Pagine

venerdì 30 marzo 2018

Gli altri film del mese (Marzo 2018)

Manca solo un giorno alla fine del mese che già domenica sarà Pasqua, e no, non è un pesce d'Aprile. Perché sì, questo personalmente bel mese, in cui ho compiuto 33 anni, festeggiato semplicemente in famiglia e con la classica torta di rito, che altresì è passato in un batter d'occhio, sta per finire e ci porterà in dono, speriamo più prima che dopo, la primavera (e qualche uovo di cioccolato da divorare). Intanto però colgo l'occasione, e prima di presentarvi i film del mese nel mio ormai classico post "finale", per augurare a tutti appunto, una serena e felice Buona Pasqua (e Pasquetta!). Ma ora ecco i "migliori" film, tra i film "meno noti" visti durante questo mese, mese in cui a parte il mio compleanno ha regalato poche soddisfazioni, poche novità, ma domani è un altro giorno, e dopodomani è un altro mese, che spero sarà migliore su molti punti di vista. Il tempo che almeno qualcosa si aggiusti c'è, perciò basta solo aspettare e avere pazienza, anche se io proprio non ne ho.
Un poliziesco basato principalmente sull'azione, molto più coreografato nei combattimenti corpo a corpo, non solo, anche più lunghi, quasi a sottolineare una tendenza a massimizzare la spettacolarizzazione, questo è Sleepless - Il giustiziere (Sleepless), film del 2017 diretto da Baran bo Odar, che si è fatto conoscere l'anno scorso per la serie tv di Netflix "Dark". Serie che non ho ancora visto, come non ho visto l'originale di questa pellicola, dato che il film, con protagonisti Jamie Foxx e Michelle Monaghan, è il remake (non dichiarato) del film francese Nuit blanche, diretto nel 2011 da Frédéric Jardin. Per questo proprio non saprei chi tra i due è il migliore, sta di fatto però che questo Sleepless, che racconta di Vincent Downs, un tenente sotto copertura della polizia di Las Vegas che si ritrova accidentalmente coinvolto nella sparizione di una partita di droga e che attira contro di lui l'ira di due boss mafiosi (di cui uno gli rapisce il figlio), seppur sia un film ad incastro con un plot tutt'altro che nuovo, riesce grazie all'abile regista di origine svizzera, a tenere nei binari con una grande capacità di salvaguardare ritmo e tensione. Certo, se si pensa alle sparatorie altri hanno fatto meglio, se si pensa alle sale da Casinò altri ancora hanno fatto meglio, ma a parte ciò il film d'azione è un blockbuster confezionato con criterio e voglia di soddisfare lo spettatore con uno spettacolo genuino e piuttosto attanagliante. D'altronde dopo un inizio della vicenda abbastanza non originale ma diverso e "nuovo" (anche se non nego che la vicenda sia trita e ritrita, dove i cliché si ripetono e molto è prevedibile) si innesta una corsa contro il tempo, tra accoltellamenti, sparatorie ed inseguimenti in cui dalle strade lisce come lame d'acciaio ci si trasferisce nei saloni degli hotel di lusso dove il gioco è l'unico mestiere (e l'unica vera incognita) praticabile. Osteggiato dagli affari interni e con una mina vagante all'interno del dipartimento pronta ad esplodere, farà di tutto per salvare il pargolo. Come detto, i combattimenti corpo a corpo sono "credibili", il ritmo è buono e tutto procede con il giusto piglio, ma alla riuscita di una lodevole combinazione di elementi (tuttavia non esente da difetti, derivanti dal montaggio e dalla non eccezionale colonna sonora), determinante è l'apporto dei protagonisti, anche se a parte (il premio Oscar) Jamie Foxx, che ha la faccia giusta e prende sul serio la parte risultando ottimo come sempre e come ormai ci si aspetta ogni volta (anche se nella sua carriera è inciampato comunque tante volte) il film offre ben poco nelle interpretazioni. Abbastanza forzata è Michelle Monaghan, anche se nel ruolo meno "intelligente", leggermente macchiettistici Scoot MacNairy e Dermot Mulroney, inutile è Gabrielle Union nel ruolo della moglie, perché la classica menata familiare se la potevano risparmiare, mentre in linea è solo David Harbour. Sembrerebbe insomma che non tutto proceda bene, e infatti è in parte così, giacché dopo una prima parte che prometteva bene, tutto procede senza infamia né lode. Il regista ha preferito difatti fare un prodotto come tutti gli altri, invece che qualcosa di più, un qualcosa che però per una serata action senza pretese (se non volete sorbirvi qualche "mattone", anche se bello) è l'ideale (anche se per una sola volta). Perché certo, è un film pieno di buchi a livello di sceneggiatura, ma ha il pregio di avere davvero un buon ritmo conduttivo dall'inizio alla fine tanto che non riesce ad annoiare mai. In definitiva, film (forse consigliabile più agli amanti del genere che altri) non impegnativo e neppure malvagio da meritare una sufficienza. Voto: 6
