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venerdì 2 marzo 2018

Gli altri film del mese (Febbraio 2018)

Come avevo promesso giorni fa, dovevo oggi, dopo aver parlato degli aspetti negativi del mio mese di febbraio, parlare delle cose positive successe, ma al di là di qualche piccolo passo in avanti nella vendita della casa della mia defunta e adorata nonna e dell'arrivo della pensione a mio padre, che dopo tanti piccoli intoppi (relativi anche direttamente dall'Inps) tarda ancora ad arrivare (si spera ora ad Aprile), di veramente bello non è successo praticamente niente. Quindi non mi resta, anche se con due giorni di ritardo, dovuto soprattutto alla chiusura delle mie visioni pre-Oscar e poi ai pronostici relativi alla serata in questione, di farvi un resoconto degli altri film visti nel mese di febbraio oltre ai peggiori. Un mese di interessanti sorprese e godibili visioni, dove da segnalare c'è un bel documentario visto in prima visione su Sky ArteBack in Time, ovvero il documentario "definitivo" sulla trilogia del Ritorno al Futuro. Peccato che, seppur bello è stato rivivere emozioni, ascoltare le interviste ai protagonisti (anche alla troupe di realizzatori) e rivedere alcune famose scene (nonostante e senza il doppiaggio originale), il suddetto, diretto da Jason Aron, si concentra poco sulla trilogia in questione, indagando solo marginalmente nei retroscena della realizzazione della popolare trilogia fantascientifica, dando così forse troppo spazio a molti fan. Comunque non male ma neanche bene, solo sufficientemente interessante.
La strada dell'onestà e del rispetto delle regole è molto difficile. Facile caldeggiarla in linea teorica, ma è molto più complesso metterla in pratica quando in gioco ci sono i nostri interessi. Questa in sintesi la morale de L'ora legale, l'ultimo film, datato 2017, diretto e interpretato dal duo comico Ficarra e Picone. Il film infatti, il quinto della coppia comica e uno dei loro più riusciti (al pari di Andiamo a quel paese), senza scomodare il cinema di impegno civile, ma raffigurando anche in modo impietoso le magagne della politica e della società italiana (mettendo in scena un certo malcostume nazionale), e altresì tralasciando interessi politici, è un prodotto divertente e intelligente. L'ora legale difatti, una commedia agrodolce dal passo leggero ma che con semplicità e passione racconta il nostro degrado umano, politico e sociale, racconta di un paese siciliano (Pietrammare ovvero Termini Imerese) dove l'aria di cambiamento porta il nuovo sindaco (al contrario del precedente, sempre avvezzo ai classici sotterfugi) sulla strada dell'onestà, scatenando però e nonostante una prima favorevole accettazione, forti contestazioni. Giacché dopo l'iniziale euforia, i cittadini si rendono presto conto di aver eletto "un mostro" di legalità, il sindaco infatti, è deciso a mantenere tutto il programma fatto in campagna di elezione, dal rispetto della selezione del conferimento corretto dei rifiuti alla battaglia contro l'abusivismo edilizio fino al progetto di realizzazione di una pista ciclabile. E così vedendo intaccati i loro "privilegi", essi si esasperano e non vedono l'ora di trovare il modo per far dimettere il sindaco e tornare al precedente, a qualunque costo. Ci riusciranno? E' quindi un film amaro questo, si ride certo, ma alla fine si rimane con più di una domanda. Perché non tragga in inganno la presenza dei due comici, la sceneggiatura è frizzante ma il messaggio è molto severo. Poiché sembrerebbe strano ma l'Italietta in cui vivacchiamo è proprio quella descritta nel film, ovviamente alcuni personaggi hanno un'impronta caricaturale e alcune situazioni sono enfatizzate, ma sostanzialmente è proprio questa la società in cui ci troviamo. Una società che nel suo complesso non fa una bella figura, a partire dai personaggi Ficarra e Picone non certamente positivi, anzi. Infatti pur nelle sue esagerazioni la realtà rappresentata è purtroppo verosimile e il logico finale non può che essere la giusta conclusione di quanto rappresentato. Comunque