Come avrete potuto evincere dalle classifiche finali, i film visti nel 2018 sono stati parecchi, lo stesso sicuramente sarà questo nuovo anno (a giorni poi stilerò la mia Promessa cinematografica inerente appunto questo 2019), anno che, come per i peggiori film di ieri, ha visto già un leggero aumento di visioni. Non a caso Gennaio, che si porta dietro anche Dicembre scorso, vede la lista di film aumentare, dai soliti 6 a ben 8. E tuttavia niente di così strano, dopotutto in questi ultimi due mesi di film anche in tv ne hanno fatto parecchi, di questi tra ieri ed oggi per esempio hanno già avuto una visione in chiaro 5 pellicole, di altri questi molti li ho rivisti con piacere, Pomi d'ottone e manici di scopa, Jack Frost, Polar Express, Big Hero 6, Independence Day, Pixels e Zootropolis tra i tanti. E insomma non mi sono fatto mancare niente, come non si è fatto mancare niente anche questo mese "iniziale" di Gennaio, un mese in cui ha nevicato, ha piovuto parecchio, ha fatto freddo (e continuare a fare e proseguirà almeno per un altro mese) ed in cui io personalmente ho vissuto senza particolari scossoni, qualcosa di emozionante c'è stato, qualcosa di negativo anche, ma tutto sommato nella norma, ed a me nella norma va bene. Ma adesso ecco i film "migliori" visti.
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giovedì 31 gennaio 2019
mercoledì 30 gennaio 2019
I peggiori film del mese (Dicembre/Gennaio 2019)
E' cominciato un nuovo anno, ma è sempre la stessa storia, io cerco di selezionare per bene i film che scelgo di vedere, però sarà forse colpa mia (più certamente dei film mi sento di ribadire) che mi ritrovo con parecchie mediocre pellicole ad aver purtroppo visto. Pellicole che in questo mese di Gennaio, per via dell'assenza del suddetto post lo scorso mese (le classifiche finali, anche quelle dei peggiori, hanno riempito parecchio spazio) sono aumentate in quantità, ma purtroppo non in qualità. Ma non per questo comunque che vi sconsiglio questi film, però state attenti a quello che desiderate vedere.
Nemesi (Thriller, Usa 2016): Cosa succede quando uccidi il fratello di una delle più abili chirurghe del pianeta? Che lei ti fa rapire e ti cambia sesso. Questo è quello che accade nei primi venti minuti dell'ultima fatica del regista Walter Hill, vecchia conoscenza del cinema anni '80. Infatti, quando il killer per contratto Frank Kitchen uccide il dissoluto Sebastian Jane, che deve dei soldi alla mala, la sorella della vittima, la Dott.ssa Rachel Jane, chirurgo plastico geniale e body artist, radiata dall'ordine dei medici, medita una vendetta veramente atroce e pedagogica, nelle sue intenzioni, ma Frank non ci pensa proprio a ripartire, non cerca redenzione ma solo vendetta. Dicevo le intenzioni, se quelle di Michelle Rodriguez (con tanto di ridicoli protesi al naso e barbetta finta) tutto sommato riescono, quelle del regista si infrangono immediatamente, anche perché ci vuole una bella dose di sospensione dell'incredulità per star dietro al racconto, che sembra carente proprio in quelli che dovrebbero essere i suoi punti di forza. Difatti, nonostante uno spunto interessante, che viene oltretutto e sostanzialmente ignorato, il film non funziona. Giacché un paio di nudi integrali della protagonista non possono aprire riflessione alcuna sull'impatto emotivo dovuto al cambiamento di sesso, al massimo accennano ad un idea di carnalità che però rimane in superficie, fine a se stessa, un film sulla vendetta, ci tiene il regista a sottolineare questo aspetto, guardandosi bene dal fornire spiegazioni sul cambio di sesso imposto come una punizione. Ed allora, così epurato, il film diventa un banale film sulla vendetta, abbastanza volgare ed inutilmente violento, girato senza un filo di ironia (bel difetto per un "B movie"), una brutta copia di "Jimmy Bobo", tanto per citare un recente lavoro del regista. C'è ben poca azione in Nemesi, i personaggi parlano troppo e spesso a sproposito, il racconto avanza in modo farraginoso e artefatto. Non fosse per Michelle Rodriguez (che concede più corpo, sempre se era il suo davvero, che anima al personaggio, ma con risultati alterni) e per Sigourney Weaver (lei sempre ottima, che vince a mani basse il duello fra star, dimostrando che la classe non è acqua), si sarebbe tentati di mollare il film al suo destino dopo soli 5 minuti. Non lo si fa, ma alla fine i 95 minuti o giù di lì di visione finiscono nel vuoto cosmico. Voto: 4
martedì 29 gennaio 2019
Le altre serie tv (Dicembre/Gennaio 2019)