Chi ama la natura, chi ama la vita selvaggia, chi ama posti incantevoli e paradisiaci dovrà prima o poi vedere questo film, ne rimarrà incantato. Giacché unendo in modo omogeneo incantevoli immagini della natura incontaminata e selvaggia delle montagne alle sequenze documentaristiche che seguono la sopravvivenza degli animali, specialmente delle aquile, si riesce a costruire una storia semplice ma visivamente molto potente e ricca di messaggi morali altamente condivisibili. Abel - Il figlio del vento (Wie Brüder im Wind) infatti, film del 2015 diretto da Gerardo Olivares e Otmar Penker, narra la storia di un bambino il quale vivendo in mezzo alla natura solo in essa riesce a trovare conforto per superare i traumi del passato (costituiti dalla perdita della madre e il distacco emotivo dal padre, cacciatore dai metodi bruschi). Un giorno, trovando il giovane aquilotto indifeso e in pericolo, decide di prendersene cura ma non solo, con l'aiuto indispensabile fornito dal guardaboschi riuscirà ad addestralo e ricollegarlo con il suo vero istinto selvaggio, restituendolo al suo habitat naturale. Quello stesso istinto un giorno richiama Abel a sé, separandolo dal ragazzo. Un ragazzo che troverà grazie al suo fedele amico la gioia di vivere. Non a caso il film, che di per se ha un'idea non delle più originali, anzi, abbastanza banale sia come svolgimento sia come vadano a finire le cose alla fine (con tanti bei sentimenti e con il lieto fine assicurato, anche se in verità quale stravolgimento può avere questi tipi di prodotti) ci fa capire che a volte basta un rapporto di amicizia basato sul reciproco rispetto dell'appartenenza e dei bisogni biologici a generare sentimenti positivi. In tal senso il film, che può ricordare il bel Il mio amico Nanuk e soprattutto il discreto L'ultimo lupo per vari aspetti, amicizia tra uomo e natura qui un aquila, conta molto sul far emozionare il pubblico (a tal proposito bella l'idea della storia dei due aquilotti che da rivali all'ultimo riescono a convivere e rispettarsi), e la cosa positiva è che in alcune scene lo fa bene (anche se non ottimamente). Abel - Il figlio del vento quindi, rappresenta un film sociale, a tratti fiabesco, di spessore, che colpisce e ammalia, soprattutto grazie alla bellezza delle immagini attraverso le quali fotografa l'esistenza di questi splendidi animali selvatici e il loro duro percorso per sopravvivere. A proposito di fotografia, il suo punto forte è proprio quello, un qualcosa di suggestivo e incantevole nonché eccezionale. Tanto che le scene con gli animali (alquanto incredibili per come essi sembrano "recitare") non hanno nulla da invidiare agli eccellenti documentari della National Geographic Channel, che ne fanno un film bellissimo e nel suo genere estremamente coinvolgente per lo spettatore. Certo, non siamo forse a livelli da Oscar, ma grazie al lavoro certosino del regista (durato anni) essi sforna un lavoro più che sufficiente, seppur non innovativo e nemmeno strepitoso. Ma se ciò avviene è anche grazie alle buone prove di tutti e tre gli attori principali, il bravissimo Manuel Camacho, il redivivo Tobias Moretti (che non vedevo dai lontani tempi di Rex, anche se l'ho recentemente visto nel mediocre però western Lo straniero della valle oscura) e il sempre ottimo Jean Reno, che occupa il ruolo della voce narrante e serve da mentore per il giovane Lukas. Senza dimenticare una efficace colonna sonora, che accompagna bene tutta la durata della pellicola. Quindi per concludere un film che supera la sufficienza per mio parere, nonostante una scontata trama, perché anche solo la fotografia e quindi il paesaggio e l'incontaminata natura valgono tutto il film. Un film adatto a grandi e piccoli, ma soprattutto rivolto a tutti coloro che hanno ancora voglia di lasciarsi trasportare dalla meraviglia selvaggia degli animali e della natura. A tal proposito se siete particolarmente sensibili alle storie con protagonisti gli animali, preparatevi a dover versare qualche lacrima perché il film è di una tale delicatezza e poesia che non può lasciare indifferenti. Voto: 6,5
