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lunedì 31 luglio 2017

I peggiori film del mese (Luglio 2017)

Questo mese di luglio è stato alquanto impegnativo, almeno per quanto concerne il blog, dato che per festeggiare in modo adeguato il mio secondo bloggheranno ho cambiato veste grafica, non un compito facile personalmente, anche se me la sono cavata egregiamente, nonostante questo stesso cambio stilistico ha avuto una programmazione di ben 6 mesi, ma per fortuna tutto è andato liscio. Impegnativo non lo è stato invece umanamente parlando questo mese, anche se il caldo si è fatto sentire molto e mi ha portato, ancora adesso, alcuni strascichi con cui convivere. In ogni caso di film ne ho visti tanti, e tra questi alcuni meno belli (8 per esser precisi), quelli che proprio ora sto per presentare.

Dragon Blade: La battaglia degli Imperi (Azione, Cina 2015): Paradossale e fallimentare è questo film con Jackie ChanJohn CusackAdrien Brody. Paradossale perché nonostante il film racconti una storia vera e realmente accaduta, quella di una squadra incaricata di proteggere la Via della Seta da mire del folle console romano Tiberius, per colpa della regia (incolore e deleteria con passaggi ridicoli e imbarazzanti), del montaggio (con flashback buttati lì a casaccio), della sceneggiatura colabrodo (per non dire inesistente), della recitazione sopra le righe di tutti e soprattutto per le evidenti esagerazioni visive (con combattimenti alquanto ridicoli ed effetti speciali deficitari), non del tutto dettate dal classico stile cinese, ma da quello peggio del cinema americano, sembra un film fantasy palesemente inventato, poiché non ci si crede che tutto sia successo davvero. Insomma, dopo Outcast con Nicolas Cage, ecco un altro tentativo di mixare la storia occidentale con la cultura orientale che finisce miseramente nel nulla cosmico. Voto: 3

Timbuktu (Drammatico, Francia 2014): Arido e inconcludente seppur lodevole è questo drammatico film francese candidato all'Oscar come miglior film straniero nel 2015. Arido non solo per la psicologia estremista di alcuni jihadisti che impongono a Timbuktu la sharia, ovvero leggi che proibiscono la musica, il calcio e il fumo, e impongono un rigido codice di abbigliamento per le donne, ma anche perché la storia di una piccola vendetta (legata alla trama principale) che metterà in seria difficoltà il destino di una famiglia, è privo di quella "potenza" emozionale tale da riuscire ad appassionare o emozionare. Inconcludente perché non solo la storia rimane a metà, ma perché non c'è un particolare o un colpo di scena tale da interessare, nonostante la lodevole capacità o riuscita di raccontare una realtà triste, avvilente ed esistente, in modo quasi perfetto. Il film infatti colpisce certamente la coscienza, però la trama frammentaria noiosetta non aiuta l'attenzione per la visione, tanto che niente resta, niente rimane. Voto: 5,5

venerdì 28 luglio 2017

Steve Jobs (2015)

Sarò forse uno dei pochi a pensarla così, ma reputo Jobs, film del 2013, diretto da Joshua Michael Stern e con protagonista Ashton Kutcher, un film migliore e più interessante nonché coinvolgente (soprattutto nella narrazione) di questo secondo film biografico su Steve Jobs, perché Steve Jobs, film del 2015 diretto e co-prodotto da Danny Boyle con protagonista Michael Fassbender, nonostante l'originalità della messa in scena e della sceneggiatura non mi ha coinvolto e convinto del tutto. Messa in scena infatti troppo teatrale, dialoghi esasperati e pieni di humor e battute intelligenti, rendono certamente il film parecchio gradevole, ma ciò non lascia il segno. Poiché questo atipico e frammentato biopic, che concentra tutta l'attenzione su tre snodi fondamentali (revisionati come fossero "in diretta", in tempo reale) della vita/carriera di Steve Jobs, non mi ha per niente appassionato. "Steve Jobs" difatti (che ricostruisce il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi) ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs, il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998, e per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", comunque mai banali seppur estenuanti, soprattutto per lo spettatore, specie se non abituato al "teatro". Dato che quest'opera, che appunto non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, che lascia più spazio alla sceneggiatura che alla regia, che punta troppo (e non benissimo come altri) sui dialoghi (tutti d'un fiato ma senza colpi di scena), tanto che ne risente tutto il ritmo del film, è quasi in tutto e per tutto una deludente opera teatrale.

giovedì 27 luglio 2017

The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years (2016)