Sì è dovuti aspettare due anni, ma alla fine anche Marte, la serie tv di National Geographic Channel, ha avuto una seconda stagione per confermare quanto di buono aveva fatto nella prima stagione. Sì perché, andata in onda su Sky per 6 settimane dal 22 novembre scorso, sempre prodotta da Brian Grazer e Ron Howard, e sceneggiata da Dee Johnson (Nashville), questa atipica serie tv, conferma quanto di buono la prima aveva proposto, anche se per raggiungere l'obiettivo deve rinunciare in parte alla sua peculiarità. Lo fa crescendo, alla ricerca del modo migliore di diventare adulta. Soprattutto la serie tv deve decidere quale aspetto della sua duplice natura privilegiare: la parte di finzione o quella documentaristica. E saggiamente sceglie di non scegliere. Ciò che aveva fatto di Mars un ammirevole unicum era la capacità di portare avanti due discorsi in parallelo alternando e fondendo una storia fantascientifica ambientata su Marte in un futuro non remoto con gli sforzi che qui e ora si stanno compiendo per togliere il suffisso "fanta" all'aggettivo usato qui sopra. Stabilitisi ormai sul pianeta rosso (la nuova stagione non a caso viene ambientata a circa 9 anni dal primo sbarco umano su Marte), questo gioco di specchi non poteva essere portato avanti allo stesso modo. Infatti, il lavoro primario degli scienziati odierni è teso a realizzare il primo passo, mentre cosa fare dopo è un tema ancora poco approfondito. Entrando quindi nel regno nebuloso di futurologi più o meno credibili (ma quelli scelti dalla serie sono ovviamente i più quotati e più scientificamente affidabili). Per questo motivo, intelligentemente il parallelo diventa un altro. Non più cosa fare oggi per rendere possibile il domani. Ma piuttosto immaginare un domani dove sia possibile correggere gli sbagli prima che sia troppo tardi. Per fare poi di questa speranza un monito per un oggi dove gli errori potrebbero essere ormai irreparabili. Mars diventa allora un messaggio da un futuro di fantasia per un presente reale. Poteva far storcere il naso nella prima stagione di Mars l'assenza di una storia forte dal momento che il tema dello sbarco su Marte e della sua colonizzazione era dopotutto stato esplorato a lungo in prodotti precedenti. Non del tutto immotivate (ma comunque fuori centro) erano, quindi, le critiche pedanti di chi lamentava una certa insufficienza dell'aspetto più fiction della serie. Consapevoli di questa (più o meno perdonabile) pecca, gli autori decidono di ovviare scrivendo una sceneggiatura che non rinuncia alla sua missione educativa, ma al tempo stesso è capace di reggersi in maniera autonoma.
lunedì 28 gennaio 2019
Il film della Memoria: La signora dello zoo di Varsavia (2017)
Si è sempre detto, anzi, è sempre stato così, che la guerra non risparmia niente e nessuno, né i bambini, né i vecchi, né i più deboli in generale, ora si scopre anche che, a soffrire dai crimini perpetrati dai nazisti (in tempo di guerra) ci son stati gli animali, oltre ovviamente a milioni di ebrei. Non a caso, tratto da una storia vera, La Signora dello Zoo di Varsavia (The Zookeeper's Wife), film del 2017 diretto da Niki Caro, racconta uno dei tanti episodi avvenuti nel corso della Seconda Guerra Mondiale legati alla persecuzione del popolo ebreo, solo che insieme a loro il film ci rende partecipi di una storia (sicuramente romanzata ma comunque molto interessante ai fini storici perché innanzitutto, fa conoscere una delle pagine terribili ed ancora poco conosciute del conflitto mondiale) che è un racconto di eroismo civile in tempo di guerra, e insieme una dichiarazione d'amore per la natura e gli animali. Il film infatti, un film che, pur aderendo alle principali caratteristiche dei numerosi lungometraggi sull'Olocausto ebreo, veicola un messaggio di speranza per la redenzione dell'umanità, che diventa possibile anche nelle situazioni più estreme, un film ispirato alla storia vera di Antonina Żabińska e di suo marito e soprattutto al romanzo Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman (che ha svelato al mondo il coraggio di questa coppia, inserita a ragione nel giardino dei Giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme), si concentra sulle atrocità compiute dai nazisti e sul coraggio della protagonista e della sua famiglia di ribellarsi, mettendo in pericolo la loro stessa vita, per salvare non solo il loro piccolo Zoo ma anche centinaia di ebrei. I due difatti, proprietari dello zoo di Varsavia vedono le loro vite e la loro attività cambiare drasticamente durante l'invasione nazista. Lo zoo viene distrutto, la maggior parte dei bellissimi animali viene ucciso e successivamente anche i pochi superstiti abbattuti. La famiglia inoltre vede quel luogo verde e accogliente diventare una postazione per i militari tedeschi e allora decidono di escogitare un piano per aiutare le famiglie ebraiche che da lì a poco inizieranno ad essere brutalmente perseguitate. In pieno spirito di solidarietà i due decidono di adibire la parte sotterranea dello zoo a rifugio per alcune famiglie ebraiche, riuscendo così a salvarli dal ghetto e dalla persecuzione. Inizialmente solo poche decine di persone, amici di famiglia ma poi intere famiglie, spesso con bambini piccoli, riuscirono a salvarsi dalla furia nazista trovando rifugio nello zoo.
