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venerdì 29 marzo 2019

Gli altri film del mese (Marzo 2019)

Non è stata la sorpresa che mi aspettavo, che mi aspettavo dopo l'intenso scorso mese di febbraio (qui, in cui avevo espresso il desiderio di voler un mese di Marzo altrettanto bello come quello che trascorsi), anzi, un po' sì in verità (ma non volevo dirlo od ammetterlo), ma è arrivata e me la prendo tutta. E la sorpresa, il regalo di compleanno, compleanno che per fortuna ho passato senza amarezze (Riccardo del bazar del calcio potrebbe capire, o un juventino conoscere purtroppo) è stata la pazzesca rimonta della Juve avvenuta esattamente il giorno prima. In tal senso il giorno dopo gradita è la stata la nuova tazza della Juve regalatami dai miei, giorno che come preannunciato (qui) è stata per questo (e non solo) una giornata tranquilla, tra buon cibo (immancabile la torta) e tanti messaggi. Ma il mese non si è concluso lì, non è successo niente di clamoroso, solo che a San Giuseppe (così per farvelo sapere) ho mangiato una zeppola gigante ed era buonissima (da leccarsi i baffi), pochi giorni fa c'è stato il compleanno di mio padre ed è cominciata la primavera. E insomma mese bello è stato questo, ma scommetto che il prossimo non sarà male, dopotutto arriva Pasqua e la cioccolata la farà da padrone.
Wendy è una bellissima ventenne anche molto intelligente che tuttavia vive in una struttura gestita da una efficiente badante, la sola in grado di darle quelle sicurezze caratteriali che la sua acuta forma di autismo le nega sin dalla nascita. Appassionata da sempre della serie fantascientifica di Star Trek, la ragazza si sta impegnando a scrivere una elaborata sceneggiatura da spedire alla Paramount Pictures a seguito di un concorso che vede un premio in palio di 100 mila dollari al primo classificato. La passione di Wendy, l'orgoglio di volersi rendere finalmente indipendente dalla sorella pur amorevole, ma distante da quando è diventata madre, la spingeranno ad un colpo di testa quando si improvviserà una viaggiatrice assieme al suo simpatico cagnetto, per cercare di far si che le oltre 400 pagine della sua elaborata sceneggiatura possano pervenire in tempo agli Studios per partecipare a quel concorso. Inizia così un vero e proprio "Road Movie", in cui Wendy, tra varie vicissitudini, arriva a destinazione e riesce a consegnare il copione. Un road movie, Tutto ciò che voglio (Please Stand By), film del 2017 diretto da Ben Lewin, che non sarà forse un viaggio interstellare galattico ma per una ragazza autistica (molto brava Dakota Fanning per la misura che dona al suo personaggio), fare le semplici cose quotidiane è una mezza impresa, figuriamoci mettersi in viaggio, un viaggio che per l'appunto sarà per lei l'occasione di vivere un'esperienza fuori dall'ordinario. Un viaggio ove il sentimento e lo studio introspettivo e psicologico di Wendy e delle altre due tenaci donne che si mettono alla sua affannosa ricerca (alla Fanning impegnata a rendere le caratteristiche della follia contenuta e ragionata della ragazzina, con una espressività che convince, ed una partecipazione che la rende comunque credibile, si affiancano due attrici brave e già "navigate" come Toni Collette ed Alice Eve), prevalgono sulla ovvietà di alcune situazioni, e su un certo sentimento di déjà-vu che ogni tanto coglie lo spettatore. E tuttavia difficile è non tenere conto di quest'ultimi due punti (seppur non incidono sul giudizio tutto sommato positivo della gradevole operazione), perché malgrado la buona prova degli attori, malgrado la sufficiente regia (anche se è evidente la paraculaggine nel finale) Please stand by soffre di un certo buonismo di fondo, a tratti stucchevole (anche se fortunatamente vengono evitati certi inutili piagnistei). E tuttavia al contrario, anche se questi sono elementi che a mio parere non portano giovamento ad un film che vuole narrare una storia semplice e avventurosa di una ragazza problematica fuori dal suo mondo ordinario, una storia comunque autentica, rigorosa ed appassionante (almeno fino ad un certo punto, perché conoscendo poco l'autismo non è chiaro se sia davvero possibile che un ragazza in quelle condizioni possa fare quello che la pellicola fa vedere), che in ogni caso poco a poco ti prende, ti cattura e ti emoziona almeno un pochino, il film è piacevole. Perché certo, nulla di particolarmente eclatante, visti i pochi momenti "critici" e la scarsa drammaticità che coinvolgono la protagonista durante il suo percorso di "crescita", e si poteva, forse, osare qualcosa in più, anche solo per non forzare troppo certe situazioni (che avvengono ugualmente anche al di là del discorso della malattia e dei suoi limiti), ma la visione fila via liscia e non annoia, e questo può anche bastare per raggiungere la sufficienza e consigliarne una visione. Voto: 6
