Secondo appuntamento oggi con il genere thriller, che quest'anno ha regalato sia alcune perle ma altrettanto delusioni, a cui sembrerebbe porvi rimedio questo post. La Heineken è un marchio consolidato, in molti abbiamo bevuto, almeno una volta, una birra prodotta dall'azienda olandese. Quel che non tutti sanno, è che il fondatore della casa, Freddy Heineken, nel 1983, venne sequestrato per chiedere un ingente riscatto, e che riscatto, è tutt'oggi la più alta mai versata per una persona di pubblico interesse, 50 mln di dollari (circa 35 mln di corone danesi). Il film Il caso Freddy Heineken (Kidnapping Mr. Heineken) infatti, film del 2015 diretto da Daniel Alfredson (regista scandinavo, che abbiamo conosciuto grazie ai due ultimi capitoli della trilogia Millenium da lui firmati) ci informa di questa incredibile vicenda (di cui è stato scritto un libro e ne è stato tratto questo lungometraggio), un fatto di cronaca molto conosciuto, in cui un gruppo di insospettabili ragazzi precari di Amsterdam (con a capo Jim Sturgess), decidono di mettere a segno (giacché il loro obbiettivo, interpretato da Anthony Hopkins, è uno degli uomini più ricchi al mondo) quello che in seguito sarebbe stato definito il crimine del secolo. Peccato che come spesso capita, anche se il finale apre a scenari diversi, così da distinguersi da molti altri (e far sì che sia più originale, perché è successo davvero), non tutto andrà come previsto. Anche perché narrativamente parlando, il film si perde a metà apparendo a tratti incerto e a tratti scialbo, non sapendo se voler seguire lo stile narrativo di un vero e proprio (thriller) poliziesco in perfetto stile anni '70-'80 o se osare di essere un action movie misto ad un docu-film che percorre fedelmente le tappe del rapimento e le relative conseguenze.
Tuttavia nonostante l'indecisione, che in parte penalizza la pellicola, giacché non riesce a contraddistinguersi o risultare mai veramente incisiva ed elevarsi a un piano superiore alla media, è comunque un film che funziona decentemente, in primis grazie alla location e l'atmosfera (accentuata da un buon uso della fotografia anni '80) che riesce ad evocare. Certo, non c'è un approfondimento culturale ed esistenziale del clima socio-politico, e nemmeno dei motivi che spingono questa banda di insospettabili ragazzi-qualunque (tra cui Sam Worthington, visto quest'anno in Everest) a mettere a punto un piano curato nei minimi particolari e volto a fargli ricchi in breve tempo (tanto che manca qualcosa in termini di emotività, spessore del profiling psicologico ed introspettivo), ma per il resto il film corre via fluido e senza particolari intoppi e con una sceneggiatura che non brilla di originalità e pathos ma riesce comunque a galleggiare in modo più che dignitoso. Non solo grazie alla presenza dell'insuperabile Anthony Hopkins che nonostante il breve tempo di apparizione riesce giustamente ad imporsi e rubare la scena ai suoi giovani co-protagonisti, altresì bravi a reggere i propri ruoli (con un'interpretazione moderata ma convincente, senza eccessi), ma anche grazie alla sceneggiatura che offre comunque (nonostante non riesca a racchiudere all'interno momenti di vera tensione e suspense che possano restare impressi) un intrattenimento in chiave documentaristica di buon livello, senza troppi colpi di scena o inseguimenti eclatanti. Da notare che il film introduce anche momenti alquanto imbarazzanti o esilaranti, seppur il film non contenga affatto nulla di comico, ma anzi, una dose molto equilibrata di drammaticità (comunque ridotta all'osso). Si tratta perciò di una pellicola più che dignitosa (che può essere vista comodamente senza aspettarsi particolari scene memorabili o la visione di un film cult) che immancabilmente si appresta ai fan del mitico Hopkins i quali potranno gustare una performance piccola ma di certo discreta, e da chiunque abbia voglia di conoscere un fatto di cronaca vero. Voto: 6