Nato dall'ennesima straordinaria collaborazione tra Ron Howard, qui regista, e Brian Grazer, qui produttore insieme al suo amico, ed entrambi reduci come produttori esecutivi della bellissima e affascinante (e molto apprezzata da me) serie Marte (1a e 2a parte ai link) e dalla serie televisiva Genius: Einstein (che sto in questi giorni vedendo), The Beatles: Eight Days a Week - The Touring Years, film del 2016, è il bellissimo ed interessante documentario (fatto col cuore, con l'anima, con la testa, non agiografico ma solo sincero) sul gruppo rock più famoso di tutti i tempi, i Beatles appunto, che in soli quattro anni, tra il 1962, anno in cui ancora suonavano quasi solo tra Liverpool e Amburgo, e il 1966, quando si guardarono in faccia e si dissero basta, basta con i tour, basta con quella follia ormai fuori controllo, diedero vita ad un fenomeno sociale senza precedenti, che radunò in ogni parte del mondo folle di dimensioni mai viste. Fu in quel periodo infatti, che i quattro giovani musicisti di Liverpool, fino ad allora abituati ad esibirsi in anonimi locali nella loro città e ad Amburgo, grazie alla composizione di un incredibile numero di bellissime canzoni e al prezioso aiuto da parte del manager Brian Epstein, che curò abilmente il loro look e le loro attività, tennero un nutrito numero di concerti, dapprima in Europa, e successivamente in varie parti del mondo in teatri, arene e stadi, raggiungendo in breve tempo un clamoroso successo su scala planetaria, consacrandosi in tal modo alla leggenda della musica rock. Allo stesso tempo andò coagulandosi attorno a loro una sorta di divismo esasperato, con migliaia di giovanissime fans in delirio orgiastico che assistevano ai loro concerti. E mentre sullo sfondo delle loro canzoni scorreva la Storia di quegli anni, l'assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, la guerra fredda, le lotte contro la segregazione razziale, la conquista dello Spazio, i primi movimenti rivoluzionari giovanili, l'immenso successo raggiunto dal gruppo inglese finì per minarne l'unione. Infatti, dissidi interni alla band, evidente squilibrio di capacità e genialità artistiche fra i quattro, paura di attentati, incaute dichiarazioni su temi religiosi, la morte prematura di Epstein, portarono in breve tempo allo scioglimento del complesso, complesso che però immortale è ancora adesso.

mercoledì 26 luglio 2017

Outcast (2a stagione)

Spesso quando vedo un horror raramente mi spavento, poiché è davvero difficile trovarne uno discretamente spaventoso (a parte i grandi classici), ma avevo cominciato a guardare la prima stagione di Outcast perché mi aveva incuriosito in quanto tratta/trattava di un fumetto che ha tra i suoi autori Robert Kirkman, uno dei creatori e produttore esecutivo di The Walking Dead. Purtroppo però la seconda stagione, terminata il 5 giugno (il 12 giugno in Italia su Fox), nuovamente non convince fino in fondo. Come avevo già precedentemente spiegato nella recensione della prima stagione (qui), per quanto essa avesse presentato degli elementi interessanti, aveva poco entusiasmato, e pochissimo spaventato (a parte il plot iniziale), per cui poco intrattenuto. La prima stagione di Outcast infatti, spesso lenta, a volte un po' sconclusionata, che si era premurata di svelare davvero poco di quelle che inizialmente erano state presentate come delle possessioni demoniache, tanto che neppure il season finale era riuscito a fare chiarezza o ad offrire allo spettatore qualche misera risposta, deluse le mie aspettative, anche se speravo in una seconda migliore. Ora non che non faccia di meglio, anzi, soprattutto nella sua parte centrale con tanta azione e scene impressionanti la seconda stagione qualcosa in più lo da e lo fa, ma anche questa volta la trama (fin dall'inizio debole) non riesce davvero a spiccare il volo tornando a pasticciarsi con fin troppi elementi, chiudendo con un finale confusionario. Giacché il primo episodio di questa stagione, che in ogni caso non ha creato moltissime aspettative, mettendo in mostra esattamente quegli stessi elementi che avevano reso la prima stagione poco incisiva e riportando i personaggi al punto di partenza, senza indicare la direzione che avrebbero potuto percorrere, proprio interessante ed originale non è.

martedì 25 luglio 2017

Quel fantastico peggior anno della mia vita (2015)

E' risaputo oramai che fare e produrre un film sulla malattia non è mai facile, solo in rare eccezioni escono buoni film, addirittura peggio è quando alla suddetta viene quasi "appiccicato" il classico dramma romantico di formazione che fa scendere di livello, soprattutto se non ottimamente argomentato, la pellicola. Non è il caso di Quel fantastico peggior anno della mia vita (Me & Earl & the Dying Girl), film del 2015 diretto da Alfonso Gomez-Rejon e basato sull'omonimo romanzo di Jesse Andrews (che ha curato anche la sceneggiatura), poiché nonostante essa va comunque ad allungare la lista di quei film appartenenti a quel filone narrativo che prende il nome di "teenager cancer movie", in cui il tema principale è appunto la malattia terminale giovanile, ormai diventata punto saldo di formazione adolescenziale in ambito letterario oltre che cinematografico, che va quindi ad aggiungersi a titoli 50 e 50 e Colpa delle stelle, lo fa però in modo intelligente e per niente banale, così da farsi posto tra questi "classici" del genere. La pellicola infatti, vincitrice del premio del pubblico e del gran premio della giuria al Sundance Film Festival 2015 (creato oltre trent'anni fa da Robert Redford e vera istituzione del cinema indipendente o "arthouse", l'unico festival personalmente interessante), grazie ad un curioso mix di commedia per teenager, con un inizio quasi demenziale, e "cancer movie", ed evitando altresì una serie di trappole, dai toni melodrammatici alla facile strada della storia d'amore, in cui invece il dramma si stempera sempre in un'ironia che blocca sul nascere la retorica, riesce a districarsi bene e a risultare convincente.

