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sabato 31 dicembre 2016

I migliori film genere per genere del 2016

Quest'anno ho voluto fare le cose in grande e quindi dopo i migliori 20 film in assoluto del 2016, qui, ecco i 4-6 migliori film per genere cinematografico dell'anno, tolti ovviamente quelli già nominati nel listone di ieri. Questo perché sono così tanti i film che ho visto quest'anno, tutti visionabili nel mio nuovo archivio, che altri discreti film hanno fatto la loro bella figura e rischiavano di essere dimenticati. Ecco perciò questo post, dove non ci saranno link, per quello come detto, basta visionare l'archivio dei film del 2016, ma in ogni caso ecco genere per genere i migliori nel loro ambito cinematografico.





COMMEDIA

Nel suo genere tolto Quo vado?, in ventesima posizione nella classifica generale, tra le migliori commedie troviamo:
1. La famiglia Bélier (7)
2. St. Vincent (7)
3. Dio esiste e vive a Bruxelles (7)
4. Tutto può accadere a Broadway (7)
Ma meritano tuttavia visione e menzione film da 7- quali Storie pazzesche e film da 6,5 quali Non sposate le mie figlie!, Se Dio vuole, Fuck you, prof! e L'abbiamo fatta grossa.

venerdì 30 dicembre 2016

La Top 20 dei film visti quest'anno (2016)

Come feci l'anno scorso e come ho deciso di fare quest'anno, anche se con grandi miglioramenti e differenze, non potevo non stilare una classifica dei migliori film visti in questo 2016, e infatti dopo un'attenta analisi posso finalmente farvi vedere la mia personalissima classifica. Classifica che come forse avrete capito non contiene film usciti al cinema ma solamente quelli che sono riuscito a vedere grazie a Sky e a tanti altri mezzi televisivi e non. Certi, difatti, avranno probabilmente già due anni, ma poco importa perché quando i film sono straordinari non ha davvero tanta importanza l'anno di produzione, anche se a conti fatti sono ancora tantissimi quelli da vedere. E quindi quelli che non ci saranno, non ci saranno perché non li ho ancora visti. Comunque ho introdotto delle novità, prima di tutto, tutti i film visti quest'anno hanno una propria recensione, recensione a cui potrete accedere tramite la locandina dei film stessi, in più al vincitore sarà virtualmente 'consegnato' un Saba Awards (come da titolo all'immagine, cartellone, di questo mio post). Infine, grazie al nuovo archivio potete anche trovare tutti i film visti e presi in considerazione per questo post, che diverrà spero fisso ogni anno. Senza ulteriori indugi perciò, ecco La Top 20 dei film visti quest'anno.


20. La sua comicità è qualcosa di viscerale, unico e autentico che come non mettersi a ridere anche solo a vedere la sua faccia? non si può e infatti risate a palate e divertimento assicurato. (7+)
19. Nonostante non sia un film eccezionale, è riuscito grazie a delle atmosfere vintage, un sapiente uso degli effetti speciali e a degli attori perfetti per l'occasione a farsi apprezzare. In più è divertente, spassoso e soprattutto veloce, lineare e senza troppe pause, tutto infatti fila liscio..come il blob. (7+)
18. Sempre sulla falsariga del vintage, ormai divenuto di moda, un altro brillante esempio è stato questo film, film che grazie alla storia intrigante e accattivante e alla messa in scena di discreto livello riesce a rendersi onore e meritarsi il suo, seppur non elevato, posto. (7+)

