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lunedì 3 dicembre 2018

Recuperi da Oscar (2016/2017)

Dopo la prima corposa parte relativa ai film mancanti dei premi Oscar del 2015 due e dei premi Oscar 2016 altri due (qui), eccomi oggi come promesso con la seconda parte del recupero programmato alle pellicole candidate all'Oscar, stavolta con altre due pellicole del 2016, candidate entrambe come miglior film straniero, ed altre due invece del 2017, anch'esse entrambe candidate come miglior film straniero. Tutti film, a parte uno, probabilmente perché più "commerciabile", in cui è stato però indispensabile usufruire dei sottotitoli, cosa che personalmente non mi piace molto, ma che tuttavia si sono resi necessari e sono stati davvero molto utili nell'arricchire ed aiutare nella comprensione, seppur dopotutto non è importante se essi ci siano o meno, perché se il film è bello non conta come il suddetto viene visto. Ed appunto grazie a tutto ciò, grazie a questo recupero ho visto dei film davvero molto interessanti, ecco quali.
Il cinema ci ha spesso mostrato l'Amazzonia e i suoi abitanti nei loro lato più estremi e brutali, per esempio nel caso dei cannibal movie come Cannibal Holocaust o del più recente The Green Inferno. Il regista Ciro Guerra compie invece un'operazione diversa, perché girando in un ammaliante bianco e nero, egli si prefigge l'obbiettivo di raccontarci una parte di mondo ancora in larga parte inesplorata come l'Amazzonia, mostrandocela però dal punto di vista degli indigeni e concentrandosi sui riti, le credenze e le leggende delle persone che abitano questi posti magnifici e incontaminati, il risultato è un'esperienza visiva e interiore di raro fascino, che non può lasciare indifferenti. El abrazo de la serpiente infatti, film del 2015 diretto dal regista colombiano, film candidato all'Oscar 2016 come miglior film straniero e vincitore del premio Art Cinéma della sezione Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2015, è un grande omaggio all'Amazzonia, ai suoi misteri, alle sue popolazioni sterminate in nome della "civilizzazione". Un omaggio rispettoso e approfondito a un luogo, a un popolo e alla loro storia, spesso fatta di sangue, soprusi e sopraffazione. Un film perciò dai ritmi lenti e compassati, sempre in bilico fra realtà e sogno e su più piani temporali, quindi potenzialmente indigesto a molti, ma un film tuttavia tanto interessante e appassionante, molto più del mediocre Civiltà perduta, che può piacere, o è piaciuto, a tanti altri. Il film infatti, che racconta la storia dello sciamano Karamakate (Nilbio Torres e Antonio Bolivar), ultimo discendente della sua tribù, che incontra i due scienziati ed esploratori Theodor Koch-Grunberg e Richard Evans Schultes (sui diari dei quali è basato il film) a distanza di circa 40 anni l'uno dall'altro, instaurando con loro un rapporto profondo e controverso, se all'inizio sembrerebbe il classico viaggio di lavoro dagli scopi prettamente scientifici (i due scienziati difatti, che si recano in Amazzonia in periodi diversi, sono accomunati dallo stesso obbiettivo, ovvero quello di cercare la yakruna, una pianta sacra e dai potentissimi poteri) diventa ben presto l'esplorazione (la brillante esplorazione) di una cultura pressoché sconosciuta e la ricongiunzione (degli scienziati) con la loro essenza più primordiale (dopotutto non è un caso che Karamakate sia lo sciamano che fa da elemento di unione tra le due spedizioni diventando per questo una guida, anche spirituale, in una porzione di mondo incontaminata). E non è tutto, perché inoltre il suddetto propone come tema principale una riflessione su le due culture contrapposte. Quella colonialista e vincente dei bianchi, che si porta dietro un approccio razionale e scientifico ma anche lo sfruttamento e la distruzione della natura a fini meramente economici (deforestazione, industria ed estrazioni minerarie, raccolta del lattice per il caucciù), e quella indios più sensitiva e magica, ma rispettosa dell'ecosistema ambientale. Ma c'è anche una polemica contro un certo tipo di attività missionaria nelle figure di un prete violento contro i bambini indigeni di una missione e nell'incontro con un santone che si crede la reincarnazione di Gesù, venuto a salvare (un po' ricordando