Solo un mese fa era la settimana di Pasqua, ora siamo più vicini all'estate che a primavera inoltrata, giorni (tanti) son passati senza tuttavia riscontrare nessuna novità, a parte una che forse potrete vedere presto sul blog. Infatti, dopo il mio "appello" (come potete constatare dal post di Erica de Il Bollalmanacco di Cinema in cui illustrava il "progetto") il team di isnotTV (una community internazionale che ha messo a disposizione gratuitamente un widget rivolto agli appassionati di cinema e non) mi ha contattato. E così spero prossimamente e quando avrò capito il suo corretto utilizzo di poter usufruire (nelle recensioni singole) di questo interessante "specchietto". Nel frattempo che ciò avvenga, eccomi nuovamente oggi per farvi conoscere gli altri film che ho visto in questo mese, anche se in verità ho visto anche altro, e poiché adesso lo spazio e il tempo c'è, ecco cosa, anzi, quali documentari e spettacoli ho visto grazie all'interessante (alquanto spesso) canale tematico Sky Arte di Sky. Partendo dalla serie di documentari Soundtracks: Canzoni che hanno fatto storia, una coinvolgente serie che ci permetterà (perché le puntate, 8, non sono ancora finite, anche se in verità ne ho vista solo una e non ho ancora deciso se vederle tutte) di rivivere la storia delle canzoni (indimenticabili che hanno fatto da sfondo a cambiamenti storici, sociali, culturali e politici) che hanno segnato appunto la storia della nostra civiltà. Di queste molto interessante è quella della musica che ha accompagnato gli anni della costruzione e dell'abbattimento del muro di Berlino, in cui David Bowie e incredibilmente David Hasselhoff (e tanti altri artisti) ha dato una grossa mano. Di ben altra natura (almeno parzialmente) invece il concerto evento intitolato 2 Cellos: Soundtrack, in cui nella cornice della Sydney Opera House si vede, anzi si ascolta, il duo dei 2 Cellos (di cui ne ho parlato già benissimo tempo fa, qui) in una performance indimenticabile, dove i due noti violoncellisti omaggiano il cinema eseguendo le colonne sonore dei film più celebri di sempre. Qualcosa di veramente eccezionale, come alquanto bello (interessante ed appassionante) è altresì Stanlio & Ollio: L'arte di far ridere, un'esclusivo documentario che ripercorre la vita dei mitici Stanlio e Ollio, tramite filmati tratti dai loro film più celebri, video inediti, immagini d'archivio e interviste a chi ha conosciuto da vicino il duo comico più famoso del mondo. Insomma, davvero niente male, come non malaccio sono i film qui di seguito.
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lunedì 30 aprile 2018
venerdì 27 aprile 2018
It: Capitolo Uno (2017)
Sono una di quelle persone rimaste traumatizzate per anni solo per aver visto alcuni pezzi del film TV del '90 per poi scoprire, rivedendolo, che era davvero poca cosa dal punto di vista della paura. Da questa specie di remake mi aspettavo perciò un film terrorizzante, e così è (in parte) stato. Lo si capisce bene fin dalla prima terrificante sequenza (addirittura forse fin troppo esagerata di questo cambio d'abito), dove lo spettatore comprende immediatamente che bisogna dimenticarsi della pungente ironia nera del capitolo originale e addentrarsi in qualcosa di più profondo e inquietante, qualcosa di senza dubbio riuscito. Certo, forse resterà (e qualcuno sarà rimasto) deluso chi si aspettava un horror nel vero senso della parola, perché questo film è soprattutto un'avventura, l'avventura di un gruppo di ragazzini che amano stare insieme, che insieme affrontano le loro paure più grandi e, sempre insieme, crescono. Una storia di formazione puntellata da palloncini rossi e da qualche spavento. Non a caso il romanzo It, uno dei libri più spaventosi di Stephen King (e molto più che una storia horror), che tuttavia non ho mai letto (e in questo caso difficile è capire se la storia che viene qui raccontata è coerente e fedele o no ai libri) è un racconto di crescita e formazione in cui l'horror serve "solo" a raccontare paure e disillusioni di un importante periodo della vita, quello a metà tra l'infanzia e l'età adulta. Ed It (vero nome Pennywise), mostro terribile dalle fattezze innocenti che si ciba di terrore, rappresenta simbolicamente il trauma di questo delicato passaggio. In tal senso l'obiettivo principale del film It, conosciuto anche come It: Capitolo Uno (It: Chapter One), film del 2017 diretto da Andrés Muschietti, per regista e sceneggiatori, era soprattutto restituire questo tema. E per fare ciò hanno pensato bene e giustamente di dedicare questo primo capitolo esclusivamente alle vicende vissute dai protagonisti da bambini, per poter meglio raccontare le loro storie personali e l'amicizia che li lega.
giovedì 26 aprile 2018
I peggiori film del mese (Aprile 2018)
Dopo svariati mesi a vedere film mediocri su film mediocri, finalmente il mio lavoro di "selezione", avviato tempo fa, sta dando i suoi frutti, tanto che questo mese sono state solo 6 le pellicole che non mi sono piaciute, ed anzi, potevano essere anche meno se 2 di questi avessero fino in fondo chiuso il loro percorso narrativo in modo più convincente. Tuttavia questo numero più basso, di questo classico post mensile, fa ben sperare e acuisce in parte lo scotto per questi comunque deludenti film che ho visto in questo primo primaverile mese, che in ogni caso non ha riservato alcuna sorpresa, anche perché tutto è rimasto invariato nelle difficoltà burocratiche riguardanti l'INPS (di mio padre), che ancora non hanno risolto la situazione. Non resta quindi che aspettare, anche se è da almeno sei mesi che continua questo tira e molla. Nel frattempo però ecco le difficoltà che ho sopportato vedendo i peggiori film del mese.