come detto per questo, il film ha un buon ritmo, non mancano le risate e bei camei come quello di Antonio Catania capo dei vigili che soffre nel dover fare multe ai suoi concittadini, di Leo Gullotta nei panni del prete del paese (figura forse troppo banalizzata) e di Tony Sperandeo. Forse è un film un po' troppo schematico ma è probabilmente, anche se davvero mediocre è la resa attoriale (soprattutto riguardante il sindaco e sua figlia), una delle migliori commedie italiana degli ultimi mesi. Anche perché la mia visione non soffermandosi troppo sugli aspetti tecnici, soprattutto fotografia e montaggio, che non sono sicuramente il punto forte al contrario del messaggio, ha goduto di momenti divertenti, amari e piacevoli. Tanto che, seppur lascerà molta amarezza e ma anche interessanti spunti di riflessione, vi consiglio di vedere questa frizzante e ironica pellicola. Voto: 6,5
Il quinto film in ordine temporale del regista australiano Greg McLean (quello dei discreti due Wolf Creek, anche se il secondo ancora mi manca) è ambientato negli uffici di un grattacielo posizionato in una zona desolata della Colombia, dove va in scena un brutale esperimento finalizzato allo studio del comportamento umano. Dopo il breve incipit, in cui gli impiegati dell'azienda no profit Belko interagiscono più o meno amabilmente, scoppia il finimondo, porte e finestre blindate, telefoni isolati e l'esortazione a uccidersi vicendevolmente, in caso di rifiuto eliminazione immediata tramite un microchip esplosivo installato nel cranio. La riflessione alla base di The Belko Experiment (thriller horror del 2016) è quindi e sicuramente abusata, ovvero cosa potrebbe accadere se l'uomo venisse abbandonato in un contesto sociale privo di regole, in cui l'unico obiettivo è quello di sopravvivere, fortunatamente però al succo della questione (ormai un po' datato eppure ogni volta intrigante) fa eco una lotta per la sopravvivenza davvero avvincente, ricca di scene crude e di caratteri tutto sommato apprezzabili anche se definiti "furtivamente" considerati tempo limitato e numero dei personaggi. Lo scontro ovviamente si scatena tra due fazioni ben distinte, schematico se dir si vuole, ma tutto sommato funzionali ad un gioco al massacro che ci porta sino ad un finale in cui prevedere chi sopravvive non è certo ostico. Certo, resta l'amaro in bocca per spiegazioni superficiali e per l'ultima banale (seppur inquietante) ripresa, ma è un horror decisamente efficace e inquietante quanto basta. E poi è girato e recitato come si deve, non c'è nessun grave difetto e altresì nessun grandissimo pregio, anche perché il film non ha la presunzione di strafare e convince nel trattare filosoficamente e gelidamente l'essere umano come una impaurita cavia da laboratorio, ma nel complesso funziona grazie alla giusta dose di cattiveria ed a un buon cast su cui, per me, spicca il vecchio buon John C. McGinley, senza dimenticare però John Gallagher Jr.Tony GoldwynMelonie Diaz (ma anche la bella Adria Arjona). Ovviamente nulla di nuovissimo, colonna sonora e musiche opinabili, regia che a volte esagera nella "poetica del massacro" ed un finale abbastanza banale, ma il film scivola via piacevolmente, e oltretutto offre un discreto intrattenimento perché è riuscito a coinvolgermi e mantenere una tensione continua per tutta la durata. Inoltre il suddetto, grazie al buon ritmo ha molti spunti interessanti su cui soffermarsi. Certo, da un prodotto incredibilmente sceneggiato dal "Guardiano della Galassia" James Gunn (e fa sorridere in tal senso ritrovare Sean Gunn e Michael Rooker), e da un regista tosto come Greg McLean pretendere qualcosa di più non sarebbe stata una follia, tuttavia il giudizio è positivo in quanto l'intrattenimento, come detto, non manca. Voto: 7-