Apocalypse Now) gli Indios locali. E' insomma un film piuttosto duro perché denuncia le follie umane, i soprusi e le violenze perpetuate da uomini su altri uomini. Un film che alla fine quindi cattura emotivamente lo spettatore conducendolo in un'esperienza sensoriale e forse anche esistenziale, tanto che viene da chiedersi se sia stato giusto importare in quei luoghi "civiltà" e religioni così avulse dal territorio, invece di rispettare quella sorta d'incantato "genius loci". Un film in cui buone sono le prove dei due attori professionisti Jan Bijvoet e Brionne Davis, perfettamente calati nella parte di persone spesso dubbiose e incredule verso ciò a cui stanno per assistere, e altrettanto valide quelle degli attori indigeni, che conferiscono credibilità e realismo alla pellicola. Dal punto di vista registico, l'elegante bianco e nero scelto da Ciro Guerra (o chi per lui) è il perfetto accompagnamento per un viaggio senza tempo attraverso la bellezza di questi luoghi, che vengono immortalati da alcune splendide panoramiche (le immagini, per lo più fornite da "National Geographic", sono molto suggestive, evocativa la scena finale in cui si riesce a vedere il territorio dall'alto a volo d'uccello e il rio delle Amazzoni con le sue numerose curve come un "abrazo de la serpiente") ed enfatizzati da delle buone musiche. Non mancano alcuni virtuosismi registici, che trovano una naturale collocazione nelle sequenze oniriche e in uno splendido trip psichedelico nella parte finale della pellicola, che fa tornare alla mente l'analoga e celeberrima sequenza di 2001: Odissea nello spazio. Cercando un difetto, anche se questo contribuisce all'alone di mistero e magia che circonda questa pregevole pellicola, l'intreccio fra i vari piani temporali è a volte un po' caotico e confusionario. L'altro difetto, se così si può dire, sta nel fatto che questo manifesto anti-modernista realizzato con la materia stessa dei sogni, un'opera memorabile e un monumento contro la dimenticanza, un'opera destinata quindi ad un pubblico di nicchia (a chi possiede larghe vedute sia cinematografiche che culturali), non sia per tutti. Peccato poi che questa discreta e incredibile pellicola, abbia dovuto concorrere con il validissimo Il figlio di Saul (meritatamente vincitore), perché l'Oscar poteva anche starci, e tuttavia indubbio è il suo valore finale, di una pellicola interessantissima. Voto: 6,5
Pellicola mediorientale che respira molto cinema classico come classica è la storia che propone: il viaggio di formazione di un ragazzino nell'ambiente ostile del deserto, prima accompagnando il fratello, successivamente rimanendo da solo di fronte a quello che sembra il suo peggior nemico. Sarà per Theeb (che in arabo significa lupo) una esperienza di vita drammatica e formativa in cui il ragazzo comprenderà i valori basilari dell'esistenza, il senso di sacrificio, e pure a diffidare di false amicizie ed approfittatori che troverà sulla sua strada. Per questo teso e ben narrato, senza fronzoli o "mielosità", sempre probabili ed in agguato quando c'è di mezzo un bambino, Theeb, pellicola del 2014 di produzione inglese/orientale, è una riuscita ed interessante opera prima di Naji Abu Nowar, trentatreenne regista inglese che appare deciso e con una precisa idea del racconto e della rappresentazione. Paesaggi stupendi, ma per nulla edulcorati o insistiti, ma al contrario necessari, fanno sfondo ad una vicenda che è una epopea di vita riuscita (l'ingenua semplicità ed innocenza di un ragazzo di fronte alla sfida del mondo adulto, più complesso dove occorre adattarsi per sopravvivere in un ambiente ostile come il deserto) e, a tutti gli effetti, una riuscita opera prima. L'opera infatti, presentata a Venezia nella sezione Orizzonti e candidata all'Oscar 2016 come miglior film straniero, un western arabo si potrebbe dire, anche se, come detto, è soprattutto la storia della formazione di Theeb, che da bambino diventa lupo, è un'opera prima (seppur addirittura lenta e quasi retorica) davvero potente e coinvolgente. Un'opera certamente non perfetta, nonostante immagini stupende del deserto, alta tensione e buona musica, un'opera con paesaggi magnifici quanto pericolosi, con quei binari che portano progresso ma anche tante insidie, ma un'opera semplice e ben