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venerdì 20 aprile 2018

Moonlight (2016)

Anche se esageratamente acclamato dalla critica d'oltreoceano e in parte da quella internazionale (è addirittura tuttora considerato dalla critica cinematografica uno dei film migliori della storia), ho visto comunque Moonlight, il film vincitore di 3 Oscar nella scorsa edizione. Comunque perché ero davvero dubbioso di come, e mai come questa volta, le aspettative alte potessero scontrarsi, date le promesse, con la realtà, una deludente realtà. Moonlight è infatti un film del 2016 "solamente" discreto scambiato per un quasi capolavoro da molti critici (professionisti), e l'esagerato numero di candidature agli Oscar più che un reale apprezzamento nei confronti del film appare più che altro come il tentativo da parte dei soci dell'Academy di smarcarsi dalle accuse di scarsa rappresentanza di minoranze etniche all'interno della cerimonia che gli avevano colpiti durante le precedenti edizioni. L'effetto di ciò è che un film non particolarmente eclatante come quest'opera seconda di Barry Jenkins, regista che per fortuna è riuscito (grazie al suo contributo in fase di sceneggiatura) a non fare sentire troppo la base originale dell'opera teatrale di cui è tratto, ovvero In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney (giacché le impostazioni teatrali molto spesso mi annoiano), ha finito per ottenere una visibilità e un riconoscimento che probabilmente non si meritava. Non fosse per il fatto che è narrata dal punto di vista di una comunità di emarginati, la storia è una di quelle che si sono già viste un centinaio, un migliaio di volte (quella del protagonista Chiron cresciuto in un sobborgo di Miami dove povertà, droga, crimine e mancanza di affetto sono le sfide quotidiane che deve affrontare, unite alla scoperta della propria omosessualità). E Moonlight è un film estremamente semplice, fin troppo talvolta, fino ad arrivare a sfiorare il semplicismo, che non è mai una cosa raccomandabile in questi casi. Non succede molto di realmente stimolante o che porti effettivamente a riflettere circa le tematiche trattate.
Perché sì, le buone intenzioni del film di dire molto e di più ci sono ma si perdono (o meglio restano in una superficie solo sporca) in un excursus diluito e fin troppo arcaico, languido e introspettivo ma non troppo coinvolgente, documentaristico e sociologico ma poco incisivo. E il melò(dramma) non acuisce né le separazioni, né i linguaggi, né la dicotomia dei volti. Tutto resta in bilico tra un forte e duro messaggio come tra una vile accusa di circostanza verso una società chiusa e amorfa. Non per caso atipico è questo film, perché supera (o ci prova) il "machismo" di certa cultura, di certo ambiente, affiora tuttavia il sentimento, la debolezza e una sessualità difficile da dichiarare. Anche perché qui nel film (interpretato da un cast tutto esclusivamente di "colore", dove i soliti lunghi dialoghi, in slang, coprono ogni riflessione), l'importanza è data ai silenzi, agli sguardi. In tal senso lodevole che non ci sia esibizione, quasi che il pudore lasci fuori inquadratura le scene più forti, anche se è tutto chiaro. E per fortuna quindi che non sia un "Brokeback Mountain" nero, non potrebbe esserlo (tema ed ambientazione completamente diversi), ma è comunque a tal proposito un'opera che supera la convenzione. Anche se, come detto, Moonlight non è un film particolarmente innovativo o coinvolgente ed anzi procede linearmente attraverso diversi cliché. Inoltre il film, e dispiace dirlo, è uno di quelli che, fondamentalmente, si trascinano stancamente fino ai titoli di coda, dilatando inutilmente una storia che, probabilmente, sarebbe stata più adatta e sarebbe risultata più efficace sotto forma di cortometraggio. Infatti, dopo una buona prima parte (che però si conclude troppo in fretta e a seguito della quale uno dei personaggi più interessanti scompare) il film va progressivamente in calando, fino ad arrivare ad un finale non soddisfacente.
Dopotutto formalmente molto interessante, per quanto i tre capitoli di questo romanzo di formazione (diviso in tre atti, ognuno dei quali corrispondenti a una diversa fase della vita del protagonista, infanzia, adolescenza ed età adulta, un po' come il bellissimo Boyhood, che in tal senso però fece molto meglio) diano un ritratto volutamente parziale che lo spettatore deve completare con la sua immaginazione (giacché i personaggi, interpretati da più attori, a seconda delle età dei protagonisti, sono in gran parte definiti dal loro comportamento, più che da un approfondimento psicologico e solo alla fotografia, non sempre eccellente, è affidato molto del lavoro di caratterizzazione), si riallaccia ad un cinema di rivendicazione sociale per l'autodeterminazione delle scelte individuali, dunque strettamente di attualità, ma lo fa con qualche concessione appunto al cliché, forse inevitabile, soprattutto nel ritratto della madre eroinomane, pur interpretata con molta convinzione da Naomie Harris. Certo, le interpretazioni degli attori sono spesso ottime (anche se poiché la trama si sviluppa su 3 archi temporali ben definiti, ognuno ha un ruolo breve e non particolarmente memorabile) e da apprezzare è la regia (asciutta, con delle invenzioni efficaci e sempre centrata sul "pezzo") e il montaggio (netto e chiaro) entrambi lontani dalla retorica che era prevedibile aspettarsi, ma questi non bastano a risollevare totalmente le sorti di un film che ho trovato bello a livello formale, ma freddo dal punto di vista emotivo. Tanto che sembrano eccessivi i due Oscar al miglior film e alla miglior sceneggiatura non originale (anche perché essa non ha una tale originalità da poterlo davvero annoverare tra i capi d'opera degli ultimi anni) e un po' generoso è l'Oscar come attore non protagonista a Mahershala Ali nel ruolo di Juan, che appare ben poco e fornisce un'onesta ma abbastanza "normale" performance.
