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lunedì 25 novembre 2019

[Cinema] Fantascienza Vintage (Westworld, Brazil, Solaris, Stalker)

Ci sono film che si è visti ma che poi abbiamo dimenticato (non è questo il caso), e poi ci sono film che si conoscono anche senza averli visti. Con le dovute precauzioni (e di ciò dirò dopo) è questo il caso. Sì perché alcuni sono così famosi che basta nominarli per riconoscere immediatamente di cosa e di chi si sta parlando. Lo sanno bene chi di cinematografia conosce abbastanza, chi come me, da appassionato, è in grado di capirne la portata, in grado di coglierne l'essenza e di conoscerne la nomea. E infatti, questi quattro film di fantascienza scelti per esplicare (e concludere, è l'ultima della lista) la mia promessa cinematografica, sono quattro famosi film di fantascienza, quelli forse tra i più importanti del panorama di genere. Ma andiamo con ordine. Ho scelto di vedere Il mondo dei robot perché dopo aver visto Westworld la serie, mi sono accorto di non avere visto l'originale, in tal senso è giusto fare un riscontro tra i due prodotti, e così ho deciso di recuperarlo. Ho scelto di vedere Brazil, perché pur apprezzando Terry Gilliam, anche se i suoi ultimi lavori mi hanno lasciato un po' perplesso, non avevo ancora visto (pur conoscendone bene l'estetica e la sua natura) il suo film più celebrato, e così non ho perso questa occasione. Avevo già scelto a tempo debito di vedere Stalker di Andrej Tarkovskij, giacché ne avevo sempre sentito parlare, sapevo della sua esistenza (addirittura ne ho sempre colto gli omaggi o le citazioni), però non avevo approfondito, ma era giusto anche recuperare un altro famoso film di fantascienza del celebrato regista russo, un film che, reclamizzato come "La risposta della cinematografia sovietica a 2001: Odissea nello spazio" non avevo ancora visto. E il film è ovviamente Solaris, di cui credo di aver visto però il remake con George Clooney, quindi qualcosa già sapevo, tuttavia sempre ben altra cosa è vedere il materiale originale, e così anche questo film è entrato nel quartetto, nel quartetto di film sempre conosciuti ma mai visti (almeno non interamente) da me.
Il mondo dei robot (Fantascienza, Thriller, Western, Usa 1973)
Tema e genere: Film di fantascienza precursore del tema della macchina che si ribella all'uomo.
Trama: Siamo a Delos, luogo di vacanze per i terrestri di un non lontano futuro. Diviso per epoche storiche e popolato di robot debitamente rivestiti, permette ai turisti di "vivere" avventure di ogni genere senza pericoli. Ma a Peter e John qualcosa va storto: i robot iniziano a ribellarsi e il tuffo nel vecchio West si trasforma in un incubo tragico, al quale sembra impossibile trovare una via d'uscita.
Recensione: Scritto e diretto da Michael Crichton nel 1973, Westworld (il film) è decisamente più ingenuo e bonaccione, se visto oggi, paragonato a Westworld (la serie, qui la recensione della seconda stagione). Ma gli elementi che caratterizzano quest'ultima sono tutti già presenti, anche se un po' all'acqua di rose, perché per esempio non viene per niente approfondita la causa dei guasti alle macchine. Infatti, in questo visionario fanta-western apocalittico ambientato interamente in un parco divertimenti del futuro, una super-Disneyland del 2000 popolata da robot e divisa in tre universi tematici (l'antica Roma, il Medioevo e il Far West), in cui turisti danarosi trascorrono suggestive vacanze, il monito dell'autore sulla paura per il progresso scientifico si manifesta violentemente quando tutti i robot del parco sfuggono (senza sapere perché) al controllo dei tecnici della centrale operativa iniziando ad attaccare gli esseri umani: la suspense e la tensione latenti sin dall'inizio esplodono in tutta la loro drammaticità trascinando vorticosamente il film fino al convulso (forse troppo convulso) finale. Spettacolare e sicuramente coinvolgente, Il mondo dei robot soffre, però, l'eccessiva convenzionalità drammaturgica di una messinscena senza dubbio efficace ma priva di impennate e virtuosismi, se si escludono i trucchi e le magie degli effetti speciali (è, tra l'altro, il primo film ad utilizzare immagini digitalizzate al computer) e le performance dell'ottimo cast, tra cui si segnalano, oltre a Yul Brynner (perfetto Pistolero, e non per caso), che tratteggia con ipnotiche e meccaniche movenze (tanto