1942. Nella Cecoslovacchia occupata dai tedeschi un gruppo di paracadutisti avvia un'operazione per assassinare Reinhard Heydrich, uno dei generali nazisti più alti in grado, che in quel momento ricopriva il ruolo di governatore con il suo pugno di ferro, non a caso era anche soprannominato il Boia di Praga. La Seconda guerra mondiale rimane probabilmente una delle ambientazioni preferite del cinema. Nonostante una lista infinita di storie vere, fittizie, adattamenti, remake, sembra garantire sempre l'afflusso di nuovo materiale interessante. In realtà l'Operazione Anthropoid, da cui il titolo del film (adattato in Italia a Missione Anthropoid, non si sa per quale motivo), è già stata soggetto di altre produzioni (l'ultima del 1975, ma c'è già un nuovo film già uscito l'anno dopo a questo film del 2016 intitolato L'uomo dal cuore di ferro), ma siamo comunque di fronte ad un buon thriller storico. Focalizzandosi in particolar modo sui due agenti del governo cecoslovacco in esilio a Londra che vengono paracadutati a Praga per dare il via all'operazione, Jozef Gabčík (Cillian Murphy, sempre calibrato, preciso e ottimo attore) e Jan Kubiš (Jamie Dornan, che finalmente dopo The Fall ritorna in panni più "consoni" al suo talento), il film propone una prima parte dal ritmo leggermente più lento, ma che crea grandi aspettative, a cui segue una seconda parte tesissima. Grazie a questa suddivisione il film, diretto da Sean Ellis e scritto da lui stesso insieme ad Anthony Frewin, guadagna un buon equilibrio. Dedicando la prima ora al contesto e all'introduzione dei personaggi, e concentrandosi in particolar modo sul rapporto tra i due protagonisti e la missione, riesce a generare la giusta attesa per l'attentato, attentato che non rappresenta il punto di arrivo del film quanto la svolta del film stesso. L'opera riesce anche ad esplorare (pur non approfondendo) anche il tentativo dei due uomini di reprimere o di assecondare la propria umanità in vista di una missione che potrebbe portarli ad un estremo sacrificio. Ma è con la seconda parte che la tensione sale e tiene incollati allo schermo. Però, soprattutto per chi non conosce la storia, preferisco non rivelare altro e lasciarvi gustare il film, se mai vorreste vederlo. Un film che si segue bene, dove gli attori ci mettono impegno (senza comunque particolari picchi di eccellenza, c'è anche il buon Toby Jones e la bella Charlotte Le Bon insieme ad Harry Lloyd e Bill Milner) e la ricostruzione scenografica è ben curata. Le ambientazioni storiche appaiono infatti ben fatte. Tuttavia in questo film, che comunque forzatamente inserisce un qualcosa che era meglio evitare, cioè la classica, seppur fortunatamente per pochissimo tempo e spazio, storia d'amore, manca un quid, un quid perché lo si possa considerare davvero un gran bel film. Forse un maggior coinvolgimento della figura di Heydrich, uno dei peggiori criminali di guerra della Storia recente, o forse qualche immagine dei massacri compiuti dai nazisti, per far comprendere a tutti con chi si aveva a che fare, non lo fa ed è un peccato, anche se poi nel complesso è comunque questo un film sufficientemente riuscito, interessante e da vedere. Un film che, senza spoilerare, lascia però un po' tristi ed interdetti, nonostante il risultato "positivo" della missione. Voto: 6+
Maddy (Amandla Stenberg) è una ragazza diciassettenne affetta da una grave forma di immunodeficienza e costretta a vivere reclusa in casa, senza contatti relazionali al di fuori della mamma medico e di un'infermiera amica con figlia al seguito. L'arrivo di una nuova famiglia nel vicinato, nella persona del giovane Olly (Nick Robinson), le farà scoprire l'amore e l'urgenza di viverlo indipendentemente dalla malattia. Sulla scia letterario-cinematografica del filone "Sick-Lit", che ha già regalato Colpa delle stelle, ed ora Noi Siamo Tutto, un film (del 2017) che si inserisce nella fascia delle storie dedicate agli young adult, ma che spesso coinvolgono e appassionano sia i giovanissimi sia fasce di età più mature, la regista Stella Meghie attinge dall'omonimo romanzo di Nicola Yoon per rinnovare l'incanto dell'amore che va oltre l'ostacolo della malattia. Impresa che non le riesce del tutto, nonostante le premesse accattivanti, nonostante Everything, Everything (da titolo internazionale) riesca ugualmente nell'intento, facendoci immedesimare nella vita di Maddy, dandoci il suo punto di vista e facendoci scoprire il suo coraggio, un coraggio che l'ha accompagnata nei suoi diciotto anni di vita e malattia e che ora le permetterà di rischiare tutto per amore di Olly, ma forse soprattutto per amore di se stessa. Questo anche grazie alla bravura della giovane interprete che riesce a regalare al suo personaggio la giusta quantità di grazia, cupezza e leggerezza. Una prova, la sua, buona anche se non eccellente, così come quella del suo giovane collega. Entrambi però riescono a rendere abbastanza credibili i loro personaggi e riescono a far in modo che ci sia una certa empatia. Il film ha inoltre alcuni pregi, su tutti la bellezza dei due protagonisti opposti cromaticamente (lei, nera, vestita con colori pastello e lui, bianco pallido, vestito di nero), poi le scelte scenografiche (dalla casa asettica e creativa alle mitiche Hawaii), nonché i dialoghi a distanza tra i due innamorati trasportati dal cellulare in un mondo surreale (con il valore aggiunto e non meglio definito di un silenzioso astronauta che verosimilmente sta a dire come Maddy si senta di fronte al mondo), ma il resto lascia un po' a desiderare. Perché certo, la pellicola, a parte alcuni momenti decisamente lenti, ma indispensabili per capire la realtà dell'esistenza della giovane protagonista, scorre