lunedì 24 luglio 2017

Pietro Saba World 3.0

Come potrete oggi notare, in occasione del secondo anniversario della nascita di questo blog, e quindi all'entrata della mia terza edizione, il suddetto subisce un cambiamento radicale, un cambiamento che rispecchia la mia volontà di migliorare e aumentare la qualità visiva e di scrittura che il mio mondo, il mondo della blogosfera, spero abbia bisogno. Infatti ho deciso di cambiare totalmente faccia al blog, che d'ora poi avrà uno stile unico e visivamente accattivante, almeno credo, perché soprattutto le immagini del post saranno uniche, tutte difatti, a parte in alcuni casi eccezionali, avranno e hanno, dato che tutti i post subiranno un aggiornamento per uniformare il tutto, misure precise e misurate (800x230/370), come potete vedere dall'immagine che apre questo post. Un metodo che dovrebbe, secondo la mia visione, dare insomma unicità ad ogni post, giacché l'immagine ridimensionata e/o ritagliata sarà riadattata da me personalmente, il che porterebbe ad ognuna di esse ad essere accostate solamente al mio blog, se infatti troverete (dalla ricerca Google per esempio) un'immagine di quella misura probabilmente starete cercando me. In più sono stati aggiunti alcuni piccoli accorgimenti, dalle etichette ai cosiddetti "Related posts with thumbnails", ma purtroppo Linkwithin non mi funziona e ho messo un altro. A tal proposito vorrei anche dire che il blog non cambierà più aspetto stilistico, ma quello che potrebbe cambiare spesso è l'header del blog (e su tutte le piattaforme), infatti ciclicamente ogni 3 o 4 mesi, come alcuni bellissimi blog fanno, la cambierò con immagini di film o serie che durante l'anno mi hanno appassionato, divertito o semplicemente interessato.

venerdì 21 luglio 2017

Zero Dark Thirty (2012)

In quest'ultimo periodo tra liste di film da vedere, da recuperare e non vedere, ho avuto qualche difficoltà di trascrizione, infatti non mi ero reso conto di non aver mai visto Zero Dark Thirty, film del 2012 diretto da Kathryn Bigelow, forse perché mi sembrava di averlo già visto, d'altronde il poco conosciuto (comunque salvabile) film Code name: Geronimo, che ho visto tempo fa, trattava lo stesso argomento, in più credo di aver visto anche un documentario (ma vero e proprio) in merito all'uccisione del ricercato numero Osama Bin Laden, avvenuto durante un'operazione militare che scattò, come da titolo e gergo militare, proprio a "mezzanotte e mezzo" del Primo Maggio 2011. Per cui abbastanza tanto già sapevo, anche se il filo conduttore del film è la ricostruzione (apparentemente veritiera comunque non conosciuta ma certamente romanzata seppur asciutta e onesta) su come il team, grazie all'intuizione di un'agente della CIA, riesca dopo una sfilza di pedinamenti, intercettazioni, interrogatori violenti (infatti si evidenzia l'impiego sistematico della tortura per estorcere informazioni e questo è un merito del film che dice in modo crudo e realistico che senza l'annichilimento fisico e psicologico del nemico non si sarebbe arrivato al risultato) ad arrivare all'ultimo anello, colui che ha accesso diretto al fortino di OBL ad Abottabad in Pakistan. Tuttavia l'opera appare più come un docu-drama che un film vero e proprio, con quelle classiche ricostruzioni televisive con attori per ricreare un particolare evento effetto che impedisce però allo spettatore di immedesimarsi coi personaggi descritti. Il film quindi scorre via (forse troppo) come se fosse un documentario. Nonostante ciò il film ha una sua valenza importante, ma sinceramente ritengo Zero Dark Thirty più un film necessario che utile e certamente imperfetto, anche se per molti questo è un capolavoro, per me no, anzi, secondo me la regista (che in ogni caso si affida allo stesso giornalista-sceneggiatore Mark Boal) non riesce a ripetersi al livello di The Hurt Locker, quello sì davvero appassionante.

giovedì 20 luglio 2017

L'era glaciale: In rotta di collisione (2016)

Quinto capitolo di una saga longeva e molto amata, ma L'era glaciale: In rotta di collisione (Ice Age: Collision Course), film d'animazione del 2016 diretto da Mike Thurmeier, è probabilmente l'episodio più debole, inferiore al già non brillantissimo film precedente. Le ragioni sono fisiologiche, una delle leggi del cinema smentite raramente da poche eccezioni afferma che i sequel siano in genere molto più deboli del film capofila, lo è anche con L'era glaciale che dopo il bell'esordio del 2002 non ha saputo reinventarsi troppo tranne per l'episodio 3, quello coi dinosauri, dove gli sceneggiatori riuscivano con un escamotage mettere insieme animali vissuti in epoche diverse. In questo capitolo 5 si naviga invece un po' a vista, si accumula la scena di personaggi, tanti, praticamente tutti quelli presenti nei capitoli precedenti con il risultato di togliere tuttavia spazio alle figure storiche, decisamente più divertenti (Sid, su tutti, assai sacrificato, mattatore vero nei film del passato e ora presenza costretta quasi ai margini). In cambio, si acquista poco, solo una figura ci fa convinto in termini comici, lo scorretto Buck che ha anche le battute e le situazioni migliori, il resto è un po' poco, compresi degli antagonisti poco efficaci e praticamente inesistenti. Nel film poi, oltre a non accadere praticamente nulla, il continuo susseguirsi di gag poco divertenti mette il pubblico nella disperata attesa di qualcosa di tremendamente buffo che non arriva mai. Di buffo (anche se meno esplosivo del solito nella sua cornice narrativa) rimangono solo i battibecchi slapstick tra lo Scoiattolo Scrat e la sua ghianda, questa volta su una navicella aliena, che provocherà appunto la rotta di collisione, come suggerisce il titolo, che spingerà Sid, Manny (doppiato non benissimo dal comunque bravo Filippo Timi), Diego e il resto dei loro amici, ad intraprendere un avventuroso viaggio verso nuove terre esotiche per salvarsi.