Sorprende e diletta Il cittadino illustre (El ciudadano ilustre), il film di Gastón Duprat e Mariano Cohn del 2016, che ricorre con maestria all'ironia e allo humor sottile per raccontare il dramma di uno scrittore ormai privo di idee e lanciare una sottile critica a una certa società. Un'opera che conferma il valore del cinema argentino (come già visto con l'agghiacciante El Clan), che oltre a raccontare la storia convincente di un uomo smarrito, riesce a far ridere e riflettere grazie alla straordinaria interpretazione di un gruppo di attori ben calibrati (a cominciare ovviamente dal protagonista Oscar Martinez, Coppa Volpi a Venezia come miglior attore), a una sceneggiatura quasi perfetta e a una regia curata dal punto di vista estetico e scenografico. Il cittadino illustre infatti è una pellicola dove l'ironia e la commedia si fondono bene con il cinismo e il dramma, presentando un mix di passioni ed emozioni magari poco originali, ma capaci di coinvolgere lo spettatore in maniera riflessiva e con un pizzico di mistero. Perché in questo film, che vuole raccontare di quanto la fama, la notorietà, l'eccellenza, nasconda insidie e pericoli dettate da invidie, gelosie, bisogni e ricordi da cancellare, realtà e fantasia sono facce della stessa medaglia. D'altronde in questa commedia grottesca (altresì ricca di dettagli significativi) in cui si ironizza sul rapporto tra lo scrittore e la sua opera, dinamiche estreme e ai limiti del paradosso, soprattutto nell'enigmatico finale che sconquassa le nostre salde certezze portandoci a ripercorrere, riflettere e reinterpretare l'intero film, non solo strappano una risata genuina nello spettatore, ma ci fanno discretamente (ed efficacemente) riflettere sul rapporto tra reale ed immaginario (poiché se in Neruda la sovrapposizione di questi elementi non risultava armonico, qui dato che si tratta di una commedia, sì). Questa commedia tagliente infatti, molto meno banale di quanto possa sembrare (poiché dietro si nasconde una vicenda significativa, e in cui a emergere chiaramente è il senso di solitudine di uno scrittore straniero in patria, e ovunque, che non può far altro che rassegnarsi all'evidenza della sua condizione, quella di osservatore critico di una realtà da sempre respinta da far rivivere solo attraverso le pagine di un nuovo, grande bestseller), fatta di un'ironia graffiante, è stata una piacevole sorpresa. Il cittadino illustre infatti ci parla di un Nobel per la Letteratura (a tal proposito provocatorio e spiazzante è il discorso che fa davanti ai reali svedesi), che vive in Europa da decenni, che accetta un invito dalla sua città natale in Argentina per ricevere un premio. Nel suo paese però, il protagonista ritroverà sia le affinità, sia le differenze inconciliabili con la propria gente. Nel suo ideale viaggio nel passato difatti, tra amici di infanzia, riflessioni nostalgiche e luoghi comuni, si imbatterà nel classico sindaco con la fascia, la Miss locale, il camion dei Vigili del fuoco a sirene spiegate e tanto altro. Un quadro madido di provincialismo e di humour impietoso, scritto con grande intelligenza, alternando situazioni tragicomiche e grottesche a momenti di commedia alta e raffinata, non perdendo mai in compattezza. Se all'inizio infatti i cittadini lo accoglieranno in maniera sincera e semplice, investendolo di ogni onore (tra cui quello di giudice di un concorso pittorico), presto queste attenzioni diventeranno troppo insistenti, troppo cariche di aspettative, e la piccola realtà di paese inghiottirà la grande personalità dello scrittore, tirandolo dentro una serie di eventi (di ambigue verità) squallidi e persino pericolosi. E di cose difatti (anche per colpa della "lolita" interpretata dalla bella Belen Chavanne) ne succederanno. Insomma una pellicola decisamente interessante, ben fatta e ben recitata che merita certamente una visione. Tuttavia nonostante belle immagini di surreale desolazione e nonostante molti pregi (di un'opera scritta bene, mai banale ed anche registicamente sicura) non solo ha una scelta estetica così povera che rischia di renderlo un po' troppo piatto, spoglio, con una malinconia che non è nei fatti di per sé ma nel come sono mostrati, ma alcuni passaggi sono un po' lenti. Inoltre dopo un'inizio folgorante, il film, dal ritmo non tanto elevato, procede su un binario amaramente comico sempre più scontato, efficace (si ride), ma l'inventività si smarrisce. Ma al di là di ciò, il film, una commedia originale e godibile, non perde (anche grazie all'ambiguo finale) la sua verve, risultando perciò solido. Voto: 7-
