Con un dubbio (di visione) e un desiderio (sempre di visione) in testa, non potevo perdere l'occasione di recuperare finalmente una serie d'animazione tanto acclamata quanto celebrata, quella relativa a Conan, non il Detective però, ma ad Il ragazzo del futuro (scusatemi la battuta...ora divenuto passato), il primo capolavoro del maestro Hayao Miyazaki (il primo di tanti). In questo senso, realizzato nel 1978 e composto da 26 episodi, Conan, oltre ad essere uno splendido esempio di serie per ragazzi (probabilmente tra le migliori mai realizzate, insieme ad altre più o meno simili), è un'opera chiave per comprendere a pieno la poetica del regista nipponico, e non averlo presumibilmente visto era imperdonabile. Ovviamente il risultato (dopo averlo finalmente visto e recuperato nella sua totalità) è clamoroso, un film eccezionale diviso in più parti, personaggi perfetti con Lana che è stata il prototipo di tutte le sue eroine cinematografiche. Un inno alla natura, una condanna all'uomo industriale. Sigla italiana bellissima. Perciò che dire che non è già (presumibilmente) stato detto? Praticamente niente, semplicemente una bellissima avventura senza tempo, un racconto di fantascienza ricco di tematiche: amore, amicizia, resistenza, natura, politica. Offre appunto spunti di riflessione con le tematiche trattate, i personaggi e le numerose gag azzeccatissime. Gli intrecci e gli sviluppi sono intelligenti e coinvolgono lo spettatore sino a un attesissimo finale che dà speranza. Inutile dire che le animazioni e il character design sono splendidi. Liberamente ispirata al romanzo The Incredible Tide di Alexander Key, Conan il ragazzo del futuro insomma lascia il segno, e dovrebbe essere da tutti visto, soprattutto da quelli che ancora non l'hanno fatto. Lo si trova su VVVVID e su Prime Video, ed anche su Netflix, non ci sono più scuse. Ma questo era solo l'antipasto, ecco cos'altro ho visto questo mese.
Yellowstone (3a stagione) - Una stagione ricca di sorprese, sia dal punto di vista delle lotte per
la terra, sia da quello familiare, con una serie di segreti che vengono a
galla. Mentre i rapporti si modificano, anche la figura di John Dutton
cambia, diventando meno attiva e più introspettiva, sempre ferma però
nel mantenere il ranch e i valori. Prosegue quindi la guerra con
tutto ciò che rappresenta il mondo nuovo, l'economia, il capitale.
Soffermandosi però su questo è come se perdesse di vista il resto, i
legami familiari, i suoi figli. Proprio i figli vanno avanti per la loro
strada, che molto spesso non è quella dello Yellowstone. In
Yellowstone 3 si parla ancora di identità, di un posto nel mondo,
di
legami distruttivi tra padri e figli. Personaggi, ambientazioni, trama
si mescolano per creare un mix perfetto, fino al colpo di scena finale.
Prima di tutto però c'è l'animo dei protagonisti, ci sono i loro valori,
gli ideali, le vittorie e i fallimenti. C'è il tempo che passa e il
peso del futuro che rende ogni cosa estremamente fragile. Superato
definitivamente il retrogusto da soap opera delle prime due
stagioni, la serie trova in personaggi robusti e mai banali il vero
punto
di forza. Peccato solo per l'esasperazione di alcuni principi e
concetti che, talvolta, rendono questa serie un po' macchiettistica. In
particolare risulta assurdo questo concetto del marchio sul petto, della
fedeltà al ranch fino alla morte, che in questa terza stagione viene
portato a livelli che superano ampiamente il ridicolo. Si spera inoltre
che alcuni personaggi secondari possano evolvere in modo più
soddisfacente nelle prossime stagioni, perché mostrano qualche crepa.
