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mercoledì 6 dicembre 2017

Tutti gli altri film visti durante il 2017: Horror (Tag, Wolf Creek, The Visit & Cub: piccole prede)

Nonostante un mio piccolo rallentamento nel vedere tantissimi film, anche questo 2017 è stato un anno pieno zeppo di film da me visti, così tanto che prima di quasi congedarmi e darmi perciò la possibilità di stilare le immancabili classifiche finali (in cui torneranno i Saba Awards), ho deciso di chiudere la mia stagione cinematografica con tutti quei film (differenziati per generi) che durante l'anno (ma più precisamente degli ultimi quattro mesi) ho visto e di cui una recensione singola era difficile (per mancanza di tempo e spazio) da programmare o pubblicare. Ecco quindi la mia idea, una piccola rassegna che in 10 puntate più 1 di bonus per le serie tv, che da oggi vi accompagneranno fino quasi a Natale. E ho deciso di cominciare da uno dei generi miei preferiti, l'horror, che quest'anno sembra essersi finalmente svegliato, con alcune sorprese e alcune novità (una la troverete anche qui), dal torpore degli ultimi tempi, almeno personalmente è stato così, seppur in alcuni casi certi altri film hanno comunque deluso. Ma ce n'è uno (di cui non vi ho parlato, anche per rispetto al genere) che mi ha fatto davvero schifo (che forse non avrei voluto e dovuto vederlo), perché la denuncia contro la violenza che questo film vorrebbe probabilmente fare è più violenta di ciò che voleva forse denunciare, si tratta infatti di un film (con rispetto a chi invece l'ha trovato eccezionale) osceno, orribile, malsano e ripugnante, in più non fa paura e le scene splatter e non, sono da manicomio. Alcuni avranno già capito, perché sì purtroppo mi è capitato per caso di vedere A Serbian Film e sono rimasto scioccato. Non per le scene crude, brutali e violente, quanto per l'inutilità di un film "malato" che a discapito del tema (perché se è vero che "bisogna sentire la violenza per capirla" come dice il regista, è anche vero che non bisogna mai scadere nella bestialità), ha solo infastidito, innervosito e indignato (praticamente una m**da). Al contrario questi sufficienti e più, 4 film qui ivi da presentarsi, sono contento di aver visto, e quindi eccoli qui, nel primo post della rassegna Tutti gli altri film visti durante il 2017.
Oggetto abbastanza strano è Tag, film horror del 2015 del regista Sion Sono, che ho finalmente recuperato. Verrebbe da dire "da maneggiare con molta cura" perché la narrazione (fuori da ogni schema logico) è tutto fuorché lineare, anzi, procede più per accumulo di situazione che deflagrano in momenti di violenza grottesca e surreale. D'altronde "La vita è surreale" sembra dire il regista ad una delle studentesse comprimarie, e in questa frase si rispecchia al meglio il senso di quest'opera. Un opera che si apre con una scena ormai diventata famosissima sul web e virale, quella del bus fatto a metà dal vento. L'unica a sopravvivere è la nostra protagonista per essersi abbassata a raccogliere una matita o penna ed è ottima per rendere confuso quanto basta lo spettatore, ma è soltanto l'inizio. Tutto il film da quel momento sarà infatti un susseguirsi di realtà parallele dove non ci capiremo nulla, sarà impossibile seguire il flusso narrativo sempre più estenuante e allo stesso tempo affascinante. Affascinante poiché il regista (che ho conosciuto adesso grazie a questo film) si concentra maggiormente nel mondo femminile, destinato in tutto il film a combattere per la propria identità e sopravvivenza da un contesto sociale fortemente maschilista. Lolite, oggetti sessuali ed impalmate al matrimonio dal maschio con faccia da maiale. Si assiste ad un medesimo destino tragico per l'eroina di turno, qualunque volto abbia. Giacché questo è un film che ibrida horror e fantastico alternando terrore e sentimento, splatter e malinconia in un racconto ad alto impatto emozionale capace di sorprendere sempre nei suoi numerosi colpi di scena, slegati appunto da qualsiasi vincolo narrativo ma in grado di esplodere con una follia liberatoria in grado di spaziare tra i generi con magistrale equilibrio. Un film in cui la regia è impeccabile, dove le riprese dall'alto sono tanto inutili quanto incredibili, dove la scelta dei colori è sempre azzeccata e dove qualche bel piano sequenza è fantastico. Gli effettacci splatter sono ovviamente voluti ed ormai onnipresenti in questi film, però una volta fatta l'abitudine non ci si pone nemmeno più domande. Dopotutto malgrado la struttura piuttosto caotica, non mi è dispiaciuto affatto questo pazzo film. Un film certamente non per tutti i palati, ma in grado di elevarsi nello spesso abusato copia/incolla di genere. Perché questo film, che mi ha fottuto il cervello, che mi ha divertito, confuso, ed emozionato, è davvero bello e imperdibile. Voto: 7
