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martedì 28 febbraio 2017

Le mie considerazioni sugli Oscar 2017

Come quasi sempre succede dei film nominati e vincitori (come anche l'anno scorso, qui), praticamente si contano sulle dite di una mano quelli che sono riuscito a vedere, per cui non è che posso esprimermi o dire tanto, ma poiché dei film visti, di tutti ho pronosticato e sperato vincessero almeno la statuetta a cui erano stati nominati, posso solo dire di ritenermi moderatamente soddisfatto. Difatti su 4 di quelli visti, 2 hanno vinto la loro categoria. Parlo ovviamente di Zootropolis, miglior film d'animazione e comunque l'unico dei 5 visto (però è davvero stupendo) e Il libro della Giungla per i migliori effetti speciali, che sorprendentemente ma meritatamente, secondo il mio modesto parere (dato che in effetti sono eccezionali), ha battuto sia Doctor Strange e Rogue One. Quelli altri due invece, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi per il miglior sonoro (qui davvero straordinario in verità, con sparatorie infinite) è stato battuto da La battaglia di Hacksaw Ridge, ugualmente un film di guerra, che a sua vince tra lo stupore di molti, anche il miglior montaggio, battendo addirittura il piano-sequenza, che aveva stupito e anche convinto tutti, quello di La la land di Tom Cross. Ma prima di parlare di quest'ultimo, l'ultimo film visto nominato ma perdente è stato The Lobster, che avevo molto apprezzato per la sua originalità, e invece vince come migliore sceneggiatura originale Manchester by the Sea, che vede anche vincitore come migliore attore protagonista Casey Affleck, che in un sol colpo batte sia Andrew Garfield (il mio pronosticato, a proposito tutti i miei pronostici li trovate qui) che Ryan Gosling ma soprattutto un mio beniamino, ovvero Denzel Washington, che comunque in parte si riscatta, dato che a diretto lui stesso Barriere, che con Viola Davis (personalmente non proprio eccezionale) vince l'unico Oscar, quello come migliore attrice non protagonista. Sorprese, delusioni e tanto altro per l'Italia, che vede Fuocoammare, giustamente (io preferivo Life, Animated) ma incredibilmente battuto dal documentario meno quotato, ovvero O.J.: Made in America di Ezra Edelman, l'ennesimo su O.J. Simpson, come se la straordinaria serie di Ryan Murphy non bastasse. Vince invece con grande contentezza, di critica e pubblico, per il miglior trucco e acconciatura, il trio, comprendente di due italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini con Christopher Nelson per Suicide Squad. Ma non finisce qui, perché per i nostri colori, tra i premi meno 'conosciuti' vince come miglior cortometraggio d'animazione Piper di Alan Barillaro. Meno conosciuti perché raramente si riesce a vederli, sia questo che il miglior cortometraggio (Sing) che il miglior cortometraggio documentario (The White Helmets di Orlando von Einsiedel), suggerisco difatti di scegliere un giorno di programmazione Sky o altro e farli vedere, poiché non è mica un film dove si guadagnano milioni. Da segnalare anche il quarto Oscar per Colleen Atwood per i migliori costumi per Animali fantastici e dove trovarli, ovviamente ancora da vedere.

lunedì 27 febbraio 2017

Gli altri film del mese (Febbraio 2017)

Neanche il tempo di metabolizzare il 2016, che già è finito febbraio, già siamo a Carnevale, anzi, domani è l'ultimo giorno, e tra un po' di giorni compio gli anni (il 13 marzo), perché sì, sono già passati due mesi, mesi in ogni caso, come questo, ricco di pellicole, anche quelle che razionalmente non dovrei vedere, ma che la curiosità (maledetta) m'impone di vedere. Ecco due esempi. Ho principalmente visto Viaggio nell'Isola dei Dinosauri (Dinosaur Island), film d'avventura australiano del 2013, solo per il semplice fatto che sono sempre stato affascinato dal mondo preistorico, ma purtroppo come volevasi dimostrare, in quanto questo è il classico B-movie per ragazzi, è davvero un pessimo film, addirittura peggio di uno dei più brutti visti, ovvero The Lost Dinosaurs, passato in tv settimane fa. Già la trama non sembrava eccezionale, eppure con una piccola fusione tra Viaggio nell'Isola Misteriosa e Jurassic Park, il film pareva accettabile, e invece la trama, che racconta di un ragazzino di tredici anni che durante un volo in aereo, si ritrova catapultato in un isola misteriosa popolata da dinosauri dove incontra una ragazza che lo aiuterà a tornare a casa, fa acqua da tutte le parti. Peccato però, perché gli effetti speciali dei rettili giganti non sono affatto mal realizzati (anzi sì), l'ambientazione per un'avventura c'è ed è buona, le cose negative del film quindi e in sostanza sono le prestazioni dei due protagonisti che possiamo anche tralasciare in questo frangente visto che non potevano dare quel qualcosa in più, ma soprattutto i dialoghi che ha volte ti danno l'istinto di spegnere ed andare a fare altro di migliore come anche alcune scene e alcuni riscontri nella trama. Insomma una ciofeca neanche divertente. Unica nota positiva la carinissima Kate Rasmussen e stop. Altro esempio di come alcuni fanno film coi piedi, è la rivisitazione in chiave dark e similmente scema di Cappuccetto Rosso, nel film 'horror' (per dire) Little Dead Rotting Hood (2016) della Asylum (sì sempre quella) infatti, gli abitanti di una piccola cittadina (con 0 cervello) scoprono che nel bosco vicino è in agguato qualcosa di molto più sinistro di semplici lupi famelici, poiché una fattucchiera vestita di rosso lascia alla nipote (che uccide e seppellisce per poi trasformala in zombie-lupo) il compito di proteggerli da una stirpe di lupi mannari con una spada e un mantello magico. Ovviamente potete immaginarvi cosa ne esce (qualcosa di terrificante cinematograficamente parlando), perché questo film con parecchie infamie e nessuna lode, è probabilmente stato scritto da sub-acculturati mentali in età prepuberale, d'altronde le classiche gnocche secondarie non mancano, come non manca la gnocca protagonista, che qui ha le sembianze di Bianca A. Santos, bellissima ragazza vista in L'A.S.S.O. nella manica e da vedere in Ouija, ma a parte questo davvero un inutile film, con pessimi effetti speciali, incongruenze ed approssimazioni madornali, dialoghi penosi e nessuna fantasia, perciò da evitare.