Hemingway & Gellhorn (Drammatico, Usa 2012): I film biografici sono per loro natura difficili e spesso non riescono efficacemente e/o descrivere obbiettivamente personaggi realmente esistititi, o perché in qualche modo faziosi o semplicemente perché gli autori non sono in possesso, delle necessarie informazioni per confezionarli verosimilmente o anche perché piegati dall'esigenza di copione, ai fini di una migliore resa scenica. E' questo il caso di questo biopic per la televisione della HBO, un film sicuramente interessante e coinvolgente, anche perché si racconta di due personaggi molto importanti, il famoso scrittore Ernest Hemingway e una dei più grandi corrispondenti di guerra del XX secolo, ovvero Martha Gellhorn (e della loro quindi storia burrascosa a cavallo della seconda guerra mondiale e nata sullo sfondo della guerra civile spagnola), ma che annoia (ben 150 minuti di visione), non convince e sembra non avere una direzione precisa. Il fulcro della pellicola dovrebbe essere infatti la storia d'amore dei due, ma non si capisce bene alla fine cosa il regista voglia trasmettere, se proprio l'amore (la passione), o l'avventura delle loro vite, i frequenti cambi di ambientazione, o altro. Non riesce a trasmettere (nonostante il gran materiale a disposizione) nulla su nessun fronte. Neanche sul piano della imperterrita guerra. Hemingway & Gellhorn difatti è stato studiato e realizzato per poter ricreare i conflitti più diversi in ogni angolo del globo, nonostante un budget piuttosto limitato. Ed è possibile notare che dal punto di vista prettamente visivo, vengono impiegati alcuni filmati d'archivio che si intrecciano con la narrazione, il cui effetto a volte tende al surreale. Non convince assolutamente infatti guardare i due protagonisti avvolti in immagini di found-footage. Il film passa da immagini color seppia a colori vividi, come se cambiasse tono e stile trasferendosi naturalmente dal reale all'artificiale, dalla verità alla narrazione. Una pecca visiva non indifferente che dilapida quel poco di buono che resta. Che in verità è poco, perché la pellicola, mi è sembrata un tantino sopravvalutata, in considerazione dei numerosi premi che ha rastrellato, forse non del tutto meritati (nominato a 14 Emmy Awards e vincitore di due di essi), inoltre la sceneggiatura mostra numerose falle, e infine il racconto è molto discontinuo e nel complesso non è un lavoro memorabile. Giacché la regia (non proprio dilettantesca trattandosi di Philip Kaufman) latita parecchio, il modo di raccontare le vicende è spesso un po' troppo caotico e talvolta stereotipato, le personalità degli scrittori/giornalisti non viene debitamente approfondita (non a caso le figure di entrambi escono molto penalizzati da una caratterizzazione mediocre), le ambientazioni in certi momenti sembrano sbrigative e grossolane, così come i loro repentini cambi e nemmeno tanto credibili sono i protagonisti. Nicole Kidman (stranamente libidinosa e abbastanza anonima) è forse un po' troppo "bella" per questa parte, e Clive Owen (decisamente sopra le righe spesso) mi è parso meno di spessore e autorevole di quanto ci si aspetterebbe da Hemingway (uno dei pochi scrittori che conosco avendo letto e visto Il vecchio e il mare). Insomma un film con luci e più ombre, tanto che risulta alla fine non sufficiente. Voto: 5
martedì 24 aprile 2018
Le mie canzoni straniere preferite (Marzo/Aprile 2018)
Come avevo anticipato settimana scorsa in cui ho dato il mio giudizio su Sanremo e aver postato le canzoni italiane del momento mie preferite, qui, eccomi tornato oggi per farvi sentire e ascoltare le mie canzoni straniere preferite di questi ultimi due mesi. Tante canzoni anche questa volta di artisti emergenti e di tanti altri che si affacciano per la prima volta, almeno nella mia personale sfera musicale, nel mondo globale discografico. Tuttavia prima di cominciare, anche in questo caso una piccola critica va a molti cantanti che troppo spesso compongono canzoni per tanti film, che avessero però la cortezza di scegliere pellicole migliori, perché va bene Kendrik Lamar con addirittura due canzoni nella colonna sonora per Black Panther (che non ho comunque visto), ovvero All the Stars e Pray for me, entrambe davvero belle, ma Rita Ora perché renderti partecipe, soprattutto musicalmente e anche nell'ultimo capitolo, della saga più ridicola di tutti? Infatti è un peccato che una canzone bella come For You, sia stata così "imprudentemente" usata per 50 sfumature di rosso, che pur non avendo visto so già che mi farà un po' ribrezzo. Tuttavia è solo una parte di un mondo musicale non italiano che ha comunque fornito interessanti novità, quali? eccoli qui di seguito, nella seconda parte del classico bimensile post musicale. Inoltre come in occasione della scorsa settimana ripropongo l'esperimento dell'intera playlist (17 canzoni) su Youtube, qui.