mercoledì 19 luglio 2017

Tutti vogliono qualcosa (2016)

Uno straordinario spaccato di vita degli anni '80 che descrive magistralmente alcuni giorni di vita di una squadra di baseball universitaria nei momenti precedenti agli inizi delle lezioni, tra party, scherzi e amori è Tutti vogliono qualcosa (Everybody Wants Some!!), film del 2016 scritto, diretto e prodotto da Richard Linklater. Il film infatti (sempre variamente ispirato al senso del tempo del regista), che riprende il discorso interrotto alla fine del bellissimo Boyhood e iniziato con La vita è un sogno (Dazed and confused), è una stupenda full immersion di quel periodo. Difatti Tutti vogliono qualcosa è un'esplosione di ricordi (e desideri) dell'estate del 1980, quando la musica disco e punk è all'apice e l'incubo dell'AIDS non si è ancora profilato. Ma non siamo davanti ad un teen movie, né ad una commedia banale, anzi il lavoro è piuttosto elaborato e trasuda nostalgia. Dato che in questo film generazionale il regista riesce a descrivere (impeccabilmente) gli anni '80 con un college film di quelli che non ti aspetti, non alla American Pie, ma in cui conta davvero la descrizione di quel periodo, in tutto, dalle mode alla musica, veramente tutto dettagliato, tanto che proprio l'attenzione per i dettagli rende il prodotto visivamente molto interessante. Perché questa perfetta ricostruzione d'epoca, dai costumi alle scenografie, alla fotografia, con musiche da urlo e personaggi divertenti che danno un ulteriore tocco di classe, è perfetta. Sembra insomma di essere in quell'epoca o in un film fatto in quegli anni.

martedì 18 luglio 2017

1993 (Miniserie)

Dopo il grande successo, soprattutto di pubblico, della prima stagione, quasi 10 episodi di riscaldamento nonostante il pathos nel ricreare le scene che hanno segnato l'inizio della fine della prima Repubblica, è tornato 1992 e lo fa cambiando cifra finale, trasformandosi quindi in quel 1993 che risultò essere l'anno cruciale del famoso processo "Tangentopoli", il secondo capitolo dell'ambizioso progetto di Sky (andato in onda su Sky Atlantic dal 16 maggio al 6 giugno 2017) nato da un'idea di Stefano Accorsi sulla fine della prima Repubblica e sulla nascita delle nuove forze politiche, una su tutte Forza Italia. La prima stagione, 1992, uscita nel 2015, ha messo la pulce nell'orecchio agli spettatori, introducendo i personaggi fittizi, calati nel contesto storico, da discreto romanzo storico, e dando il via alla trama, ma questo 1993 dopo una prima annata comunque poco convincente, riesce a migliorarsi, confermando solo il meglio accaduto in precedenza, riuscendo a conferire ai personaggi una sorta di karma interno, quasi come per ripagarli per quanto accaduto precedentemente, rendendo perciò 1993 una serie potente sia dal punto di vista dei temi trattati che da quello della narrazione, in futuro (tra un paio d'anni?) si arriverà a 1994, la resa dei conti e la nascita della seconda Repubblica, ovvero, la nascita del futuro. Con un notevole incremento della qualità tecnica e registica, il secondo capitolo infatti, nato per raccontare l'inchiesta Mani Pulite e molto altro, si fa più interessante ed avvincente. Certo, non era una sfida improponibile fare meglio del suo predecessore, ma la serie televisiva ha fatto tesoro di tutti i difetti presenti in 1992 e ha cercato di porvi rimedio. Ovviamente non siamo ai livelli di una produzione americana di prim'ordine (e sarebbe stata una richiesta impossibile da esaudire per gli addetti ai lavori di questa discreta produzione), ma la strada intrapresa sembra esser quella corretta per essere italiana.

lunedì 17 luglio 2017

Somnia (2016)

Ero convinto di assistere al solito horror senza infamia e senza lode, almeno fino a metà pellicola pensavo di vedere un horror originale ma comunque appena dignitoso, poi man mano che il film giungeva al suo epilogo mi sono sempre più convinto di assistere ad un piccolissimo gioiellino. Perché Somnia (Before I Wake), film del 2016 diretto da Mike Flanagan, che utile specificare non è un horror nel vero senso del termine, ma piuttosto una bella/mostruosa favola dark e come tale perciò andrebbe visto evitando così di rimanerne delusi, è un dramma psicologico originale e sensibile, che probabilmente sarebbe arrivato in modo più efficace se il film non fosse stato etichettato appunto come horror. In ogni caso il film se ad un primo momento poteva far pensare ad una sorta di remake di The Boy, film simile in alcune premesse fondamentali come rimozione ed elaborazione del lutto in una coppia che ha perso il proprio figlio in circostanze tragiche, è invece qualcos'altro, in questo caso infatti, la coppia, formata da Jessie (Kate Bosworth) e Mark Hobson (Thomas Jane), decide di ricominciare da zero e prendere in affidamento un bambino orfano, Cody (il Jacob Tremblay di Room), dal passato assai sfortunato (invece che una maledetta bambola). La coppia capisce subito però che Cody è un bambino speciale e che per via del suo passato traumatico ha iniziato ad aver paura di addormentarsi, tanto che assume caffeina e zuccheri per rimanere sveglio il più possibile, dato che egli ha un dono, i suoi sogni infatti, splendidi talvolta e macabri quando qualcosa lo agita, prendono vita prima del suo risveglio (non per caso il titolo originale è Before I Wake). Tutto questo ha un certo fascino quando ad apparire sono splendide farfalle giganti o elaborazioni di bei momenti vissuti, ma quando Cody inizia a parlare dell'Uomo Cancro e di come egli appaia nei suoi peggiori incubi, le proiezioni dei sogni del bambino diventano oscure e raccapriccianti, tanto che nessuno sarà più al sicuro.