venerdì 24 febbraio 2017

Kung Fu Panda 3 (2016)

Nel terzo capitolo della saga del simpaticissimo e irresistibile Panda Po, Kung Fu Panda 3, film d'animazione action del 2016 prodotto dalla DreamWorks Animation e diretto da Jennifer Yuh e Alessandro Carloni, si continua a raccontare le vicende del simpatico e ed un poco pasticcione protagonista. Il cosiddetto Guerriero Dragone, che questa volta dovrà diventare "Master of Chi" ovvero Maestro della Forza Interiore (quasi come la 'forza' di Star Wars) per sconfiggere Kai, l'ex fratello in armi di Oogway da lui punito e mandato nel Regno degli Spiriti. Non solo, Po avrà modo di incontrare il suo padre naturale e di visitare con lui il villaggio nascosto dei panda. Come fu per i precedenti anche questo Kung Fu Panda 3, sequel del film del 2011 Kung Fu Panda 2 e a sua volta sequel di Kung Fu Panda del 2008, non delude, perché come per gli episodi precedenti il film si sviluppa con un ritmo perfetto ed intercalato da continui spunti comici, ma ben più importante affronta concetti quali la lealtà, il valore di ogni singola individualità, ma anche l'importanza della famiglia e della forza di un gruppo affiatato per superare insieme gli ostacoli della vita, quindi in maniera soft questo film come i precedenti ha un messaggio educativo per gli spettatori più piccoli, collegandosi in maniera armoniosa con i due precedenti. La trama, qui sintetizzata infatti, ma come si intuisce, ha però tanta carne al fuoco, addirittura può sembrare e risultare complicata, ma l'ora e mezza di narrazione filmica riesca a rendere Kung Fu Panda 3 comprensibile anche ai più piccoli attraverso quella reiterazione variegata ma sistematica che sta alla base di ogni insegnamento efficace, come la tematica del ritrovamento del padre naturale e pertanto della ricostruzione dei legami affettivi, che altresì pone in evidenza anche quella molto interessante e delicata della differenza e dell'importanza o meno nella vita di un essere vivente del genitore naturale e di quello che invece si è preso cura e lo ha allevato, facendo intuire allo spettatore l'importanza di entrambi.

giovedì 23 febbraio 2017

Le altre serie tv (Gennaio-Febbraio 2017)

Dopo quasi due mesi dall'ultima puntata, mi sono accorto solo ora che avevo sì parlato di Marte (Mars), la miniserie evento di National Geographic (prodotta da Brian Grazer e Ron Howard), ma riguardante solo i primi tre episodi, ora nonostante il tempo trascorso e poiché una novità è stata annunciata riguardo alla serie, è venuto il momento di parlare della seconda parte della prima stagione e dare un giudizio definitivo. Prima di tutto se volete conoscere davvero tutto quello che c'è da sapere, vi suggerisco di leggere il mio post di metà dicembre, qui, dove spiegavo praticamente tutto di questo grande progetto, un progetto che dal suo debutto ha avuto un successo clamoroso, dato che la prima stagione della serie, che ha unito sceneggiato dramma e gli effetti speciali con sequenze documentaristiche, è stata vista da 36 milioni di telespettatori a livello mondiale lo scorso autunno ed è diventata la serie più vista nella storia della rete. Questo perché la serie è stata indubbiamente una sorpresa, ovvero che sia personalmente che probabilmente come altri, ha davvero spiazzato per la sua spettacolarità, nonché innovativa, insomma convincente e promossa con ottimi voti. Una prima stagione che ha mantenuto alti gli standard, che mai ha vacillato, che mai ha perso smalto, anche se come ovvio la prima parte è risultata diversa dalla seconda, ma solo nei temi, perché la qualità e la messa in scena è stata identica, ossia eccezionale, tanto che spinta dal successo ottenuto, National Geographic ha dato il via libera ad una seconda stagione che però non ha ancora una direzione già impostata, nonostante la conclusione della serie stessa potesse sia pensare ad una continua ma anche la fine. Comunque la prima stagione raccontava di una fittizia missione con equipaggio su Marte ed era ambientata nel (non tanto lontano) 2033, ma dalla 4a puntata qualcosa cambia, dato che il racconto se prima si concentrava sui rischi e i problemi per arrivare e creare una base, ora si concentrava sui problemi e rischi che una colonia fissa poteva avere nella 'colonizzazione' di un pianeta. E infatti, come volevasi dimostrare e senza spoilerare, dopo anni la colonia va in crisi, sia sull'aspetto psicologico, fisico e logistico, facendo vedere come l'essere umano potrebbe vivere in situazioni estreme, e che non tutti riescono a resistere la pressione fisica ma soprattutto psicologica, e come alcuni elementi non solo danneggiano l'ambiente ma ne diventano succubi. Nel frattempo si cerca sulla terra sistemi di protezione o mezzi più sicuri ma ci vorrà tempo. In ogni caso la stagione si chiude con la risposta ad una domanda, c'è vita su Marte? per scoprirlo recuperate la serie (straordinaria e spettacolare) che, è stata (e sarà nuovamente forse) trasmessa su National Geographic Channel in 172 paesi in 43 lingue. In più la prima stagione è disponibile per la vendita in HD digitale e prossimamente lo sarà su DVD, perciò non aspettate o sprecate tempo, ne vale davvero la pena.