lunedì 23 aprile 2018
Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar (2017)
Lo si può criticare, lo si può disprezzare, ma la saga dei Pirati dei Caraibi non è soltanto e ormai un punto saldo della cinematografia commerciale, ma lo spettacolo d'intrattenimento più godibile che ci sia. Perché sebbene la miliardaria saga piratesca di casa Disney mostri oramai con evidenza di avere più di qualche falla, anche con un quinto capitolo ridondante e superfluo eppure spassoso, riesce sempre a divertire e non annoiare. Certo, rispetto ai primi due inarrivabili film, Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar (Pirates of the Caribbean: Dead Men Tell No Tales), film del 2017 diretto da Joachim Rønning e Espen Sandberg e sequel del deludente Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare, soffre un presupposto narrativo quasi inesistente e una trama priva di veri colpi di scena o elementi d'originalità, ma nonostante ciò, lo spettacolo imbastito diverte e coinvolge, la messa in scena si conferma come grande punto di forza della serie e l'uso sovrabbondante di CGI non risulta quasi mai espansivo. In due ore il film infatti, certamente non il migliore dei cinque capitoli sin qui prodotti, ma di cui comunque il giudizio è relativamente positivo, intrattiene incredibilmente alla grande, non solo grazie ad effetti speciali senza dubbio godibili ma anche ad un ritmo decisamente dinamico. Se difatti la storia, che ruota sostanzialmente attorno alla ricerca di un tesoro leggendario e introvabile, in buona parte ha il sapore del già visto, ciò che colpisce è il ritmo della narrazione che, alternando continuamente personaggi e scenari, riesce a non annoiare e a tenere alto l'interesse fino a fare convergere tutto il climax accumulato nei suoi 120 minuti in un finale scontato ma ugualmente interessante, seppur forse troppo esagerato, esteticamente e concettualmente, anche per una saga come questa.
venerdì 20 aprile 2018
Moonlight (2016)
Anche se esageratamente acclamato dalla critica d'oltreoceano e in parte da quella internazionale (è addirittura tuttora considerato dalla critica cinematografica uno dei film migliori della storia), ho visto comunque Moonlight, il film vincitore di 3 Oscar nella scorsa edizione. Comunque perché ero davvero dubbioso di come, e mai come questa volta, le aspettative alte potessero scontrarsi, date le promesse, con la realtà, una deludente realtà. Moonlight è infatti un film del 2016 "solamente" discreto scambiato per un quasi capolavoro da molti critici (professionisti), e l'esagerato numero di candidature agli Oscar più che un reale apprezzamento nei confronti del film appare più che altro come il tentativo da parte dei soci dell'Academy di smarcarsi dalle accuse di scarsa rappresentanza di minoranze etniche all'interno della cerimonia che gli avevano colpiti durante le precedenti edizioni. L'effetto di ciò è che un film non particolarmente eclatante come quest'opera seconda di Barry Jenkins, regista che per fortuna è riuscito (grazie al suo contributo in fase di sceneggiatura) a non fare sentire troppo la base originale dell'opera teatrale di cui è tratto, ovvero In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney (giacché le impostazioni teatrali molto spesso mi annoiano), ha finito per ottenere una visibilità e un riconoscimento che probabilmente non si meritava. Non fosse per il fatto che è narrata dal punto di vista di una comunità di emarginati, la storia è una di quelle che si sono già viste un centinaio, un migliaio di volte (quella del protagonista Chiron cresciuto in un sobborgo di Miami dove povertà, droga, crimine e mancanza di affetto sono le sfide quotidiane che deve affrontare, unite alla scoperta della propria omosessualità). E Moonlight è un film estremamente semplice, fin troppo talvolta, fino ad arrivare a sfiorare il semplicismo, che non è mai una cosa raccomandabile in questi casi. Non succede molto di realmente stimolante o che porti effettivamente a riflettere circa le tematiche trattate.
giovedì 19 aprile 2018
Britannia (1a stagione)
Doveva essere per Sky, dopo l'affascinante, sorprendente e intrigante serie Babylon Berlin, la conferma, invece Britannia, serie televisiva statunitense e britannica co-prodotta da Amazon e Sky e andata in onda su Sky Atlantic (che ha già annunciato il rinnovo per una seconda stagione) si rivela essere come le precedenti sue produzioni Tin Star e Riviera e come l'ultima produzione storica del canale History, ovvero Knightfall, un'occasione persa. Britannia infatti (ambientata nel 43 d. C.), di stampo prettamente storico (che però di realmente storico ha in verità ben poco) ma che vira spesso (e imprudentemente) verso il fantasy, sfrutta solo in parte l'interessante e affascinante script di base (perché della serie sono interessanti i rapporti tra le tribù, i riti di iniziazione delle vergini del villaggio, lo scoprire che nel cast c'è anche Fortunato Cerlino che interpreta un certo legato di nome Vespasiano, e poco altro), che racconta il selvaggio e mistico mondo di una terra, pronta a essere, dopo la disfatta di Giulio Cesare, conquistata dall'Impero romano. Difatti una nuova legione cerca di sconfiggere e dominare le lande governate da varie tribù, in cui il volere degli Dei cambierà il corso canonico delle tradizioni locali, ma la serie che vede come "antagonista", il generale Aulo Plauzio (il governatore di The Walking Dead, David Morressey) e come protagonisti Kerra (la giunonica Kelly Reilly), figlia del Re dei Cantii Pellenor (Iain McDiarmid), in conflitto perenne con i Regnensi e la Regina Antedia (Zoe Wanamaker), e lo sciamano Divis (Nikolaj Lie Kaas), seppur senza alcun dubbio parta in maniera incalzante, offrendoci uno sviluppo narrativo sostanzialmente equilibrato, e comunque ricco di picchi di tensione durante tutto l'arco, regalando altresì allo spettatore ripetute scene di azione, spesso cruente, capaci di mantenere, in buona parte, vivo l'interesse, non convince. Anche perché lo sviluppo dello script si ferma alla sola azione, visto che la contaminazione fantasy (giacché qui ci sono i Druidi, creature misteriose, la cui lealtà e il cui vero scopo rimangono avvolti nel mistero per tutti i 9 episodi) fa perdere di vista il vero obiettivo della serie, narrare la conquista romana.