Ero leggermente timoroso nei confronti del soggetto di Queen of Katwe, film del 2016 diretto da Mira Nair, non solo perché io di scacchi ho sempre capito poco (anzi, nulla), ma anche perché molto spesso la Disney esagera nel buonismo, invece, nonostante il suo stile rimanga invariato, la presenza alla regia dell'apprezzata regista indiana (in tal senso davvero bello ed interessante fu Il fondamentalista riluttante), capace di presentare con delicatezza e sobrietà una vita difficile, tra povertà e desolazione, quella della giovane Phiona Mutesi, la prima scacchista ugandese a diventare professionista, è un punto a favore. Basato su una storia vera questo bel film di Mira Nair infatti, pregno di insegnamenti significativi a partire dal gioco degli scacchi, dove "un semplice pedone può diventare Regina" e che rimane con i piedi ben piantati per terra e offre il giusto equilibrio alla pellicola, è un biopic davvero ben fatto, emozionante e capace di trasmettere importanti valori. Certo, sarà anche una storia piuttosto romanzata, ma le splendide ambientazioni africane, la tremenda povertà di fondo, l'umiltà ed il coraggio di queste donne ugandesi rimangono nel cuore. Perché la storia appunto della piccola Phiona che non sa leggere e non va scuola, che è costretta a lavorare al mercato, e che tramite un'intelligenza fuori dal comune riesce incredibilmente a leggere in maniera anticipata le mosse degli avversari, e che grazie al Coach che la segue come il padre che non ha più, riuscirà, nel tempo, a ritagliarsi lo spazio che merita, è ben raccontata e riesce a dare il giusto spazio a tutti i personaggi principali. Anche perché questa bella storia reale, che non cade nel facile sentimentalismo d'accatto ed offre uno spaccato realistico con personaggi realistici e ben definiti, viene riportata in modo convincente, emozionante e toccante dalla Disney. In tal senso, buonissima la prova del cast (tra cui David Oyelowo, Lupita Nyong'o e l'esordiente Madina Nalwanga, quest'ultima però anonima e fredda) che permette allo spettatore di provare sufficienza empatia nei confronti dei personaggi, come già detto, ben caratterizzati per l'occasione. Sicuramente per quelli come me che non conoscono il gioco degli scacchi ci saranno immagini di difficile comprensione (anche se la "mossa" più famosa del film è piuttosto chiara...), ma Queen of Katwe, registicamente diretto discretamente bene, coadiuvato da una buona fotografia, dei dialoghi incisivi e un ritmo discreto, nonostante le due ore e passa di durata, è un film davvero niente male, seppur non memorabile. Voto: 6,5
No, non sono impazzito, ma Le spie della porta accanto (Keeping Up with the Joneses), film del 2016 diretto da Greg Mottola e discreto mix tra commedia e spy story, non è affatto male. Il film infatti, seppur privo di un plot di grande originalità (quello di una coppia di periferia che si ritrova coinvolta in un complotto di spionaggio internazionale quando i due scoprono che i nuovi vicini di casa, all'apparenza perfetti, sono in realtà spie governative), è piuttosto gradevole e ritmato tale da garantire una visione godibile e senza fastidi. Cast, regia e scene action abbastanza rodate, dialoghi e personaggi simpatici e storia che si segue bene, regalano difatti un'ora e passa di intrattenimento innocuo. Anche perché mi aspettavo la classica commediola action che perde rapidamente slancio, porta alla noia, lo termini e rimani perplesso, invece no, anzi, il film è via via più interessante e divertente. Dopotutto Greg Mattola, regista di buoni film come Paul e Adventureland, dirige discretamente questa commedia ricca d'azione (anche se si sorride poco mentre la parte di azione è un po' più interessante), che riesce ad intrattenere pubblico di qualsiasi età con battute e gag molto divertenti. Certo, prevedibile e un po' scontata è la trama e il finale, tuttavia spruzzate di originalità danno un qualcosa in più al film stesso che, raccontando appunto di una "stantia" coppia di coniugi (un sempre spassoso Zach Galifianakis, che già mi fece ridere in Masterminds e Isla Fisher) che all'arrivo di una coppia di vicini (lei è la Gal Gadot, nota gnocca imperiale, lui è Jon Hamm, famoso per essere il protagonista di Mad Men, la serie TV pluripremiata, dove recita il ruolo del bel tenebroso che ha molto da nascondere), la spia scoprendo qualcosa