meccaniche come lui essere lo "zio" di Terminator) un personaggio inquietante e suggestivo, le prove di James Brolin (probabilmente il vero "padre" di Christian Bale), Richard Benjamin, Dick Van Patten e Steve Franken. Manca anche un po' di ritmo, e soprattutto, come detto, mancano certi sviluppi filosofici ed esistenziali che hanno fatto poi la fortuna della serie. Tuttavia non si può non dare i giusti meriti, si ricordi che siamo agli inizi degli anni '70, e ringraziare Il mondo dei robot per esserci stato. Perché senza, molto probabilmente, non avremmo avuto, dopo, nei decenni successivi ed anche adesso, la fortuna di vedere certe iconiche pellicole di fantascienza. Enorme infatti è stata la sua influenza, non è un caso che molti sono gli elementi all'interno del film divenuti successivamente dei veri e propri stereotipi del genere. Ed è così che questo film, da molti considerato (e giustamente) un cult, si faccia ben volere nonostante tutto, nonostante nel complesso sia in verità un film non proprio eccezionale, anzi.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Pur non essendo un regista dal grande talento (soprattutto se si rapporta a quello letterario) Michael Crichton (che qui anticipa molti aspetti che lo porterà a firmare quel Jurassic Park, ne sembra quasi una prima bozza, poi capolavoro cinematografico firmato Steven Spielberg) muove abbastanza bene lo sviluppo della trama. Si può obiettare sicuramente che la caccia finale poteva essere realizzata meglio (utilizzando più adeguatamente un cast di assoluto rispetto), ma siamo comunque di fronte ad un prodotto che per l'epoca presentava grandi idee (e grandi doti tecniche visive) e soprattutto un'inconsueta commistione di generi (fantascienza + horror + western) da sempre patrimonio del cinema di serie B, al quale Michael Chrichton si è sicuramente ispirato nella realizzazione cinematografica.
Commento Finale: Film tratto dall'omonimo romanzo di Michael Crichton che è geniale nell'idea di partenza ma che nel complesso mi è sembrato troppo frettoloso, in parte nello svolgimento ma soprattutto nel finale. Rispetto alla serie tv, è più razionale e all'interno degli schemi ma è carente nella caratterizzazione dei personaggi e in tanti altri aspetti. Tuttavia innegabile è la capacità di intrattenere, coinvolgere ed interessare abbastanza.
Consigliato: Sono diverse le motivazioni, c'è una tra le prime "ribellioni delle macchine" (tema che sarà spesso ripreso nel cinema), che potrebbero spingere alla visione di un film che, tenetene conto, ha ormai passato i 40 anni.
Voto: 6+
Brazil (Fantascienza, Dramma, Grottesco, Gran Bretagna 1985)
Tema e genere: Film di fantascienza di stampo tragicomico ambientato in un mondo distopico, in cui la burocrazia ha preso il sopravvento in ogni attività dell'uomo e, combinata al cinismo spietato dei potenti, uccide chi tenta di ribellarsi e i pochi che ancora riescono a sognare.
Trama: Sam Lawry è addetto agli sterminati archivi di una megalopoli, capitale di un non identificato Paese, in cui la fanno da padrone il Potere e la Burocrazia. Nulla sfugge al sistema computerizzato del Dipartimento Informazioni. Nella città da qualche tempo hanno preso ad agire gruppi di terroristi, che seminano il terrore pur di smuovere qualcosa. Sam, dal canto suo, oppone al grigiore della routine la sua possibilità di evadere nel sogno. Un giorno, però...
Recensione: In un terrificante stato dominato dalla burocrazia l'uccisione di uno scarafaggio fa involontariamente premere a un responsabile un tasto sbagliato e una persona innocente finirà ingiustamente arrestata e uccisa. Finirà a occuparsi del caso uno stralunato funzionario alla disperata ricerca della donna dei suoi sogni e in fuga dall'invadente madre. Una gran bella pellicola che definirei tragicomica. Intanto troviamo la critica ad un potere sempre più burocratico e quindi di conseguenza bieco e senza scrupoli o sentimenti. Tutto è rigidamente controllato e burocratizzato. Il regista "americano" Terry Gilliam si ispira quindi liberamente al "1984" di George Orwell, ma ambienta il film in un imprecisato luogo temporale del futuro, scegliendo una scenografia retro-futurista piena di rimandi alle icone del fascismo e curata in ogni dettaglio estetico e simbolico grazie ad un indiscusso talento immaginifico (si pensi al cappello a forma di scarpa della madre di Sam, quest'ultimo