mercoledì 18 aprile 2018
Recuperi Sky on demand (Marzo/Aprile 2018)
Chi mi conosce sa, o anche chi di cinema è appassionato, che le liste dei film da vedere non finiscono mai, e infatti tra le mie tante liste, eccone una rimasta per un po' di tempo in sospeso, ovvero i film che non sono riuscito a registrare da Sky (causa motivi dettati dal tempo, dalla voglia e da imprevisti tecnici) e che grazie al servizio on demand della piattaforma stessa ho potuto finalmente vedere. Una lista per fortuna piccola (solo 12 titoli, che saranno perciò divisi in due tronconi) e film che in ogni caso (a parte soprattutto le prossime sei pellicole) non sono e non saranno più disponibili alla visione, se vi interessano infatti dovrete trovare altri modi, o più semplicemente aspettare un passaggio televisivo (anche se forse non tutti verranno trasmessi) per vederli. Ma a parte ciò questi suddetti film, molti usciti in sordina e poco conosciuti, altri meno inediti, son contento di aver visto, ho fatto bene difatti a volerli comunque recuperare, perché, anche se non ho la sfera magica, so che nessuno mi deluderà tanto (forse solo un pochino), a partire proprio da questi primi sei, film molto interessanti, belli, passabili e quasi certamente da consigliare e vedere.
martedì 17 aprile 2018
Le mie canzoni italiane preferite (Marzo/Aprile 2018)
Negli ultimi due mesi la selezione musicale è stata davvero ampia, vuoi per Sanremo vuoi l'arrivo della primavera, che non solo i fiori son sbocciati ma anche tanti artisti (più tante altre belle conferme). Una selezione sia italiana ovviamente ma anche quella straniera, così tanto estesa che la dividerò esattamente in due parti (settimana prossima le "novità" straniere), giacché sono davvero molte le canzoni che in questo primo periodo primaverile ho sentito e risentito e che quindi mi hanno entusiasmato. Per cominciare però una piccola critica a Sanremo, perché sì, ho atteso parecchio tempo per ascoltare le canzoni presentate al Festival (dopotutto non avevo nascosto a febbraio, qui, questo mio "rinvio"), ma dopo averle ascoltate con attenzione sono sempre più convinto che a vincere sia stata la canzone (Non mi avete fatto niente di Ermal Meta e Fabrizio Moro) più "brutta", cioè quella più "inutile" e banale di tutte. Così tanto che sinceramente non capisco come abbia fatto a "battere" almeno tre canzoni e tre artisti (i primi tre video di questa specie di classifica) molto migliori (gli altri invece sulla stessa linea ma sempre un gradino sopra alla vincitrice). Tuttavia la loro vincita non ha smentito la "diceria" per cui al suddetto Festival raramente vincono i migliori (e dopotutto è meglio così, chissà che esca un altro Vasco Rossi). Nella seconda tranche invece le canzoni italiane uscite anche dall'inizio dell'anno che mi hanno conquistato, di certo non una che sinceramente avevo già odiato (perché non si capiva una parola) durante le famose pubblicità di una nota marca di telefonia e che ultimamente ho risentito non proprio con tanta felicità, mi riferisco ovviamente a Cara Italia di GHALI, una canzone probabilmente destinata ad un grande successo ma che personalmente non mi ha per niente soddisfatto, e infine annoverò tra i flop i Maneskin, perché anche se Morirò da re è minimamente passabile, le altre fanno parecchio schifo. Ma al di là di ciò eccovi le mie canzoni italiane preferite del mese di Marzo e Aprile di questo "complicato" 2018.
lunedì 16 aprile 2018
John Wick - Capitolo 2 (2017)
Nel 2014 (anche se io l'ho visto due anni dopo), Chad Stahelski e David Leitch, collaboratori di vecchia data con lunghi trascorsi da stuntman, hanno esordito alla regia col primo John Wick e, insieme allo sceneggiatore Derek Kolstad, sono riusciti a creare un franchise action di grande successo praticamente dal nulla. Sono partiti da un budget risicato, hanno costruito un eroe-antieroe duro e puro, dai connotati essenziali, addosso ad un Keanu Reeves che sembrava alla frutta, hanno ideato con pochi mezzi la mitologia e le regole di un network di assassini su commissione, hanno dato nuova linfa a tutti i migliori elementi del b-movie e, soprattutto, hanno venato la narrazione di un'ironia sottilissima, punto di forza sul quale molti franchise falliscono scivolando su una serietà eccessiva o su una comicità di grana troppo grossa. La stessa genuina artigianalità si evince nel sequel, intitolato semplicemente John Wick - Capitolo 2 (John Wick: Chapter 2), con la medesima squadra produttiva (e un Leitch più defilato che si è occupato di Atomica Bionda, John Wick al femminile con Charlize Theron, che non vedo l'ora di recuperare prossimamente, e ha diretto Deadpool 2, prossimamente al cinema) e un budget raddoppiato. La trama com'è ovvio, e se si è visto il primo capitolo e si sa già cosa aspettarsi tanto meglio, è un puro pretesto per mettere John contro tutti gli altri sicari, memorabile, in tal senso, il montaggio incrociato che mescola svariate ed elaborate coreografie di combattimento con un moderato splatter digitale. Tuttavia di "moderno" c'è ben poco (a parte un aspetto che è rimasto invariato e di cui fortunatamente questo sequel non fa a meno). Questo film del 2017 infatti, è un action vecchio stile, cosa che si evince anche dalla quasi totale assenza di tecnologia e di elementi che lo collochino ai tempi nostri. Questo elemento incredibilmente vintage, tuttavia, rafforza la fascinazione verso il personaggio, mettendone in mostra l'eleganza e la maniacalità, ma anche la dedizione e la freddezza.