raccontata che vale la pena seguire e conoscere. Giacché quest'opera, è sì un viaggio di formazione di un giovane beduino attraverso il deserto, ma è anche un viaggio dentro la Storia. Theeb difatti, ambientato nel 1916, dove infuria la Prima Guerra Mondiale, accompagna un ragazzino verso la maturità e svolge insieme la trasformazione di una civiltà antica. Perché la guerra entra nella vita nomade e scandita di chi "abita le tende" e ne sconvolge le tradizioni, le regole e gli equilibri. Il progresso ha il profilo biondo di un ufficiale inglese e lo sbuffo sferragliante di un treno, che taglia il deserto e ne interrompe l'infinitezza. In quel deserto si muove il piccolo Theeb, ignaro del mondo e degli uomini che lo abitano facendo il bene e troppo spesso il male. E insomma a quasi più di cento anni dalla Grande Guerra, il film di Naji Abu Nowar "apre" il fronte mediorientale e ci racconta attraverso lo sguardo di un bambino gli accadimenti e gli sconvolgimenti profondi accaduti. I confini imposti artificialmente dalle potenze coloniali, il sostegno tedesco ai movimenti islamici radicali in chiave anti-britannica e anti-francese, il collasso dell'Impero Ottomano e l'incapacità di trovare entità governative altrettanto stabili, sono tutte conseguenze dirette della Prima Guerra Mondiale, conseguenze che il giovane regista giordano lascia emergere dalle immagini e riemergere dai pozzi, i due pozzi tra cui si muovono beduini, stranieri, pellegrini e predoni. Qualcuno alla ricerca di Dio, qualcun altro di ricchezza, di potere, di conoscenza, in un turbinio di accadimenti spiazzanti e di profonda riflessione. E per questo che Theeb è un piccolo (produttivamente) grande film, forse non da Oscar, e di certo non quello del 2016 (andato poi giustamente ad un film davvero eccezionale come saprete), che allarga i confini della nostra coscienza e si fa sufficientemente apprezzare, anche perché apre una pagina di Storia che forse nessuno sapeva o conosceva. Se da sempre raccontiamo il Primo Conflitto Bellico come una guerra civile europea, di rado consideriamo che condusse alla fine dell'Impero Ottomano e fu l'origine della destabilizzazione cronica che da un secolo scuote gli ex paesi coloniali. Territori spartiti tra Francia e Inghilterra senza tener conto delle realtà locali, tralasciando le religioni, ignorando le tradizioni etniche e le divisioni tribali antiche di millenni. In questa cornice, suggerita dal carattere brusco dell'ufficiale inglese, dalla passività di quello arabo, dal trasformismo del predone sopravvissuto, dall'impetuosità dei ribelli lanciati contro il treno, dalla saggezza di Hussein e dei suoi padri, il regista svolge la "primavera araba" di Theeb che, abdicati fanciullezza e principio di piacere, seguirà i valori e le norme della cultura a cui appartiene. In definitiva perciò, film non bellissimo e non eccezionale, forse neanche memorabile (nonché poi tanto "originale"), eppure un film interessante ed appassionante che merita attenzione. Voto: 6
Candidato a due premi Oscar tra cui quello come miglior film in lingua straniera (vinto poi dalla pellicola Il Cliente di Asghar Farhadi) e premiato come Miglior commedia agli European Film Awards, tratto dal best seller L'uomo che metteva in ordine il mondo di Fredrik Backman, Mr.Ove (En man som heter Ove), film del 2015 diretto da Hannes Holm che vede protagonista Rolf Lassgard (film di cui a quanto pare sarebbe preparazione un remake americano con Tom Hanks) è una bellissima commedia agrodolce ed un poco surreale che presenta la figura del protagonista, appunto il Mr. Ove del titolo, nella sua quotidianità. Rimasto da tempo vedovo, egli vive solo in una casa con il giardino vicino ad altre simili alla sua con i quali residenti egli non ha e non vuole assolutamente avere alcun tipo di rapporto, anzi. Per questa sua scontrosità anche i suoi vicini di casa cercano di evitarlo o litigano con lui definendolo un vecchio scorbutico e assai scontroso. Nel corso del tempo egli riuscirà alla fine ad instaurare un rapporto di amicizia e di sincero affetto con la famiglia da poco trasferitasi in una delle case vicine grazie alla dolcezza spontanea ed al buon carattere della donna, un'iraniana moglie di uno svedese e madre di due bambine. Insomma niente di così