giovedì 29 dicembre 2016

Best ever scene

Quando mi hanno proposto di fare un post leggero pre-vacanziero (ora per forza di cose divenuto post-metà vacanziero) con le scene mie preferite oppure quelle che più semplicemente mi sono rimaste impresse non ci ho pensato due volte a dire sì, ma dopo poco di tempo ho subito pensato, e adesso? perché sinceramente non avevo riflettuto che tra le scene indimenticabili che potrei scegliere, esso sono così tante che sceglierne dieci era un'impresa titanica, poiché sfido io a trovare in un solo film quante scene famose, belle e straordinarie ci sono, molto più di dieci. Perciò per non appesantire il post e non sobbarcarmi un lavoro di ricerca durissimo, in questo post vi mostrerò, tramite video (non c'è un regolamento o qualcosa che lo vieti, ognuno avrà provveduto a suo piacere), le scene che mi sono sobbalzate per prima in testa, senza pensarci troppo, e ho quindi scovato queste straordinarie scene, a loro modo fantastiche, tutte per un motivo, tutte visionabili grazie a Youtube, attenzione però, questa non sarà una classifica di gradimento, ma le più importanti per me o le più apprezzate da me. Ora non so se gli altri compagni della ciurma (all'arrembaggio..) abbiano scelto la stessa (facile ma quella più percorribile) via (credo proprio di sì), ma spero apprezzeranno. Questi 'pirati' poi non sono pochi, partecipano infatti tanti blogger, e basta dare un'occhiata e li vedrete in giro. Ma bando alle ciance ecco la mia lista speciale.

A cominciare da uno dei film più belli, romantici ed emozionanti di sempre (fantastica la colonna sonora), con un attore eccezionale e la meravigliosa Wynona Ryder, vista recentemente e apprezzata tantissimo in Stranger Things nella parte della dolcissima donzella. Il film in questione è ovviamente Edward Mani di Forbice di Tim Burton e questa è una delle tante scene famose, non l'ultima, quella è troppo triste..

venerdì 23 dicembre 2016

Aggiornamenti, riposo e Auguri

Ormai il Natale è alle porte, per cui è arrivato il momento di riposare e cessare momentaneamente la pubblicazione quotidiana, anche se in questi giorni non mi fermerò affatto, anzi, sono in procinto di concludere le classifiche annuali, che in ogni caso per problemi logistici e di tempo verranno pubblicati dal 30 dicembre in poi. Intanto però sono stati ufficializzati due appuntamenti speciali, il 29 ci sarà il Best ever scene e il 7 gennaio (come già accennato giorni fa) il Nicolas (Cage) Day, perciò non dovrete attendere parecchio per il mio ritorno, ma in occasione delle feste natalizie almeno una settimana di 'ferie' me la merito. Comunque vorrei approfittare di questa occasione, anche se l'ho già fatto, per Augurare a tutti, Buone Natale e Buon Anno Nuovo! a presto, Ciao!

giovedì 22 dicembre 2016

Il Franken-Meme di Nocturnia

Seguendo l'invito di Moz, questo, che ha anch'egli seguito le orme seguite dalla 'pantera nera', Nick di Nocturnia, ho deciso di partecipare anch'io al meme annuale proposto appunto sul blog Nocturnia (che seguo e che consiglio di seguire), dove si trova oltre al post omonimo, qui, il regolamento completo di questi speciali premi o più semplicemente riconoscimenti a quei blog che durante l'anno mi sono piaciuti di più, anche se seguendo l'incipit di Moz per non fare torto a nessuno, dato che di blog ne seguo tanti e di svariati generi (e che tanti sono quelli che mi piacciono), non farò una classifica di gradimento, ma darò segnalazioni utili. E per fare ciò devo indicare, i miei, i nostri (dato che tutti possono farlo) blog preferiti, suddivisi per categorie, i must, le new entry, gli highlander, i meritevoli di emergere, i blogger che sono assenti da tanto, i blogger spariti da tempo. Perciò senza ulteriori indugi ecco la mia speciale lista.

I MUST (i siti da visitare ogni giorno)

Il Cumbrugliume: perché è sempre molto attivo ed è sempre aggiornato sulle nuove uscite al cinema e in televisione con le serie, inoltre alcune rubriche sono davvero molto interessanti e ogni giorno c'è sempre qualcosa di nuovo.

Il Moz o'clock: perché ora che è tornato a pieno regime non lo ferma più nessuno.