di pericoloso, e si ritrovano così in mezzo a dei bei casini, si lascia tranquillamente vedere. Anche perché non mancano alcune scene sexy come l'incontro in camerino tra le due (meravigliosa è Wonder Woman in intimo) e l'abito che indossa sul finale (una sempre intrigante, come visto anche in Life of CrimeIsla Fisher, senza dimenticare un bacio. Inoltre, il film è divertente, non volgare, gli attori (nonostante le solite "esagerazioni") sono tutti in palla (tranne forse Hamm un po' impacciato) e i tempi comici sono giusti. Unica grande pecca, oltre come detto alla classica semplicità e superficialità del soggetto che regala comunque godibili visioni, divertenti situazioni e siparietti, il titolo italiano "controverso". Certo, pensavo in qualcosa di meglio ma il film si mantiene sulla sufficienza, perché alla fine, la commediola soddisfa e a tratti fa ridere proprio. Voto: 6
Il motivo preciso per cui ho voluto vedere Effie Gray: Storia di uno scandalo (Effie Gray), film del 2014 diretto da Richard Laxton, proprio non lo so. Forse perché ogni tanto c'è se sempre tremendamente, e più, bisogno d'amore e il film, pur volgendo lo sguardo indietro nel tempo, ci permette una volta di più di capire quanto il sentimento per antonomasia non sia da considerare automatico e dovuto, bensì da conquistare. Prima sognato, poi bramato, conquistato un istante e a lungo assente ingiustificato, il film del regista britannico non si fa mancare nulla delle sue declinazioni ma, mentre in alcune parti è puntuale e trasparente nella sua formulazione, in altre manca dello scatto definitivo, rischiando di spiaggiarsi completamente, soprattutto quando in scena entra Riccardo Scamarcio, anche se per fortuna in modo marginale. La pellicola infatti, ambientata nella Londra vittoriana del 1840, che narra il triangolo amoroso che coinvolse il critico d'arte John Ruskin, sua moglie Euphemia "Effie" Gray (una delle prime donne a imbarcarsi in un'iniziativa malvista e ostacolata, quasi, da tutti) e l'artista John Everett Millais, è molto spesso noiosa. Tuttavia la discreta eleganza formale (seppur lapalissiana e manichea), che fotografa la posizione subordinata della donna ma anche quel fuoco interiore proprio di chi voglia conquistare la felicità, e grazie alla conferma dell'ex bambina prodigio Dakota Fanning, che sforna una prova sentita e matura (certamente migliore che in American Pastoral), essi contribuiscono alla riuscita di un film che riesce a coinvolgere e mantenere in costante interesse lo spettatore fino alla fine per scoprire come va a finire. Vanno sommati, inoltre, i meriti di una regia sobria, una fotografia apprezzabile, trucco e costumi curati (scelti con scrupolo e altresì gli ambienti, interni o esterni che siano, costituiscono un valido supporto nell'accompagnamento dello sviluppo) e un ritmo narrativo, seppur compassato, lineare e senza grossi cedimenti. Oltretutto il film, sceneggiato da Emma Thompson, presente anche in un piccolo ruolo ritagliato ad hoc per rendersi simpatica, conferma l'abilità dell'attrice e sceneggiatrice britannica che, proponendo uno script di una certa presa emozionale, nonché morale, affrontando temi come il divorzio, la sottomissione e la dipendenza dalla famiglia e, in maniera molto velata, l'attrazione di un uomo adulto verso le ragazze giovanissime, si fa sufficientemente apprezzare. Allo stesso tempo, il cast ha buone note tra le figure femminili, con ovviamente Dakota Fanning sugli scudi nel delineare una trasformazione continua in quanto a consapevolezza e Julie Walters estremamente aderente al ruolo di suocere attenta al proprio tornaconto, mentre gli uomini variano dall'odiosa precisione algida di Greg Wise fino alla scarsa empatia di Tom Sturridge (già detto invece di quell'altro). In ogni caso, l'aspetto più evidente di Effie Gray rimane comunque la sua implosione, che avviene proprio quando dovrebbe riuscire a esondare in colori e suoni, risultando preciso nella descrizione di una repressione sistematica e meno deciso nell'allungo successivo, titubante nei cambi d'intonazione e debole quando è chiamato ad andare oltre le descrizioni di base. Nessun reale disastro, ma fin troppo mansueto, tale però da meritare comunque una visione. Voto: 6