venerdì 25 gennaio 2019
Avengers: Infinity War (2018)
Era il 2008 quando il mondo conobbe il primo film del Marvel Cinematic Universe: Iron Man. E fu subito amore a prima vista, come quello che si vede nei film in bianco e nero, un amore incondizionato e trasparente da parte mia e degli spettatori (tutti) verso il capostipite di uno sterminato universo cinematografico che non sembra essere minimamente vicino all'oblio o ad annoiare il pubblico. Ora, dopo dieci anni (ora 11), ecco arrivare lo scontro finale, la summa di un percorso produttivo ed artistico che ha cambiato per sempre il cinema, il modo di concepirlo e soprattutto il rapporto di quest'ultimo con un pubblico sempre più interattivo e interconnesso: Avengers: Infinity War. Quest'ultimo è infatti cinema allo stato puro, è spettacolo incalzante che incolla allo schermo, stupisce, diverte, fa piangere, spaventa, crea sconforto ma non dimentica mai di dare continua speranza. Diretto da fratelli Anthony e Joe Russo (quelli di Captain America: Winter Soldier, Civil War e di Ant-Man per intenderci), questo diciannovesimo film del MCU difatti, che si basa su una complicata, sfaccettata e curatissima sceneggiatura di Christopher Markus e Stephen McFeely (i cui script hanno interessato tutte le precedenti avventure di Captain America), di cui si continua ancora a parlare a distanza di mesi, che è forse il miglior cinecomics Marvel di sempre (personalmente però dopo i due Guardiani della Galassia e Deadpool), è un film davvero eccezionale. Sì, perché Avengers: Infinity War, un film che i fan dei supereroi aspettavano da tanti anni (ed anche di tutti gli estimatori de La Casa delle Idee), è davvero una gemma cinematografica, apice e scintillante apogeo (per ora) dell'Universo Cinematografico Marvel, di un percorso iniziato con un Tony Stark "spaccone" e presuntuoso che allargando le braccia sembrava volesse dirci: "Sto per offrirvi il più grande spettacolo del mondo!". Ecco, questo film del 2018 dei fratelli Russo è lo splendido risultato di un decennio di cinecomic Marvel, una pellicola epica e spettacolare che porta con sé il corredo genetico di tutto quello che l'ha preceduta, esaltandolo in un film d'insieme che nell'unione di cuori e di spiriti, piuttosto che in quella fisica, regala ai fan uno show che è quanto di più fumettoso si possa immaginare: un gruppo di valorosi, generosi ed impavidi supereroi contro una minaccia spietata e crudele dai poteri inimmaginabili, desiderosa di distruggere l'Universo e sacrificare innumerevoli vite innocenti.
giovedì 24 gennaio 2019
Free Fire (2016)
Impossibile non pensare a Quentin Tarantino o a Martin Scorsese (che, tra l'altro, qui è produttore) mentre scorrono davanti agli occhi le scene di Free Fire, ultimo film di Ben Wheatley, peccato che questo film del 2016 sia, dopo lo strano e insipido High-Rise (tratto da Il condominio di Ballard), l'ennesima delusione. Un film tutto ripiegato su se stesso, inutilmente claustrofobico, un film dalle atmosfere pulp (giacché la storia è ambientata negli anni '70), inutilmente vintage. Il film e il regista infatti (ovviamente personalmente parlando), non riescono fino in fondo a sfruttare la concentrazione di luogo, tempo e azione. Eppure il film partirebbe bene e sembrerebbe anche svilupparsi piuttosto degnamente, poi ad un certo punto le sparatorie cominciano a diventare ridondanti e il film scivola verso il trash più totale, si vede decisamente la voglia di creare qualcosa di simile alle "Iene" di Tarantino (appunto) con ampio condimento Western di sparatorie che si sprecano, ma è tutto parecchio assurdo, anche a livello di sceneggiatura, perché il buon senso, ad un certo punto, per quanto si abbia a che fare con gente svalvolata, dovrebbe prevalere, e invece la sparatoria, l'oggetto del film, che impegna almeno 70 dei 90 minuti di cui si compone il film, insieme al finale, lascia parecchio a desiderare. L'impostazione Tarantiniana difatti, è probabilmente la maggiore forza ma anche e soprattutto la maggiore debolezza di Free Fire: chi ama il genere si sarà divertito, ma forse non avrà trovato il film sufficientemente estremo e l'avrà giudicato a volte (troppe volte) un po' lento (ma anche altro, tra questi io), mentre per chi non è appassionato di questo stile il gradimento sarà stato presumibilmente pari a zero.