venerdì 13 aprile 2018
Spider-Man: Homecoming (2017)
È la rivisitazione del tema classico di Spider-Man ad opera di Michael Giacchino ad accompagnare il ritorno a casa dell'Uomo Ragno (un ritorno schietto, sincero, che vuole ridare lustro ad un eroe che forse sin troppo ne aveva perso a causa dei ben noti e gravosi problemi di licenza), e queste splendide note messe in fila con cosi tanto gusto e maestria dichiarano apertamente le intenzioni dei Marvel Studios, Spider-Man: Homecoming vuole essere un film unico, una storia mai raccontata prima, capace di divertire, appassionare, emozionare. C'è tutto in queste note, l'epicità, la freschezza giovanile, la coerenza storica di un personaggio che finalmente torna a casa per stupire, per prender davvero parte a quell'enorme progetto che è il MCU. E per farlo, in questa terza release del super eroe, la Marvel decide di spostare indietro le lancette dell'orologio, dopo la sua apparizione in Captain America: Civil War. Tuttavia Homecoming non compie i voli pindarici di molti altri film Marvel, non si perde in spiegoni che ricostruiscano una certa continuity a uso e consumo dei più sprovveduti. Non fa nulla di questo, anche perché non pretende neanche di essere un tipico film sulle origini. Si prende infatti la briga di scorrere, anche grazie ad un cambio generazionale molto interessante, dall'inizio alla fine con invidiabile eleganza, complice un ritmo sostenuto e talvolta incalzante, in cui praticamente non si assiste ad alcun scivolone e in cui tutto ruota attorno a Spider-Man, alla sua adolescenza, lasciando che i comprimari facciano il loro lavoro, quando serve, ma senza ingombranti interferenze. Homecoming comincia così, con la sua filosofia da (classico) teen movie che presenta, fin dall'azzeccatissimo titolo, che sottintende sia al ritorno a casa Marvel dell'Uomo Ragno, sia alla settimana dell'Homecoming (ovvero il ritorno sui banchi scolastici dei giovani studenti americani), però alcuni risvolti etici e morali che lo rendono assimilabile a un vero e proprio racconto di formazione a sfondo supereroistico, ma senza tuttavia troppo giocare sui drammi adolescenziali, senza puntare troppo i riflettori sulle situazioni paradossali che proprio i teen movie sembrano tanto amare.
giovedì 12 aprile 2018
The Strain (4a stagione)
È raro trovare, volgendo lo sguardo agli ultimi anni, serie tv che si auto-concludono dopo poche stagioni. The Strain è una delle poche eccezioni nel vasto mondo della serialità attuale (anche se ciò è successo anche per Salem, la discreta serie sulle streghe). La serie prodotta dal regista pluripremiato Guillermo Del Toro ha infatti concluso la sua corsa dopo quattro intense stagioni e 46 episodi totali. Tuttavia era chiaro che ciò sarebbe avvenuto, dato che lo show, che altresì si è chiuso anche a causa di una terza stagione molto zoppicante (ma più che sufficiente, qui), aveva già definito la via concludendo la trasposizione della trilogia di libri Nocturna, scritti dal regista fresco vincitore di un Oscar e dall'amico fidato Chuck Hogan, con cui si divide nuovamente il merito di aver, con questa quarta stagione e quel godibile finale (nonostante qualche sbavatura), degnamente chiuso, con una elevata ed onorevole qualità che non è mai mancata, l'arco narrativo di una delle serie più belle ed originali degli ultimi tempi, perché anche prendendo forma da radici molto classiche del genere, è riuscita a trovare quei guizzi di originalità capaci di stregare e coinvolgere. Tuttavia, nonostante l'epilogo "epico", The Strain 4 è stata rispetto alle prime tre stagioni quella più fiacca e meno curata. Non a caso questa stagione appena conclusa (meno thriller e molto più survival), a partire, soprattutto, dalla sua timeline, si è rivelata immediatamente differente dalle tre precedenti. Se le tre stagioni si estendevano difatti in un lasso di tempo minore ma fortemente dilatato (circa una settimana per stagione) l'ultima si colloca dopo quasi un anno provocando una sorta di capovolgimento nella velocità di racconto. Facendo così sembrare che la stagione conclusiva scorra troppo veloce rispetto alle antecedenti.