Se date un'occhiata alla locandina, Woody Harrelson è "Wilson", ma il bravissimo attore americano, che qui è perfetto con le sue smorfie, le sue battute al vetriolo o gli atteggiamenti grotteschi vero marchio di fabbrica, non è solo Wilson, perché lui è il "film". Wilson infatti, film del 2017 diretto da Craig Johnson, senza di lui non sarebbe niente (non di certo una pellicola sufficientemente ironica, piacevole e vedibile). La pellicola difatti, trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo grafico di Daniel Clowes, autore anche della sceneggiatura, che racconta di un solitario, misantropo e nevrotico uomo di mezz'età (che non ha filtri tra ciò che pensa e ciò che dice, una sfacciataggine che non è un toccasana nei rapporti sociali), che dopo aver scoperto di avere una figlia adolescente di cui non sapeva l'esistenza, che chiede aiuto all'ex moglie Pippi, per poterla incontrare per la prima volta, che a modo suo, scandaloso e anche un po' contorto (perché anche se in verità riesce facilmente a farsi voler bene, è una persona emotivamente disturbata), si ripropone di stabilire un legame con lei, sceglie l'attore perfetto. Dopotutto Woody Harrelson è nato per questi ruoli così ai limiti del grottesco e borderline, e perciò la scelta di affidargli questo tipo di personaggio non fa una grinza. Tuttavia in questo film curioso, in qualche modo interessante, perché qui i cliché sono banditi, non tutto funziona a dovere. Non solo il film è incompleto dal punto di vista della caratterizzazione dei personaggi, ma ci sono problemi nella struttura del film, causata dalla episodicità delle situazioni. Mancando questo ci si affida agli attori (non solo l'ottimo Harrelson, ma anche Laura Dern, che dimostra ancora una volta la sua abilità nel passare da un ruolo drammatico a uno più leggero, ed entrambi infondono qualità per raggiungere comunque un risultato sufficiente, ma non di più), i quali un apporto positivo lo forniscono, ma nulla possono quando i toni da commedia nera della prima parte si sciolgono nelle sfumature malinconiche della seconda, svilendo la parte più scorretta dell'operazione. In particolare la seconda parte si perde un po' proprio quando compare il personaggio della figlia (a mio avviso scritto in modo superficiale). Doveva insomma spingere di più sul pedale del "politically scorrect". Ma nonostante ciò miscela bene dramma e ironia senza trascendere da una parte o dall'altra, anche a fronte del personaggio principale sopra le righe in alcuni aspetti (giacché questo è un ritratto surreale, di uno spirito libero, ma inadeguato, di un personaggio grottesco, che è sempre fuori dalle righe, che non trova mai la sua dimensione, che viene maltrattato, insultato, picchiato, ma che continua a guardare verso il prossimo con ottimismo), che riesce comunque a essere interessante quanto basta per intrattenere degnamente e senza danni, anche se non viene spiegato chi Wilson è o cosa fa nella vita, dato che la pellicola è un semplice spaccato della sua vita nella ricerca della ex moglie e susseguenti vicissitudini, finirà perfino in carcere (da l'impressione insomma di essere capitato per caso nella "giostra" della vita, calato dall'alto senza che in lui ci sia consapevolezza del contesto in cui si trova). Per questo la pellicola è meritevole, anche grazie alla sua originalità, il ritmo e l'ambiguità, di essere vista, soprattutto ai fan del grande attore statunitense. Certo, il plot in verità è decisamente modesto ma alcune divertenti battute e, soprattutto appunto, un Woody Harrelson strepitoso, fanno di Wilson una discreta, spassosa e simpatica commedia agrodolce da non perdere. Voto: 6,5
È un film difficile da giudicare l'ultimo di Jeff Nichols, regista e scrittore di Shotgun StoriesTake Shelter e Mud. In quest'ultimo lavoro accentua la visione fantastica di Take Shelter, marcandone i tratti fino a fare una netta incursione nel genere (o generico) filone fantascientifico. In Midnight Special infatti, film del 2016 scritto e diretto dal regista statunitense, un bambino dotato di sbalorditivi superpoteri, giudicato da alcuni (il pastore di una comunità di un misterioso Ranch) un nuovo messia, e dall'FBI un'arma pericolosa capace di captare e decodificare codici, oltre alla facoltà di poter annientare satelliti col solo sguardo, di notte in quanto il bambino è vulnerabile all'esposizione solare, viene scortato da due uomini ed aiutato da alcuni dissidenti del misterioso Ranch verso fantomatiche coordinate captate dal bambino. E' chiaro quindi dalla trama, che il film di "originale" ha ben