interpretato straordinariamente dal Don Chisciotte ultimo Jonathan Pryce, o alle grottesche e inquietanti maschere da bambino dei torturatori). Brazil è indubbiamente un film fuori dal comune: un trattato di filosofia-politica dall'estetica barocca, una favola nera e visionaria che commuove, disturba e fa riflettere, rivelandosi come un coacervo di sogni, incubi e possibili realtà. Un inno alla libertà e alla fantasia, alla vita mite del povero Sam Lawry (straordinario anti-eroe: timoroso burocrate modello, ingenuo e miope, vittima del sistema ma ancora in grado di sognare e, pertanto, pronto ad abbracciare la giusta causa della resistenza a un potere tirannico) e al suo desiderio d'amore e di fuga, ma anche un grido disperato che nasce dalla paura di non poter più modificare ciò che non può essere tollerato. Brazil è spiazzante e folgorante (il terribile terrorista a cui lo stato sta dando la caccia è nient'altro se non un sovversivo elettricista che ripara le cose senza far parte della società addetta), disilluso e, al tempo stesso e nonostante il suo essere attuale e il suo ineluttabile pessimismo, pieno di speranza: perché quest'ultima, citazione di Vaclav Havel, "non è la convinzione che le cose andranno bene, ma la convinzione che quel che stiamo facendo ha un senso, indipendentemente dal risultato". Camei per Ian Holm, Bob Hoskins e Robert De Niro, in un personaggio diabolicamente sovversivo e istrionicamente baffuto, nonché per l'ex Monty Python Michael Palin, qui in un ruolo inquietante e desolante. Il suo ex collega Terry Gilliam, alla regia, firma e alla terza opera dietro la macchina da presa, firma così il suo miglior film, probabilmente il suo capolavoro, dando vita ad un racconto che non ha smesso di essere presente. Un racconto tragicomicamente delizioso, che anche grazie ad un tragicomico motivetto ti prende e non ti lascia più. Già, "Braaaasil parrappapaparaa" avete presente la musichetta carnascialesca che (specialmente nella versione medley con Brigitte de Bardò Bardò) ha allietato tanti dei vostri gaudenti trenini? Si? Bene, allora canticchiatela spensieratamente per l'ultima volta, perché dopo la visione di questo film assumerà un gusto un po' amaro e si velerà della lieve malinconia che talora avvolge il ridestarsi dei sognatori.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Uno dei pilastri della fantascienza anni '80 (ed io non l'avevo ancora visto), qui non c'è azione, né alieni cattivi, né cyborg o replicanti, c'è solo una società in cui la libertà individuale è ridotta ai minimi termini, in cui un capillare apparato burocratico sovrintende ad ogni cosa, ma basta un moscerino per metterla in crisi e sconvolgere la vita del buffo protagonista, vittima di una madre possessiva e di una personalità priva di ambizione. Dopo Blade Runner era difficile creare un film di fantascienza che se ne discostasse sia a livello visivo sia contenutistico, ma il geniale (e sicuramente dispersivo) Terry Gilliam (che dirige con talento onirico una vicenda in bilico tra Kafka e Orwell) riesce nell'intento creando una città dal sapore retrò popolata da strani personaggi (tutti ben interpretati) in cui il protagonista insegue il proprio sogno d'amore tentando d'infrangere tutte le regole comunemente accettate. La carne al fuoco è sicuramente molta e il film è un po' troppo lungo e straripante ma ci regala momenti belli, visionari e ironici. Non è importante capire tutto quanto ma lasciare che le folli suggestioni proposte da Gilliam sedimentino nella nostra mente e acquistino nuovi significati ogni volta che ci ripensiamo.
Commento Finale: Film notevole ed impegnativo da seguire. In un mondo distopico, sogno e realtà si fondono ad un ritmo folle delineando una trama che, col passare del tempo, sembra raggiungere la sua naturale conclusione per poi piombare nella cruda realtà. Tutto si gioca sul binomio libertà-burocrazia. Indovinati gli attori che riescono tutti ad esaltarsi anche nelle piccole parti. Satira sociale estrema che però lascia le briciole alle numerose intenzioni diverse però da quella principale. In ogni caso una piccola perla di deliziosa perversione.
Consigliato: Certo che sì, un film per chi vuole riflettere e anche sorridere allo stesso tempo su una vicenda che viaggia inesorabilmente verso un tragico epilogo.
Voto: 7,5
Solaris (Fantascienza, Dramma, Russia 1972)