mercoledì 23 gennaio 2019
Premio Sunshine Blogger Award
Mi capita spesso di ricevere premi (fittizi s'intende, quelli della blogosfera) e per questo ringrazio sempre chi mi nomina, stavolta però mando un ringraziamento speciale a Vanessa la Gattaracinefila, perché il suddetto riconoscimento (il Sunshine Blogger Award) è qualcosa che mi rende felice, felice di sapere che il mio blog (che non parla solo di cinema) riesca a trasmettere serenità e positività. E quindi con gioia rispondo alle 11 domande che il regolamento prevede, ovvero questo qui: 1 - Ringraziare chi ti ha nominato fornendo il link al suo sito; 2 - Rispondere alle 11 domande; 3 - Nominare altri 11 blogger che dovranno rispondere alle stesse o ad altre 11 domande; 4 - Informare gli 11 candidati commentando un loro post sui Social/ blog o taggandoli; 5 - Elencare le regole del premio e mostrare il logo del sole. Solo che come già capitato in molte occasioni (l'ennesimo strappo alla regola), anche questa volta eviterò le nomination, quindi tranquilli.
martedì 22 gennaio 2019
La vedova Winchester (2018)
Un'altra casa, proprio come in Madre! di Darren Aronofsky, diventa l'oggetto del mistero per La vedova Winchester, ghost story dove questa diventa contenitore fisico di un racconto a metà tra il realistico (parecchio realistico e reale) e il paranormale. Le due dimensioni però si sfiorano, senza mai veramente toccarsi, nell'impianto pressoché (quasi) perfetto del film orchestrato con maestria da Michael e Peter Spierig (i due fratelli australiani reduci dal sufficiente Saw Legacy e dal quel piccolo gioiellino che sarà sempre Predestination), a cui poi spetta le benedizione di una protagonista sempre eccezionale che risponde al nome di Helen Mirren. È proprio la grande attrice inglese a prestare il volto alla misteriosa vedova Winchester, solita passeggiare con abiti e veli neri, costantemente addobbata a lutto. Generalmente più avvezza a lungometraggi d'autore o comunque impegnati, l'attrice premio Oscar per The Queen permette alla storia di risultare credibile. Infatti la sua interpretazione misurata, intensa, si incastra perfettamente in un contesto che fa della tradizione il centro di tutto. Non parliamo infatti di un horror classico a tutti gli effetti, ma di una storia che ha radici profonde nella cultura americana e non solo. Da secoli l'uomo percepisce e racconta di presenze sovrannaturali attorno a lui, misteri che mai nessuno è riuscito a spiegare e a dimostrare scientificamente, motivo per cui ogni leggenda legata ai fantasmi conserva ancora oggi un'aura di mistero e fascino. I fratelli Spierig sono partiti proprio dalla più classica tradizione per creare un film ricco di tensione, paura e oscurità, calcando certo un po' la mano e la fantasia per rendere il tutto più avvincente. Un prodotto certamente appassionante, girato con piglio deciso e carattere, pur appigliandosi talvolta ai punti di riferimento più naturali del genere, si pensa agli immancabili Jumpscare e ad altre meccaniche narrative proprie dell'horror che non vi dico. Ogni salto dalla poltrona però è pensato con intelligenza, nulla è gratuito, i registi (anche sceneggiatori) preparano con cura il terreno di ogni sorpresa, confezionando un lavoro di buona fattura.
lunedì 21 gennaio 2019
Chiamami col tuo nome (2017)
Non è facile dare un giudizio obiettivo su quest'ultima opera di Luca Guadagnino. Sicuramente bella ed efficace la rappresentazione dei luoghi nei quali si svolge la vicenda, con un'ottima fotografia e con una raffinata capacità evocativa dei luoghi rappresentati, purtroppo però la sceneggiatura non riesce a scandagliare a fondo nel carattere dei personaggi, restando solo alla superficie delle loro problematiche esistenziali e i dialoghi risultano di una elegantemente sontuosa banalità e qualche citazione colta sparsa qua e là non riesce mai a dare loro spessore. La ricostruzione degli ambienti poi, seppur convincente, appare comunque imprecisa e superficiale. Attenzione però, non è un brutto film, è soltanto anonimo, scialbo, uno sbadiglio dietro l'altro. Non mi ha emozionato per niente (e non c'entra niente l'orientamento sessuale). Il problema personalmente è nella piattezza delle recitazioni (a parte forse il giovane protagonista) e (come già accennato pocanzi) della sceneggiatura. Ancora non riesco a capire come abbia fatto a ricevere persino un Oscar, anzi, forse si, perché l'avevo intuito ed alla fine è stato proprio così, la furba carta vincente è stata mettere una "storia omosessuale" aggiungere celebri Hit degli anni '80, ambientarlo in quel decennio cavalcando l'onda della nostalgia che ormai è di moda tempo e frullare tutto. Mi è parsa quindi solo una furbissima operazione. Dopo aver visto infatti Chiamami col tuo nome (Call Me by Your Name), film del 2017 diretto da regista italiano ormai americano per adozione, la sensazione che si prova è simile a quella di chi, dopo aver acquistato un gioiello presso una oreficeria referenziata, si accorge in seguito di aver comprato una misera patacca, magari ben fatta e pure luccicante come oro zecchino, ma pur sempre una patacca. Una sensazione mista di rabbia per l'imbroglio subito e di ammirazione per l'abilità del falsario.