poco, anche perché questo film fantascientifico strizza l'occhio per citazioni a Steven Spielberg (ma non solo), come si fa difatti a non vedere E.T. nel piccolo protagonista Alton? Tuttavia il film è molto curato dal punto di vista della fotografia e la sceneggiatura è funzionale a raccontare un'unica grande storia, quella di Alton e dei suoi genitori. Il padre e la madre sono agli antipodi, lui è pronto a tutto pur di proteggerlo e tenerlo vicino a sé, mentre lei comprende che prima o poi dovrà lasciarlo andare in un corso narrativo che ricorda fin troppo quello del capolavoro spielberghiano. Non a caso il film, un dramma con tratti tensivi, legati all'appartenenza (di sangue o semplicemente etnica), e alla fantascienza declinata al paranormale con evidenti appunto echi spielberghiani, tra fughe e inseguimenti, il fato che non si può ingannare e pericoli sempre più imminenti, approccia più generi e si appella alla fantascienza in stile Spielberg per raccontare una storia fortemente umana, con diversi punti di vista attorno. In questo senso il racconto è un continuo senso di mistero che alla fine si trasforma in meraviglia (un mistero dischiuso per passi, che lentamente si distende), esattamente come Spielberg fa ormai da una vita nei suoi film. La fuga on the road con cui inizia il film lascia già presupporre che ci sarà uno script verticale, che usa la fantascienza solamente come background non entrando apertamente nel genere e lasciando aperte molte domande nel finale che è il vero punto interrogativo. Tutto molto affascinante e convincente, ma solo fino a un certo punto. Anche perché seppur Jeff Nichols propone un percorso delimitato da strappi in grado di comunicare fascino, solleticando la memoria cinefila (da Incontri ravvicinati del terzo tipo a Superman, da Un poliziotto extraterrestre poco extra e molto terrestre a The Host) e raccontando di destini scritti, con tratti dolci che avanzano di pari passo con altri insidiosi, la coesione è abbastanza precaria e la fantasia rimane incartata in una manciata di modalità espressive. Appunto perché il film si mantiene lontano dal voler dare qualsiasi spiegazione, sceglie una pericolosa strada al margine, tra il mistero e la voragine del cliché fantascientifico, per poi saltarci dentro a piè pari. Inoltre proprio nel suddetto finale, nonostante la meraviglia che ci lascia, non bastano le musiche per rendere meno forte la sensazione di ciò che poteva essere e non è stato. Non un film ottimo ma comunque bello ed interessante, giacché non solo il film è interpretato benissimo da un buon comparto di attori e di prim'ordine, oltretutto già collaudato, infatti troviamo tra gli altri l'onnipresente Michael ShannonJoel Edgerton, e Sam Shepard (nel suo terzultimo lavoro), nel ruolo del pastore, non dimenticando il bambino, interpretato, e anche bene, dal semisconosciuto Jaeden Lieberher, e la sempre affascinante Kirsten Dunst, mentre è un peccato veder frenato il pur volenteroso Adam Driver, ma perché il regista riesce a sfruttare in modo ottimale proprio l'emotività (dato che l'opera parla più nei momenti di silenzio che nei dialoghi, con Shannon che ricorda tantissimo il Matthew McConaughey del discreto ed emozionante Mud) dei propri attori. Perché certo, questo suggestivo mix funziona ed è efficace, ma non fino in fondo, tanto che non a tutti può piacere questo genere, ma se lo spettatore si lascia prendere e trascinare dalla storia non può restare deluso. Quest'ultimo film di Jeff Nichols infatti, regista interessante e sensibile, è comunque un film davvero apprezzabile, soprattutto se è possibile riconoscere i significati ad un primo impatto meno evidenti, che rendono l'aspetto fantastico solamente un involucro per raccontare una storia altresì contemporanea e certamente affascinante. Voto: 7-
Prodotto dal James L. Brooks dei mitici Simpsons, 17 anni (e come uscirne vivi), film del 2016 scritto e diretto da Kelly Fremon Craig (al debutto come regista), analizza il percorso di crescita e formazione che dall'adolescenza porta all'età adulta, catturandone la confusione e la complessità che i diciassette anni comportano. Un tema certamente non nuovo nella cinematografia americana, d'altronde The Edge of Seventeen (da titolo originale), è il classico teen movie americano (come uno dei tanti prodotti) adattato all'epoca contemporanea, in cui tutto è regolato dal principio della visibilità (sei non sei qualcuno non sei nessuno), ma questo, forse uno dei più belli (e meno banali) ultimamente