografica dirompente... ;)

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    1. E mica ho detto che non mi è piaciuto, anzi, però se avesse limato qualche difetto sarebbe stato da 7 pieno ;)

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  3. Cioè esiste un docu-film su Ibra? Marònn...
    Non ne ho visto nessuno, ma Ave Cesare volevo vederlo, solo che mi hai freddato un poco... :)

    Moz-

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    1. Sì, ma è una cavolata...mentre su Ave Cesare, non pensare a me, credo che invece potrebbe piacerti, c'è cinema, politica e trash, potresti divertirti ;)

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  4. Non ho ancora visto nessuno di questi, The Nice Guys mi ha sempre incuriosito e prima o poi lo recupero..

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    1. Sì dovresti, però non aspettarti chissà che, anche perché Bud-Terence erano di un altro pianeta ;)

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  5. Devo dire che è difficile che Matthew McConaughey faccia un film noioso, se non consideriamo le commedie d'amore che ha fatto all'inizio della sua carrierra di attore. Non ho ancora visto questo film ma la trama è avvincente. Io ricordo una buona impressione dopo aver visto il film Bad Boys anche se della trama non ricordo molto, ma il cast e la recitazione di questi due attori, ne è valsa la pena. Per quanto riguarda Ave Cesare, beh, mi pare di aver abbandonato anche questo film a metà. Ero incuriosita dal cast, ma poi il film a mia opinione è stato un flop e preferisco non sprecare il poco tempo che ho con qualcosa che non mi piace.
    Gli altri non gli ho visti ancora quindi non mi pronuncio.
    Saluti,
    Flo

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    1. In effetti i suoi film, quelli di Matthew McConaughey, sono sempre interessanti da vedere e scoprire, anche perché ha un talento da vendere ;)
      Ave Cesare proprio brutto non è, anzi, però è giusto non sprecare tempo a film che non prendono :)

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  6. Polytechnique te lo sei "perso" perché qui in Italia è stato distribuito solo di recente sull'onda lunga creata dall'attesa di "BR2049". Un bel recupero, per me la migliore tra le pellicole che ho visto (il buon "Enemy", il discreto "Sicario" ed i poco convincenti "Prisoners", "BR2049", "Arrival")
    Al contrario di quanto dici nell'articolo, la divisione della pellicola in tre momenti, lo spezzare la narrazione attraverso l'alternanza dei piani temporali, ha il merito di spostare lo sguardo della telecamera in favore dei diversi punti di vista e di accrescere un senso di smarrimento.
    Per la regia non posso che essere concorde con te.
    A differenza di sue altre prove, non si ferma al formale/scenografico ma esalta ed accompagna bene il narrato (penso alle riprese che lasciano "correre via" gli studenti che escono fuori dal campo visivo della macchina, alle riprese che ribaltano la scena marcando la paura e il senso di smarrimento; così come il rapporto tra l'architettura massiva e le persone; così come un certo "rispetto" nel mostrare la morte).
    Insomma un film intenso che racchiude quasi magistralmente forma e sostanza.
    Per quanto riguarda la durata cosa intendi invece?

    Passando a "Nice Guys" sono in buona parte concorde, un filmetto da sabato sera casalingo in pieno disimpegno; da accompagnare con popcorn e birra...meno lo sono su Free state, che non mi ha mai entusiasmato e mi ha quasi sfinito con la sua durata...

    Ismail


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    1. Per me invece, a parte BR2049 che mi manca, è questo il "peggiore" finora visto di Villeneuve, anche perché per risponderti alla domanda finale, reputo la durata un punto a sfavore, perché quanto l'emotività sta per prenderti davvero, il film finisce, lasciandoti un po' l'amaro in bocca...di certo la regia fa invece già vedere un grande talento che verrà fuori dopo :)
      Già, un film semplice, leggero e scanzonato ma comunque poco dinamico e divertente ;)

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  7. Sai che Ave Cesare lo ricordo poco? Sono andato al cinema perché adoro i fratelli Coen ma mi lasciò perplesso, uscito dalla sala non avevo capito se mi fosse piaciuto o meno, un film particolare. Mi ritrovo molto nella tua recensione.

    Invece su The Nice Guys non concordiamo affatto 😝 a me è piaciuto tantissimo. Ma forse il mio giudizio è offuscato dalla bravura degli attori e dalle tante risate che mi sono fatto. Gosling non l'ho trovato fuori ruolo però mi ha fatto strano vederlo con baffi e rincoglionito, quindi un minimo potrei concordare.

    Free State of Jones (McConaughey non lo avevo mica riconosciuto) e Mr. Crobbler mi mancano e vorrei recuperarli.

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    1. Ave Cesare che fosse particolare si sapeva già anche dai trailer, il problema è che alla fine il senso del film non si percepisce, quasi non c'è, e se non fosse per qualche scena "cinefila" sarebbe stata una pagliacciata e basta..
      Non concordiamo certo, però io comunque non lo ritengo un film brutto, ma personalmente deludente, perché non mi ha fatto ridere tanto e perché troppo spesso si esagera.
      Sono due interessanti film infatti, però io ti suggerisco anche Monster Trucks, davvero spassoso ;)

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