Sapevo già del sequel e anche del terzo capitolo in uscita quest'anno, ma non avevo ancora visto il primo, e così che finalmente ho visto Wolf Creek, film horror (ma solo in parte) del 2005 diretto da Greg McLean. Il film infatti, basato su una storia realmente avvenuta e qui ovviamente romanzata, non è proprio un film interamente e specificamente horror o soprattutto slasher, ma più un discreto psycho-thriller made in Australia che inizia come un road movie dalle ambientazioni mozzafiato per poi precipitare nell'inquietante messa in scena di un massacro annunciato, rielaborando in modo non troppo originale (ma neanche disprezzabile) la materia prima di quel filone horror che da 'Non aprite quella porta' conta una serie indefinita di mediocri epigoni e storielle più o meno riuscite. Sebbene dichiaratamente ispirato ad un fatto reale la narrazione è sostenuta da una scelta convenzionale nella progressione della tensione drammatica ma sviluppando un interessante binomio nel definire il rapporto tra l'ambiente (campi lunghi e lunghissimi dal suggestivo respiro paesaggistico) ed i personaggi seguiti quasi in presa diretta tramite l'uso insistito della camera a mano. Ne riesce un convincente senso di spaesamento in un ambiente selvaggio e desolato, ancorché di struggente bellezza, che acuisce il senso di impotenza dei foresti in balia delle sadiche perversioni dello psicotico autoctono di turno. Il ricorso all'uso dello splatter non appare eccessivo (né tantomeno fuori luogo in un film di genere) nell'economia di una storia che basa sul dinamismo (più che sull'introspezione o sulle caratterizzazioni psicologiche) l'aspetto qualificante del processo narrativo. Un po' meno convincente appare invece il modo frettoloso di risolvere il concitato finale cadendo nell'abusato cliché delle usuali inverosimiglianze da 'caccia all'uomo' (tra cui la costante stupidità dei personaggi, tale da indurre lo spettatore a "tifare" per l'assassino) o ricapitolando il senso della vicenda tragica (e reale) attraverso le immagini filmate dai malcapitati ospiti del folle omicida, un esempio banalizzante di film nel film. Anche se sono proprio la semplicità, la linearità della sceneggiatura, la proposta di immagini immediate al limite della banalità e del già visto nella realtà, i caratteri spontanei come le battute e la recitazione ordinaria, gli elementi vincenti di questo film, un road movie a tinte horror che riesce quantomeno a turbare lo spettatore. Discreto in questo senso la performance del cast, tra cui spicca John Jarratt (il 'buon' Mick che è già diventato un personaggio cult), bravo a donare (non andando mai sopra le righe) un certo realismo al suo personaggio. Un bravo anche al regista che, con luce, colore ed ambientazione di gran livello, riesce discretamente a metterci davanti ad una finestra quasi reale, aperta sulla realtà quotidiana di banalità, violenza, impotenza e vigliaccheria. Per questo nel complesso è guardabile e non delude, ma a condizione di non aspettarsi chissà che. Poiché anche se ci sono momenti interessanti, esso non è riuscito benissimo a sorprendermi (anche se come detto ho apprezzato alcune scelte non stereotipate). In ogni caso senza infamia, senza lode, tale da meritarsi una sufficienza piena. Voto: 6+
Non perde il gusto per il finale a sorpresa il buon M. Night Shyamalan, regista controverso, spesso criticato (a mio parere non sempre con ragione, anche se giustamente per i mediocri L'ultimo dominatore dell'aria e After Earth), bistrattato dai più, ma ancora una volta capace di reinventarsi e sorprendere. Giacché in The Visit, film horror del 2015, scritto e diretto dal regista di origini indiane, sperimenta applicandosi con coraggio in un classico dei tempi moderni, la ripresa diretta e poi rimontata come fosse un documentario (mockumentary). Perché anche se The Visit è difatti il classico POV, esso è dotato di una certa eleganza formale e di altro in più. Il film è infatti un found footage capace di discostarsi dal solito subdolo guazzabuglio da mal di testa. Dato che la storia semplice e neppure molto originale di due ragazzini che passano una settimana in compagnia dei nonni che non hanno mai conosciuto e dove, in un primo momento la convivenza pare idilliaca ma col passare dei giorni i nonni iniziano a comportarsi in modo strano, è ben raccontata, girata e con una notevole dose di maestria (si, malgrado si tratti di un found footage) ricorrendo ad inquadrature ricercate piuttosto che ad abili movimenti di macchina che catturano l'attenzione dello spettatore e ne aumentano notevolmente il coinvolgimento. Shyamalan infatti, anche confezionando un film più inquietante che un horror puro, dosando un crescendo di angoscia molto efficace attraverso i comportamenti leggermente bizzarri dei nonni durante il giorno, decisamente sopra le righe dopo il tramonto e con improvvise esplosioni (come la bella ed angosciante sequenza dell'inseguimento sotto la casa), riesce nel suo intento di coinvolgere e farsi apprezzare. E lo fa giocando molto anche con le aspettative dello spettatore a volta assecondandole, altre disattendendole