prodotti, senza infamia e senza lode (dove non accade molto ma ogni cosa è al suo posto), si mantiene su un livello accettabile (un po' come fu L'A.S.S.O. nella manica), anche se appunto non dice niente di nuovo sul tema. Abbiamo infatti una ragazza brava, ma piena di problemi, molti sono reali, altri solo della sua età (di un'età "tormentata", il classico rito di passaggio, duro, ma necessario), e altresì seguiamo le sue vicende, in definitiva perciò il film è tutto qua. Tuttavia, il modo in cui la pellicola approccia la narrazione e il tema (con una fresca collezione primavera-estate di dialoghi micidiali e battute puntute, ma anche momenti di autentico dolore e malinconia post-puberale), fa di questa pellicola una piacevole novità. In bilico tra commedia e dramma, l'esordiente regista ha trovato infatti il modo di unire ironia, sensibilità e sincerità, raccontando appunto la storia di una ragazza, Nadine, alle prese con le paturnie dell'inadeguatezza e dell'insicurezza, sconvolta prima dalla perdita del padre e poi dalla scoperta che la sua migliore amica (l'unica amica Krista, la Haley Lu Richardson di Split) se la fa con l'odiato fratello (il Blake Jenner del bel Tutti vogliono qualcosa) palestrato e di successo (senza dimenticare il rapporto stravagante che ha/non ha con la madre interpretata da Kyra Sedgwick), in modo adeguato e non convenzionale. Certo, come tanti altri film, il suddetto procede banalmente verso la svolta emotiva e caratteriale della protagonista, che capirà che è lei stessa causa del suo male (dopotutto Nadine è sola anche perché è parecchio antipatica e non fa niente per farsi accettare dagli altri che considera quasi tutti stupidi e superficiali), e cambierà rotta e bersaglio (grazie soprattutto ad un insegnante amico, apparentemente cinico, che però sorprendentemente sarà di grande aiuto) anche sul piano dei sentimenti puntando le sue attenzioni sul coreano innamorato, imbranato, ma teneramente sincero e non sul belloccio arido e materiale che voleva solo fare sesso con lei, ma soprattutto si chiuderà con il classico finale, un finale non trascendentale, però in linea con l'evoluzione narrativa ed emotiva della storia. Una storia insomma contemporanea e senza tempo in cui c'è nulla di nuovo, ma tutto sempre nuovo, se sai dosare i dettagli, le invenzioni che spiazzano e le variazioni sul canone, anche grazie alla "folle" protagonista (è lei il cuore pulsante di 17 anni, una pellicola che scivola piacevolmente via nella sua oretta e mezza, strizzando l'occhio a divertenti passate cinematografie e trasferendo empaticamente a noi pubblico quell'adolescenza perduta che noi vorremmo, a parte alcuni probabilmente, tornare a vivere). In questa "originale" storia infatti, dove i personaggi sono interessanti, dove c'è un discreto ritmo con buone idee e dialoghi, lo "specifico filmico" sta nel viso imbronciato della (bravissima e sempre bella) Hailee Steinfeld, ordinaria quanto basta, logorroica, aggressiva, depressa, vestita malissimo, dotata di un umorismo folgorante, terrorizzata dal "dover passare il resto della mia vita con me stessa", convinta com'è di non avere qualità. Non per niente si parte da un annuncio di suicidio (un'ambigua variazione che da incredibilmente una marcia in più al film), polemicamente incoraggiato dal geniale professore di storia (ecco, negli sfoghi mai banali di Nadine al suo professore, in cui la ragazza esprime i suoi problemi, il suo bisogno di un rapporto con una figura adulta e le sue frustrazioni, stanno i momenti più alti di questo film, che non sarà un capolavoro ma che ha più di qualche spunto di interesse), e si prosegue stabilendo la fondamentale divisione nel mondo fra "le persone che emanano sicurezza, eccellendo nella vita, e quello che sperano che i primi muoiano in un'esplosione". In tutto questo Woody Harrelson (sempre eccellente) è il padre-prof che tutti vorremmo essere, spietato, sarcastico, distaccato, eppure anche tenero, presente, consapevole della necessità di rispettare tempi e libertà altrui, e per questo poco avvezzo ai sermoni. Lui non educa, lui è, sta, agisce solo quando serve. Tutte le cose che rendono il film leggero, emozionante e divertente, perché nonostante il tema più duro di quel che sembra, 17 Anni è una pellicola che si lascia guardare con piacere, riuscendo ad intrattenere e a far riflettere al contempo. In più fa anche ridere ogni tanto, con intelligenza e simpatia. Tanto che una visione la si può dare tranquillamente. Voto: 6+