Tema e genere: Film psico-fantascientifico tratto dal romanzo di Stanislaw Lem e messo su pellicola dal grande regista russo Andrej Tarkovskji.
Trama: Nella stazione spaziale in orbita intorno a Solaris, pianeta misterioso, accadono strani incidenti. Un celebre psicologo giunto in perlustrazione scopre che Solaris materializza tutte le immagini sepolte nella memoria degli astronauti. Individuato il "male", lo psicologo si trova a sua volta invischiato dall'entità aliena tanto da ritrovarsi (nella fantasia o nella realtà?) accanto alla moglie morta da anni, nella loro verdissima isba immersa nella campagna russa.
Recensione: Quella che, al momento dell'uscita, venne denominata come "La risposta della cinematografia sovietica a 2001: Odissea nello spazio", non mi ha del tutto convinto. Allora la principale destinazione delle critiche negative fu la sconsiderata opera di taglio e cucito imposta dalla distribuzione italiana, ma, a mio avviso, anche la versione integrale (di 2 ore e 40 minuti circa) è ben lontana dall'evocare le atmosfere ipnotiche e lisergiche del mitico film di Stanley Kubrick (mentre sul doppiaggio una parola, osceno, le parti non tradotte rendevano tutta un'altra atmosfera). Non che Andrej Tarkovskji non sappia il fatto suo in materia cinematografica e nemmeno che in questo Solaris non se ne veda l'impronta, eppure trovo che il risultato sia meno suggestivo ed avvolgente di quanto avrebbe dovuto o potuto essere. Il soggetto, fanta-coscientifico, della materializzazione dei pensieri (che siano ricordi piacevoli o paure) dell'uomo, è di una certa efficacia (tanto che in seguito verrà più volte ripreso e riproposto) e nelle mani del cineasta bielorusso si carica ulteriormente di pathos, fornendo l'occasione per riflettere sull'uomo e la sua condizione di solitudine e fragilità. Condizione dalla quale esso cerca di fuggire attraverso l'innaturale compagnia di riproduzioni, repliche, idealizzazioni materializzate, di figure che animarono il suo passato ed alle quali esso si appoggia per non fronteggiare la dura realtà del presente. Non solo: se l'uomo, reale, cosciente, fatto di atomi, si arrende alla debolezza e si rifugia tra le braccia di un ricordo animato, quest'ultimo, teoricamente immateriale, composto da soli neutrini, che nella realtà terrestre non avrebbe ragion d'essere, su Solaris prende coscienza di sé e della situazione, si arma di coraggio e consapevolezza e si sacrifica per il bene del suo involontario creatore, debole e spaventato. Insomma: un film dai contenuti social-filosofici assai pretenziosi e dalla forma virtuosa sia in termini di sceneggiatura, lentissima e faticosa, che di fotografia, pesante ed opprimente nei suoi colori desaturati, che di inquadrature, lunghe e fisse su particolari non preponderanti (immancabili i particolari su scrosci, o rivoli, o pozze d'acqua e gli scorci di vegetazione selvaggia). Le scenografie ovviamente futuriste, dalle geometrie abbastanza rigide, con una netta prevalenza di rosso, bianco e marrone, che, a turno, si contendono il dominio cromatico della scena, effettivamente richiamano parecchio gli ambienti dell'astronave Kubrickiana e fanno un certo effetto. Non male la prova degli attori, praticamente sconosciuti, che riescono a mantenere un livello di trasporto ed emozione tale da risultare credibili. Peccato per la scarsa fruibilità di un'opera (presentata al 25º Festival di Cannes dove vinse il Grand Prix Speciale della Giuria) che richiede un certo sacrificio, forse non ripagato a dovere. Anche se poi, alla fine, pesante, pesante come un mattone, ma affascinante e realizzato alla grande. Tanto che per chi riesce a digerirlo può essere un capolavoro. Non per me, ma in fondo è solo la mia opinione. Comunque, beh è da vedere, almeno una volta.