mercoledì 11 aprile 2018
Jackie (2016)
Nella sua ultima opera Pablo Larraín (artefice del bellissimo No: I giorni dell'arcobaleno ma anche del personalmente deludente Neruda) elabora il ritratto di Jackeline Lee Bouvier e lo fa attraverso il resoconto di una intervista che la vedova del presidente americano rilasciò a un giornalista della rivista Life poche settimane dopo il tragico evento. Jackie infatti, film biografico del 2016 diretto dal regista cileno, rievoca i pochi giorni precedenti l'omicidio di Kennedy durante la campagna elettorale del 1963 a Dallas, l'omicidio stesso, nonché la complessa organizzazione dei suoi funerali, in cui le ragioni di stato dei politici e dell'apparato di sicurezza si scontrarono duramente con il dolore di Jackeline e il suo desiderio di seguire a piedi il feretro del marito. Il ritratto che ne esce è quello di una donna al tempo stesso fragile e determinata, molto attenta a evidenziare il ruolo che aveva avuto alla Casa Bianca a fianco del presidente, nonostante fosse a conoscenza delle numerose frequentazioni di Kennedy sia con altre donne, sia con personaggi oscuri della criminalità organizzata, e dei non idilliaci rapporti che intercorrevano tra lei e i tanti rappresentanti della famiglia del marito. Il ritratto di una donna bella, giovane, colta, aristocratica, che due colpi di carabina alla testa del celebre coniuge, insieme al suo vestito rosa macchiato di sangue, consegnarono alla storia. Tuttavia il film, che nel 2017 ha ricevuto tre candidature ai Premi Oscar nella categoria Miglior colonna sonora, Migliori costumi e Miglior attrice protagonista a Natalie Portman (vincendone nessuno), seppur girato con cura e che si avvale di una comunque buona regia (ma privo di anima, di pathos, di spessore emotivo), non convince e non soddisfa. Nessuna empatia per il personaggio, verboso e noioso quanto basta. Eppure la materia trattata (i giorni immediatamente successivi all'omicidio del presidente JFK visti attraverso la prospettiva della madre dei suoi figli) si prestava a una narrazione intensa, persino epica. Invece è come se sul film spirasse un vento gelido che immobilizza i protagonisti e li devitalizza, li "congela" in una dimensione di immobilità spirituale, ancor prima che fisica.
martedì 10 aprile 2018
[Tag] 100 domande che nessuno farebbe
La prima volta che ho visto un Tag del genere, praticamente una settimana fa nel sproloquio di una simpaticamente "folle" amica blogger del blog MechanicalRose, ho subito pensato che non ce l'avrei mai fatta a rispondere a tutte queste domande, che non ci crederete ma sono cento tonde tonde e per davvero, non tanto per dire. Eppure dopo attente riflessioni e scoperto che in verità, com'è successo per la sua divulgatrice, nelle "100 domande che nessuno farebbe" nessuna è davvero "scabrosa" come titolo farebbe pensare, ho deciso di rispondere. Tuttavia per alcune mi è stato difficile rispondere data la mia situazione, ma poiché niente mi spaventa, e poiché sono contento che vi facciate un po' di fatti miei ogni tanto, ho risposto ugualmente. E quindi eccole qui:
1: Dormi con le porte dell’armadio aperte o chiuse? Ovviamente chiuse, tuttavia se dentro ci fosse Cecilia, non solo le rimarrei aperte ma ci dormirei dentro!
2: Prendi gli shampoo e i saponi dagli hotel? Dato che è tutto gratis, prendo praticamente di tutto, non solo shampoo e saponi.
3: Dormi dentro o fuori dalle lenzuola? Assolutamente dentro, anche d'estate.
4: Hai mai rubato un cartello stradale? No, d'altronde non ci vedo nessuna utilità a farlo.
5: Ti piace usare post-it? No, non mi piace lasciare le cose in giro.
6: Hai mai tagliato i coupon per poi non usarli? Sì, molto spesso infatti me ne dimentico di usarli.
7: Preferiresti essere attaccato da un orso o uno sciame di api? Decisamente Orso, perché odio e ho paura delle api e di tutti i volatili.
8: Hai le lentiggini? No, mai avuti.
9: Sorridi sempre nelle foto? Sì, ma vengo ugualmente male se lo faccio o meno.
10: Qual è il tuo più grande cruccio? Di non esser riuscito a dire tante cose a chi lo meritava.
11: Ti è mai capitato di contare i passi mentre cammini? Da piccolo sempre.
12: Hai mai fatto la pipì nel bosco? Sì.
13: Hai mai fatto la cacca nel bosco? No.
14: Ti sei messo a ballare anche se non c’era musica? Sì, molto spesso anche se non so ballare.
15: Mastichi le penne e matite? Prima lo facevo, ma ora non più.
16: Con quante persone hai dormito questa settimana? Solo con la mia ombra, anzi, neanche con quella, è scappata sull'isola che non c'è.
17: Quanto è grande il tuo letto? Una piazza e mezza.
18: Qual è la canzone della settimana? Tante, in questo momento Una Vita In Vacanza de Lo Stato Sociale.
19: Va bene se i ragazzi indossano il rosa? Non saprei, io però non lo indosserò mai.