Nonostante questo, ci troviamo davanti ad una buona terza stagione, una
stagione che, tra una marchiatura a fuoco, un'impiccagione e varie
sparatorie, finisce con il botto, un cliffhanger finale che ci sta e
che lascia carichi per le prossime avventure (non ci sono dubbi: ci
sarà, anzi c'è, anche la quarta stagione) di una serie che, con i
suoi limiti e difetti, ha sicuramente lasciato il suo segno, il suo
marchio a fuoco. Voto: 6,5
What We Do in the Shadows (3a stagione) - Da un po' di tempo divenuta una delle gemme non del tutto nascoste della
televisione, ha ottenuto consensi dalla critica e premi per ciascuna
delle sue prime due stagioni, ha mantenuto un pubblico modesto ma
costante, e questo per una finta serie di commedie horror su quattro
vampiri che "vivono" a Staten Island, con un gruppo di attori meno noti
(sebbene affermati), è un risultato impressionante, in particolare
quando i drammi e le sitcom più tradizionali e sceneggiati tendono a
dominare le conversazioni sulla TV. Forse ancora più impressionante,
tuttavia, è che What We Do In The Shadows è riuscito a mantenere la sua
premessa unica e il formato fresco con ogni nuova stagione (Qui la seconda), e continua a
offrire un sacco di risate, colpi di scena e momenti citabili (in
attesa anche di una quarta di stagione, che sicuramente non perderà il
suo "morso"). Sarebbe stato facile per What We Do In The Shadows infatti
drenare la sua
configurazione iniziale per il valore dell'intrattenimento fino a quando
la premessa non fosse diventata troppo noiosa o troppo prevedibile per
trascinarsi oltre, ma il team creativo della serie continua a trovare
modi per bilanciare il familiare con nuovi colpi di scena, nuovi
personaggi intriganti e percorsi inaspettati per i suoi personaggi
ricorrenti. Non a caso questa terza stagione dello show è
la più ardita,
scioccante e provocatoria, ma anche la più "umana": i vampiri soffrono
di depressione, solitudine, bisogno di affetto e mal di vivere come i
mortali, e mai come in questa annata l'ilarità va di pari passo con una
soffusa malinconia. Kayvan Novak, Natasia Demetriou, Matt Perry, Mark
Proksch e Harvey
Guillén sono ormai tanto affiatati, realistici e naturali nella propria
recitazione da illudere lo spettatore che What We Do in the Shadows sia
un vero documentario su una famigliola solamente un po' bizzarra. Che
spasso! Voto: 7
La casa di carta (Parte 5) - Stagione conclusiva di questo serial di indubbio successo. Tirando le
somme su tutte le annate/parti/stagioni bisogna dire che la Zecca di
Stato batte la Banca di Spagna su tutta la linea. I difetti di e della
quinta parte sono quelli della quarta: tempi inutilmente dilatati,
troppe digressioni narrative, poco funzionali ed anche dannose al
racconto facendo perdere linearità (un po' troppe mitragliate nella concitata guerriglia interna ed esterna). C'è qualche buon comprimario, ma
molti personaggi avevano poco da dire. Tuttavia gli episodi finali sono
buoni perché arrivano ad una buona conclusione (nonostante la situazione di stallo lasciata nella stagione precedente apparisse
inestricabile e destinata alla ripetitività, in questi nuovi episodi il
carico di inventiva non viene meno e sbroglia un drammatico groviglio di
situazioni sempre più complicate), compiuta che ha la
capacità di chiudere il cerchio, cosa non da poco. Un finale pieno di colpi di scena che sa conservare le attese del
pubblico con una soluzione un po' fantapolitica, ma non poi così tanto.
Come sempre il cast rende i personaggi quasi icone dell'heist movie
contemporaneo. Alla fine ci si può rimaner moderatamente soddisfatti di tutto questo ambaradan. Voto: 6
Gomorra (5a stagione) - La fine di un'epoca (felice) per la serialità italiana. Dopo una quarta stagione che senza Marco D'Amore aveva stentato a
decollare (anche leggermente statica, divagante e debole), l'ultima (che sin da subito colpisce per cinismo, violenza e
che finalmente non si perde in parallelismi ma riduce tutta la questione
alla resa dei conti tra Gennaro e Ciro) riporta in auge Gomorra,
accompagnata dalle musiche
dei Mokadelic rendendo immortali non solo Ciro ma tutti gli altri
protagonisti. Nessuno è buono, commettono atti orribili ma quando
vengono
uccisi quasi dispiace ed è questa la magia di Gomorra. Cupa, coerente
e a tratti anche emotivamente coinvolgente (cosa che in passato non
sempre era successa). Peccato che verso la fine sia piuttosto intuibile.
