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lunedì 4 febbraio 2019

Flatliners - Linea mortale (2017)

Premetto che prima di vedere questo Flatliners, anno 2017, ho rivisto, un po' perché non lo ricordavo bene, un po' perché mi sembrava giusto farlo, la versione del 1990 con Julia Roberts (al tempo fresca del successo mondiale di Pretty Woman), Kiefer Sutherland, Kevin Bacon e la gran regia di Joel Schumacher, e niente, il confronto è netto, ma in negativo. Infatti Linea mortale (in originale Flatliners, prodotto da Michael Douglas), nella banalità delle premesse e della trama, era riuscito a diventare (ed è tuttora, almeno in alcuni circoli) un piccolo cult dell'horror, grazie ad alcune trovate di regia e di narrazione interessanti e un ottimo cast di attori giovanissimi ma promettenti (non dimenticando tra quelli già citati, William Baldwin ed Oliver Platt), tutti baldi giovani che si mettevano in testa di scoprire i segreti della morte e della vita ultraterrena (e le cose andavano ovviamente a scatafascio), invece questo nuovo Flatliners: Linea mortale (Flatliners), non credo sarà mai ricordato. Davvero mediocre è difatti questo remake, un remake che forse non aveva senso produrre. Perché se capita spesso che in tempi di rivisitazioni ci si possa imbattere ed assistere a operazioni completamente ingiustificate, qui si tocca probabilmente il fondo con questo remake mal gestito dallo svedese Niels Arden Oplev (regista arrivato alla ribalta internazionale dopo il successo di Uomini Che Odiano Le Donne) su malfermo script di Ben Ripley (che scrisse anche il discreto Source Code del discreto Duncan Jones), che si permette di aggiornare (in modo non affatto migliore) l'originale che aveva altresì, seppur con la consapevolezza dei propri limiti, l'intelligenza di sollevare interrogativi esistenziali per poi gettarsi nel paranormale, ma qui purtroppo lo spirito inevitabilmente si smarrisce. A 27 anni di distanza infatti della combriccola di giovani studenti di una dura università di medicina c'è solo una citazione in filigrana del film di Schumacher con la partecipazione nel cast di Kiefer Sutherland, al tempo protagonista della vicenda, qui docente duro ma appassionato del gruppo di giovani medici. Il film purtroppo è tutto qui, perché il fascino delle atmosfere è castrato sin dall'inizio da una narrazione lenta e poco coinvolgente.
Una narrazione che perde lo spettatore dopo i primi trenta minuti di visione e che potrebbe perfettamente recuperarlo in qualsiasi punto del film senza che questo si sia perso veramente un qualsivoglia evento rilevante, l'intero ritmo della visione è una linea piatta, non mortale, ma di noia, e superficiale è la resa psicologica dei personaggi, che agiscono in modi paradossali e al limite del ridicolo senza che ci siano davvero delle ragioni a muoverli. Così si parte dal tentativo iniziale della protagonista, Courtney Hall (una, come al solito, apatica Ellen Page, attrice canadese ricordata ai più per Juno Inception, ossessionata dal ricordo della morte della sorella), di definire scientificamente il destino dell'uomo dopo la morte e si passa senza motivo (dopo che l'esperimento di interrompere il ciclo vitale per una manciata di minuti, permettere al computer di registrare le reazioni del cervello, scoprire cosa succede a livello inconscio e poi essere riportati in vita viene ripetuto sugli altri compagni specializzandi, James Norton, Kiersey Clemons, Diego Luna e Nina Dobrev) a una degenerazione delle vicende sul piano morale, con spiriti crudeli del passato che tornano a vendicarsi dei torti subiti per alcune azioni irresponsabili dei giovani medici in erba. A turno tutti i ragazzi infatti, dopo la morte improvvisa di uno di loro a seguito di strani eventi paranormali e inquietanti, vivranno esperienze terrificanti e allucinazioni, sempre legate a morti causate da loro e che gli procurano rimorsi che si portano dentro. Peccato però che proprio questo insensato e disomogeneo salto nelle atmosfere horror (che al contrario dell'originale non trasmettono la necessaria tensione) dia l'impressione di vedere due film diversi contemporaneamente, complice la schizofrenia dei piani temporali e dell'intero mondo che è stato costruito intorno ai protagonisti.