venerdì 14 luglio 2017

Enemy (2013)

Dopo avermi quasi sconvolto con quell'avvincente film action Sicario e dopo avermi sconcertato con quell'altrettanto bel thriller psicologico Prisoners, Denis Villeneuve colpisce ancora, e lo fa spiazzando e sconvolgendo con un thriller enigmatico ed eccentrico, ma sorprendente, ovvero con Enemy, film del 2013 diretto dal regista e tratto dal romanzo L'uomo duplicato di José Saramago. E' un film infatti abbastanza enigmatico e di non facile interpretazione (o soluzione) perché quello che avviene in poco più di 80 minuti, non è facile da spiegare e capire, anche se non si tratta di un giallo, piuttosto di un thriller psicologico, non ci sono assassini o omicidi, qui il mistero è tutto mentale. Un mistero così criptico che a distanza di giorni non ho ancora le idee chiare, perché facile sembrerebbe la trama, quella di un inquieto ed insignificante insegnate di storia che imbattendosi nel suo doppio, notato casualmente nel ruolo di comparsa in un film, che determinato a capire chi sia questo individuo, cercherà in tutti i modi di scoprire la sua identità (forse un gemello?), ma non lo è, poiché lui stesso finirà in un vortice di ossessioni che metteranno a repentaglio sia la sua esistenza sia quella della misteriosa comparsa nonché dello spettatore, quello che difatti porterà entrambi verso un tortuoso, straniante e terrificante incubo, sarà lo stesso per lo spettatore, che avrà difficoltà a venire a capo all'intera vicenda già di per sé complessa. Come se non bastasse, l'ultima scena arriva come un fulmine a ciel sereno, il finale è infatti e certamente uno dei più grandi shock cinematografici di sempre. E non si tratta del classico colpo di scena in cui, con una spiegazione sorprendente, si risolve il mistero, tutt'altro, la situazione anzi si complica ulteriormente, lasciando il pubblico in balia di uno dei più criptici (ambigui) ed inquietanti enigmi di sempre (vedere per credere).

giovedì 13 luglio 2017

Fuga dal pianeta Terra (2013) & Robinson Crusoe (2016)

Oggi ho messo insieme due film d'animazione non solo perché non sono ottime pellicole (comunque sufficienti), ma perché entrambi raccontano da una prospettiva diversa e inconsueta, ribaltando il punto di vista, una storia più o meno originale, per questo e per tanto, e nonostante una resa non propriamente eccelsa, mi sono piaciuti, anche se il secondo è più per bambini che per gli adulti, ma sono comunque piacevoli da vedere. Partendo da Fuga dal pianeta Terra (Escape from Planet Earth), film d'animazione del 2013 diretto da Cal Brunker (co-sceneggiatore di Ortone e il mondo dei chiCattivissimo me e L'era glaciale 4: Continenti alla deriva), al suo debutto alla regia di un film cinematografico, e basato su un racconto di Tony Leech e Cory Edwards. Un film, un'avventura galattica divertente e godibile (il primo film della Rainmaker Entertainment ad essere distribuito nei cinema) che appunto ci racconta, da una prospettiva inconsueta, di buffi eroi venuti dallo spazio che per l'appunto dalla Terra vorrebbero scappare. I protagonisti, alieni blu del Pianeta Baab, talmente evoluti da avere una straordinaria stazione astronomica, la BASA, con a capo della Sala di Controllo un papà nerd, Gary Supernova, alle prese con la notorietà del fratello minore, astronauta a primo acchito "tutto muscoli e niente cervello", ossia il celebre Scorch Supernova che, durante una missione sul pericolosissimo Pianeta Oscuro (la Terra), da dove molti astronauti non sono più tornati, viene infatti fatto prigioniero (facendo perdere i suoi contatti e nientemeno che nell'Area 51) e quindi starà a Gary prendere il controllo della situazione (questa volta fisicamente) e salvare il fratello, per apparire un eroe anche agli occhi del figlio Kip, che adora lo zio e vorrebbe emulare le sue imprese. Una volta sulla terra perciò, grazie anche ad altri simpatici alieni dall'altissimo QI, imprigionati e costretti a creare una terribile macchina per il malvagio generale Shanker, cercheranno di fuggire e tornare (dopo tante difficoltà e gag divertenti) finalmente a casa.

mercoledì 12 luglio 2017

Il drago invisibile (2016)

