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venerdì 10 maggio 2019

Hostiles - Ostili (2017)

Si tende a ritenere il western come un genere ormai morto e sepolto, io invece non sono per nulla d'accordo. Il western non è affatto morto, è solo felicemente in pensione, pur consapevole di essere ancora in grado di donare qualcosa. Basti pensare ai titoli usciti negli ultimi anni, non solo in ambito cinematografico, per renderci conto che il genere, benché ormai minoritario, è ben lungi dal finire sottoterra. Questo qui però, grazie anche a una storia di integrazione che parla alle generazioni moderne, le ostilità che i protagonisti sono costretti ad affrontare lungo il cammino sono il segno di un film che in realtà tratta un tema attuale e molto sentito, Hostiles - Ostili (Hostiles), film del 2017 diretto da Scott Cooper, non è un western come tutti gli altri. Questo è un infatti un film diverso, almeno per quella che è l'idea comune di western. E' diverso da ogni Sentieri Selvaggi o Balla coi lupi, non ha niente a che fare con The Lone Ranger ovviamente, con nessun film di Leone, The Eightful Eight o con I Magnifici Sette. E' diverso perché alla base della storia non c'è l'azione con cavalli, fucili e frecce (anche se rende tuttavia onore ai grandi capolavori del genere), bensì il conflitto e la crescita interiore di un uomo, di un soldato, che sta vivendo personalmente il cambiamento di punto del vista nei confronti del conflitto americano-indiano. Un conflitto che nel 1892 stava cambiando pelle, in cui era difficile stabilire chi fosse nel torto fra le due parti, la brutalità e la violenza non erano risparmiate da nessuna fazione. Quelli che erano quindi giochi di potere fra lo stato americano e le tribù diventarono questioni personali, tra soldati americani e indiani. Non a caso il capitano Joseph Blocker ha passato la vita a combattere gli indiani, li considera selvaggi e crudeli e non si è mai fatto scrupoli ad usare contro di loro tutta la violenza che riteneva necessaria e che il Governo consentiva senza problemi. Per questo sembra la scorta più improbabile per il capo Falco Giallo, a cui, dopo anni di prigionia e a causa di una grave malattia, è stato concesso di andare a morire nella sua terra di origine. La situazione si complica ancora di più quando al gruppo si unisce Rosalie Quaid, una donna a cui un gruppo di indiani Comanche ha sterminato la famiglia. Donna che quindi diventerà una dei protagonisti di questo racconto di integrazione tra gli abitanti di uno stesso territorio ma dalle tradizioni differenti. Difatti il viaggio che dovranno compiere sarà più che altro metaforico, sarà un viaggio verso la tolleranza e il riconoscimento della parola "omicidio", un viaggio in cui non ci saranno vincitori ma solo vinti.
Scott Cooper, che torna a lavorare con il sempre bravissimo Christian Bale (insieme avevano fatto l'affascinante benché imperfetto Out of the fournace – Il fuoco della vendetta) per raccontare la storia di un "cambio di prospettiva", la storia di esseri umani "danneggiati" che un viaggio mette a contatto con l'oggetto della loro paura/ostilità/diffidenza (incarnato dal capo Cheyenne e dalla sua famiglia), mentre al contempo un altro gruppo di "selvaggi" li incalza e un'ultima aggiunta al gruppo (un soldato condannato a morte proprio per le atrocità commesse contro gli indiani) scuote le loro coscienze, presenta, dunque, un film ben scritto ed estremamente curato, dove si lascia spazio a un gran numero di riflessioni e interpretazioni: dalla più semplice alla più complessa (non per caso il film sottolinea le contraddizioni di un lato oscuro della storia americana, lo sterminio delle tribù dei nativi a favore di un insediamento figlio del sangue e dell'occupazione, una lotta sociale che all'epoca provocò un dispendio di armi e di perdite di vite umane notevoli), la lettura di Hostiles colpisce in positivo, regalando un viaggio del quale è davvero difficile non parlare. Anche perché Hostiles usa il western (genere purtroppo spesso apprezzato e compreso solo dagli amanti di quest'ultimo) per raccontare una storia dal respiro universale, una storia che parla di uomini, della difficoltà di adattarsi e comprendere il diverso. Il regista sembra amare il genere e lo modernizza. Sono presenti tutti gli stilemi classici del western, dai piano sequenza mozzafiato alla fotografia, in particolare nelle sequenze iniziali, ma senza raccontare una classica storia da western. Il film è godibile (nonostante le 2 ore), merito di una sceneggiatura mai banale e sempre incalzante, che sa alternare in maniera saggia momenti più action con momenti di maggior riflessione e pathos. In tal senso Scott Cooper sa come scatenare le nostre emozioni, come giocare con i nostri sentimenti, e lo fa immediatamente, dalle prime battute, regalandoci una sequenza iniziale di fortissimo impatto, che trasuda fragore viscerale e ci turba, ponendoci subito nella condizione di empatizzare con i protagonisti e provare odio verso tutto ciò che è diverso da loro. Ma non sarà del tutto così. Egli si diverte a farci credere che il film possa andare in una direzione per poi rivelarci che la strada verso cui ci sta portando sia del tutto diversa da quella che potevamo immaginare. Crediamo di trovarci in un déjà-vu, con le prime sequenze in cui il termine vendetta non solo viene percepito e respirato, ma addirittura pronunciato, invece (come detto) Hostiles è tutt'altro, ed è tante cose.