venerdì 18 gennaio 2019
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017)
Sorprendente, per certi aspetti anche esilarante, questo è Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), film del 2017 scritto e diretto da Martin McDonagh, con protagonista assoluta un'eccezionale Frances McDormand, insieme a Woody Harrelson, Sam Rockwell e Peter Dinklage, tra i tanti (di questi la ninfetta Samara Weaving, John Hawkes e il sempre più talentuoso Caleb Landry Jones). Un film, vincitore a sorpresa di ben 4 Golden Globes (tra cui miglior film drammatico) che hanno preceduto nomination e premi agli Oscar 2018 (7 nomination, poi trasformatesi in due statuette), originale e inconsueto a cominciare dal titolo. Un titolo lungo, particolarissimo, apparentemente non accattivante ma tanto da diventarlo (ovviamente anche per la storia e la qualità del film, perché altrimenti...). Con quella cittadina, inventata, citata esplicitamente accanto al nome di uno stato famoso per non aver superato il problema del razzismo. Che non è il cuore ma è una delle chiavi del film, ricco e debordante di temi e di toni (è un dramma, ma ci sono numerosi momenti tragicomici da commedia nera che possono risultare esilaranti o fuori luogo). Un film tosto, duro, difficile da commentare, con una impostazione in fondo teatrale anche se non riconoscibile immediatamente, un film insomma imperdibile se si riesce soprattutto a sopportare un certo tasso di violenza o asprezze di linguaggio (dipende, come sempre, dalla propria sensibilità), ma andiamo con ordine. La pellicola racconta di una madre che vuole giustizia dopo la morte della figlia. Per protestare in modo clamoroso contro l'inerzia della polizia (un piccolo ufficio con poche persone) la protagonista si inventa un bizzarro quanto originale ed efficace (almeno per le conseguenze che produrrà) modo per richiamare l'attenzione degli investigatori locali che a suo giudizio non si starebbero occupando del caso. Ella infatti (una donna dal carattere aggressivo e scorbutico) sulla strada che porta in città, noleggia tre grandi cartelloni pubblicitari sui quali piazza una serie di messaggi polemici e controversi, rivolti al capo della polizia William Willoughby (Woody Harrelson). Quest'ultimo (amato e rispettato, e in effetti è uomo onesto e buono) prova a far ragionare la donna, ma quando viene coinvolto anche il violento e nevrotico vice Dixon (Sam Rockwell), la campagna personale di Mildred (che non ha neanche l'appoggio della comunità) si trasforma in una battaglia senza esclusione di colpi, calci, schiaffi, morsi, insulti e frasi scurrili.
giovedì 17 gennaio 2019
La ragazza nella nebbia (2017)
Già dai suoi presupposti, La ragazza nella nebbia, film del 2017 scritto e diretto da Donato Carrisi, presenta una situazione piuttosto anomala: la figura del regista/sceneggiatore coincide pienamente con quella dello scrittore del romanzo, e non capita spesso. In tal senso, era notevole la curiosità nei confronti di un prodotto (basato appunto sull'omonimo romanzo dello stesso Carrisi) in cui immaginario editoriale e filmico dello stesso autore trovano un loro punto di congiunzione. Purtroppo però, il risultato sullo schermo è a dir poco deludente e velleitario. Ed è strano, perché anche se non ho letto il libro, immagino che l'adattamento non abbia stravolto le carte su narrazione e personaggi, o almeno penso che non ci sia stato un tradimento del regista nei confronti dello scrittore, e allora come si spiega tutta questa pochezza? Forse il libro che ha venduto milioni di copie è stato sopravvalutato? Non saprei, sta di certo che il film, pur non essendo un film pessimo (fortunatamente), è personalmente (forse anche oggettivamente) un film mediocre. Un film che si muove su due binari con il regista (che pur avendo a disposizione le Dolomiti fa pochi esterni) che non sceglie su quale andare: il primo è un thriller, il secondo un film di costume riguardante la funzione dei media che creano a loro piacimento colpevoli o innocenti. Come thriller appare confuso, il regista sembra aggrovigliare una vicenda da cui non sa come sbrogliarsi. Nella trama appare all'inizio una misteriosa confraternita che sarebbe una setta che domina il paese e che poi con il dipanarsi della vicenda misteriosamente sparisce. Come thriller non mi pare avvincente e la conclusione finale non così sorprendente. Ma anche come film di costume non appare riuscito: i rappresentanti dei media sono delle "macchiette" come le due giornaliste una d'assalto e l'altra una vecchia saggia ridotta in carrozzella e comunque il tema dello "sciacallaggio" mediatico non è approfondito con sufficiente credibilità.