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Opera etichettata in Italia come opera di fantascienza con il suo fuorviante slogan (è invece un film sulla psiche umana, sulla metafisica, un viaggio ipnotico e mentale, letteralmente), il Solaris di Tarkovskij non punta quasi per nulla sul piano degli effetti speciali, bensì si sviluppa più che altro come un viaggio nei meandri dell'inconscio e della mente dell'essere umano. La stazione spaziale del film è quanto di meno tecnologico ci possa essere: disordinata, sporca e poco accogliente. Inoltre l'elemento fantascientifico del pianeta (il non-luogo, questo enorme oceano pensante che fa da sfondo alle vicende) diventa per Tarkovskij il pretesto, l'invito a interrogarsi sui motivi che spingono l'uomo a esplorare altri mondi ma anche, e soprattutto, a riflettere sui limiti della propria conoscenza e razionalità (il suggestivo finale, aperto a molteplici interpretazioni, lascia un segno agghiacciante e sconvolgente, ed induce a riflettere sul ritorno alle proprie radici). Un film "pesante", complesso, di "fanta-coscienza" se si vuole definirlo tale, e di non facile comprensione a causa del ritmo lento e contemplativo che impernia tutta la pellicola (io ho apprezzato moltissimo la prima parte che incuriosisce e fa salire il mistero di Solaris e il finale abbastanza ambiguo e spiazzante, la parte centrale, con pochi dialoghi e un'atmosfera lenta, alla lunga invece mi ha un po' stancato). La scenografia scelta dal regista appare piuttosto semplice e antiquata, ma è comunque di forte impatto visivo per lo spettatore. Particolare è l'uso dei colori (il bianco e nero viene utilizzato in diverse scene). Molto bella e degna di nota la colonna sonora. Bravissimi gli interpreti, soprattutto Donatas Banionis.
Commento Finale: Visto nella versione integrale, con la prima parte in russo con i sottotitoli in italiano. Non è mai facile commentare film come questi, sarebbe come discutere di un trattato di teologia o filosofia, comunque rimane difficile pensare ad un'unica chiave di lettura. Sicuramente si tratta di un film interessante e di ampio respiro che mostra il talento narrativo e intellettuale di un grande regista, ma devo ammettere che il sentimento prevalente durante la visione è stato il tedio. Anche perché a me ha trasmesso un senso di smarrimento e pessimismo, ineluttabilità. Bello ma inutilmente lungo e, come apparentemente tanto di quel che arriva dalla Russia, pesantemente tragico.
ConsigliatoSolaris è un film impegnato ed impegnativo, fondamentalmente privo di azione in cui la fantascienza non è che un'ambientazione per analizzare l'animo umano. Sconsiglio la visione a chi vuole solo divertirsi, ma almeno una volta nella vita Solaris va visto, come del resto 2001: Odissea nello spazio.
Voto: 7+
Stalker (Fantascienza, Dramma, Russia 1979)
Tema e genere: Film di fantascienza del 1979 diretto da Andrej Tarkovskij, liberamente tratto dal romanzo Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Come già per Solaris (di cui sopra), la pellicola rappresenta una personale interpretazione di Tarkovskij dello scritto originale.
Trama: Un meteorite caduto sulla terra ha prodotto strani fenomeni in una zona, prontamente protetta e recintata dall'esercito. Per entrarci esistono però delle guide clandestine, chiamate "Stalker", capaci di condurre chiunque lo richieda fino alla "camera dei desideri". Uno scrittore, uno scienziato e uno stalker partono verso la misteriosa zona. Ne torneranno profondamente cambiati.
Recensione: Un film di fantascienza che della fantascienza ha tutti i dettagli meno che il ritmo e tanti intermezzi. Più che altro possiamo definirlo un film d'autore, tutto ciò che consegue la categoria penso sia superfluo indicarlo, sostanzialmente si può sintetizzarlo come: non per tutti. In Stalker infatti, Andrej Tarkovskij torna di nuovo ad approfondire le tematiche fondamentali che hanno caratterizzato tutta la sua opera. Il proseguo difatti, più che di fantascienza, lo si può definire thriller, thriller dell'anima: il ricco e superficiale scrittore, il semplice scienziato, il cupo, insondabile, imperscrutabile stalker. Tre personalità opposte messe di fronte, tutti contro tutti. Pian piano tutto verrà fuori, una matriosca di rivelazioni, rivelazioni personali, sul mondo, sulla loro situazione, sul terrore del voler sapere a tutti i costi. Quando tutto sarà finito poi, niente sarà più come prima. Insomma non siamo di fronte ad un film semplice da vedere: la pellicola (presentata al Festival di Cannes nel 1980) dura quasi tre ore, imbottite di lentissime carrellate, dettate da un gusto per l'immagine che si può definire di stampo poetico, che va oltre la storia che il film racconta. E quindi è difficile valutare un film come Stalker. Siamo in presenza di un film che è manifesto della concezione filosofica e religiosa del regista, dove i limiti umani vengono indagati a partire dai propri desideri più nascosti e più intimi. Il viaggio è un viaggio interiore e