innovativo direte voi, certamente in parte prevedibile nella sua semplicità, eppure se la premessa del racconto può far pensare, per certi versi, a Gran Torino (amore per le macchine compreso: nel caso del personaggio di Clint Eastwood per la Ford del titolo, mentre Ove è un accanito sostenitore della Saab), in realtà i due film hanno poi un tono molto diverso: Mr. Ove è una commedia malinconica che racchiude quasi un film nel film. Attraverso una serie di flashback, infatti, ci viene pian piano svelato il passato del protagonista (interpretato da giovane da Filip Berg), costellato per lo più di avvenimenti drammatici, da lui affrontati, fin quando possibile, con un candore misto a integrità, ostinazione e, su tutto, l'amore per la moglie Sonja (Ida Engvoll): le scene che ripercorrono l'evolversi della loro storia hanno un'atmosfera quasi fiabesca in certi momenti. Personaggi e situazioni sono filtrati dallo sguardo di Ove, con il suo modo di fare brontolone che si adatta a fatica, e non senza stupore, al mondo di oggi, e questo è l'aspetto più umoristico del film. Un film che nonostante per questo sia stato pubblicizzato principalmente come una commedia, dopotutto questa in fin dei conti lo è, una commedia agrodolce capace di rallegrare e commuovere, dove divertimento, amore, amicizia e coraggio sono solo alcuni degli ingredienti che caratterizzano questa fiaba moderna e che permettono, grazie ad una perfetta miscela, di conquistare chiunque la guardi, appare innegabilmente più riuscito nei sui escamotage tragici. Non cadendo mai nel patetico, la narrazione non rifugge le disgrazie che accompagnano la vita, mostrando come una scintilla di speranza e di felicità possa accendersi anche nelle situazioni più disperate. Oscillando tra toni comici e parentesi drammatiche, il film non rinuncia difatti ad alternare esilaranti battute con riflessioni profonde. E insomma Hannes Holm, cineasta svedese al suo primo successo internazionale, guida dunque lo spettatore in un mondo asettico e glaciale, nel quale però il calore degli affetti riesce a riscaldare l'animo umano. Questo grazie ovviamente all'attore, anzi ai due attori, sublime Rolf Lassgård e bravissimo Filip Berg, senza dimenticare le brave controparti femminili, perché se Bahar Pars convince nel ruolo della madre amorevole e determinata, assolutamente perfetta è Ida Engvoll nelle vesti di Sonja, donna angelo capace di far innamorare un giovane e già diffidente Ove. Certo, non mancano elementi strappalacrime che potevano essere evitati e di denuncia sociale, come l'avversione di Ove per la burocrazia dello Stato svedese, certo, il finale poi è forse un po' forzato, un po' troppo melenso e la ricerca di un happy end a tutti i costi un po' troppo zuccherosa, ma sono difetti che si possono tranquillamente perdonare ad un film vivo, pieno di sentimento, attraversato da uno humor sottile e molto originale. Nel complesso, infatti, il film regge bene fino alla fine e scalda gli animi, al di là comunque di una durata del film che poteva essere un po' più contenuta, giacché la regia, seppur visivamente abile in certi punti, in altri momenti rischia qualche lentezza di troppo. Mr. Ove è però un film, un film in cui non si può non provare sin dall'inizio simpatia per un personaggio così (ed il pregio di questo film sta proprio nell'aver centrato e descritto con veridicità, mista ad una buona dose di ironia, la sua figura quasi surreale), che toccando alcune corde primarie nello spettatore, puntando su sentimenti condivisibili e un linguaggio universale, lascia lo spettatore più che soddisfatto. Così tanto che forse l'Oscar, se non fosse una commedia (genere poco avvezzo ai Premi Oscar), poteva anche vincerlo, e in tal senso ora difficile scegliere chi lo meritasse per davvero. Voto: 7