mercoledì 22 febbraio 2017

Thriller Week 2: Regression (2015), Good People (2014) & Manhattan Nocturne (2016)

Il genere thriller è uno dei generi cinematografici più in voga da sempre, dato che si possono coinvolgere nella trama più sceneggiature possibili e inimmaginabili, trattando argomenti diversi e convergendo il tutto in una sapiente (ma non sempre) aura di pathos e tensione, ecco perché ne vedo tanti. E così, dopo il Thriller week (Dark Places, The Captive, Reversal) dello scorso mese ripropongo nuovamente tre film a tema, anche se chissà perché credo che mensilmente sarà riproposto. Ma se nello scorso post parlavo di tre film a tinte horror, qui tutti e tre sono diversissimi, anche se come ovvio appartengono tutti alla stessa categoria. Comunque il primo, Regressionfilm del 2015 diretto da Alejandro Amenábar (Agora, Mare Dentro e The Others), è un thriller invero dall'impostazione horror che però diventa dramma psicologico e umano. Il perché è presto detto, Regression infatti è un thriller che mescola atmosfere inquietanti di (reali o presunti) riti satanici e teorie psicanalitiche sull'ipnosi e la regressione attraverso la classica vicenda del detective che si butta a capofitto nel caso e perde di vista la realtà. Siamo negli anni '90, un episodio inquietante, una presunta setta satanica, una ragazza (Angela alias Emma Watson) denuncia il padre di aver abusato di lei e di essere coinvolto in una setta satanica, il padre però non ricorda nulla. Si scatena così, in un paese della provincia americana (dove tutti conoscono tutti, dalla nascita o quasi), la caccia alle streghe da parte della polizia e non solo, un detective difatti (interpretato da Ethan Hawkesi fa coinvolgere emotivamente e psicologicamente in questa brutta storia, ma è lui e solo lui quello che deve trovare il bandolo della matassa e dare una spiegazione razionale a quello che sta accadendo attorno a lui. E man mano che la storia si infittisce, il detective Bruce Kenner (il detective più in gamba del suo dipartimento) si inoltra in una selva oscura e intricata che sembra prendere direzioni soprannaturali. La figura del professore (interpretato da David Thewlis) che affianca Bruce nelle indagini, non aiuta certo a schiarire le idee. Attraverso la pratica della regressione, il professore è infatti convinto che sia possibile riportare a galla i ricordi sepolti che ognuno cerca di nascondere per non doverli affrontare. La suggestione però prende il sopravvento e Bruce sprofonda in un limbo di quasi follia prima di riuscire a risolvere il caso, che si conclude con un plot twist inaspettato, anche se leggermente prevedibile. Il colpo di scena finale infatti ribalta tutta la vicenda, una vicenda che non poteva però avere un altro finale, come molti (compreso me) avrebbero voluto, perché se ancora non l'avevate capito si basa su fatti reali e non inventati come sembrerebbe, anche se qui, come detto precedentemente, il filo che lega realtà e fantasia è quasi impercettibile e neanche tanto efficace.

lunedì 20 febbraio 2017

Il caso Spotlight (2015)

Tratto da una sconcertante storia vera, Il caso Spotlight (Spotlight, 2015) di Thomas McCarthy è un film che rientra a pieno titolo nel cosiddetto 'cinema liberal' americano, impegnato e progressista, intento a mettere in luce scandali nascosti, a scoperchiare vasi di pandora sigillati da mura di omertà insormontabili. E quando una certa idea di giornalismo si incrocia con un certo modo di fare cinema, il risultato è pressoché scontato, ovvero eccezionale. La conferma viene da questa pellicola, superlativa prova autoriale e attoriale. Un eccellente film inchiesta che, candidato a sei Oscar, ne ha portati a casa due, tra cui quello più importante, ossia miglior film, ma anche come miglior sceneggiatura originale, nonostante questo film, co-scritto e diretto da Tom McCarthy (Mr Cobbler e la bottega magica, Mosse vincenti, L'ospite inatteso) è basato su fatti realmente accaduti. Inchiesta che replica e amplifica tematiche trattate nel 1976 da Tutti gli uomini del presidente, dato che il riferimento filmico più immediato è il film di Alan Pakula, date le evidente assonanze narrative tra i due film. Infatti, la storia di entrambi i film nasce e si sviluppa all'interno di una redazione di un giornale, poi li accomuna il fatto che un gruppo di giornalisti si getta anima e corpo su un caso dai chiari risvolti socio-politici, che poi arriva a coinvolgere insospettabili uomini di potere, infine, si racconta di fatti realmente accaduti. Fatti che in questo caso sembrano frutto di fantasia, e invece come spesso accade nel mondo degli umani la realtà supera spesso la fantasia. La pellicola infatti, narra le vicende reali venute a galla dopo l'indagine (tramite un gruppo di giornalisti investigativi conosciuti come "spotlight") del quotidiano The Boston Globe sull'arcivescovo Bernard Francis Law, accusato di aver coperto molti casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie. Indagine che valse il Premio Pulitzer di pubblico servizio al quotidiano nel 2003 e aprì a numerose indagini sui casi di pedofilia all'interno della Chiesa cattolica. Il giornale difatti denunciò questo scandalo dei preti pedofili e la collusione della alte sfere ecclesiastiche, portando letteralmente alla luce un numero molto elevato di abusi di minori. Tutto a fondo e ad ogni costo, nonostante l'oscuramento mediatico dell'attentato alle torri gemelle.