Come detto, la storia non è originalissima (cambia solo il "colore" della pelle) e poggia talvolta su elementi facili di consenso "sentimentale" o con immagini di forte impatto e durezza, ma il ritmo rarefatto ne fa un prodotto soprattutto per un pubblico di nicchia. Ciò nonostante, Moonlight si fa comunque apprezzare appunto per la potenza delle interpretazioni, tutti gli attori che rappresentano Chiron e Kevin nelle fasi della vita sviluppano infatti una notevole capacità di mostrare le sfumature del carattere introverso di Chiron ed estroverso di Kevin dall'inizio alla fine. A tal proposito ecco un breve riepilogo della trama. Il film appunto è strutturato in tre parti corrispondenti a tre età di Chiron: bambino, adolescente e adulto. A dieci anni lo chiamavano tutti "Piccolo" (interpretato dal delizioso Alex R. Hibbert), era un bimbo molto chiuso, timido e sofferente. La madre si drogava e lo trascurava mentre a scuola era vittima di bullismo. Un giorno mentre scappava dai compagni di scuola incontra Juan (Mahershala Ali), una sorta di gigante buono, che a casa di lui e della sua fidanzata (Janelle Monàe, bravissima come fu insieme ad Ali anche ne Il diritto di contare) si sentirà "protetto" trattandolo con affetto come se fosse un figlio adottivo e che diventerà il suo padrino, gli insegnerà a nuotare e ad affrontare la vita. Nel secondo capitolo Chiron, sempre taciturno e timido (interpretato dal comunque bravo Ashton Sanders), conoscerà la sessualità con il suo amico e compagno di scuola Kevin (Jarrel Jerome) e reagirà violentemente alle terribili angherie orchestrate dai soliti compagni di scuola finendo in riformatorio. La terza parte da Miami si sposta ad Atlanta, Georgia, a distanza di quasi dieci anni vedrà "Black" (altro soprannome di Chiron interpretato da Trevante Rhodes) adulto, diventato anche lui spacciatore indisturbato di una vasta zona di Atlanta.
Quest'ultima parte, a mio avviso è stata caricata un po' troppo. L'eccessiva muscolosità e l'esplosione di preparazione atletica (da fragile e mingherlino quale era da bambino e adolescente) e tutta la sua mascherata da duro (denti d'oro, catena e pistola) rispetto al suo essere represso, nella sua omosessualità e nei sentimenti in generale, rendono questo omaccione un po' goffo. Belli invece sono i dialoghi dei due amici imbarazzati (l'altro è André Holland) che si rincontrano dopo così tanti anni: hanno fatto scelte diverse ed entrambi sono cambiati. Tanto che in tal senso il finale, a suo modo romantico, in cui il protagonista finalmente si libera tirando fuori la sua anima originaria (che non è solo sua, ma è tuttavia metafora del suo intero popolo) funziona bene. Purtroppo il film soffre di troppe lentezze e di una scarsa pregnanza emotiva che ne abbassano l'efficacia, facendone una pellicola che parla più alla mente che al cuore (nonostante un abuso di metafore che ha pochi precedenti). Giacché probabilmente gli obiettivi del regista avrebbero avuto più forza se il suo film fosse alleggerito dall'ingenua attenzione all'elemento poetico, al simbolo manifesto, al quadro statico di rarefatta bellezza. Proprio perché la saturazione cromatica, la colonna sonora ridondante e l'onirismo ricercato non aiuta il film, un film generoso e intenso che tocca vari aspetti della fragilità maschile, ben interpretato da tutti ma che non riesce a entusiasmare del tutto come film. E' vero che evita con intelligenza e gusto la retorica, la lacrima facile ed i messaggi semplici e banali che il grande pubblico tanto ama, ma questo non basta a farne un film da Oscar (ma ha vinto e dobbiamo farcene una ragione nonostante gli abbia preferito ben 4 film). Tuttavia poiché i personaggi del cast sono anche giusti come le interpretazioni e poiché il bambino e l'adolescente Chiron restano comunque impressi, mi sento di promuoverlo, anche perché è un film che raggiunge il suo scopo con buone intuizioni espressive e ci ricorda l'urgenza del discorso sociale di emancipazione delle minoranze, anche se resta un tantino sopravvalutato. Voto: 7

4 commenti:

  1. Ricordo che quando vinse l'oscar nessuno lo conosceva questo film, ed ora è tornato abbastanza nell'oblio, mentre di quell'anno sono passati alla storia Arrival e La la land per esempio..

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    1. Appunto, questo film infatti tra dieci anni non se lo ricorderà nessuno, e non perché è brutto ma perché c'era e ci sarà di meglio ;)

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  2. Un buon filmetto ma nulla di più!
    Decisamente sopravvalutato.

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    1. Sì, purtroppo è così, anche se comunque è un buon film, ma decisamente non da Oscar..

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