Se già dopo aver visto Mr. Ove difficile era decidere, anche personalmente parlando, chi meritasse il Premio Oscar 2017 nella categoria miglior film straniero, premio come sappiamo andato ad Il Cliente, dopo aver visto Tanna, film del 2015 diretto da Martin Butler e Bentley Dean, presentato alla 72ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia in occasione della Settimana della Critica e nel settembre 2016 scelto per rappresentare l'Australia agli Oscar 2017 (poi ufficialmente candidato tempo dopo), lo è stato ancor più difficile. Non solo per il voto simile che avrà alla fine, ma perché questo dramma aborigeno girato nel 2015 con attori non professionisti e incredibili location australiane, questo ipnotico ed affascinante film, è davvero molto bello ed intenso. Questo perché Tanna è la storia di un amore impossibile che va oltre le tradizioni di un popolo, una storia vera e sincera. La vicenda vede protagonisti Wawa, una giovanissima ragazza, e Dain, il nipote del capo tribù di una società del Pacifico meridionale. I due si innamorano, ma (quando una guerra fra gruppi rivali si inasprisce), a sua insaputa Wawa viene promessa in sposa ad un altro uomo come parte di un accordo di pace. Così i due giovani fuggono, rifiutando il destino già scelto per la ragazza. Dovranno però scegliere fra le ragioni del cuore e il futuro della loro tribù, mentre gli abitanti del villaggio lottano per preservare la loro cultura tradizionale anche a fronte di richieste di libertà individuale sempre più incalzanti. Diretto da due documentaristi, Tanna è un film di nicchia che vale la pena di essere visto. I due registi, infatti, attraverso il loro lavoro mostrano uno spaccato di vita reale molto lontano dal nostro ambiente, ma che ci permette di vivere la cultura e le tradizioni di una società tribale. Nel film, difatti, viene lasciato molto spazio alla scoperta delle abitudine di un popolo che vede nel rispetto (tra composti della tribù, ma anche riferito ai costumi della società) il principio su cui si fonda la loro realtà. È una vicenda che si ispira liberamente alla tragica storia raccontata da William Shakespeare in Romeo e Giulietta, anche se in questo caso gli eventi si sono realmente verificati nel 1987 (come ci dicono i titoli di coda). A colpire, oltreché il fatto che il tutto vada comunque ben oltre il banale apparentamento al capolavoro Shakespeariano, è il fatto che le camere da ripresa, giacché esse sono in grado di cogliere ogni più piccolo particolare, addentrandosi nella natura più selvaggia e seguendo i protagonisti in tutto ciò che fanno, sembrano essere dentro il film. Nonostante il ritmo eccessivamente lento che potrebbe annoiare uno spettatore poco interessato alle dinamiche sociali che si vengono a creare, Tanna gode tuttavia di una colonna sonora particolare, una colonna sonora non costituita solo da musiche tipiche della tribù, ma anche dai suoni derivanti dalla natura, la cui immensa bellezza talvolta mette in ombra quello che accade nel mentre. Martin Butler e Bentley Dean danno vita a inquadrature molto suggestive, in grado di sorprendere lo spettatore, che non potrà fare a meno di rimanerne affascinato. Questo soprattutto tenendo conto del fatto, a quanto pare, che nulla era programmato e i due registi si sono semplicemente trovati al posto giusto nel momento più opportuno. È sconvolgente, infatti, notare che la storia appare così vera, reale, agli occhi del pubblico, come se quest'ultimo stesse vivendo la drammatica situazione con i personaggi coinvolti. Ciò è anche merito di una sceneggiatura basata su dialoghi diretti, capaci di spiegare in poche battute l'importanza delle tradizioni e le conseguenze che potrebbero derivare dal non rispetto di esse. La pellicola presenta molte scene in cui a farla da padrone è il silenzio, che dona profondità all'opera. È bene dire, inoltre, che gli interpreti non sono attori professionisti, ma persone della popolazione mostrata. Eppure sono molto credibili, forse perché è il loro mondo e non hanno bisogno di imparare una parte per renderlo vivo e vero. Non mancheranno poi scene forti (anche legate al loro modo di vivere), empatiche, emozionanti, che metteranno in luce la potenza di un amore tanto forte quanto impossibile. Da ammirare è anche la fotografia nitida composta perlopiù da tonalità fredde e chiare, che riescono a far emergere la particolare attenzione al dettaglio dei due registi che caratterizza l'intera pellicola, una pellicola incredibile e bella, dove sono i sensi a percepire per primi la perfezione gioiosa del miracolo dell'esistenza. Una pellicola, che se anche mette in dubbio il risultato finale definitivo dell'Oscar, assolutamente da vedere, anche nonostante i soli sottotitoli a disposizione per poterla visionare. Voto: 7