venerdì 17 febbraio 2017

The Exorcist (1a stagione)

Dopo la mediocre e neanche tanto eccezionale prova di Outcast, la Fox è tornata sul tema demoniaco e l'ha fatto rispolverando un classico della cinematografia, The Exorcist di William Friedkin. Un ritorno in grande stile dato che la lotta contro il famigerato demone sumero Pazuzu, che è proseguito senza esclusione di colpi in questa serie, è stata così intensa che secondo me ha fatto personalmente diventare, la serie, uno degli show targati Fox più ipnotici, sorprendenti e, perché no, divertenti degli ultimi anni. Perché The Exorcist, serie televisiva americana del 2016, ideata da Jeremy Slater e trasmessa dal 23 settembre 2016 dall'emittente Fox, rivela fin dal pilot un'ottima direzione tecnica che vede svilupparsi principalmente una scenografie e fotografia da Oscar, le atmosfere fumose e dark e l'utilizzo di una luce fredda quasi asettica danno alla serie la giusta atmosfera da brividi. Anche se quello che manca ed è mancata per buona parte è ed è stata soprattutto una giusta dose di 'terrore', quello vero, poiché nonostante la serie è stata indubbiamente capace di creare tensione, merito principalmente di una regia capace e di una storyline costruita ad hoc, è stata ben lontana dall'essere lo sconvolgente show figlio di uno dei film più spaventosi di tutti i tempi. Colpa probabilmente e ovviamente di una sceneggiatura non originale, anche se l'autore (in una famosa intervista di qualche tempo fa) si dichiarava intenzionato a creare qualcosa di nuovo, di inedito e alternativo, limitarsi a ricalcare la formula del film originario non gli interessava, il suo The Exorcist non avrebbe rappresentato un reboot né un remake, e non avrebbe esaurito le sue potenzialità in seguito a qualche 'classica' scena dedicata a un paio di preti intenti a spruzzare un po' d'acqua santa sulla faccia di una povera ragazzina con le guance sporche di muco. Il rispetto per la pellicola diretta da William Friedkin avrebbe rappresentato una componente importante, certo, eppure la necessità di raccontare una storia completamente nuova, fresca, solida e convincente avrebbe dovuto avere la priorità su tutto. Ed è quello che è successo, perché nonostante non nutrivo grandi aspettative, a proposito di questo particolare progetto, un po' perché il film è uno dei miei classici horror preferiti di sempre, un po' perché la Fox ci ha dimostrato, nell'arco delle ultime cinque o sei stagioni televisive, di riuscire ormai a partorire solo idee trite, concentrati di banalità e sceneggiati iper-commerciali, volgarotti o semplicemente stantii, e anche se in tutta onestà io non posso considerarmi un esperto della saga originale, a tal punto non vorrei mai lanciarmi in chissà quale paragone dettagliatissimo, dico che il risultato è più che soddisfacente.

giovedì 16 febbraio 2017

Prime Visioni Rai ed Altro

Dopo le Prime visioni Mediaset di due settimane fa e nello stesso periodo ed anche più in la di tutti quei film visti (dal 19 gennaio al 3 febbraio), anche la RAI ha mandato in onda tanti film in prima visione, alcuni però li avevo già visti, è il caso di Pazze di me, delirante e un po' assurda commedia con gli attori de I soliti idioti, della sorprendente commedia Smetto quando voglio, che all'epoca della sua uscita spiazzò molti compreso me per la sua esuberanza goliardica che ha portato ultimamente al suo sequel e anche di un film di fantascienza che si presentava come 'il miglior film sui dinosauri dopo Jurassic Park', ovvero The Lost Dinosaurs, ma invece è forse il più brutto di tutti, altri invece riguardanti il Giorno della Memoria che ho visto ma di cui parlerò settimana prossima. Ma poiché i film erano pochini (tre, di cui uno scriverò tra poche righe, quasi come punizione, poiché mi ha deluso e non farà parte né del cartellone né farà testo a fine anno), ho deciso di aggiungergli alcuni, oltre nuovamente ad altri film Mediaset (4), alcuni di Sky, tre, tra cui due docu-film e una miniserie in due parti. Ma andiamo con ordine e parliamo di un film Cop Car, che partiva con i migliori auspici, ma che per forza di cose è risultato sgradevole. Questo perché i film lenti e inesorabili, semplici e spogli, che si soffermano sui dettagli senza una trama avvolgente e privi di una qualsivoglia sostanza filmica (un po' come certi film anni '80) proprio non fanno per me. Eppure questo thriller del 2015 con protagonista Kevin Bacon (l'unico vero motivo di interesse) è stato elogiato da molti critici. Io non che giudico, però vorrei capire cosa c'hanno visto di così speciale, dato che il film racconta di due bambini di dieci anni, che se ne vanno in giro per campi snocciolando soddisfatti un notevole turpiloquio (ma "fanculo no, non si può dire: è troppo grave"), che rappresentano anche il vertice di scrittura dei dialoghi di questo film immondo, che dopo aver scoperto una macchina (apparentemente) abbandonata della polizia in un campo, così per divertimento i due la avviano e se ne vanno a zonzo per le strade assolate degli States. Quello che non sanno è che lo sceriffo (Bacon) l'aveva inopportunamente lasciata nel posto sbagliato per ultimare un lavoro sporco (che nasconde nel bagagliaio), perciò si mette sulle loro tracce con lo scopo di recuperare la vettura che gli è stata sottratta, ritrovandosi al centro di un pericoloso gioco del gatto col topo. Non male messo così, ma il problema non è la trama e neanche l'ambientazione o i temi, quanto il film stesso, senza nessuna spiegazione (nessun flashback) del motivo per cui due individui sono nel bagaglio dello sceriffo, ipoteticamente per droga o forse Hanno ucciso l'uomo Ragno, i ragazzini poi sono così ingenui e fessi da restare di stucco. Infine, proprio la fine ambigua (la fuga continua), aggiunto al fatto che il film è montato malissimo da la mazzata finale alla pellicola che vorrebbe essere un racconto di formazione in salsa splatter ma riesce soltanto a proporsi come un ridicolo thriller pasticciatissimo, privo di invenzioni e recitato da cani. Avranno visto un altro film quindi, chissà ma non importa, ormai è fatta. Meglio andare avanti.