mercoledì 16 gennaio 2019
Deutschland 86 (Miniserie)
La vita ai tempi della guerra fredda è ancora al centro di Deutschland 86, secondo capitolo di un'ideale trilogia (che non vedo l'ora vada a termine) iniziata con Deutschland 83, una delle serie rivelazione del 2015, una serie purtroppo snobbata, di cui rappresenta appunto il sequel. È una storia di spionaggio in cui le trame dei servizi segreti e le intime vicende personali dei personaggi convergono restituendo l'affresco di un'epoca. L'epoca di massima tensione raggiunto negli anni Ottanta tra Unione Sovietica e Stati Uniti, che ha portato successivamente alla caduta dell'URSS e del muro di Berlino. Tutto ciò viene però visto (come saprà chi l'ha già visto, se no il consiglio è di recuperare tutta la prima stagione) dalla prospettiva delle due Germanie ed in particolare attraverso il personaggio di Martin Rauch (interpretato da un nuovamente bravo Jonas Nay), un ventiquattrenne della Germania Est, che da sergente maggiore delle truppe di Frontiera viene catapultato nell'altro lato della Germania per diventare una spia. E poiché sono nuovamente tornati gli intrighi della Guerra Fredda tra Germania Ovest ed Est pure, proprio lui non poteva mancare in questa seconda stagione della serie televisiva tedesco-statunitense creata da Anna Winger e Jörg Winger, e diretta da Florian Cossen, una seconda stagione ancora più avvincente e coinvolgente (ma nel complesso non migliore) del primo riuscitissimo capitolo della serie TV tedesca che ha dato il là alla rinascita della TV in Germania (Babylon Berlin un meraviglioso esempio di questa rinascita). Infatti lui c'è, lui che alla fine del suo percorso da spia della Stasi, percorso che lo ha poi costretto alla fuga alla fine di Deutschland 83 (Kolibrì, il suo nome di battaglia, ed egli stesso era ricercato da mezzo mondo, il mondo segreto delle spie), lui che spera, riprendendo a lavorare per i servizi segreti, e così continuare a finanziare il progetto del partito socialista tedesco, tornare in patria, ma lo ritroviamo però con una nuova prospettiva e diversi "incarichi" da svolgere.
martedì 15 gennaio 2019
Tomb Raider (2018)
Tra gli amanti della saga di Tomb Raider la domanda più frequente, prima dell'uscita del film, era certamente se Alicia Vikander sarebbe stata all'altezza sia del carismatico personaggio videoludico, sia dell'illustre precedente cinematografico incarnato da Angelina Jolie. È difficile, però, dare una risposta, poiché la pellicola non ha per protagonista la Lara Croft conosciuta dai più. È, piuttosto, una storia di formazione, la vicenda che porterà la giovane a diventare l'eroina che tutti amiamo. In questi panni, l'interpretazione di Alicia Vikander sicuramente non è da nessuna candidatura agli Oscar, ma è tutto sommato positiva e senza grosse sbavature, anzi, fragile al punto giusto, curiosa, intraprendente, Alicia Vikander è colei che rende il film, questo film, Tomb Raider, film del 2018 diretto da Roar Uthaug, piacevole e fruibile fino alla fine. Un film che stravolgendo radicalmente l'outfit e la personalità di Lara Croft, si abbandonano infatti le forme graziose, piene e sensuali di Angelina Jolie per abbracciare quelle di Alicia Vikander, snella, senza seno, ma con una grande grinta, riesce a fare discretamente centro. Questo perché il reboot cinematografico di Tomb Raider, che sembrerebbe il solito mediocre reboot che invece non è (non tutti i reboot riescono con il buco, questo per fortuna sì), avviene con sapienza e perizia, adattando storia (una storia inedita, più fresca, moderna e con un cast a tendenza autoironica scritta da Geneva Robertson-Dworet) e personaggi (ottima è la scelta di affidarsi, per rivedere le origini del personaggio, inerme, apparentemente debole, vergine ai pericoli e i misteri del mondo, all'attrice di origini danesi) a standard attuali per la creazione di un'eroina tutta acqua e sapone, consapevole delle proprie abilità. Lara, difatti, è un'eroina in divenire, non una donna esperta di armi, lotta, e archeologia, incantevole e dal seno prosperoso, ma una giovane ragazza che deve scoprire il suo talento nascosto, un'eroina insomma che cade, si sporca di fango, sangue sul viso misto a lacrime.