Il tema del significato della vita umana e soprattutto della suo inevitabile epilogo torna prepotente in Irrational Man, film del 2015 scritto e diretto da Woody Allen, che non è tra i suoi migliori (ma certamente e personalmente meglio dell'ultimo suo visto, Blue Jasmine), ma che comunque sempre affascina e coinvolge per la sicurezza della regia, per la capacità innata di sublimare il dramma in ironia, per riuscire a farci sempre riflettere a fine visione sul significato delle nostre vite. Anche perché nonostante il vecchio Woody (che ha forse perso un po' di quel cinismo e acume che hanno contraddistinto la sua carriera decennio dopo decennio) continui a girare sui suoi temi nel suo solito stile (che molto spesso non mi piace), e malgrado i difetti ed una verve appunto non più freschissima, il regista riesce a confezionare un buon prodotto piacevole e godibile, formato da dialoghi colti e intriso di filosofia e letteratura. Ma non solo, perché questa ennesima variazione sul tema colpa, castigo, destino e caso, già al centro di altri suoi lavori e che formano il fondamento anche di questo nuovo lavoro, e che qui assume una dimensione diversa, strana, da commedia macabra, grazie alla struttura in due blocchi ben definiti, che alterna una prima parte pressoché romantica ad una seconda dai toni decisamente più drammatici, si fa seguire senza affanni. Giacché bastano pochi secondi per trasformare il film (da una storia di amori proibiti costellata da bizzarre avventure sessuali e riflessioni confusionarie su teorie di grandi scrittori) in un (abile e intrigante) giallo misterioso e "irrazionale" (che assume tinte noir e in cui la suspense imbriglia sempre più lo spettatore) dove a farla da padrone è ancora una volta un omicidio e tutto ciò che ne consegue. Niente quindi di nuovo all'orizzonte? In un certo senso no, perché come detto, il tutto riprende appieno la mentalità registica di Woody abbondantemente vista in altre produzioni delle ultime annate (sempre incentrato sui famosi e noti problemi esistenziali), ma nonostante Irrational Man non abbia alcun punto di genialità esso si lascia seguire grazie ad un ritmo discreto e ad un interesse quanto mai vivo e presente. Non si notano, infatti, momenti morti e la produzione americana gira a dovere facendo distrarre, o meglio, intrattenendo, dignitosamente il pubblico. Anche la storia, che seppur a tratti interessante e bizzarra non soddisfa a pieno le aspettative e finisce per sembrare una minestra riscaldata, in verità è qualcos'altro, perché quando arriva il colpo di scena, e poi da lì è tutto in discesa, si arriva ad un bel finale, nemmeno così scontato direi. Certo, alcuni passaggi sono alquanto forzati, ma tutto funziona discretamente. Inoltre il buon duo protagonista (Emma Stone sembra ormai essere diventata la nuova musa del regista, molto espressiva e adatta alla parte, che grazie alle minuziose attenzioni donatele dal regista trasuda di una carica sensuale senza paragoni) è ben amalgamato e i duetti fra i due sono abbastanza interessanti, anche se manca forse di incisività e di convinzione Joaquin Phoenix, qui sottotono, vistosamente ingrassato e poco carismatico. Ma non è forse solo farina del suo sacco, perché lui resta un grande attore, come visto in Vizio di Forma, ma del suo personaggio, ben scritto però non sfruttato al meglio (come in parte anche Parker Posey). Invece bella, come sempre accade nei film del regista newyorkese, la colonna sonora, anche se esso non basta a rendere totalmente giustizia a un film che probabilmente avrebbe potuto dare molto di più. Tuttavia quest'opera è sopra la sufficienza, non eccelsa ma nemmeno da buttare, perché la trama è lineare e facile da seguire, la sceneggiatura è scorrevole (fino al bel colpo di scena finale) e gli inserti thriller, che vengono inseriti in modo soddisfacente, si fanno certamente apprezzare. Voto: 6+