martedì 14 febbraio 2017

Carol & Freeheld (2015)

Oggi vi parlerò di due film che hanno in comune soltanto il tema predominante, l'amore, in tutte le sue forme, e non importa che sia saffico o meno, perché per quanto riguarda l'aspetto registico ed emotivo la differenza è abbastanza evidente. Uno segue l'aspetto interiore del sentimento in modo delicato e garbato, l'altro quello esteriore ma in modo più rude e crudele, che affiancandosi a questioni civili e malattia, rendono il film soprattutto più interessante e meno patinato ma più coinvolgente. Ma andiamo con ordine: Carol, film del 2015 diretto da Todd Haynes, a sua volta prodotto da una sceneggiatura di Phyllis Nagy basata sul romanzo The Price of Salt della scrittrice americana Patricia Highsmith, è un elegante e raffinato film romantico, un tiepido romance tra donne di diversa estrazione sociale nella New York degli anni '50. Un film affascinante e aggraziato come l'accurata ed elegante ricostruzione d'epoca, ma la storia d'amore soffoca sotto la ricercatezza formale. Il film infatti, ambientato nella New York del 1952 (e interpretato da un cast femminile eccezionale, Cate Blanchett, Rooney Mara, Sarah Paulson), che segue la storia di una giovane aspirante fotografa, Therese Belivet, e il suo rapporto con un'incantevole donna, Carol Aird, alle prese con un difficile divorzio, è leggermente noioso e abbastanza superficiale. Questo perché, a dispetto di una confezione in verità assai curata e ricercata, che certo non manca di eleganza e senso dell'inquadratura, non emoziona più di tanto e non coinvolge granché. Nell'incontro tra la ricca e sofisticata Carol e la giovane commessa Therese si percepiscono a fatica lo stupore, la curiosità, il turbamento che si provano quando ci si trova di fronte a una persona che appare diversa dalle altre, prima ancora di capire il perché. O meglio, si seguono razionalmente i passaggi logici ma non si avvertono sotto pelle, forse perché tutto è fin troppo chiaramente pianificato dall'inizio, troppo velocemente dobbiamo intuire che qualcosa succederà tra le due protagoniste, troppo facilmente convergono l'una verso l'altra appena conosciutesi, così come eccezionalmente subitanei sono gli sguardi concupiscenti di Carol verso Therese (sguardi in verità attraversati da lampi quasi diabolici, coi quali Cate Blanchett cerca di compensare l'accademica compostezza delle scene, con effetto finale forse un po' distorto). In parte la velocità di crociera è giustificata dal fatto che Carol è una donna già consapevole della propria natura sentimentale mentre Therese si trova per la prima volta così colpita da un'altra donna, ma il ruolo trascinante della prima non impedisce di soffrire la mancanza di tutti quei momenti iniziali di distanza, noncuranza e involontarietà che pure nella realtà sono basilari elementi nella costruzione di relazioni anche importanti e che in una sceneggiatura concedono il tempo necessario agli spettatori per conoscere i personaggi e potersi interessare a loro.

lunedì 13 febbraio 2017

Canzoni di 'tendenza' (Novembre-Febbraio 2017)

Vuoi per il poco tempo, vuoi per tanti motivi (che non serve a spiegare), la mia classica rubrica musicale in questi quattro mesi dall'ultimo post (che trovate qui) era stata momentaneamente abbandonata, ma dopo una lunga attesa e le vacanze natalizie addobbate dalle canzoni dei Chipmunks, finalmente la mia rubrica 'Canzoni' di tendenza è tornata, e sicuramente continuerà per tutto l'anno. Rubrica che ovviamente rimarrà invariata nello stile e nelle caratteristiche, anche se per questo mese ho deciso di cominciare dalla canzone meno di 'tendenza' o più semplicemente ascoltata da me e trasmessa in radio a quella più In. Classifica, lista, che siccome viene pubblicata in concomitanza con la conclusione del Festival di Sanremo, non vede tra tutte proprio quelle lì, al momento troppo fresche e poco conosciute da entrare in questa rubrica, anche se una, per qualcuno che non sono io, è già un tormentone (a proposito, questo post cominciato settimana scorsa vedeva già inserita l'immagine a destra, per cui non c'entra con Sanremo e il vincitore, anche se incredibilmente sembra fatta apposta, è però in verità solo un caso). Ma non perdiamoci in chiacchiere (anche se il loro tempo di mangiarle è arrivato) e scopriamo quali sono le canzoni che ultimamente mi hanno colpito di più.