abbastanza velocemente, diventando in certi momenti addirittura frettolosa, dando quasi la sensazione di voler chiudere la vicenda in fretta, ma il problema è che non viene approfondito nessuno degli altri personaggi, che sono solo leggermente abbozzati. Niente infatti viene approfondito (nemmeno nel finale) quel tanto che sarebbe bastato per toccare le corde dell'anima e farle vibrare di emozione e commozione. Tutto è lasciato in superficie e affidato solo alle premesse. Altra pecca è una sceneggiatura un poco prevedibile, con un lieto fine quasi scontato, anche se meno scontato è il modo in cui ci si arriva (ma un pizzico di coraggio in più, nel cambiare qualcosa, non avrebbe certamente guastato). Tuttavia a parte questi difetti la pellicola (che ovviamente fa riflettere, sia sulla condizione che il modo di vivere, e quindi sulle scelte giuste o meno della protagonista) rimane comunque godibile, grazie anche alla mano della regista che ha avuto sicuramente il pregio di non voler eccedere in pietismi. Il tutto supportato, da quello già accennato, ma anche da una bella fotografia e una colonna sonora mai eccessivamente invadente. Infatti in definitiva, anche se bastava qualche attenzione in più per rendere buono un film che alla fine forse risulta ben fatto ma un po' deludente, è questo un film più che sufficiente, sicuramente riuscito e bello (interessanti le citazioni dirette o indirette ad Il piccolo principe), una buona trasposizione cinematografica di un romanzo che è divenuto ben presto un best-seller mondiale. Voto: 6,5
Forse l'interesse maggiore del film, del film Jungle (del 2017), sta nel fatto che trattasi di famigerata storia vera e, indipendentemente da come possa apparire al primo sguardo, questa volta più vera del solito. Nel senso che per quanto ne so (non ho letto il romanzo autobiografico), ripercorre piuttosto fedelmente, eccetto qualche comprensibile "accelerazione" o "colorazione", l'avventura che si è trovato a vivere il giovane malcapitato e, diciamolo, ingenuo, Yossi Ghinsberg nei primi anni '80 del secolo scorso (insieme ai compagni di sventura Marcus Stamm e Kevin Gale), incontrati in Bolivia. Avventura che è presto detta, quattro giovani amici partono alla volta del cuore della foresta amazzonica, quella che inizia come un'avventura da sogno si trasforma presto in un incubo totale a causa di una fraudolenta guida. Un'avventura in cui (come nel libro Lost in the Jungle) il protagonista racconta e il regista (ben) ci fa vedere, anche gli aspetti, più in ombra della vicenda, lo stato mentale e fisico di profonda prostrazione, in cui finì, che lo spinse ai limiti della follia e poi la descrizione dell'ambigua guida, della quale si persero completamente le tracce. Dicevo bene, perché a portare sul grande schermo questa storia è Greg McLean (da uno script di Justin Monjo), il quale, facile intuirlo, deve aver visto nell'idea di un ecosistema che divora l'essere umano delle assonanze con l'incipit del suo film d'esordio, l'acclamato Wolf Creek. In quell'occasione la naïveté dei malcapitati turisti di turno li faceva piombare nelle fauci di un sadico anarchico come Mick Taylor, che con il suo carisma finiva per fagocitare un po' tutto, compreso il ruolo di protagonista della pellicola. In Jungle la prospettiva è assolutamente ribaltata: non esiste un vero villain e il ruolo del protagonista è affidato alla carne da macello, la vittima, il cui inesorabile annichilimento psicofisico diventa il tema centrale del racconto. Un racconto forse non nuovo, anche perché non è certo il primo film a trattare di uomini civilizzati che affrontano il martirio dell'inferno verde, ma che riesce tuttavia a colpire lo spettatore (meglio per esempio che in Civiltà perduta), anche mostrando quanto possano le condizioni estreme ribaltare i rapporti (nella prima parte) e quando l'istinto di sopravvivenza più puro e un pizzico di fortuna (nella seconda) possono fare la differenza quando sei solo e impreparato a ciò che ti aspetta, ovvero un inferno. Un inferno verde ben più credibile (e più orrido, un paio di scenette "schifiltose" non mancano) di quello mostrato da Eli Roth in The Green Inferno, anche se ovviamente parliamo di 2 generi cinematografici diversi, ma proprio perché consapevole che questo mondo selvaggio ha già fatto da sfondo ad altre pellicole il regista la prende più comoda, più distante, e fa centro (seppur per il resto non è troppo distante da un tipico survival movie). Perché anche se la regia non è nulla di impressionante, essa non è nemmeno malvagia, e insieme al montaggio aiutano a far scorrere senza troppi intoppi le quasi due ore, durata inusuale per questo genere di pellicole che in genere faticano ad arrivare all'ora e mezza. A ciò si aggiunge, e incide non poco, un Daniel Radcliffe che fa il suo. Non abbiamo a che fare con una prestazione da Oscar magari, ma la parte è piuttosto impegnativa dal punto di vista fisico: a fine sventura ci ritroviamo un Radcliffe che ricorda i sopravvissuti ai campi di concentramento (mi si perdoni l'accostamento essendo Ghinsberg israeliano, ma non c'è alcun antisemitismo latente), senza ausilio di ritocchini in digitale a quanto pare. Assieme a lui anche Alex Russell, Thomas Kretschmann e Joel Jackson, ma nessuno dei tre riesce a brillare. Certo, le