Non è certamente un capolavoro Premonitions (Solace), film del 2015 che segna l'esordio alla regia di Afonso Poyart, ma porta con sé qualcosa di accattivante. Perché a sto filmetto una volta accettato il comodo espediente della chiaroveggenza, giacché esso si tratta di un thriller psicologico i cui protagonisti sono un investigatore e un killer, entrambi dotati del "dono" della premonizione, il che rende più difficile al primo catturare il secondo, gli si può rimproverare poco o nulla. L'indagine sul killer che non lascia tracce infatti, funziona alla grande, il ritmo è perfetto, i personaggi sono scritti bene e le interpretazioni sono discrete (a parte i due investigatori, un sempre e comunque magnetico Jeffrey Dean Morgan e la bella Abbie Cornish, che appaiono piuttosto "imbustati" e poco credibili nel ruolo). Ovviamente però non tutto è oro quello che luccica, e infatti, nonostante una certa linearità nella narrazione che però fa virare rapidamente verso altre direzioni la storia, che spingono altresì lo spettatore verso una certa riflessione, il film risente certamente di una certa schematicità specialmente quando si mette in gioco questioni morali e una tematica forte come l'eutanasia, perché essi non vengono snocciolati come si deve, vista la loro importanza ai fini del racconto. Eppure il film centra l'obbiettivo, perché i trip del protagonista (quelli di un sempre grande Anthony Hopkins, 4 i suoi film quest'anno) lasciano interdetti, gli omicidi e i delitti scioccanti fanno rabbrividire ed alcune situazioni emozionano. Il film infatti, che mantiene un suo fascino e si può vedere, sorprende in positivo. Giacché senza strafare, il regista confeziona una discreta pellicola, non particolarmente adrenalinica o avvincente ma ben girata. Certo non sembra sufficiente il movente che spinge il killer (a cui si attribuisce una pietas che non lo rende un vero e proprio cattivo) ad agire in quel determinato modo, e non sempre alcune immagini e situazioni non funzionano, e non sempre Colin Farrell è perfetto, ma se alla fine gli si perdona anche qualche caduta di stile, come per esempio l'indagine poliziesca, che in effetti è solo un pretesto per affrontare tematiche delicate e profonde come la buona morte o il fine-vita, vi aspetta un thriller fantascientifico fatto bene. Poiché nonostante appunto alcuni difetti, il film funziona, l'opera è difatti ben strutturata ed intrattiene a dovere, calibrando tutti gli obiettivi modulandoli sapientemente all'interno di una storia coinvolgente, una storia che, grazie al montaggio serrato e una colonna sonora incalzante, cresce col passare dei minuti e non annoia, ma non aspettatevi un capolavoro perché non lo è, ma un discreto film che vi consiglio di recuperare e vedere. Voto: 7-
Di genere spy story ma di stampo classico, non particolarmente originale né tantomeno imprevedibile o con colpi di scena è Möbius, film di spionaggio del 2013 scritto e diretto da Eric Rochant, lui che vent'anni dopo Storie di spie (secondo molti uno dei migliori film di spionaggio dell'intera storia del cinema), torna a misurarsi con i meccanismi narrativi convulsi, ambigui e volutamente oscuri tipici del thriller spionistico. Lo fa combinando il gioco tradizionale degli inganni e delle false apparenze di cui il genere si nutre da sempre, con aggiornate riflessioni sul rapporto tra politica e alta finanza, ma soprattutto dando largo risalto a un coté romantico, l'appassionata seppur inverosimile storia d'amore tra un'agente americana e una spia russa, entrambi impegnati, su fronti opposti, a smascherare le malefatte di un magnate del mondo degli affari. Una vicenda quindi che si dipana, come di prammatica, tra scenari multinazionali lussuosi ed esotici, il Principato di Monaco, in primis, Mosca, Bruxelles, ecc. Peccato che, a questo spettacolo fastoso e magniloquente, seppur viene girato con sufficiente disinvoltura dal regista, manca proprio di quella densità espressiva e di quel rigore che facevano di Storie di spie una pellicola indimenticabile. Giacché in questo comunque più che sufficiente mix tra romanticismo e thriller, dove sono i due protagonisti e la loro love story a divenire gradualmente centrale rispetto ai canoni di partenza, poco o niente è avvincente. Eppure nonostante ciò e per i motivi appena descritti, a cui ci aggiungiamo una storia complessa ma efficace, e la volontà di non usare armi o la possibilità di non usare sparatorie per far colpo, questo è un film molto interessante e convincente, con qualche momento davvero riuscito (la lotta in ascensore, la scena della discoteca ed ovviamente le musiche). Come anche gli interpreti, che sanno essere davvero convincenti, a partire da Jean Dujardin e Cécile De France (un gran bel vedere). Soprattutto la loro bravura infatti raggiunge l'obiettivo di tenere in piedi un film che tuttavia perde colpi nella trama di sfondo, relegando in secondo piano un Tim Roth alquanto svogliato e meno incisivo. Per il resto, qualche buco di script, troppi elementi e poca chiarezza. Male non mi ha fatto, ma poteva venir fuori anche meglio (poteva magari buttarla più spesso sull'erotismo, visto che le belle donne ci sono...), ma va bene così. Perché in fin dei conti, ed anche se si respira un clima di ritorno alla guerra fredda unita ad un'atmosfera poco consolatoria che soddisferà fino ad un certo punto i puristi del genere, è un film nella media e certamente migliore di altri. Voto: 6+