Cominciamo da una canzone che da quando è stata associata ad una nota marca delle tele-comunicazioni sta leggermente rompendo le scatole, ma poiché è davvero molto bella e ovviamente famosa oramai, mi sembra giusta metterla

Lei è una delle cantanti più famose al mondo (ospite dell'ultimo Superbowl), e nonostante la sua non proprio eccezionale vena filmica-televisiva sembra portarla ad un altro mondo dorato, le sue canzoni compresa questa sono la dimostrazione che lei ci sa davvero fare con la musica

venerdì 10 febbraio 2017

Perfetti sconosciuti (2016)

Ho atteso forse troppo per vedere Perfetti sconosciuti, commedia italiana del 2016 diretta da Paolo Genovese, film tanto elogiato, e anche premiato, ma meglio tardi che mai. Ed è solo grazie a Sky che nonostante ultimamente nutro qualche dubbio sui film italiani, ho visto questo film, poiché a parte rare eccezioni non sempre mi sorprendono in positivo, le tante commedie italiane, ma in questo caso è diverso perché qui siamo di fronte a una dramedy/teatrale interessante e sicuramente riuscita, anche se devo ammettere che qui siamo ugualmente di fronte alla solita comedy/drama italiana di oggi. Dato che l'idea anche se buona, non è proprio originalissima, negli ultimi anni infatti le cene fra amici sono diventate il nuovo topos della commedia italiana e francese (Cena tra Amici, Il nome del Figlio ed altri), un modo per rappresentare l'intimità più che l'azione, e dare la possibilità ai personaggi (chiusi in una sorta di unità di tempo e di luogo) di battagliare dialetticamente fra di loro. Ma poiché tutto si svolge in maniera brillante ed azzeccata, ed erano anni che non vedevo un film (italiano) così, tutto azzeccato, idea, sceneggiatura, interpretazione, mi ha davvero sorpreso, anche se alla fine della visione non posso fare a meno di avere quella rabbia per alcune piccole (o grandi) cose che non mi sono piaciute e che fanno di questo film di Genovese un prodotto riuscito sì ma non fino in fondo. Di sicuro però, questo è un film che ha il suo senso, girato bene, montato meglio e interpretato ancor meglio. Un film, una "cena delle beffe" che guarda all'attualità e vanta una scrittura precisa, disincantata e comica al punto giusto. Paolo Genovese infatti, dirige una commedia sull'amicizia, sull'amore e sul tradimento, che porterà quattro coppie di amici a confrontarsi e a scoprire di essere 'perfetti sconosciuti' (come da titolo). Difatti durante una cena, un gruppo di amici decide di fare una specie di gioco della verità mettendo i loro cellulari sul tavolo, e per la durata della cena, messaggi e telefonate sono condivisi tra loro, mettendo a conoscenza l'un l'altro dei propri segreti più profondi. E qui il film prende il volo, ognuno ha qualche segreto più o meno importante da nascondere o forse, da rivelare.

giovedì 9 febbraio 2017

The Walking Dead (7a stagione) [Prima parte]

In attesa di vedere cosa, come e soprattutto se i nostri eroi riusciranno nel tentativo di vendicarsi dall'assalto morale e mortale di Negan, il nuovo villain (che presumibilmente farà la stessa fine degli altri, almeno me lo auguro, anche se non sarebbe male se finisse tutto con lui), che vedremo a partire da lunedì 13 febbraio, facciamo un passo indietro e tiriamo le somme della mid-season finale e dell'intera prima parte della settima stagione di The Walking Dead, sarà stata promossa, bocciata o rimandata? Ma prima di sapere, facciamo un altro grande passo indietro per scoprire qualcosa in più di quello che già avevo detto all'epoca del mio post sulla seconda parte della sesta stagione (qui). Innanzitutto sappiamo tutti come si è conclusa la scorsa stagione, con quel poco gradito cliffhanger in soggettiva con la cinepresa che diventava rossa di sangue e ciao ciao tanti saluti al prossimo anno, sappiamo anche per colpa della FOX, che involontariamente o volontariamente chissà, ha spoilerato un po' tutto sulla prima, questa parte, della settima stagione (soprattutto per chi come me non ha visto in contemporanea la serie, ma solo dopo tutte le 8 puntate, e la cosa ovviamente mi ha infastidito parecchio), dove vediamo chi è, anzi, chi sono i due che sono finiti nelle 'grazie' di Lucille, la nostra nuova beniamina. Comunque nel corso della seconda parte della sesta stagione si era avuta la sensazione che ciò che interessava davvero a questa serie fosse diventato sorprendere gli spettatori, prenderli in giro, che l'obiettivo fosse spiazzarli di continuo e non di raccontare una storia (basandosi totalmente su l'unica caratteristica, la morte) nonostante appunto qualcosa era cambiato, anche se in modo leggermente forzato. Insomma la produzione, probabilmente, aveva perso un po' la strada maestra, eppure, ripartendo col piede giusto per la settima stagione, che si preannunciava molto più movimentata rispetto a quelle passate, si poteva ancora tentare di raddrizzare il tiro, se il gran ritorno della serie fosse stato gestito bene. Non gestire bene il gran ritorno della serie avrebbe significato realizzare un intero episodio su Negan che trolla Rick e tortura i suoi amici a bastonate, non gestire bene il gran ritorno della serie avrebbe voluto dire rivelare chi Negan avesse effettivamente ucciso a 15-20 minuti dall'inizio dell'episodio, attraverso vari flashback, e invece è proprio quello che hanno fatto.

mercoledì 8 febbraio 2017

Risorto & The Young Messiah (2016)