cadute di tono non sono poche e per di più non percorre sentieri che non siano già stati battuti prima di lui, vorrebbe fare qualcosa di diverso e la riuscita non è proprio soddisfacente in pieno, ma nonostante tutto riesce sempre a rimanere sulla retta via, un risultato non di poco conto che lo porta alla mia personale sufficienza. Perché certo, c'è del vero sul fatto che in alcuni tratti pare evidente un'indecisione sulla via da percorrere: non horror, non mondo movie, troppo poco thriller psicologico, troppo stile avventura Disney (eccetera), ma per quanto mi riguarda ho trovato il mix tutto sommato gradevole. Jungle infatti, pur non essendo una prova eccezionale del regista Greg McLean, leggermente al di sotto anche di The Belko Experiment, offre più di un motivo allo spettatore per vedere e godere (si fa per dire) di uno spettacolo, tratto da una storia vera, impressionante e sconvolgente. Voto: 6+
Poco conosciuto, poco pubblicizzato, la sua uscita in patria è passata in sordina, in Italia ancor di più, meriterebbe però più attenzione. Perché Get on Up - La storia di James Brown (Get on Up), film biografico del 2014 diretto da Tate Taylor, è un omaggio davvero notevole, non solo musicalmente (anche se per farlo sceglie uno stile ultra-canonico, sulla falsariga del pluripremiato Ray) di Mr. Dynamite/Soul Brother Number One/The King of R&B (uno dei suoi tanti soprannomi, tutti citati durante la pellicola). Prodotto da Brian Grazer e, curiosamente, da Mick Jagger omaggiato in un episodio dei tantissimi che Taylor ricorda della vita di Brown, il film infatti celebra benissimo Il Padrino del Soul, seppur attraverso un riepilogo delle sue più famose Hit in un contesto fondamentalmente più discografico che biografico. Difatti pur essendo calibrato, Tate Taylor (già regista del sorprendente The Help) mischia anche troppo i periodi temporali e non riesce ad andare oltre la più convenzionale delle confezioni, in cui il contenuto musicale (più che conosciuto e non solo dai fan) ha la netta prevalenza su quello personale del protagonista, interpretato da un (lui sì invece) ottimo Chadwick Boseman. The Black Panther infatti, si cala anima e corpo nei panni di James Brown (anche grazie al trucco), riuscendo a compiere quella trasformazione fisica e, soprattutto, mimica che in precedenza era riuscita (con tanto di Oscar) a Jamie Foxx nel già citato Ray, trascinando quasi da solo il film, alternando efficacemente il binomio genio-sregolatezza del suo personaggio, rendendolo coerente in tutte le epoche, come un uomo con un bisogno insaziabile di eccellenza musicale, successo popolare, rispetto e amore. Il problema nasce quando cercando di snocciolare più aneddoti possibile della tumultuosa vita di James, la sceneggiatura si perda per strada un po' di personaggi: il manager che praticamente sparisce ad un tratto dalla narrazione, la sfera sentimentale, appena accennata e comunque penalizzata da troppe ellissi, il legame con i figli, inesistente. Nei 139 minuti del film infatti, Taylor (che in ogni caso non suggerisce del tutto la portata rivoluzionaria che ebbe la musica di James Brown, la sua evoluzione e la sua influenza) ricostruisce la vita di James Brown complicando forse in modo macchinoso la narrazione con troppi salti temporali avanti e indietro e nei diversi episodi si perde appunto qualche pezzo per strada. Scorre difatti veloce il film tra un passato burrascoso in cui il piccolo James, poverissimo, viene dapprima conteso tra madre e padre per poi essere abbandonato alle cure più o meno pietose della maîtresse di un bordello e il racconto della costruzione di un successo incredibile. Un racconto che sottolinea anche attraverso il ricorso a immagini di repertorio e a tanti, splendidi momenti musicali, il suo carisma unico. Il racconto e il film si tiene tuttavia a distanza dai lati più oscuri della vita del musicista (come la sua passione smodata per le donne e la tossicodipendenza) ma allude senza sconti alla sua anima egoista, capace di danneggiare sé stessa nonostante il proprio fascino. Il film rafforza questo concetto presentando la vita di Brown attraverso la lunga serie di rapporti rovinati, rapidamente o nel corso di anni. Dall'amicizia con Bobby Byrd (Nelsan Ellis), la cui famiglia ha accolto Brown come un giovane delinquente bisognoso, alla relazione con la prima moglie Velma fino al secondo (travagliato) matrimonio. Insomma parecchia roba detta (e non detta), che viene, come detto, presentata nel modo più canonico possibile. E quindi, corredato da un notevole cast di contorno, da Viola Davis a Octavia Spencer senza tralasciare l'indimenticabile Dan Aykroyd, Get on up è, nei suoi pregi e difetti, la più convenzionale delle biopic, non in grado di raggiungere livelli incisivi di profondità ma quanto basta ad omaggiare quanto richiesto un'indimenticabile leggenda della musica (in tal senso nota di encomio al doppiaggio italiano del suo protagonista, che si adagia perfettamente sulla performance vulcanica di Chadwick Boseman). Perché anche se a tratti Tate Taylor si perde in concetti artificiosi, l'energia presente in Get on up non viene mai meno e diventa rappresentativa del profondo amore di James Brown per la musica e della sua forza magnetica, sul palco come nella vita. Voto: 6,5