LE NEW ENTRY (le scoperte di quest'ultima annata)

La bravissima Gattaracinefila Vanessa
L'eclettico Giuseppe de Il buio in sala
L'eccentrico Lucius de Il Zinefilo
L'esuberante Cassidy de La bara volante
La deliziosa Marika del Mari's Red Room
La carinissima Francesca del The smell of friday
La simpaticissima Stefania di This is my life (Alla fine del giorno)

mercoledì 21 dicembre 2016

Stranger Things (1a stagione)

Da quando ho saputo di questa serie attendevo da tanto di vederla, e finalmente dopo un'attesa incessantemente piena di notizie, alcuni spoiler (fortunatamente evitati) e tantissimi giudizi positivi ci sono riuscito anche se purtroppo per alcune circostanze (ho già Sky e pure Premium) l'ho recuperata in streaming, ma tant'è che non potevo prima di quest'anno, prima delle classifiche annuali, perdermela. Ovviamente sto parlando di Stranger Things, serie televisiva statunitense di fantascienza ideata da Matt e Ross Duffer (due sconosciuti registi ora 'conosciuti' che però fino a quel momento avevano solo scritto e diretto un solo thriller Hidden, tra l'altro mai sentito, e avevano lavorato come sceneggiatori e co-produttori esecutivi di quattro episodi della, leggermente deludente, prima stagione della serie televisiva Wayward Pines, comunque migliore della seconda, qui), e prodotta per la piattaforma di Netflix (ormai famosa a tutti). Serie composta in tutto da otto episodi, dalla durata dai 42 ai 55 minuti. Serie che mi aveva incuriosito per la caratterizzazione dei personaggi, il cast e l'atmosfera che voleva omaggiare il (meraviglioso) cinema di fantascienza degli anni ottanta, divenuto cult. Ebbene, nonostante ella non partiva con i migliori auspici, registi inediti, cast abbastanza inedito e davvero poco 'marketing', ha davvero sorpreso. Sorprendente è infatti il risultato, anche se è il contesto quello che più ha contribuito al suo straordinario successo, tant'è che ultimamente la serie e alcuni membri sono entrati in lizza per tanti premi, tra cui il Golden Globe. Stranger Things (letteralmente strane cose) infatti ricorda molto da vicino, davvero molto, alcuni capolavori sia per la formula abbastanza simile, sia per tutto il resto, che hanno fatto epoca, I Goonies, La casa, Poltergeist, I Gremlins, Stand by Me, E.T., La cosa e molti, molti altri, anche se a me ha fatto subito pensare ad una specie di X-Files (anche se 10 anni dopo), d'altronde la serie, ambientata negli anni ottanta in una fittizia piccola città dell'Indiana (Hawkins nel novembre del 1983), è incentrata sugli eventi legati alla misteriosa sparizione di un bambino e all'apparizione di una ragazza dotata di poteri telecinetici fuggita da un laboratorio segreto, praticamente quello che quotidianamente succedeva a Mulder e Scully. Ma lasciando perdere l'atmosfera e l'incipit, fortunatamente per il pubblico e per la serie stessa, i pregi del prodotto vanno ben al di là dell'accattivante contesto in cui le indagini sulla scomparsa del piccolo Will Byers (Noah Schnapp) hanno luogo. Come spesso avveniva nei sopracitati esempi presi come spunto dai creatori, Stranger Things articola la propria storia lungo tre linee narrative distinte, ciascuna ascrivibile a una precisa fase anagrafica, abbiamo quindi Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin), i tre amichetti del bambino scomparso, che s'imbattono nella misteriosa e silente coetanea Eleven (Millie Brown) arrivata da chissà dove con un carico di poteri sovrannaturali. Abbiamo poi Jonathan (Charlie Heaton), fratello adolescente di Will, e la studiosa Nancy (Natalia Dyer), sorella di Mike, che si troveranno a collaborare per svelare il mistero dietro le sparizioni in atto nella cittadina, e abbiamo, infine, gli adulti, su cui svettano Joyce (Winona Ryder), madre di Will e Jonathan, e lo sceriffo Hopper (David Harbour), mentre sugli oscuri fatti che si susseguono a Hawkins si allunga l'ombra minacciosa del Dottor Brenner (Matthew Modine), che deve soprattutto fronteggiare la fuga da un laboratorio segreto del governo statunitense di una misteriosa creatura, che nel frattempo è libera di fare ciò che vuole.

martedì 20 dicembre 2016

Gli altri film del mese (Dicembre 2016)