lunedì 14 gennaio 2019
Nicolas Cage Day - Mom and Dad: Istinto omicida (2017)
Purtroppo questo thriller horror/dark comedy di Brian Taylor (di cui avevo apprezzato i due Crank) non riesce a lasciare il segno fino in fondo, intendiamoci non è un film brutto o inguardabile ma si nota l'indecisione del regista (o forse dovrei dire della sceneggiatura?) che non sa quale direzione imboccare se quella dell'horror o quella della commedia. Ne viene fuori un pastrocchio, tutto sommato anche abbastanza divertente ma che non riesce a graffiare efficacemente né a sfruttare correttamente una buona idea di fondo. Non aiutano a rendere più interessante la pellicola, alcuni aspetti della sceneggiatura poco approfonditi, eppure Mom and Dad: Istinto omicida, il nuovo film del regista, sceneggiatore e produttore, anche di Ghost Rider: Spirito di Vendetta, film presentato al Toronto Film Festival a settembre del 2017, un film con una certa originalità, cosa sempre più rara al giorno d'oggi, riesce a intrattenere a dovere. Il film infatti, un onesto thriller con Nicolas Cage (incredibilmente uno dei motivi per cui vedere il film, anche Selma Blair convince senza mezzi termini), non è affatto male e, avendo una trama abbastanza particolare, invoglia lo spettatore a guardarlo. E' ovviamente una pellicola parecchio sopra le righe, però, il regista riesce, con mestiere, a renderla verosimile. Sì perché nonostante lo svolgimento e il racconto, comunque apprezzabile, indubbiamente sconclusionato, l'eclettico regista americano, che infarcisce la pellicola di temi "moderni" (quali la voglia degli adulti di tornare giovani, i genitori si scagliano contro i propri figli, colpevoli di aver portato loro via, la giovinezza, colpevoli di un'esuberanza tecnologica che ha ucciso ogni forma di dialogo), usa un semplice escamotage, qualcosa di naturale che c'è in ognuno di noi, per parlare alle vecchie e nuove generazioni, per sovvertire le regole della natura umana e rendere il tutto più credibile.
sabato 5 gennaio 2019
La tartaruga rossa (2016)
Presentato alla 69esima edizione del Festival di Cannes e vincitore del premio speciale Un Certain Regard, La Tartaruga Rossa (La tortue rouge), film d'animazione del 2016 diretto da Michaël Dudok de Wit, mette in scena una storia dalle premesse alquanto semplici, sfoggiando però un contenuto profondamente commovente, una sorta di evocazione del ciclo della vita (dell'uomo e dell'animale), un contenuto insomma che tocca il cuore. Nato dallo sforzo produttivo di due universi (quello francese e quello giapponese) che considerano l'animazione un mercato fertile e ricco di possibilità, alla regia e alla sceneggiatura lo stesso De Wit, alla direzione artistica Isao Takahata, mentre la produzione è mista e prevede una consistente partecipazione dello Studio Ghibli, The Red Turtle, come da titolo internazionale, è infatti per questo, uno dei migliori film di animazione degli ultimi anni. La trama, evitando di entrare nel dettaglio, narra la storia di un naufrago di cui non sappiamo nulla e che si ritrova, solo, su un'isola deserta. Questo contemporaneo Robinson Crusoe tenta più volte di fuggire costruendosi delle imbarcazioni di fortuna, ma tutti i suoi sforzi vengono vanificati da una tartaruga rossa, che sembra costringerlo a rimanere sull'isola per delle motivazioni sconosciute. L'incontro con questo animale unico nel suo genere gli cambierà però la vita, in un modo che sarebbe meglio non raccontare, perché va vissuto per tutti i suoi 90 minuti, ma diciamo che il tempo che dovrà passare in quel luogo, fuori dal tempo e dallo spazio, sarà più lungo del previsto. E tuttavia si può anche dire che il film è una grande metafora della vita, dei suoi alti e bassi, del suo scorrere inesorabile. Perché la vita del protagonista equivale, con le dovute proporzioni, a quella di ciascuno di noi: un percorso fatto di scossoni, rabbia, amore, nostalgia, noia.
venerdì 4 gennaio 2019
House of cards (6a stagione)
Come ben tutti sanno la produzione della sesta ed ultima stagione di House of Cards è stata dilaniata dallo scandalo sessuale di Kevin Spacey. Il protagonista maschile principale è stato infatti fatto fuori dalla serie, che però per questo perde di carisma ed è vittima della produzione, essendo stata costretta a riscrivere in fretta e furia tutta la storia. Difatti, la produzione era già in corso quando lo scandalo è scoppiato, pertanto tutta la storyline è stata modificata per eliminare Frank Underwood dalla storia. Tale cambiamento ha portato ad un accentramento della storia attorno a Claire, protagonista femminile che si ritrova padrona assoluta della scena. Purtroppo però, questo repentino ri-modellamento, non ha portato nessun beneficiò e perciò la sesta ed ultima stagione si rivela la più brutta dell'intera serie. Si perché tutti i timori che avevano accompagnato la produzione (ovvero se sarebbe riuscita a sopravvivere senza la sua punta di diamante) si sono rivelati tutti. Non è bastata neanche Robin Wright infatti a tenere in piedi la baracca, nonostante si era sperato che lei ci riuscisse, perché le capacità le ha e le ha sempre avute, ma nulla ha potuto fare senza una base, senza una sceneggiatura all'altezza. Ognuno dei coinvolti nella produzione ce l'ha messa tutta per restituire ai fan qualcosa che nel bene o nel male rendesse giustizia alla serie, ma risulta evidente quanto quest'impresa sia stata un orbitare attorno al buco nero lasciato da Spacey senza precipitarci dentro. Sceneggiatori e registi hanno dovuto affrontare una sfida senza precedenti e di questo bisogna rendergli atto, ma non puoi fare una stagione di House of Cards senza Frank e il tentativo di sminuire l'importanza del personaggio denigrandolo in più passaggi o standoci a debita distanza non fanno altro che fomentare l'opinione di coloro che vedono nella sua assenza il punto debole della stagione. Perché certo, la scelta di Netflix di escludere Kevin Spacey è stata encomiabile, ma gli si è rivoltata contro, visto il pessimo prodotto confezionato. Sarebbe stato più idoneo cancellare l'intero show e finire con il colpo finale della quinta stagione (qui). Sarebbe stato un finale migliore rispetto a quello presentato in quest'ultima. Un finale purtroppo rivelatosi amaro. Infatti, della forza e dell'impatto delle prime stagioni (coadiuvate anche dalla mano di David Fincher) non è rimasta nessuna traccia. Ciò che è rimasto è l'affetto per i personaggi principali che sono gravitati nella trama dei coniugi Underwood, tutto il resto è però noia.