21 commenti:

  1. Edge of Seventeen lo avevo visto in volo verso Tokyo e mi era piaciuto parecchio. Hai ragione, non racconta niente di nuovo ma lo fa bene e poi Woody Harrelson è dannatamente simpatico qui!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Woody simpatico lo sarà sempre, e per quanto riguarda il film credo di aver già detto tutto ;)

      Elimina
  2. Ecco se guardassimo Abel il figlio del veneto so già che piangeremmo :D e' per questo che ci rifiutiamo di vedere la saga di Belle e Sebastien

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' un peccato però, perché entrambi son davvero belli ;)

      Elimina
  3. Il buon Woody ultimamente sta veramente vivendo un gran ritorno! Personalmente l'ho adorato in "Tre Manifesti a Ebbing, Missouri" tanto quanto il premiatissimo Sam Rockwell. Mentre "17 anni (e come uscirne vivi)" è tra gli urgenti recuperi - mi ferma ancora la paura che sia fin troppo teen... -, l'esistenza del film "Wilson" è una piacevole sorpresa: il tema mi incuriosisce e queste storie che si basano interamente su un ottimo interprete possono rivelarsi buone visioni :D
    E auguri, anche se in ritardo, per il tuo compleanno, Peter!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche se Woody è stato sempre un'ottimo interprete fin dagli esordi, per cui non ci sorprende più ormai ;)
      Comunque 17 anni non è troppo teen, anzi, è più adulto di molti altri simili, mentre Wilson certamente offre una fresca ed originale visione, ma non aspettarti miracoli :)
      Anche se in pauroso ritardo, grazie :D