20: Guardi ancora i cartoni animati? Certo, e non solo i Simpson o i Griffin.
lunedì 9 aprile 2018
Baby Boss (2017)
Ammetto che proprio non capivo come avesse fatto Baby Boss (The Boss Baby), film del 2017 diretto da Tom McGrath, a essere nominato all'Oscar 2018 nella categoria film d'animazione (premio poi andato come tutti sanno a Coco), non solo perché LEGO Batman: Il film sembrava avere tutte le carte in regola per entrare nel magnifico quintetto, ma anche perché il protagonista principale della storia (anch'essa non del tutto originale) non sembrava avere niente di originale nella sua caratterizzazione, simile a tanti altri. Eppure nonostante il neonato, giacché dopo Cicogne in Missione siamo di fronte nuovamente ad un altro cartone animato sui neonati, assomigli indistintamente tra una Maggie Simpson, uno Stewie Griffin e un Rallo Tubbs della situazione, senza dimenticare la storia di fratellanza che sembri ricalcare in parte quella di Julie e Mikey di Senti chi parla 2, il film, forse per lo più ad un pubblico di bambini, tuttavia molto carino e grazioso, riesce a rendersi particolarmente simpatico, interessante e alquanto, nei limiti del soggetto "riciclato", originale. Questo film d'animazione è infatti un piccolo gioiellino, tuttavia non memorabile. La Dreamworks Animation ci ha regalato tanti piccoli gioielli d'animazione, come "Shrek", "Kung Fu Panda" e "Le 5 leggende", e questo non è di certo al loro livello, ma è comunque una pellicola che farà felici i più piccoli (ma non solo), perché riesce a strappare qualche risata e ha un ritmo davvero invidiabile, considerando che dura un'oretta e mezza e offre una comunque storiella degna di visione. Si tratta difatti di un progetto in grado di entrare nel cuore di tutti, senza distinzione di età, perché affronta temi universali e allo stesso tempo riesce a divertire senza mai annoiare. È facile che a lungo andare le battute possano stancare lo spettatore, soprattutto se si tratta di un adulto, ma non è questo il caso. Merito di ciò è senza dubbio l'ironia graffiante che caratterizza l'intero film.
venerdì 6 aprile 2018
Il cliente (2016)
Finzione e realtà, violenza e bontà, vendetta e perdono, onta e onore, cultura e ignoranza, formalità e spontaneità, indifferenza e solidarietà, sono solo alcune delle dicotomie messe in campo dal film Il cliente di Asghar Farhadi. Il regista iraniano di Una separazione (già Premio Oscar per il Miglior Film Straniero) torna a Teheran (dopo Il passato, girato in Francia ed in francese) ed affronta (come spesso è solito fare) la complessità delle relazioni umane, in particolare all'interno della coppia come nei due film precedenti. Non a caso questo film del 2016 analizza il dramma di una famiglia iraniana di classe media. E quindi viene mostrato come un singolo evento (una misteriosa aggressione) sconvolga gli equilibri e gli animi dei protagonisti (tra ricerca del colpevole e desiderio di dimenticare), facendo emergere parti nascoste del loro carattere, che neanche loro conoscevano. Come spesso gli accade infatti, un po' per strategia un po' per mestiere, a Farhadi piace mettere i personaggi al centro di tensioni crescenti, per quanto accade all'esterno ma soprattutto all'interno delle relazioni tra persone. Era così in About Elly, il film che lo rivelò anche in Italia, e soprattutto nei suoi due successivi, e ancor di più nel precedente a questo con Bérénice Bejo, dove gli scontri tra i personaggi erano molto esasperati. Qui all'inizio sembra diverso, a parte la casa pericolante (si vede fuori una gru che sta effettuando dei lavori) che spinge tutti a lasciare le loro abitazioni, gli amici aiutano la coppia (una coppia di coniugi e attori facenti parte di una compagnia teatrale, lui è anche insegnante) a portar via le cose, un attore più anziano offre loro a condizioni di favore un suo appartamento che si è appena liberato. Certo, quella stanza chiusa zeppa di vestiti e oggetti della precedente inquilina prima li irrita e un po' li inquieta. Là ci viveva una donna, che non trova un'altra sistemazione e quindi non si decide a venire a riprendersi la sua roba. E che intanto non risponde alle telefonate, o se lo fa minaccia. Quella donna, si scoprirà, fa un mestiere "disonorevole", e una sera, credendola ancora lì, si farà vivo un suo cliente.
giovedì 5 aprile 2018
Knightfall (1a stagione)
Da qualche anno History, la rete di divulgazione storico e scientifica, ha deciso di puntare anche sulla fiction e sono usciti fuori prodotti televisivi molto interessanti, primo tra tutti l'ottimo Vikings, non dimenticando anche la discreta miniserie Radici. In questo caso, riportandoci ai tempi dei Templari, Knightfall, miniserie televisiva storica statunitense creata da Don Handfield e Richard Rayner (che vede tra i produttori anche Jeremy Renner), si gioca le sue carte sfruttando il fascino del Sacro Graal e seguendo le gesta di uno degli ordini cavallereschi più famosi al mondo, uno degli ordini più ricchi, potenti e misteriosi del Medioevo e della storia, a cui era affidato il compito di difendere la cristianità e la sua più preziosa reliquia (e altresì nascondere segreti capaci di distruggere interi imperi). La serie quindi entra in questo intrigante mondo, nelle loro battaglie in Terra Santa e soprattutto nel loro difficile rapporto con il re di Francia Filippo IV detto il Bello che sarà la causa della loro fine. Ma nel frattempo che il peggio dovrà avvenire, la miniserie si concentra sul Maestro dei Templari di Parigi Landry du Lauzon (Tom Cullen), un valoroso guerriero scoraggiato dai fallimenti dei Templari in Terra Santa (ovvero dalla caduta della città di Acri, l'ultima roccaforte) che è rinvigorito da notizie riguardanti il Santo Graal, riapparso in Francia. Parte così una missione di vita o di morte per ritrovarlo. Una missione che riserverà sorprese, anche perché Knighfall, cavalcando l'onda del momento del tema storico molto in voga sia sul piccolo che sul grande schermo, si pone e abbraccia (perdendo purtroppo spesso l'obbiettivo) anche cavalieri, amor cortese, società segrete e medioevo, per cui molto c'era sul piatto. Tuttavia il suddetto, che stando ai trailer si prospettava succulento (tra battaglie epiche, avventure esotiche e quant'altro), si è rivelato invece meno gustoso di quello che poteva essere. Giacché a conti fatti lo show non ha convinto fino in fondo, mostrandosi troppo simile ad altre produzioni e quindi prevedibile.