6 commenti:

  1. L'unico che potrebbe davvero interessarmi è Belko, amo i film che non vogliono essere presuntuosi e non vogliono strafare :)

    Moz-

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    1. Beh sì, d'altronde mi sembra di capire sia l'unico che si avvicina ai tuoi generi preferiti ;)

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  2. Le Spie Della Porta Accanto lo avrei recuperato solo per Zac Comesichiama e Gal ma la tua recensione mi a decisamente convinto!
    Ti farò sapere quando lo avrò visto.
    Per L'Ora Legale non mi piacciono proprio i film dei cabarettisti e per gli altri devo avere l'umore giusto altrimenti restano nella cartella film da vedere per anni.

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    1. E' anche un pochino originale, e nonostante non sia granché riesce comunque a divertire ;)
      Sì, di altri cabarettisti certamente, ma i film di Ficarra & Picone nascondono sempre indubbie qualità di far ridere :)

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    2. Rieccomi come promesso!
      Per il duo non so, a me non hanno mai fatto ridere né a Zelig e né a Striscia. Per i film mi baso sui trailer, che non mi attirano.

      Per il film sulle spie concordo quasi ogni tua frase, soprattutto per la prevedibilità e sul ridere poco, apprezzando di più l'azione, pur sempre in chiave comica. Cast azzeccatissimo ma non conoscevo Hamm, quindi mi fido e la Fisher che avevo scambiato per Amy Adams... mi pareva si fosse ingnocchita troppo!
      La pellicola mi ha ricordato molto un'altra che adoro (ma di molto superiore), in cui la Gadot faceva una comparsa: Notte Folle A Manhattan!
      Sul voto finale, sicuramente perché amo le commedie e amo ancora di più le varianti/sottogeneri, mi sento un po' più gentile di te, il 7 glielo do tranquillamente.

      Oltre a questo, dopo il mio commento avevo letto anche la trama di The Belko Experiment, che ho recuperato e visto ancora prima! Mi è piaciuto molto, nonostante il protagonista sia Matteo Salvini, che Merlo muoia troppo presto (ho pensato "finalmente un ruolo più importante di TWD" e invece niente) e che il dr. Cox non sfotta JD (ho notato solo io il post it sul suo monitor con scritto "Perry" qualcosa? Non ho modo di riguardare ora, magari ho visto male).
      A me le cover del film sono piaciute.
      Un gran bel thriller horror, forse un po' troppo scontato come scrivi tu (a me ha ricordato molto Cube, Saw II e Maze Runner) ma a me va bene così e anche stavolta, nonostante io sia più severo su questo genere, mi sento di dare qualcosina in più del tuo voto finale, 7/7,5.

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    3. I trailer comunque a volte ingannano, ne devi tener conto ;)
      In ogni caso Amy Adams e/o Isla Fisher sono entrambe gnocche :D
      Hamm neanch'io, anche perché non ho mai visto Mad Men...
      Ricordo bene Notte Folle A Manhattan, e in effetti era molto superiore e mi piacque pure tanto :)
      Effettivamente Belko ricorda molti film simili, anche perché è un genere "riciclato", però qui al contrario appunto di altri è leggermente più "realistico" e crudo, per quanto riguarda il voto io vado sempre con i piedi di piombo...e siccome la qualità non è comunque alta, ho preferito essere più tiepido ;)

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