Sorprendente e molto angosciante thriller di produzione Spagnola-Argentina è I Segreti del settimo piano (Séptimo), film del 2013 diretto da Patxi Amezcua, visionario regista spagnolo di indubbia qualità visiva che, appoggiandosi ad un protagonista argentino (l'abbastanza noto Ricardo Darin, già visto e molto apprezzato nell'originale ed eccezionale thriller Il segreto dei suoi occhi) dirige in stile hitchcockiano sapendo giocare sulla tensione, senza trucchi, effetti speciali o sparatorie. Questo thriller tutto girato a Buenos Aires infatti, città raffigurata come caotica e pericolosa, come probabilmente è, riesce, anche per via di una storia ansiogena (dove nell'ambito angusto e terribile di un semplice condominio, il pubblico trepida di fronte al mistero della sparizione dei due figli del protagonista), a farsi discretamente apprezzare. Il film racconta difatti della strana e incredibile sparizione di due bambini che, mentre scendono le scale spariscono all'improvviso, il padre quindi (che ha un rapporto complicato con sua moglie) rendendosi conto della gravità cercherà in tutti i modi di ritrovarli, giacché da quel momento, inizia una disperata ricerca, ma quando la telefonata di chi li ha rapiti stabilisce il prezzo per la loro liberazione qualcosa finalmente verrà fuori, anche la verità. La maggior parte del lungometraggio è perciò occupato dalla fase nella quale Marcelo, disperato ma piuttosto lucido, cerca di scoprire chi ha fatto sparire i figli e come recuperarli sani e salvi, e, come in ogni thriller che si rispetti, c'è la (multipla) sorpresa finale. Nel finale a sorpresa il regista infatti riesce a piazzare il classico colpo di scena (all'inizio impensabile poi plausibile) che quadra il cerchio fornendo tutte le risposte necessarie al pubblico, anche se non tutto è chiarissimo. Ma nonostante la trama non sia linearissima, e qualche incongruenza o quantomeno dubbio sugli accadimenti rimanga, I segreti del settimo piano (titolo peraltro piuttosto bruttino rispetto all'originale) è un discreto film, recitato degnamente e con una storia abbastanza originale e interessante. Notevole la performance di Ricardo Darin, al quale basta uno sguardo per far pensare allo spettatore "oddio, adesso cosa sta pensando e cosa succederà", anche quando poi spesso non succede proprio nulla. Lui è difatti un attore completo, la cui bravura travalica i confini dell'Argentina. Anche qua è semplicemente impeccabile, riuscendo a reggere il peso dell'intero film, centrato esclusivamente su di lui. E' il centro ed il motore dell'opera. Senza la sua gamma di sentimenti, tutto sarebbe stato più difficile. Anche perché il film, sicuramente non consigliabile alle mamme troppo ansiose, proprio eccezionale non è, ma (grazie soprattutto a lui) sufficientemente avvincente e appassionante da meritare una visione. Voto: 6
Di questi solo Premonitions mi incuriosisce, per la presenza del grande Hopkins
RispondiEliminaDi Hopkins ce ne sono due comunque, però sì quello è migliore e il migliore da vedere ;)
EliminaHo visto Il caso Freddy Heineken e secondo me si salva solo Hopkins, il film l'ho trovato noioso, mi aspettavo più suspense ed azione.😊
RispondiEliminaCertamente me l'aspettavo anch'io ma l'ambientazione, la storia del rapimento del secolo ed altro mi hanno permesso un sufficiente intrattenimento, comunque lui si salva a prescindere, seppur non sempre può bastare lui od altri ;)
EliminaSì, e credo di non essere l'unico ;)
RispondiEliminaLa sensazione c'è, ma la storia e il lato crime/horror si fanno apprezzare :)
Tra questi ho visto solo Premonition, ma anche io come Cassidy mi sono annoiato terribilmente :D
RispondiEliminaAbbastanza dubbioso per queste affermazioni, ma prendo atto che forse è piaciuto solo a me ;)
EliminaMi incuriosisce Heineken, davvero.
RispondiEliminaNon so perché.
Moz-
Io invece immagino il perché :D
EliminaDovendo scegliere penso che preferirei "I Segreti del Settimo Piano" e "Mobius" (adoro Cecile De France dai tempi de "L'Appartamento Spagnolo", quindi fai te i conti.... ^^
RispondiEliminaE penso sceglieresti bene, anche perché nel secondo caso non hai tutti i torti ad adorare lei ;)
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