18 commenti:

  1. Mi ispira solo Mr Ove. Sono pronta a scommettere che l'avrei convinto ad abbracciarmi dopo appena un mesetto di conoscenza.
    Deduco che la cosa non ti stupisca, giusto? :P

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  2. Film che solo per la loro provenienza -e i tanti pregiudizi- ispirano pesantezza. Motivo per cui ho visto solo Theeb -ma costretta dal festival veneziano- e Tanna, immagini bellissime, storia meno.
    Ove è quindi una spanna sopra tutti, semplice, magari già sentito, ma con una sua personalità.

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    1. Sì, ispirano pesantezza è ovvio, tuttavia mi sono annoiato quasi mai ;)
      Per me come hai visto Tanna e Ove sono sullo stesso livello, anche se poi se dovessi scegliere tra i due sceglierei Ove, anche per quello che tu dici :)

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  3. Ciao! Non ho visto questi film, però Mr.Ove mi incuriosisce!

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  4. Mai sentiti.... @_@
    Devo dire che Mr. Ove (c'è un gatto sulla locandina quindi è bello per forza) e Tanna mi ispirano moltissimo!

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    1. Sì, anche se il gatto non è elemento centrale del film, un film che comunque potrebbe davvero piacerti, mentre su Tanna non saprei, anche se merita certamente di essere visto ;)

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  5. Eh sì, ho adorato Mr. Ove e ho sperato (inutilmente) fino all'ultimo che la statuetta si concretizzasse per questo gioiellino che arriva dalla gelida Svezia ma che ha uno splendido cuore pulsante. Una dark comedy che non si preoccupa di andare contro l'opinione comune regalando tante sorprese :D

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    1. Credo che se l'avessi visto prima avrei anch'io tifato per questo film, un film cinicamente e grottescamente divertente, anche se poi chi ha vinto il premio non l'ha fatto per caso ;)

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  6. In linea di massima d'accordo (mi manca solo Theeb), ma non sottovalutare Ciro Guerra ...
    Purtroppo anche molti cinefili si limitano a guardare quanto si trova facilmente in giro e non si interessano di cinematografie meno conosciute.

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    1. Infatti non lo sottovaluto, anzi, seppur è comunque il suo primo film di lui che vedo, un film appunto di nicchia che tuttavia merita tanta considerazione ;)

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    2. Ti segnalo anche i primi filmi di Guerra, dei quali parlai in questo post
      https://discettazionierranti.blogspot.com/2016/06/occhio-questi-2-cristina-gallego-e-ciro.html

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    3. Ah grazie, non sapevo avessi un blog, e pure un blog interessante, comunque proverò a recuperarli ;)

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  7. Mr. Ove mi ispira dalla tua recensione e se c'é un gatto nel film, anche se non é un protagonista, ancora meglio!😊

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    1. Non sapevo che i gatti attirassero così tanto pubblico :D
      In ogni caso giusta è la visione ;)

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