In ogni caso tutte le puntate procedono dirette fino all'ultima, lasciandosi guardare
tutte in un sospiro. Certamente alcune questioni restano aperte, ma gli
autori hanno fatto la scelta più saggia, decidendo di terminare il
percorso nella maniera più ovvia ed efficace possibile (niente ulteriori colpi di scena, un ultimo colpo di pistola che chiude definitivamente la vicenda). Il comparto tecnico resta di alto di livello, come quello attoriale, ma
la regia di D'amore non va oltre il reiterato gioco di sparatorie,
metafore al balcone e riunione tra clan. Nonostante i tanti passaggi
didascalici, degno finale per un prodotto (italiano) che ha dato
tantissimo. Voto: 6,5
The Haunting (1a stagione) - Serie
televisiva antologica di genere paranormale creata e diretta da Mike
Flanagan (in cui ritornano i suoi temi cari, già sviscerati
precedentemente), e in cui ogni stagione è ispirata a un differente
romanzo o racconto dell'orrore, si parte da Hill House, tratta
dall'omonima opera letteraria che narra le vicende di una famiglia di
sette persone e del suo legame con una casa maledetta. E in questo senso
eccoci di fronte ad una prima stagione/serie gotica alla vecchia
maniera, con richiami ai pilastri del genere (per dire che di originale
c'è comunque ben poco). In ogni caso sforzo produttivo piuttosto
notevole (tecnicamente è ineccepibile: recitazione, scenografia,
fotografia, colonna sonora etc sono di alto livello) anche se il bravo
regista statunitense (ultimo suo film visto Doctor Sleep) non è esente
da compromessi o ridondanze. La sceneggiatura (la storia è raccontata in
tre diverse linee temporali e sette episodi su dieci sono dedicati
ognuno a un diverso componente della famiglia) è infatti per metà un
dramma familiare, nel quale talvolta si
perde un po' troppo togliendo vigore al lato horror ma, ciò nonostante,
il senso di inquietudine e di
oscure presenze è costante. Perché anche se qualche volta la regia si
lascia andare a dei "spaventi a sorpresa" che non hanno molto senso, è
l'atmosfera dark e tesa a dare quel tocco horror che un tale prodotto
deve avere, cosa che nel complesso funziona. Un po' meglio le prime sei
puntate rispetto alle successive che comunque non scendono mai sotto la
soglia di guardia. Il
finale può essere discutibile ma tutto sommato ci può anche stare,
diciamo che in sostanza è un buon prodotto, comunque deludente dal lato horror ma stranamente convincente sul lato drammatico.
Bella a metà. Voto: 6,5
Loro (Them) (1a stagione) - Una bella serie, che mi è proprio piaciuta, nonostante tutto, nonostante
l'horror man mano si diradi, lasciando il posto a dinamiche
psicologiche, di chiara ispirazione Kinghiana, che trovano il culmine in
una parte finale della serie che non mi ha entusiasmato più di tanto,
ma lo fa comunque. Discorso diverso per quanto riguarda il tema
razzismo, affrontato con una certa asprezza ed esplicitamente, che non
lascia di certo indifferenti e, anzi, provoca sentimenti forti di
disprezzo totale nei confronti dei personaggi secondari, tutti abilmente
interpretati da un cast davvero credibile. In sintesi, Them, che
racconta della famiglia afroamericana degli Emory che, reduce da un
profondo trauma familiare, nei primi '50 si trasferisce dal North
Carolina in un quartiere bianco di Los Angeles uscito da "Ai confini
della realtà", violenta infatti è l'ostilità razziale del vicinato, ma è
la nuova casa di proprietà a nascondere gli orrori più perturbanti,
mediocre sotto il profilo horror, poiché si affida a dinamiche già
viste, mentre riesce a raggiungere un altissimo livello di
coinvolgimento e attenzione quando si tratta di mettere in evidenza
sentimenti impopolari e immorali come quelli del razzismo e della
discriminazione. Nuova pagina del neo-horror politico identitario, la
creatura di Little Marvin, anche se preda di qualche cliché, regala dei
segmenti profondamente destabilizzanti, con almeno due episodi (le due
parti di "Covenant") maestosamente sulfurei, che gli valgono certamente
la visione. Non è da meno il resto, per una serie di 10 episodi che non
fa sconti a nessuno, tutto viene reso in maniera palese e cristallina.