      Elimina
  4. Oh, quanto mi era piaciuto Il cittadino illustre, una commedia fresca e intelligente!
    Su Midnight Special ho avuto delle riserve, visto a scatola chiusa non mi sono trovata troppo coinvolta. Meglio -molto- è andata con 17 anni, e se Woody è una garanzia, mi lascio tentare anche da Wilson, che mi ero persa e potrei recuperare ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non a caso Il cittadino illustre mi ha sorpreso in positivo ;)
      Su Midnight Special ho faticato un po' anch'io, ma il finale è davvero affascinante!
      Fidati, anche in Wilson lui è praticamente perfetto, faresti bene a recuperare :)

      Elimina
  5. Ho visto solo Wilson ad agosto e concordo al 100% con te (anche sul voto stavolta), un film strano che si regge solo per la sua bravura, altrimenti da prendere il disco e lanciarlo nel mare da un faro!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti, come ho anche scritto, senza sarebbe stato un disastro ;)

      Elimina
    2. Aspettate aspettate :D ho visto il trailer, incuriosito dalla recensione di Pietro. Mi sono ribaltato sulle scene di lui che parla in treno con la gente XD. E che finezza quando dice alla figlia "non ti stupire della poca somiglianza, tua madre da giovane era un'ippopotama" :D

      Lo devo assolutamente vedere, grande Woody!

      Elimina
    3. Beh, quelli sono proprio i punti forti e più riusciti della pellicola, una pellicola senza peli sulla lingua che se ne frega dei cliché ;)

      Elimina
    4. Nel contempo, ringraziandoti per la segnalazione,. tantissimi auguri di buone feste Pasquali :)

      Elimina
    5. Di niente, grazie e nuovamente Auguri a te ;)

      Elimina
  6. Auguri di Buona Pasqua! 😊 Mi incuriosiscono molto "Abel - il figlio del vento" e "Il giustiziere"! 😊

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il primo in effetti è nelle tue corde e certamente ti emozionerà, il secondo sinceramente non saprei, in ogni caso ricambio nuovamente gli Auguri ;)

      Elimina
  7. Leggo che a marzo c'è stato il tuo compleanno, se hai fatto un post, me lo sono perso, scusami. Non posso fare gli auguri di compleanno adesso ma gli auguri per una vita felice e interessante credo si possano fare sempre. Comunque sono d'accordo che il mese di marzonon è stato ricco in film e vedere Jake Gyllenhaal in un pessimo film del mese (scusa lì non holasciato un commento) non è il massimo. Insomma, credo che fino a quando non esce uno non possa sapere veramente se il film è buono o scarso perché poi non dipende solo dagli attori perché come hai notato anche tu per il Midnight special (che m'interessa molto) a rendere buono o cattivo un film può essere anche la scenografia, la fotografie e certamente il regista. Credo però che fra tutti i film, quello che mi piacerebbe più vedere è Wilson perché apprezzo la recitazione di Woody Harrelson e lo vedo benissimo nei panni di un uomo nevrotico, poi ultimamente leggo anche libri di uomini nevrotici quindi vederne anche un film credo che sarebbe un metodo quasi sperimentale per poter capire la nevrosi maschile.
    Saluti,
    Flo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quelli auguri sì che si possono fare, e lo stesso auguro a te ;)
      Il giudizio di un film comunque deve essere oggettivo più che soggettivo, e nel caso del film con Jake è in entrambi i casi pessimo, discreto invece Midnight Special, che può sorprendere :)
      Credo che capire gli uomini nevrotici sia quasi come capire le donne, impossibile :D

      Elimina
  8. 17 anni e come uscirne vivi l'ho visto anche io perché alla fine è uno di quei film leggeri che puoi permetterti di vedere senza troppe pretese.
    Non è stato certamente indimenticabile ma sicuramente molto meglio di altri film che aspettavo con altissime aspettative e che mi hanno delusa tanto.
    Concordo sulla bravura di Woody, che è stato credibile seppur un po' sulle righe facendomi pensare, come hai detto tu, "ma perché non ho mai avuto questi prof?!" :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, un film forse non originale ma che nella sua leggerezza si fa apprezzare, a dispetto anche del tema ;)
      Professori così però li trovi solo nei film...

      Elimina