solo i veri puri possono comprendere il dono della Zona. La metafora si fa film e il contenuto lo travalica, Stalker è troppo un film che vuole dire e perde in parte la sua essenza cinematografica. Trakovskij ci porta in questo viaggio ma non gli interessa il viaggio è troppo impegnato sui dialoghi, sulle sensazioni e alla fine si disinteressa della storia che racconta. E' una scelta perfettamente voluta ma che trasforma la pellicola in un trattato filosofico e qualsiasi interesse cinematografico viene sacrificato sull'altare del contenuto. In Solaris (simile ma diverso, però solo per la concezione più fantascientifica) era presente la forza del cinema, Stalker invece è un film asciutto, minimale, concentrato sui suoi dialoghi e costruito su una lentezza che definire estenuante è un eufemismo. Il film avrebbe potuto concedere qualcosa di più al racconto cinematografico senza far perdere di incisività alla metafora e al messaggio filosofico, rendendo tutto più interessante e coinvolgente. Anche perché il film riesce a trasmettere anche una certa tensione, e questo è un dato notevole considerando che non si tratta di un horror e quindi non ci si aspetta certo di vedere la testa di qualcuno tranciata improvvisamente di netto. Eppure i tempi troppo dilatati, il significato che si riflette prepotentemente nella (bellissima) fotografia ma che non sorregge l'intera vicenda in quanto essenzialmente sprovvista di una benché minima trama, impediscono al film di decollare verso l'empireo dell'arte più bella. Un film che non mi ha convinto, quindi. Non basta girare un film dall'acuto significato esistenziale, con la classe del regista di talento, perché lo "spettacolo" funzioni. Tuttavia, un film da vedere, da riflettere, e seppur lo reputi lungi dal potersi annoverare fra i capolavori (almeno tra i miei), non gli si può negare il valore (e probabilmente i nobili intenti).
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/CastStalker è l'idea di racconto post-apocalittico secondo Andrej Tarkovskij: un'idea, come il cinema dell'autore russo, personalissima e altrettanto facilmente riconoscibile. I temi della guerra atomica, del controllo militare, dello Stato di polizia, della follia come imprescindibile caratteristica umana, dello spaesamento nell'individualismo moderno si fondono in un quadro desolante di natura matrigna, verde selvaggio eppure malato, in un inevitabile (per il regista) incessante gocciolare d'acqua. Tratto dal romanzo di Arkadij e Boris Strugackij intitolato Picnic sul ciglio della strada, con una sceneggiatura da essi stessi scritta insieme a Tarkovskij, il film si muove con esasperante lentezza e relativa maniacale cura dei dettagli attraverso sterminate sequenze basate su dialoghi filosofeggianti dal linguaggio ricercato e totalmente fasullo, artificioso, quanto improduttivi nella sostanza. Se da un lato sono innegabili gli encomi al ben mirato dispendio di mezzi tecnici, all'efficace sfruttamento delle ambientazioni e alla prodigiosa capacità del regista di suggestionare per immagini utilizzando la pellicola essenzialmente in termini pittorici, certo non si può essere altrettanto entusiasti del risultato sul piano della narrazione, macchinosa e spesso inconcludente, quantomeno se si considera l'esiguità della trama spalmata nelle oltre due ore e mezza di durata dell'opera.
Commento Finale: Per dare una spiegazione a film del genere forse bisogna avere una preparazione filosofica non indifferente, per i poveri mortali come me prendo nota di una pellicola molto dialogata con sfondi di natura alternati ad aree dismesse e ambienti degradati e lugubri. Alla fine il tutto affascina e se anche il tempo scorre molto lentamente, data la lunghezza del film e i dialoghi restano criptici e fuori da ogni logica di facile comprensione non me la sento di dare un giudizio negativo, anzi, lasciamogli questa aurea di intellettualità che fa anche tendenza. E poi allo stesso tempo devo evidenziare la coerenza e la maniacale precisione stilistica, ovvero il film è curatissimo in ogni minimo particolare, a partire dalle suggestive scenografie. Potente e originalissima, l'idea avvince ma viene fatta affogare in un mare di sterili dialoghi esistenziali e razionalistici. Nel bene e nel male, un film unico.
Consigliato: E' come per Solaris, anzi, seppur ugualmente da vedere almeno una volta, è più impegnativo.
Voto: 7