Una genuina favola ambientalista sull'importanza del rispetto della natura e allo stesso tempo un delicato racconto di formazione e crescita che riflette sul delicato passaggio da infanzia a adolescenza (e quindi età adulta) e sul potere consolatorio della fantasia è Il drago invisibile (Pete's Dragon), film del 2016 diretto da David Lowery. Il film infatti, remake del film Elliott il drago invisibile del 1977, che vedeva una commistione di attori in carne e ossa e disegni animati (non proprio il massimo, di cui ricordo davvero poco, anche se per i mezzi di allora, sarebbe stato impossibile fare un bel drago al computer), è prima di tutto un film che parla di natura incontaminata e selvaggia, di istinti e libertà primordiale, di spazi aperti e di aria pulita come solo nelle immense foreste conifere del Nord America è possibile trovare. Parla anche di fantasia, di immaginazione, di amore verso gli animali, di sogno e realtà. In ogni caso la storia che racconta, è una storia praticamente completamente nuova, anche se entrambe le pellicole sono basate su un breve racconto di S. S. Field e Seton I. Miller, una storia certamente indirizzata ad un pubblico che pur non uscendo da un ramo di prevedibilità generale riesce nel suo scopo primario. Dato che questo è un film per famiglie, che non punta a sovvertire i canoni della storia tradizionale, ma che proponendo una fiaba, una bella fiaba, trovi il modo di entusiasmare lo spettatore, e a questo scopo funziona perfettamente, poiché non annoia ed è ben fatto.

martedì 11 luglio 2017

The Blacklist: Redemption (1a stagione)

Non è cominciata proprio con i migliori auspici o aspirazioni e non è finita (anzi, un po' lo si intuiva prima) come ci si aspettava The Blacklist: Redemption, lo spin-off della più celebre The Blacklist, dove il padrone incontrastato della dimora risponde al nome di Raymond Reddington, perché la serie della NBC ha deluso le mie aspettative. Colpa di un impianto narrativo non proprio originale, di un finale che lascia tutto in sospeso (perché speravano in una seconda stagione che invece non ci sarà) e che forse mai troverà soluzione ultima (anche se spero che questa trama venga chiusa nella serie principale), ma soprattutto il puntare sull'elemento meno personalmente interessante e simpatico (ovvero la ex spia Keen) è stato l'errore più grave. The Blacklist: Redemption difatti veleggia certamente su argomentazioni e stili simili, ma comunque molto (troppo) distanti da quelli della serie madre. Mentre The Blacklist può essere accostato decisamente ad un poliziesco, Redemption si dipana in una vera e propria spy story dove il ruolo di primi ballerini è affidato a Ryan Eggold (Tom Keen) e a Famke Janssen (Susan Scott "Scottie" Hargrave, nonché madre di Tom come rivelato da Red), non propriamente due personaggi iconici della serie. Io infatti la vedo perché c'è James Spader, qui senza è tutt'altra cosa, qualcosa di mediocre, prevedibile e addirittura dannoso. Perché Redemption, che come dalle parole del suo produttore John Eisendrath, va considerato un racconto a se stante, dedicato alla figura di Tom Keen e della sua disgraziata (si fa per dire) famiglia, per la sua inutilità ai fine del racconto principale ha rischiato di far perdere proseliti, e sicuramente per alcuni sarà così, comunque non io, come ben sapete non lascio spesso cose a metà, e considerando poi che la 4a stagione è quasi finita e ho tutta registrata, ugualmente vedrò. Ma questo è un altro discorso, anche se Redemption viaggia più o meno sulla stessa linea temporale di The Blacklist, dato che si lega in particolare agli eventi della fine della terza stagione (qui la mia recensione), quando la temibile stratega Susan "Scottie" Hargrave entra in scena.

lunedì 10 luglio 2017

Collateral Beauty (2016)

Ci sono film che ci soddisfano pienamente, parzialmente o per niente. Collateral Beauty, film del 2016 diretto da David Frankel (regista del bellissimo Io & Marley e del passabile One Chance), mi ha soddisfatto collateralmente, anche se non ho capito esattamente cosa significa, ma vedremo dopo, intanto però una cosa è certa, Amore, Tempo e Morte, sono questi i tre elementi che caratterizzano tutte le nostre vite, come ci insegna Howard Inlet (Will Smith), brillante dirigente pubblicitario, prima che una tragedia devasti la sua esistenza. Howard, infatti, dopo la perdita della figlia non riesce più a mettere insieme i pezzi della sua vita, non ha voglia di parlare, non ha voglia di mangiare, non ha voglia di cedere la società. I suoi colleghi e soci (il trio Kate WinsletEdward Norton e Michael Peña) sono così, dopo vari tentativi, costretti ad assumere un'investigatrice privata che dimostri l'incapacità del loro "capo" nel prendere decisioni. Ma l'investigatrice non è sufficiente, e per dimostrare lo stato di follia in cui riversa Howard (altresì scuoterlo e riportarlo alla consapevolezza che la sua vita non è finita), i tre colleghi riescono a coinvolgere un gruppo di attori amatoriali (Keira KnightleyHelen Mirren e Jacob Latimore) convincendoli a prendere parte a un piano del tutto surreale, un piano che in modi imprevedibili riuscirà nel suo intento. Che sia questo un film programmaticamente lacrimevole è ovvio, che si regga su un'astruso e contorto escamotage narrativo, è piuttosto vero. Però il film (visto su Infinity), a mano a mano che scorre, se si accetta l'assurdità dello spunto, conquista un interesse che si fa solido soprattutto verso la conclusione, quando la pellicola si tramuta, quasi, in un thriller sentimentale, con snodi che mettono a fuoco alcune cose apparentemente semplici da decifrare, ma che trovano concretizzazione solo alla fine. E se la regia di Frankel si premura, forse, di voler dare spiegazione a tante cose, d'altro canto mette tanto sentimento nel racconto, del cast le migliori sono le donne, da Naomie Harris, a Helen Mirren, a Keira Knightley e Kate Winslet, che tengono a freno il rischio di ridondanza emotiva della storia. Una storia che tocca tematiche altissime in modo credibile e coinvolgente.