La maniera in cui sputa fuori tutte le emozioni è sempre cruda e violenta, ed è proprio quello che facilità una visione altrimenti oppressiva. Il regista ci spinge subito nel suo fiume in piena, accompagnandoci tra acque chete ed improvvise cascate. Ed ecco allora che dialoghi intensi (nessuna parola di troppo, nessun ti amo buttato a caso, bensì tanta narrazione per immagini, ovvero l'essenza stessa del cinema) e quasi mistici (in Hostiles si parla poco, pochissimo e giusto per lo stretto necessario, tutto il viaggio interiore vissuto dai protagonisti ci viene mostrato attraverso i loro volti, i loro gesti, e in maniera brutale e primordiale: sembra non esserci spazio per nient'altro che non sia violenza, dolore e morte, sarà Rosalee, con il suo dolore e pur tuttavia capace di comprendere e donare amore, a cambiare le sorti del gruppo) lasciano spazio a scene di efferata violenza e a quell'action di cui un western ha bisogno a prescindere, con pistole e fucili che sparano sempre quando devono farlo. Ma, come detto, sono le emozioni la forza trainante di un film che colpisce anche per il modo di trattare il tema dei disagi psicologici, il che raramente si vede in un western. In primis lo shock di Rosalie Quaid, reso benissimo da Rosamund Pike, tira fuori il lato più umano dell'eroina, di una madre distrutta, e aiuta a caratterizzare e rendere più verosimile il personaggio. E poi anche il disturbo da stress post-traumatico dei soldati, come lo stesso Blocker ma più in particolare del suo amico, il Sergente Maggiore Thomas Metz (Rory Cochrane), che dopo una vita passata ad assistere a violenze e a compierne non ne può più e cade in depressione. Accettare e riconoscere questo lato umano, questa naturale e legittima fragilità che non trasforma un soldato di fine Ottocento in un apatico assassino anche se, come dice il personaggio di Bale "Ho ucciso selvaggi perché questo è il mio lavoro", credo sia un aspetto davvero interessante. Il tutto non poteva essere ben reso senza una fotografia incredibile che rende il paesaggio americano un attore non protagonista fondamentale, un sonoro fortemente evocativo (Max Richter sempre una garanzia) e un cast strepitoso. Ogni personaggio è caratterizzato benissimo, Christian Bale (uno degli migliori attori contemporanei e questa interpretazione eccellente, per quanto mai esagerata o sopra le righe, testimonia ulteriormente questa mia convinzione), il trasformista, è semplicemente immenso, dona anima e corpo al suo capitano Joseph da farcelo percepire come vero, umano, palpabile. Wes Studi è perfetto nel ruolo (ma d'altronde non c'erano dubbi) del capo Falco Giallo. La sua interpretazione è semplice e dignitosa, senza il minimo strafalcione. Il personaggio parla pochissimo, non ha il minimo carisma, eppure in lui si percepisce tutta l'essenza del capo indiano.
Rosamund Pike (dopo la sua magnifica e angosciante performance in Gone Girl) ci fornisce un'ottima prova nell'interpretazione di una donna che ha perso tutto, ma che riesce a ritornare alla vita attraverso il contatto con gli altri e con la propria forza di volontà. E forse è proprio questo il tema profondo di Hostiles: il ritorno alla vita, alla concezione di essere umano. Joseph, Rosalie e Falco Giallo sono tre relitti alla deriva, tre anime perdute che riusciranno a sorreggersi l'un l'altro e alla fine di questo lungo viaggio riusciranno a ritrovare loro stessi e la loro umanità. A corollario di tutto, una manciata di caratteristi di lusso, oltre a Timothée Chalamet, nel ruolo secondario di Philippe DeJardin, a Bill Camp, John Benjamin Hickey e Jesse Plemons, Q'orianka Kilcher, la Pocahontas di The New World di Terrence Mallick (film controverso e criticato) che interpreta Donna Alce, moglie di Falco Nero, interpretato da Adam Beach (Flags of our fathers), mentre Stephen Lang (il soldato cattivo di Avatar o il cieco spietato di Man in the Dark, per intenderci) compare nel ruolo del Colonnello Abraham Biggs, colui che incarica Joseph di scortare Falco Giallo e la sua famiglia nel Montana. E così, supportato da atmosfere crepuscolari e nostalgiche che perfettamente si addicono al genere western, Cooper confeziona un prodotto veramente riuscito anche se non totalmente privo di toni didascalici e moralisti e altresì di alcuni passaggi narrativi pleonastici. Quello che realmente colpisce e resta impresso è il carattere antieroico del racconto, la consapevolezza degli errori commessi e soprattutto il desiderio di essere perdonati e di iniziare, insieme, una nuova pagina della Storia (nella mancanza la luce che li accompagnerà sarà il viso di Rosalee, speranza e umanità soprattutto per il capitano Joseph Blocker che apprenderà come un altro destino, forse, è possibile). Questo elemento assieme alle ottime performance del cast, alla fotografia mozzafiato e alle musiche rendono un prodotto di buona fattura, un western dalle intenzioni d'oro. Il finale potrà, giustamente, stordire, deludere e confondere lo spettatore, ma bisogna ammettere che è perfettamente coerente col messaggio di fondo che la pellicola vuole trasmettere allo spettatore. Un messaggio di speranza in un futuro migliore e specialmente in una società, una Nazione, più matura, saggia e unita che non ha paura di affrontare i propri errori passati, assumendosi le proprie colpe, ma che resta comunque proiettata verso il futuro, con unici bagagli l'ottimismo e la speranza. La scena conclusiva del film è quindi perfettamente in sintonia con la visione e il messaggio di Scott Cooper (che dirige con passione), il quale parte dalla frase iniziale di D.H. Lawrence ("L'essenza dell'anima americana è dura, isolata, stoica e assassina. Non si è ancora mai disciolta"), pessimistica e stoica, riuscendo, narrativamente, a sfatarla e smentirla. Un film capace di scuotere con la crudele realtà, un film di uomini soli, abbandonati, induriti dalla guerra e avversari: elementi che lo rendono vincente e interessante anche agli occhi di chi non ama il genere, un film, nonostante il genere, appunto dal linguaggio universale, che affronta un tema assai attuale. Un film insomma, davvero notevole. Voto: 7,5