Nessuna ipocrisia o volontà di riconciliazione e lo stesso finale mostra
che il solco è troppo profondo per essere superato. Voto: 7+
Abbiamo appena finito Lincoln Lawyer, su Netflix. Te la segnalo magari per il prossimo anno.. ;)
RispondiEliminaLa casa di carta una di quelle che ci aveva davvero drogato ma è andata sbragando in maniera davvero indecorosa..
Devo verificare, mai sentita, nel caso lo saprai.
EliminaEffettivamente esagera sempre più, ma secondo me finale migliore non poteva esserci.
Me toccherà vederlo.. farò un rewind.. ;)
EliminaMah insomma, io comunque difficilmente rivedrò mai...
EliminaHo adorato sia Hill House che Them, anche se quest'ultima è quella che mi ha causato più angoscia, soprattutto in una puntata davvero difficile da sopportare.
RispondiEliminaE' disturbante in più occasioni infatti, ma rende benissimo il concetto. Di Hill House ho mal sopportato in particolar modo la dilatazione eccessiva.
EliminaNon ho mai visto nessuna di queste serie... ahahahahah!
RispondiEliminaDico sempre che dovrei cominciare qualcosa ma poi va a finire che ho il deserto in testa!
Vedo e leggo quello che fai, quindi è pure comprensibile non poter fare tantissimo altro ;)
Elimina"Hill House" mi è piaciuta davvero tanto, anche se la caratterizzazione dei cinque figli e delle loro vite sentimentali mi è sembrata per lo più dettata da esigenze di bilancino, più per non scontentare nesusno che da reali convinzioni di Flanagan & soci. Alcune lungaggini ci sono ma rimane una serie riuscita, non posso dire lo stesso della successiva Bly Manor, ma suppongo che ne parlerai a breve. "Yellostone" pure apprezzata tantissimo mentre la mia preferita rimane "What We Do in the Shadows ".
RispondiElimina"Gomorra"? Ha indicato la via e ha fatto capire che un diverso tipo di serialità e di fiction italiana è possibile, quindi lode a Sky, perché se aspettavamo "RaiUno" stavamo ancora con le sole copie e repliche di "Che Dio ci Aiuti" e cose similari.
Lo vedrò a breve sì, e conseguentemente ne parlerò. Comunque meno puntate di Hill House sarebbe stato meglio...
EliminaCose della Rai che non ho visto e mai vedrò, ma Mediaset non scherza...se ho Sky da più di 10 anni un motivo c'è...
Beh Mediaset a livello di fiction è ancora ferma agli anni 90.
EliminaEffettivamente...e non mi avranno mai!
EliminaHo appena iniziato Love, Death + Robots... vedremo!
RispondiEliminaQuesto mese ho deciso di rivedere due vecchie serie antologiche che avevo guardato parecchi anni fa: Un Salto nel Buio, e Amazing Stories (diretta da Steven Spielberg, che ne ha anche scritto diversi episodi).
Prossimamente vedrò la terza stagione ed ho delle aspettative ;)
EliminaEntrambe me l'ero segnate tempo fa credo, ma ancora non ho fatto nulla...
Ciao! Ho iniziato a vedere What We Do in the Shadows, sembrava proprio il mio genere, invece non sono riuscita a proseguire, non mi diverte il suo umorismo. Strano però, anche perchè Matt Berry in IT Crowd lo avevo amato moltissimo e mi aveva fatto molto ridere...
RispondiEliminaCiao, ma il film l'hai visto? Perché se non piace quello difficile piaccia la serie...
EliminaConan lo guardavo ai tempi di TMC2 e purtroppo non aveva la sigla classica, per lui e per Ranma le avevano aggiornate ed erano bruttine. Comunque lo guardavo solo perché non c'era altro da guardare, mi piaciucchiava ma non mi diceva nulla... dovrei provare a riguardarlo oggi.
RispondiEliminaDelle altre prima o poi recupererò sicuramente Yellowstone, mi attira moltissimo, sembra un Sons of Anarchy coi cowboy, una versione seria di The Ranch.
Forse potrei provare anche The Haunting ma molto più in là.
Non so la versione, ma la sigla è bella, Conan di certo era di altri tempi, ma che paradossalmente ancora oggi funziona benissimo.
EliminaIl paragone ci sta, indubbiamente è un western moderno d'impatto, la serie horror è invece particolare, pensaci bene.