12 commenti:

  1. La pazzesca rimonta definiscila pure "rasatura al suolo" dell'avversario :D.
    Sai, per pazzesca rimonta potrei pensare a qualcosa tipo gol al '97 o un gol del portiere di culo.
    E che aprile sia un mese più bello di marzo!
    Dei film che hai segnalato, mi è suonato il campanello su jungle, ancor più per la curiosità delle scene "schifidose" :D
    Poi voglio provare l'angoscia di sentire la sofferenza del protagonista abbandonato da solo e inerme nella jungla.
    Cioè a me fanno schifo i ragni grossi, sarebbe bastato quello per uccidermi :D
    Green Inferno come ti ebbi già a dire lo considero un pessimo film...bella la scena in cui mangiano il ciccione...il resto niente, ma d'altro canto il metro di paragone erano Cannibal Holocaust e Cannibal ferox (maro' quanto ho sofferto con quest'ultimo, tra evirazioni e gente appesa per i seni)

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    1. Pazzesca perché per quanto lo sperassi, non me l'aspettavo così energica diciamo ;)
      I ragni, i serpenti fanno paura a molti, figurati a me :D
      Se magnano un ciccione? Sai che non ricordo, o forse hai visto la versione unrated che non ho visto io? comunque Jungle merita indubbiamente di essere visto ;)