Il risultato è un film che, se avesse una ragione di essere fra noi, non sarebbe neanche così terribile (è terribile, ma in un'ideale classifica dei peggiori film dell'anno si andrebbe a sedere intorno alla decima posizione): il problema purtroppo è che quella fantomatica ragione, per quanto la si cerchi, proprio non c'è. Insomma un film che, nonostante le basi promettenti, non riesce a dare quel pizzico di novità a un argomento già ampiamente trattato e che finisce, purtroppo, nell'avere una sceneggiatura scontata, rendendolo un film con una trama già largamente vista e rivista. Infatti l'interessante spunto dell'esperienza pre-morte e dell'emergere dei sensi di colpa passati dopo le suddette esperienze, viene ripreso in questo remake senza nulla aggiungere all'originale del 1990, anzi, lo esaurisce nella prima mezz'ora. Il problema è che se nel film di Schumacher ogni personaggio viveva un'esperienza comune con gli altri come una sorta di sfida alla morte stessa, nel remake solo il personaggio della Page ha motivazioni sufficienti nel farlo. Gli altri sembrano in competizione con loro stessi e quindi tale esperienza si rivela come una maxi dose di anfetamine che migliora il loro rendimento accademico. Di conseguenza oltre ad essere insipidi, tali personaggi si rivelano antipatici oltremisura. Certo, l'aumento delle "quote rosa" fra i protagonisti (in ogni caso ridefiniti, colpe comprese, rispetto all'originale) segna (parzialmente) un punto a favore, però non ci si spaventa, non c'è coerenza e l'interesse per le psicologie è scarso. Dunque, c'era bisogno? Il regista pensava davvero in tal modo di fare meglio? Come se non basta (seppur come da copione) il tutto si conclude senza spiegarsi, lasciando nella piattezza e nell'inconcludenza tutti gli spunti che la vicenda aveva aperto e sollecitato nello spettatore, con una risoluzione della storia talmente mediocre da far pensare che davvero forse neanche il regista abbia mai creduto fino in fondo alla possibilità di replicare il miracolo, lontanissimo, compiuto da Schumacher nel 1990.
Se a Flatliners si può trovare un merito è il tentativo di dare un messaggio semplice: a volte, nella vita, bisogna perdonarsi e andare avanti. Se si può, cercare di risolvere le cose, cercare di cambiare quello che ci tormenta. Affrontare la vita, e non vivere con il rimorso o con un peso. Prendersi le proprie responsabilità, e affrontarne le conseguenze. Se si hanno vicino le persone giuste ad aiutarci tanto meglio, per affrontare certi momenti potrebbe essere di conforto. Ma c'era davvero bisogno di scomodare il limbo premorte per dare questo messaggio? Forse sì, forse no, ed è comunque utile portare lo spettatore a riflettere su questi argomenti (soprattutto in questi tempi dove sempre più giovani rischiano la vita nel ricercare emozioni forti) ma la pellicola doveva fare molto di più in termini narrativi e tecnici. Perché per quanto il cast sia complessivamente in parte, per quanto il doppiaggio non dispiaccia, Flatliners non decolla, non stupisce, non esalta. Questo perché la maggior parte del film consiste in sequenze di camminate in appartamenti/corridoi/seminterrati bui fatti di rumori e musiche atonali che dovrebbero aumentare la tensione (ma anche il pubblico meno esperto dopo la terza, quarta, quinta o sesta scena identica alla precedente inizia a capire il trucchetto) e le atmosfere da sci-fi horror vanno a farsi benedire, seppellite sotto una valanga di cliché visivi che si possono trovare in ogni altro horror contemporaneo (quelle inquadrature d'impatto che solo se sei sovrappensiero ti fanno saltare dalla sedia). Perché certo, di quasi due ore di proiezione indubbiamente restano comunque impressi gli effetti speciali e le fantomatiche registrazioni sensoriali di chi sperimenta lo stato tra la vita e la morte, ma di certo non resta impressa alcuna interpretazione (men che meno dall'ex bagnina Charlotte McKinney del remake di Baywatch), nessun momento di alto cinema. E per questo non credo che Flatliners: Linea mortale di Niels Arden Oplev resterà alla storia per la trama indimenticabile o il cast stratosferico, anzi, lo resterà come uno dei remake più inutili degli ultimi tempi. E quindi per me si può evitare senza troppi rimpianti, vedetevi l'originale che è meglio, molto meglio. Voto: 4

7 commenti:

  1. Hai fatto decisamente bene, eppure all'inizio non sembrava male, però a lungo andare hanno davvero pesato le scelte pessime della sceneggiatura, che cambia soggetto, direzione e trama, facendo precipitare il tutto ;)

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  2. Anche io sono talmente legato alla versione originale che dubito vedrò mai il remake. ;)

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  3. Sai che non ricordo se ho visto il film con Julia Roberts?
    Mannaggia alla testa.
    Però questo lo evito. Promesso! 😉

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    1. Sì, questo devi evitarlo, mentre se riesci recupera l'originale, sempre se non l'hai visto ;)

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  4. Del remake salvo il colpo di scena centrale e il riferimento alle number stations.
    Non un'opera memorabile, non ha nulla come il primo film (hai ragione), ma la questione si può estendere al 99% del cinema attuale: non ha l'appeal che lo rende eterno come le opere fino agli anni '90.

    Moz-

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    1. Colpo di scena che però non c'era nell'originale, in cui di migliore c'è non solo l'impianto onirico alquanto affascinante e suggestionabile, ma il tema spirituale più coinvolgente, cosa che proprio per l'appeal che questo remake non riesce a dare ;)

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