Durante le scorse feste natalizie Sky ha pensato bene di mandare in onda due film sulla vita e uno sulla sua vita dopo la morte di Gesù, ma siccome non mi sembrava il caso di vederli a Natale, ho deciso di posticiparli, ed ecco che a poche settimane dal Carnevale li ho finalmente recuperati. Ebbene nonostante qualche perplessità, soprattutto per il secondo, ritengo che siano due discreti film biblici (anche se in questo caso il primo è decisamente superiore in tutto), film che anche se potrebbero sembrare di semplice propaganda, proprio non lo sono. Certo, la fede qui è un tema che viene spesso citato e messo in risalto, ma poiché alcuni elementi sono anche innovativi, anche se non sempre, qualcosa di buono oltre ad essere dei semplici film biblici c'è. E si trova non tanto nelle trame, abbastanza conosciute, quanto nello stile e il cambiamento di certi parametri. Partendo da Risorto (Risen), film del 2016 diretto da Kevin Reynolds, che ispirandosi al Nuovo Testamento, narra gli eventi, la storia biblica ed epica della resurrezione di Cristo, dall'altro lato della barricata, ossia dal punto di vista di un soldato romano, che a seguito della crocifissione e morte di Gesù Cristo, vengono (insieme al suo aiutante Lucio) istruiti da Ponzio Pilato per assicurarsi che i seguaci radicali di Gesù non rubino il suo corpo e in seguito dichiarino la sua risurrezione. Ma il cadavere sparisce e Clavio avvia un'indagine che mette progressivamente in dubbio le sue certezze di scettico e si fa ad un certo punto ricerca di altro genere, interrogativo che gli cambia la vita. Risorto, è una pellicola interessante sotto alcuni aspetti, dato che la prima parte fa pensare molto a L'inchiesta del 1986 (Damiano Damiani) e della successiva versione televisiva di Giulio Base del 2006con un Joseph Fiennes sfregiato nel labbro inferiore che interroga, anche con durezza, i credenti e le guardie al sepolcro con il classico scetticismo dei romani, accanto all'ex-Draco Malfoy Tom Felton. Insomma, in attesa di "La Resurrezione" di Mel Gibson, la versione di Kevin Reynolds è di fatto un remake di quel film. Poi però, dopo una prima parte eccezionale (nonostante alcune inevitabili suggestioni da "gladiatore"), dove sembra quasi di assistere ad un "giallo" (il tono da indagine difatti regge piuttosto bene), con l'indagine appunto di Clavio volta a raccogliere gli indizi utili alla 'causa', c'è il colpo di scena che trasforma il tutto in una fiction religiosa come tante, cambiando troppo radicalmente, tanto che nel secondo tempo in effetti ci sono alcuni segni di fiacca e di minor convinzione. Certo, bisogna uscire dall'impasse del post mortem, l'idea del tribuno che riesce ad agganciare tramite la Maddalena il gruppo degli apostoli, e che progressivamente si interroga fino ad ammettere di non essere più lo stesso uomo, il suo cammino di crisi, sulla carta sarebbe onesta e interessante ma la realizzazione è a singhiozzo e i contatti con il resuscitato Jeshua (anche più volte chiamato il figlio di Javhè, Geova, cosa che difatti assolve il film da essere propagandistico, poiché cosa mai riconosciuta dalla Chiesa) poco convincenti.

lunedì 6 febbraio 2017

The Hateful Eight (2015)

Il fattore più sorprendente del cinema di Quentin Tarantino è la sua capacità di mettere in scena, con estrema e ammirabile originalità, delle tipologie di trame sostanzialmente vecchie e ormai standardizzate in 120 anni di vita della settima arte. La vicenda che ci presenta in questo suo ottavo lungometraggio, intitolato The Hateful Eight (2015, visto in anteprima su Sky grazie ad Extra ma andrà comunque in onda stasera 6 febbraio 2017 su Sky Cinema Uno e sul canale speciale Hits dedicato a Tarantino) è difatti un retaggio e un mescolamento di strutture narrative e archetipi che già sono stati portati sul grande schermo in passato da altri registi, niente di così nuovo e sensazionale quindi se analizziamo la grammatica del film o se studiamo le strutture soggiacenti che ne plasmano la forma e danno vita ai contenuti. Ma questo suo ispirarsi a altre pellicole va oltre la citazione (e l'autocitazione) fine a se stessa, Tarantino infatti sa bene come utilizzare il cinema che più ama, sa rimescolare tra loro le varie situazioni e le singole trame, sfornando sempre un prodotto nuovo e dall'aspetto accattivante. Lo aveva fatto in passato e lo ha fatto ancora adesso in questo splendido western che va di diritto a collocarsi tra le più belle pellicole che abbia mai girato, anche se non a livello degli altri suoi capolavori. E nel giocare a mescolare tra loro i vari ingredienti, Tarantino riesce così a generare una creatura del tutto particolare, a fondare addirittura un nuovo genere, essa si traveste da Western, ma di quel preciso cinema non porta che l'estetica ed i suoni, la musica del maestro Ennio Morricone (vincitore per di un Premio Oscar più che meritato) e qualche riferimento storico piazzato accuratamente nei momenti opportuni. La storia degli 8 protagonisti è un thriller in tutto e per tutto, che prende forma sequenza dopo sequenza fino a palesarsi come tale una volta che la vicenda giunge ad una precisa maturazione e tocca le vette più alte di pathos. Il film si apre benissimo con un lungo piano sequenza accompagnato dalla superba colonna sonora di Morricone, che fa già presagire le atmosfere horror\thriller che ci aspettano. Poi si prosegue con una serie di dialoghi, forse un po' prolissi (che capisco possano stancare un po'), tra i primi quattro protagonisti, durante i quali vengono chiariti fatti e relazioni che diverranno poi essenziali per il resto del film. Finalmente si arriva al vero cuore pulsante del film, l'emporio di Minnie (probabilmente un nome "disneyano" non a caso), in cui si svolgerà tutto il resto del film, dove un cacciatore di taglie sta portando la sua prigioniera a Red Rock per consegnarla alla giustizia ma dove all'interno della locanda stessa trova degli strani individui e sente lo strano sentore che nessuno è chi dice di essere, e da qui in poi sarà paranoia e suspense costante, fino allo scoppiettante e violentissimo finale che ci ripaga della lunga attesa (per la cronaca è persino più violento di quanto prevedessi, e più "divertente", sono sicuro che Tarantino era euforico mentre lo girava).