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    2. Ma siete uomini o mezze calzette. Basta così..
      Io ragni e serpenti me li mangio a colazione! 😜

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    3. Non basta, anche gli insetti...
      Vuless vdé se davvero li mangeresti :D

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    4. Ma no, dai.. Che schifo.
      A tavola sono mooooolto schizzinosa.
      Però glu insetti li uccido tranquillamente con la ciabatta e spesso addirittura con le mani. 😂😂

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    5. Non sai che l'Unione Europea ha detto che si possono mangiare tranquillamente? E non scherzo..

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    6. Sì, lo so.
      Ma figurati..
      Non mangio formaggi freschi, latte, agnello, coniglio, maionese, ketchup e tutti i tipi di salsine, cozze, vongole...
      Ecc ecc ecc.
      Pensa un po' gli insetti.. 🤢

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    7. Io invece tutto quello, ma effettivamente gli insetti col "piffero" che li mangio :D

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    8. Claudia basta che non li metti nelle torte... ;)

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  2. Prima di tutto auguri ritardatari per il tuo compleanno e quello del tuo papà(juve a parte) ..scusami ancora ma felice della tua stessa felicità. Molto generosa questa volta la recensione di parecchie pellicole che a me sicuramente farebbero piangere anche se non si dovrebbe, ma quando vengono coinvolti bambini e animali , l'emozione mia è più forte del tutto.
    Interessante per me è il biopic su Brown, li vedo con avidità per poi criticare qualche forzatura o manchevolezza, insomma non c'è da perdere nulla come sempre.
    Grazie Pietro, un applauso di cuore come al solito!

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    1. Sì, la felicità è contagiosa e fa sempre bene al cuore, e nonostante tutto ti dico grazie mille per gli Auguri ;)
      Animali-bambini? C'è solo un simpatico cagnolino in Tutto ciò che voglio, e in Jungle gli animali se li mangiano...non credo piangeresti troppo, paradossalmente nel secondo caso se hai a cura le scimmie... :D
      Quello su Brown per te è l'ideale in effetti, e potrebbe davvero piacerti, anche perché la componente musicale è ottima :)
      Come al solito di niente, grazie a te ;)

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