completamente. La rivelazione, un elemento cardine del suo cinema dai tempi del bellissimo Sesto senso (il suo miglior film), seppur di una banalità sconcertante, è ugualmente efficace proprio perché nella sua ovvietà non ci si pensa e come conseguenza porta all'ultima parte in cui, con i giochi ormai svelati la tensione è più palpabile. Anche perché la location, desolata e spoglia, accresce il senso di inquietudine nello spettatore e in particolare i due adulti sono davvero inquietanti. In tal senso ottima la prova di Deanna Dunagan, nonna poco affettuosa tra l'inquietante e il grottesco, vero fulcro di quella che è in fin dei conti una moderna fiaba tenebrosa. Una fiaba comunque non esente da difetti, in primis non ho apprezzato per niente il personaggio della madre dei ragazzi (interpretata da Kathryn Hahn, vista in parecchi film tra cui ultimamente Captain Fantastic), improbabile e svalvolato, in secondo luogo in merito al rap nei titoli di coda, preferisco far finta che non sia mai esistito (solo una domanda: era davvero necessario?). Nel complesso però le atmosfere del film e alcune scene sono davvero suggestive da meritare una visione. Poiché in definitiva mi sono divertito, la visione mi ha soddisfatto, i personaggi mi sono piaciuti (anche l'irritante bambino) e Shyalaman, dopo gli esiti disastrosi delle sue ultime pellicole, conferma di avere talento (peccato che spesso sia prigioniero di se stesso). Certo, che se poi ci si sofferma sulla sceneggiatura è tutto molto ma molto forzato e irrealistico, ma pazienza, dopotutto si tratta di un ibrido, questo, a due telecamere molto ben fatto e di livello. Voto: 6,5
Piacevole film belga a basso costo diretto da Jonas Govaerts è Cub: Piccole prede (Welp), film del 2014 che, si rifà ai vecchi slasher anni '80 per dare vita ad un prodotto godibile che non brilla per originalità ma che riesce ad intrattenere a dovere. Cub infatti, che lavora con intelligenza e con un certo gusto cinefilo con il poco, pochissimo che ha, è pieno di richiami e riferimenti ai vecchi classici del sottogenere, dall'ambientazione fino ad arrivare alla colonna sonora, incalzante e sottilmente inquietante come tutte quelle di quel periodo d'oro per il filone slasher. D'altronde questo film dell'esordiente regista belga è quello che si chiama horror derivativo, giacché non c'è una sequenza che non rappresenti in qualche modo almeno un'eco lontana di certo cinema. Questa formula nostalgia ad essere sincero funziona e anche tanto, sembra davvero di vedere un prodotto di 30 anni fa, un'operazione dunque tutto sommato positiva, ma che non raggiunge i livelli di altri ottimi prodotti. Anche perché la trama, pur essendo sempre efficace a creare tensione, rimanere isolati in un bosco in compagnia di una creatura assetata di sangue credo sia una paura comune a tutti (figuriamoci per un gruppo di boy-scout), non è certo delle più originali. Anche se, nei poco più di 80' minuti il regista gioca continuamente e discretamente bene con lo spettatore. Dapprima lavorando bene sulle ambientazioni spettrali e su inquietanti personaggi di contorno, poi concentrandosi sul gruppuscolo di scout, giovanissimi e spaventati dai racconti gotici che, alla luce di un piccolo fuoco, le loro tre guide imbastiscono, un po' per scherzarci su, un po' per mettere alla prova i ragazzini e per saggiarne il coraggio. Poi le cose si complicano e, per un crudele scherzo del destino, le fantasie diventano cruda realtà. Come detto però, Govaerts nonostante mantenga ritmo e tensione per più di metà film, combinando tanti generi e sottogeneri diversi (gotico, gore, splatter e horror classico) e nonostante se la giochi bene dal punto di vista narrativo con una moltiplicazione dei punti di vista delle vittime che disorienta il pubblico e rende ancora più efficace e vera la paura, soprattutto dimostrando di possedere un bello stile e il dono della sintesi (85 minuti per un horror come per qualsiasi altro film sono una manna dal cielo), non tutto va come dovrebbe andare. Il film infatti possiede i pregi ma anche i difetti dei film made in "eighties", e fra questi è possibile citare, trama scontatissima, personaggi poco caratterizzati che non conoscono la logica e tante situazioni telefonate o poco credibili. Per non parlare del finale (frettoloso e poco convincente), alla resa dei conti infatti, con lo svelamento del "mostro" e dei possibili moventi, il film mostri tutta la propria fragilità in termini di logica narrativa. Senza dimenticare un villain di basso profilo (Jan Hammenecker), banale e che non ha minimamente il carisma dei colleghi del passato, aspetto negativo pesantissimo per uno slasher. Tuttavia, nonostante tutto ciò, tra cui come già detto, alcune lacune di originalità e di caratterizzazione dei personaggi che ne limitano la riuscita complessiva, Cub è comunque un discreto titolo di genere, ottimo per passare una serata di piacevole intrattenimento vecchio stile. Poiché la sufficienza insomma è meritata. Voto: 6