venerdì 7 luglio 2017

Liebster Award 2017

A quasi due anni di attività e per il secondo anno consecutivo sono stato nuovamente premiato con il prestigioso e annuale Liebster Award, la simpatica iniziativa per far circolare i piccoli blog o quelli appena nati e dare la possibilità ad essi di conoscere altri blog con le stesse caratteristiche, oppure più semplicemente far scoprire qualcosa di più su loro stessi nella blogsfera. In tal senso sono quindi felice e contento di esser stato nominato, perché è una cosa che mi rende davvero felice rispondere alle 11 domande di rito, anche se non mi aspettavo tutti questi premi, dato che incredibilmente sono ben 7 quelli da ritirare. Quest'anno infatti, a onorarmi della nomination, per cui ringrazio di cuore per aver pensato a me, sono stati Babol de Il Bollalmanacco di CinemaGiulietta94, ovvero La collezionista di biglietti, seguita da Marco Contin de La Stanza di Gordie, anche se prima ho accettato la premiazione aperta di Alessandra, di Director's Cult, poi Alfonso Maiorino di Non c'è paragoneFrank R. di Combinazione casuale e infine Michele Borgogni de Il Cumbrugliume. Insomma tanta roba, dato che saranno una settantina le domande a cui dovrò rispondere, ma va benissimo così. Ovviamente, come per la maggior parte dei premi, anche questo Liebster Award Edizione 2017 ha delle regole da seguire. Quali sono? Eccole qui:

1) Ringraziare e rispondere alle 11 domande di chi ti ha premiato
2) Premiare altri undici blogger "meritevoli" (che non raggiungano i 200 followers)
3) Comunicare la vincita sulle bacheche dei blog premiati
4) Proporre ai premiati altre undici domande

Quindi andiamo con ordine. Ho già ringraziato i rispettivi premianti, adesso devo rispondere alle loro 11 domande. Andrò in ordine di premio ricevuto.

giovedì 6 luglio 2017

Cut Bank: Crimine chiama crimine (2014)

Thriller che punta tutto sull'originalità e sulle interpretazioni degli attori (alcune di queste davvero ottime) è Cut Bank: Crimine chiama crimine (Cut Bank), film del 2014 diretto dal semi-sconosciuto Matt Shakman (famoso per essere regista di alcune puntate di serie in tantissime produzioni), che nel primo vero lavoro importante sorprende e convince. Giacché esordire in un lungometraggio con tre attori (che solo per il loro carisma meriterebbero di essere visti) del calibro di Bruce Dern, Billy Bob Thornton (sempre un grande) e John Malkovich, non è proprio da tutti. In ogni caso, con o senza, questo film, questa avvincente, affascinante e più che discreta black comedy alla "Fargo", (anche se non c'è la neve e, soprattutto, non ci sono i Coen), senza infamia e senza lode, che certamente non contiene un plot così tanto originale anche se meritevole di una visione, quello abbastanza classico della sonnolenta città di provincia americana, Cut Bank, in Montana (anche se in realtà è girato a Edmonton in Canada), "the coldest spot in nation" come da "pupazzo", in cui inaspettatamente qualcosa di strano e inquietante accade (una serie di omicidi). Tutto scatenato dall'ordinario tentativo (sciocco) di un giovane del luogo, che intravedendo la possibilità di perseguire il sogno di una vita migliore con la fidanzata Cassandra in una città più grande, ordisce un piano, certamente astuto ma tanto difficoltoso, ritrovandosi per questo nel posto sbagliato al momento giusto, rimanendo perciò invischiato in un intrigo più grande di lui. Insomma non proprio qualcosa di nuovo e fresco, ma sicuramente effervescente, poiché anche se tutto sembrerebbe già visto, in verità non lo è, poiché il film ha i suoi momenti e il suo interesse, mentre infatti, molte pellicole di questo genere cercano di ottenere successo con effetti speciali, inseguimenti mozzafiato e ogni altro stratagemma tecnologico e surreale, qui assistiamo a qualcosa di diverso. Un qualcosa di un livello sicuramente più alto rispetto a molti altri film, che mette al centro le idee e l'originalità. Il film presenta difatti una storia ricca di misteri e colpi di scena, dall'inizio alla fine. La cosa che più mi ha entusiasmato è che da un momento all'altro potrebbe accadere (e accade) qualcosa, un morto, un segreto svelato, un raggiro scoperto. Il tutto, condito da ottime interpretazioni, giacché la regia è molto brava nel focalizzarsi a lungo sui primi piani dei personaggi, sul loro carattere e sulle loro emozioni, ma anche nell'alternare momenti di pausa (con riprese di un ambiente mozzafiato) a situazioni nelle quali accade di tutto e che tengono accesa l'attenzione dello spettatore.

mercoledì 5 luglio 2017

Taboo (1a stagione)