mercoledì 4 aprile 2018
The Project Ghibli/Miyazaki e non solo
Come avevo anticipato all'inizio dell'anno, qui, avrei voluto completare il progetto in questione, ovvero quello di vedere tutti i film rimanenti della filmografia del famoso studio e del famoso regista (che letteralmente adoro), entro quest'anno, invece per non ingolfare ancor di più le mie visioni cinematografiche in corso, non solo finirò la lista, ma raddoppierò, inserendo anche moltissimi film d'animazione che ancora mi mancano. E su questo niente di rilevante, giacché è chiaro che molti di questi film li avrei comunque visti, la novità semmai consiste che per completare la suddetta corposa lista che stilerò non ci saranno limiti di tempo. Tuttavia prima la finirò prima sarà, non solo perché il tempo per tutti non è eterno, ma perché non vedo l'ora di vedere questi bellissimi film animati, dopotutto tutti conoscono la "potenza" visiva e non solo del cinema orientale, perciò quasi certamente saranno film che mi piaceranno un sacco (almeno spero), e che mi faranno piangere, riflettere e forse chissà sorridere. Per saperlo ovviamente dovrete aspettare la mia recensione, nel frattempo adesso, insieme ai film già visti ci sarà un breve commento e voto. Ma ecco quali sono i film "mancanti" e da recuperare, ovviamente quando sarà possibile farlo.
2014 - Quando c'era Marnie
Favola intimista delicata, emozionante, coinvolgente, regalmente animata e disegnata nonché bella, ma priva di magia, narrativamente faticosa, troppo adulta e quindi non eccezionale (7).
Favola tecnicamente notevole, soprattutto visivamente, nonché profondo, emozionante ed anche ironico, ma narrativamente troppo semplice, prevedibile e prolisso (7+).
2013 - Si alza il vento
Nonostante qualche perplessità, nel complesso è un bell'anime, godibile e interessante: è una ricostruzione biografica ben fatta e ricca di spunti anche filosofici (un anime non per caso candidato all'Oscar nel 2014) (7).
2011 - La Collina dei Papaveri
Non un brutto film, ma sicuramente poteva essere realizzato molto meglio. Perché nel complesso è sì un buon prodotto, ma niente di più (6+).
2010 - Arrietty
2008 - Ponyo sulla scogliera
2010 - Arrietty
Forse non originale e nemmeno tanto memorabile. Tuttavia la dolcissima storia raccontata con poesia e accompagnata da stupende colonne sonore, incolla letteralmente lo spettatore allo schermo (8).
2008 - Ponyo sulla scogliera
Una straordinaria fiaba colorata e densa di buoni sentimenti. Una favola tenera, intensa ed emozionante che riempie il cuore (8+).
martedì 3 aprile 2018
Il condominio dei cuori infranti (2015)
Film delicato, riflessivo e positivo, adatto a chi ama (ma non solo) il cinema francese senza fronzoli e incentrato sulle piccole storie quotidiane, questo è Il condominio dei cuori infranti (Asphalte), una commedia tenera e sorprendente, una commedia (nonostante il titolo faccia temere di ritrovarsi in un'altra innocua e inconsistente commedia sentimentale) agrodolce capace di far riflettere sull'importanza delle nostre stesse esistenze, ed in grado di far divertire lo spettatore attraverso dialoghi semplici e diretti. Ambientato in chiave surreale nel condominio di una banlieue francese, fatiscente insieme al prevedibile circondario, il film del regista Samuel Benchetrit infatti (prendendo spunto dalla propria raccolta di racconti Chroniques de l'asphalte), intreccia con rigore tre storie rappresentative della commedia umana. La storia di tre solitudini, tre cadute, tre incontri e tre risalite. Tre storie, sapientemente intrecciate, che miscelano in misura diversa realismo e surrealismo, senza mai eccedere, che coniugano divertimento e malinconia senza forzature e stridori. Tre storie, profondamente umane, splendidamente raccontate, che con pochi accenni riescono a restituire pienamente il vissuto di sei personaggi, sei esseri umani, che accidentalmente si incrociano, interagiscono, si confrontano. Sei forme diverse di solitudine che proprio attraverso la difficoltà del dialogo trovano il modo di comunicare, di giungere ad una autentica comprensione dell'altro. Girando in 4:3 (formato ritenuto più idoneo del comune 16:9 a contenere gli spazi ristretti degli interni), con uno stile minimalista fatto di camera prevalentemente fissa, dialoghi asciutti e concisi, musiche non invadenti, e situazioni al limite del surreale, e permettendosi anche calzanti citazioni filmiche, il regista mette difatti in fila una sequenza di bozzetti "umani" nei quali l'umorismo caustico è servito in un lieve ed equilibrato mix di malinconia ed assurdo.