venerdì 3 febbraio 2017

American Horror Story: Roanoke (6a stagione)

Partendo dal presupposto che la sesta stagione di American Horror Story mi sia moderatamente piaciuta devo subito dire due parole in negativo, ma che casino è questo? Perché se da un lato l'idea è originale e anche azzeccata, dall'altra, ancora una volta la serie perde il suo mordente, la sua parte più horror, poiché a parte La Macellaia ed alcuni rari sussulti, la serie, intitolata Roanoke, non mi ha per niente impressionato, impaurito o spiazzato più di tanto, anzi, se non fosse per l'idea seppur geniale di dividere la serie in tre parti cambiando totalmente registro, non avrei neanche resistito a vedere la puntata numero due e tutte le altre, e invece ho continuato e ho visto, ho visto soprattutto come da un idea geniale non è sempre certo che esca qualcosa di buono, anche se funzionale. Difatti la sesta stagione di American Horror Story si è fortemente distinta dalle altre stagioni della serie antologica creata da Ryan Murphy con Brad Falchuk, ma purtroppo non proprio in positivo, ovviamente personalmente parlando, poiché non tutto ha funzionato secondo me, anche se resta il fatto che la serie ha dalla sua, la sua lampante unicità, mai nessuno aveva pensato ad una cosa del genere eppure quel geniaccio di Murphy l'ha fatto, ed ha comunque realizzato una discreta stagione ma sotto molti aspetti deludente. Prima di tutto regna una confusione allucinante, all'inizio è un po' strano e difficile da capire, poi quando qualcosa riesci a capire ecco che la sesta puntata rimescola le carte e definitivamente ti perdi, fino ad arrivare alle ultime incredibili puntate, come quando sembra di assistere al processo contro O.J. Simpsons, dello stesso regista come è risaputo, oppure ad programma su Dmax. Insomma qualcosa di straniante e strambo, pure modestamente noioso, anche se nuovo, innovativo, unico e geniale. E' questo il problema che ho riscontrato e che mi lascia più di un dubbio, perché è mezzo capolavoro mezzo disastro, praticamente agli antipodi, e come ho letto tempo fa in un blog (quello della Bionic Girl), viaggia costantemente tra disgusto e genialità, che decidere da che parte tendere diventa un'impresa. E quindi, è stata per me (e/o per tutti) una lieve delusione, o un mezzo successo? Per scoprirlo continuate a leggere.

giovedì 2 febbraio 2017

Gli altri film del mese (Gennaio 2017)

Gennaio è stato un mese abbastanza turbolento, non solo per quanto riguarda il blog e i post spostati, rinviati e quelli che all'inizio dell'anno hanno affollato le pubblicazioni settimanali, ma anche personalmente e quotidianamente parlando, con alcuni problemi immobiliari sistemati ma ancora in pieno sviluppo, altri di salute momentaneamente alle spalle e poi i tanti problemi d'attualità, neve, terremoti, valanghe, attentati e per finire pure Trump. Insomma un macello di cose, che in ogni caso non hanno rallentato le visioni filmiche, anzi, sono addirittura aumentate, tanto che oltre ai 9 film visti su Sky, ho avuto anche il tempo di vedere (sempre su Sky ovviamente) la saga, che si compone per adesso di una 'duologia' che sicuramente diverrà trilogia e forse più, dato che il finale del secondo (come già si vedeva nel primo) lo lascia intendere chiaramente, per ragazzi intitolata V8, sì come i motori, perché V8: Si accendono i motori (2013) e il suo sequel (più o meno identico anche nella narrazione) V8: La sfida dei Nitro (2015), parlano infatti di un gruppo di ragazzini, coetanei con la passione per i motori che formano un team per gareggiare in un circuito cittadino misterioso con i loro go-cart (un po' come il manga Capeta). Cosa che mi aveva incuriosito, come anche il fatto che il regista tedesco Joachim Masannek (specializzato in film per ragazzi, genere molto apprezzato in Germania) era lo stesso della mirabolante straordinaria saga de La tribù del pallone (datata 2005-2009 con 5 film), la migliore del genere ragazzi mai vista, stupenda. Purtroppo però non al loro livello, difatti nonostante il regista sia stato capace di equilibrare il versante fantastico con il realismo, dato che molti campioni automobilistici si sono veramente formati sui go-kart e per una volta le descrizioni delle rispettive famiglie non più tanto stereotipate, tanto non convince, soprattutto la scelta di dare solo 10 minuti a entrambi i film per vederli correre (l'unica comunque cosa bella). In più i dialoghi e le situazioni improbabili e assurde, anche se in linea con il genere, sono davvero troppo insensate, insensata come la scelta di doppiare le canzoni (bruttissime davvero), bastavano i sottotitoli. Comunque in definitiva sono due film che a molti bambini-ragazzi potrebbero piacere, anche se decisamente migliore è il primo, il secondo è troppo surreale, ma entrambi addirittura meglio di certi altri film. Ma veniamo a noi e vediamo i film visti in questo strambo mese di Gennaio.