Una storia ricca d'intrighi e doppi giochi, una città ricca e fiorente, ma anche corrotta e ripugnante, un protagonista oscuro e violento, una venatura soprannaturale e storica, tutto questo è Taboo, la serie con Tom Hardy marchiata BBC e che vanta Ridley Scott come produttore. Serie che non avevo propriamente intenzione di recuperare presto, ma grazie a Sky Atlantic, che l'ha mandata in onda dal 21 Aprile scorso, l'ho potuta finalmente vedere e il mio giudizio (nonostante alcune non lusinghiere recensioni) non può che essere positivo, perché Taboo, composta da 8 episodi, prodotta da Tom Hardy, oltre che interpretata da egli stesso, da suo padre Chips Hardy e dal grande regista, scritta e sviluppata da Steven Knight, regista di Locke, è una serie davvero affascinante. Come affascinante lo è senz'altro l'Inghilterra ottocentesca, poiché pochi periodi storici hanno visto protagonisti paesi in cui si sono trovate a convivere rivoluzioni industriali, stagioni di colonialismo sfrenato, trionfi economici e culturali. Ed è appunto in questa Inghilterra che è ambientata la serie, siamo infatti nel 1814 quando, James Keziah Delaney torna a Londra per riscuotere l'eredità del padre, morto in strane circostanze. Il suo ritorno dall'Africa dopo molti anni però, sconvolge l'intera città, poiché tutti lo davano per morto, in più sulla sua persona girano voci tanto inquietanti quanto assurde (cannibalismo, voodoo, incesto, omicidi) che non tarderanno in ogni caso a trovare conferme. Giacché la sua presenza è scomoda a molti, dalla sorella che pensava di essere finalmente libera, al cognato borioso e incompetente. Il suo unico obbiettivo difatti è generare il caos, distruggere, vendicare. Inizia così per Delaney il suo peregrinare avanti e indietro per una Londra agghiacciante popolata da grotteschi e disgustosi nobili da un lato e da orrendi e violentissimi derelitti dall'altro, minacciando, comprando e ricattando chiunque gli si pari davanti. Ma soprattutto dovrà affrontare e presumibilmente sbeffeggiare la potente Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che per il possedimento della Baia di Nootka, un piccolo pezzo di terra tra gli Stati Uniti e il Canada, fondamentale per i commerci in occidente, farà davvero di tutto. Nel frattempo però, anche la Corona darà filo da torcere a tutti.

martedì 4 luglio 2017

[Games] Life is Strange (Ep.2-5)

E' notizia di pochi giorni fa che la Square Enix abbia finalmente prodotto il tanto atteso sequel, anche se in verità è una miniserie prequel in tre episodi, di uno dei videogiochi, di una delle avventure più incredibili e straordinari non solo degli ultimi anni, ma forse di sempre, ovvero Life is Strange, di cui avevo già parlato in occasione del primo episodio, scaricato e offerto gratuitamente dalla piattaforma di Steam. Ed ora dopo parecchi mesi che ho finalmente acquistato l'intera collezione di episodi (5 in totale), ed ora che mai come adesso, mai dopo aver completato l'intera avventura di Dontnod, non posso che essere contento di averci giocato, dato che questo bellissimo videogioco, soprattutto questo primo, intero capitolo di episodi, è qualcosa di davvero eccezionale. Niente in confronto del comunque ottimo primo capitolo, anche se mai come in questa occasione, rileggere e rimarcare soprattutto più pregi che difetti che già avevo descritto di quel suddetto episodio (Chrysalis) è un esercizio che dovrebbe essere fatto, giacché quello che succederà dopo, sarà ancora più straordinario, ci sarà infatti, andando avanti, sempre più coinvolgimento, più tensione, più tutto. Difatti nei 4 capitoli successivi, che hanno comunque un ritmo migliore rispetto al primo, poiché tendono ovviamente a presentare (più in profondità e meglio) i personaggi principali di Arcadia Bay, che non sono pochi, aumenteranno di gran lunga i problemi da affrontare durante l'avventura, problemi sia di natura puramente videoludica che altro.

lunedì 3 luglio 2017

La foresta dei sogni (2015)

Il cinema di Gus Van Sant, per via della sua lentezza di fondo, non mi è mai piaciuto veramente, a parte due o massimo tre film del suddetto regista, ovvero Milk e Will Hunting, tutti gli altri proprio non fanno per me, mai amati e mai rivisti. Per cui quando stavo per vedere La foresta dei sogni (The Sea of Trees), film del 2015 diretto da Gus Van Sant e scritto da Chris Sparling, le mie aspettative erano davvero basse, ma incredibilmente e nonostante l'ennesima e latente lentezza di fondo, questo film mi ha sorpreso in positivo. Vuoi le ambientazioni, vuoi gli attori o vuoi il tema (comunque profondo, intenso e non propriamente facile), non so perché, ma il film grazie ad un ritmo comunque sostenuto e grazie al racconto poetico e ricco di flashback, è riuscito ad appassionarmi. Anche se non reputo questo un capolavoro, ma solo un film non noioso, non brutto e discretamente interessante. Così tanto che non capisco i commenti davvero negativi di tanti, perché sì non è probabilmente il suo miglior lavoro, ma ho visto pellicole ben peggiori e La foresta dei sogni non si avvicina nemmeno lontanamente alle suddette. Per un film che parte da elementi reali, la foresta di Aokigahara (un posto mistico e misterioso), situata in Giappone alle pendici del Monte Fuji, dove si susseguono centinaia di suicidi all'anno, e ci costruisce intorno una storia verosimile, quella di Arthur, un intenso Matthew McConaughey, alla ricerca di una profonda riflessione sulla vita e sull'amore. Ad aiutarlo sarà Takumi Nakamura, un sommesso Ken Watanabe, un suicida pentito a cui Arthur darà un aiuto per trovare la via d'uscita. I due uomini iniziano così un cammino di riflessione e sopravvivenza, che non solo farà rinascere in Arthur la voglia di vivere, ma gli farà riscoprire l'amore per la moglie (Naomi Watts) scomparsa in un tragico incidente.