giovedì 3 gennaio 2019
I film di Natale visti su Sky (2018)
Quest'anno, anzi, lo scorso anno ho voluto completare le classifiche finali non solo per chiudere l'anno cinematografico nel modo più onesto possibile, ma anche per permettere a questo mio classico post natalizio, di natura esclusivamente cinematografica, di uscire in tempo, per dare insomma tempo (a voi) di vedere (se lo ritenete giusto o se il mio giudizio lo permetterà, è a vostra discrezione) questi film che oggi recensisco prima dell'ufficiale conclusione delle feste. E così, prima del mio momentaneo congedo di una settimana e ovviamente dell'arrivo dell'Epifania, ecco quali sono stati i film di Natale che visto su Sky. Prima però vorrei parlarvi di un inedito cortometraggio visto sempre grazie al canale tematico della piattaforma satellitare, un cortometraggio di 28 minuti intitolato Babbo Natale deve morire. Già, questo cortometraggio di produzione Britannica del 2014, dal titolo originale Marked, ha un titolo abbastanza particolare, come particolare è appunto la trama di questo semplice, lineare ed interessante corto, un corto dolce amaro che mescolando risate e suspense, diverte e fa riflettere. In Marked infatti, una storia nella quale riecheggia la lezione di Dickens, Kiefer Sutherland e Stephen Fry sono alle prese con crisi, fallimenti e un incontro davvero inatteso, un incontro che avrà ripercussioni importanti nella vita di questo povero cristo che ha causa di problemi economici accetta di compiere un'omicidio su commissione, salvo poi cambiare (ovviamente) idea. Beh sì, niente di originale, tuttavia tranquillamente vedibile, anche se il momento migliore è quando riecheggia Shake up Christmas dei Train, che però da solo vale la visione. Perciò dategli un'occhiata se ci riuscite. Ma adesso ecco i film.
mercoledì 2 gennaio 2019
Saw Legacy (2017)
Quando nel 2004 uscì Saw, James Wan, giovane cineasta che da lì a breve si sarebbe affermato tra i più talentuosi registi legati all'horror (anche se da lì in poi proseguirà con discontinui risultati), portò nel genere una originale e brillante ventata di aria fresca. Legare infatti i contenuti più gore e violenti da slasher-movie ad una componente enigmistica, fu infatti una trovata più che riuscita, che ovviamente, era coadiuvata dalla maestria con cui egli gestisce la macchina da presa in questi contesti da "fiato sospeso". La componente "indovinello" infatti, coinvolgeva lo spettatore su più fronti. I malcapitati protagonisti della pellicola dovevano riuscire a disinnescare le perverse trappole che li tenevano prigionieri seguendo delle regole spesso criptiche. Pena per l'insuccesso, una morte brutale e dolorosa. Dall'altro lato, la parte investigativa che vedeva le forze dell'ordine ingegnarsi per capire chi ci fosse dietro tutto, era altrettanto stimolante da seguire e invogliava a svelarne la soluzione. In seguito all'indiscusso successo del capostipite, vennero prodotti ben sei seguiti che solo in rarissimi casi sono riusciti ad avvicinarsi alla qualità del primo. Non riesce neanche quest'ultimo capitolo del 2017, l'ottavo, dal titolo Saw Legacy (Jigsaw), ad avvicinarsi a quel livello, eppure la genialità del primo film appare oggi fresca come non mai, eppure questo (ennesimo) capitolo, riesce davvero nell'intento di appassionare lo spettatore dall'inizio alla fine del film, eppure questo film, riesce nuovamente ad incuriosire, ad espletare insomma l'innata curiosità umana, dopotutto dopo i primi due "Saw" l'unico appeal che spinge, e che mi ha personalmente spinto a seguire i successivi capitoli non è stato altro che la curiosità, corroborata da una buona dose di insana morbosità, per vedere fin dove si potessero spingere i produttori del film nei macabri "giochini" a cui vengono sottoposti i malcapitati prigionieri delle sevizie di Jigsaw. E poiché quest'ultimi sono abbastanza ingegnosi, la sufficienza la riesce a strappare.