14 commenti:

  1. I primi tre sono dei grandi classici, a Brazil come voto darei molto, ma molto di più.
    Stalker non l'ho mai visto.

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    1. Sì, ora me ne accorgo, e su Brazil siamo comunque sulla soggettività, anche se come per questo come per gli altri, l'oggettività è importante ;)

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  2. Ahah...e vabbè, è capitato, non l'ho fatto mica apposta ;)

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  3. Che poker d'assi hai calato a questa mano, Pietro! A questo punto non ti resta che completare il trittico di "fantascienza" di Tarkovsky con quel mega capolavoro che è "Sacrificio".

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    1. A parte che non so se dopo aver visto questi due vedrò mai più un suo film, grazie del consiglio ;)

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  4. Tre capolavori. Di Tarkovsky ho apprezzato di più Stalker perché Solaris non rispetta il libro (che ho avuto la fortuna di leggere) come dovrebbe. Però quelli russi sono due gran bei film, davvero profondi. Westworld l'ho visto di recente e lo trovo fenomenale. Quando uscì tanti anni fa deve aver fatto scalpore. Brazil secondo me è uno dei migliori film di Gilliam insieme a Le Avventure del Barone di Munchausen, però ammetto di non aver visto tutti i film del regista.

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    1. Quattro. Volevo dire quattro capolavori.

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    2. Profondi sì, però mi sono accorto di amare la vera fantascienza che quella presunta, anche se quest'ultima appunto, è di innegabile valore. E infatti mi è piaciuto molto Brazil, seppur non che si discosti troppo dai due di Tarkovsky, mentre per quanto riguarda Il mondo dei robot il problema è forse aver visto prima la serie ;)

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  5. Sai bene che la fantascienza non rientra tra i miei generi preferiti. Anzi, non lo apprezzo proprio.
    Eppure ricordo che "Alien" mi piacque. Forse perché ero poco più che una bambina.

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    1. Di Alien ho fatto il rewatch della saga completa l'anno scorso, il primo soprattutto un capolavoro ;)

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  6. Partendo dal presupposto che i miei preferiti del genere sono Blade Runner e 2001 Odissea nello spazio, devo dire che darei una chance a Brasil.

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    1. Che sono praticamente anche i miei preferiti, e faresti quindi come ho fatto io, bene ;)

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  7. Non ho visto nessuno di questi film! Dato che mi piacciono i film di fantascienza devo rimediare! 😊

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    1. Sono dei film di fantascienza però un po' atipici, quindi massima cautela ;)

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