9 commenti:

  1. Spiace anche a me, mi sarebbe piaciuto leggerne, però se concordiamo va bene uno ;)

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  2. Finalmente un film che ti è piaciuto. Olèèèèè!!!
    Comunque il genere western non fa per me, e non lo avrei guardato nemmeno se tu gli avessi dato un 10 pieno (cosa che, immagino, non sia mai accaduta fino ad ora). Giusto?

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    1. Ma non è stato il primo dall'inizio dell'anno, ci sono stati tre 8...comunque sì, tanto piaciuto ;)
      No mai, e sarà molto difficile che accada, i migliori capolavori appartengono ad un cinema non moderno...

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  3. Io sono del partito che tu citi a inizio recensione :D., ma indubbiamente traggo elementi interessanti dal tuo scritto..mi piace l'idea delle varie sfumature di grigio (non quelle del libro) dei personaggi, ma anche la storia che si sviluppa sul viaggio nel quale il protagonista deve scortare un nemico.

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    1. Sì, ho letto già da qualche parte che reputi il western morto, però prima vediti questo e poi mi dici ;)

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  4. Aspettavo questo film con ansia e non mi ha deluso. Amo il il cinema western e adoro la storia dei Nativi americani, Comanche e Cheyenne sono stati descritti con costumi e linguaggio in maniera esemplare e fedele al periodo storico in maniera ancora più efficace di altri cult del genere, come anche i soldati. Wes Study è un maestro indiscusso in questi ruoli e Bale - sono d'accordo con te - sta diventando, se ancora non lo è - uno dei migliori attori contemporanei. Penso che il ritmo stesso del film si sposa con il paesaggio e con il "viaggio" crepuscolare dei protagonisti, anche se lascia lo spettatore da solo. Decisamente d'accordo con la tua recensione.

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    1. Non conosco esattamente il periodo e i costumi, ma se sono attinenti è certamente un pregio di questo film, un film di grandi interpreti e di grande interesse, culturale, cinematografico ed umano ;)

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  5. "Un Bale estremamente maturo e tenace, ma che si scoprirà anche indifeso e vulnerabile, in quest'ultimo viaggio, fino a comprendere quanto abbiamo bisogno sempre, che sia solo di una parola, o di un sorriso, una carezza, o anche solo un posto dove andare, o dove restare" Un bel film.. certo vederlo come film d'esordio alla Festa del Cinema ne amplificò i meriti... allora..

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    1. Io l'ho visto con un po' di ritardo ma i tanti elogi li merita ugualmente ;)

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