11 commenti:

  1. Di Cub, piccole prede, ho sentito parlare benissimo, ma mi fido più del tuo parere :P

    Wolf Creek: mi pare di averlo visto, ma non ricordo. A questo punto ho il dubbio di avere visto qualche scena qua e là (scene splatter?).

    Tag? Ho visto ora la scena dell'autobus, rischiavo di spanzarmi qui al lavoro per terra e di essere preso da un crisi di risate. Maro' che delirio XD

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    1. A me ha ricordato quando agiscono i guerrieri di Nanto in Ken il Guerriero :D

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    2. No quella è poesia :D, però è vero, l'effetto 'vento' assomiglia :D

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    3. Di Cub ne avevo sentito parlare bene anch'io, ecco perché l'ho visto.
      In Wolf Creek scene splatter son poche a dir la verità, però potrebbe essere.
      E in Tag quello è solo l'inizio, non ti dico dopo che macello :D

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  2. Ho amato tanto i primi film di M. Night, The visit mi incuriosisce parecchio! Poi anche Cub visto che dici che cita i vecchi slasher anni '80..

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    1. Anch'io se per questo, E venne il giorno poi mi ha sempre trasmesso molta inquietudine, come in parte questo..
      Cub cita quei film soprattutto per l'andamento e il non fermarsi "letteralmente" davanti a niente e nessuno..

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  3. Hai dato troppo poco a Cub!!! Guarda che è un film coraggioso, nel suo comunque mostrare le cose fuori campo :D

    Moz-

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    1. Tu forse sei un esperto di campeggio, chissà quante ne hai viste :D
      Un po' basso il voto? può essere ma a me non mi ha comunque entusiasmato ;)

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  4. Mi manca Tag, che a questo punto correrò a recuperare.
    Gli altri mi sono piaciuti tutti. Gli ultimi due in particolare.

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    1. L'unico neo è che lo trovi solo con i sottotitoli, nessuno ha avuto il "coraggio" di doppiarlo :D

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  5. Tag è davvero insolito e folle, soprattutto se non abituati al cinema horror giapponese trash, e quindi se sopporti il genere cerca di recuperarlo ;)
    Comunque contento che siam d'accordo sugli altri :)

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