In questo mese nonostante il poco tempo a disposizione, dato che questo mio classico post è stato anticipato per permettere ai Saba Awards di essere pubblicati ininterrottamente dal 27 all'11 gennaio, come già accennato pochi giorni fa, qui, ho visto ugualmente tanti film oltre a quelli già pubblicati, alcuni interessanti, altri meno, come alcuni che per forza di cose e come ormai divenuta abitudine all'inizio di questo post, adesso vi parlerò brevemente. Partendo da un horror che partiva coi migliori auspici, un inedito horror in cui i migliori amici dell'uomo diventano mostri assetati di sangue, Night of the Wild (2015), fino a quando ci si rende conto che è prodotto dalla Asylum e tutte le buone intenzioni fanno a farsi benedire. Eppure era diretto da Eric Red, il creatore di "The Hitcher", e il cast comprendeva la bellissima Tristin Mays, invece brutto come la peste. Disgustoso e verdastro come il meteorite che cade nei pressi di una tranquilla cittadina, alterando il comportamento di tutti i cani del posto che si trasformano in belve feroci, che ovviamente attaccano e uccidono tutti, tranne la classica famiglia 'fortunata'. Ma se l'idea (che prendeva esempio dai classici eco-vengeance anni '70 e '80) risultava interessante il risultato è pessimo. Un non film con una trama sterile che annoia, con degli effetti speciali assurdi e situazioni imbarazzanti e tragicomiche da far ribollire il sangue, con un finale deludente e per niente appagante, praticamente una schifezza. Una mezza boiata è invece Swept Under, thriller del 2015 di produzione canadese che parte come un improbabile poliziesco figlio delle inflazionatissime serie tv che ormai portano agli onori della cronaca ogni figura professionale possa avere a che fare con un fatto delittuoso (lei infatti è solo esperta delle scene del crimine perché le pulisce e lui il giovane detective in completo perfetto, tipico del principiante), e finisce per essere una crime-love-story assurda e inconcludente, dato che i due, dopo il ritrovamento di un indizio sfuggito agli investigatori, che innesca un dialogo, formeranno una strana collaborazione che li porterà (forse) ad individuare il serial killer (un killer per niente credibile). In più la regia è piatta e inconsistente, e gli attori, conosciuti e affascinanti, la bella Devin Kelley e l'inossidabile Shawn Ashmore (The Following), non fanno scintille, anzi, il film scivola senza sussulti, nonostante la svolta nel finale, quando la vicenda cambia pelle e si discosta almeno un po' dalla banalità. Insomma guardabile ma non da consigliare. Si salva invece ma solo perché i primi due capitoli mi erano discretamente piaciuti (li trovate qui), Antboy e l'alba di un nuovo eroe (2016), terzo, probabilmente inutile, di cui non si sentiva il bisogno, lungometraggio del piccolo supereroe danese, dai poteri di formica che lotta contro il crimine. In questo capitolo per affrontare un super criminale farà ricorso all'aiuto dei suoi amici (e di un nemico) senza i quali difficilmente potrebbe uscirne vincitore. Perché come ovvio lui vince, perde interesse invece la trama banale e superficiale come tutta la storia, stavolta non credibile anche se bella. Insomma un film per ragazzi comunque discreto che però perde brio e sostanza dai precedenti capitoli, facendo così perdere lucidità e creatività. Troppo poco per consigliarlo. Consiglio invece di leggere le prossime recensioni poiché alcuni di essi meritano di essere visti.

lunedì 19 dicembre 2016

Westworld (1a stagione)

Sin dalla prime notizie, dalle prime immagini, quando venne annunciata, Westworld attirò la mia attenzione. Sulla carta infatti si presentava benissimo, d'altronde se era prodotto dalla HBO qualcosa di buono ci doveva essere, e poi il creatore era Jonathan Nolan, fratello minore del grande Christopher, insieme a Lisa Joy, moglie dello stesso Nolan e sceneggiatrice meno celebre ma di grande talento, e prodotta anche da J.J. Abrams. Il cast poi comprendeva Evan Rachel Wood, non una qualsiasi, bravissima in Across the Universe e The Wrestler, anche se poi per la relazione con Marylin Manson l'avevo dimenticata, ma ritornata recentemente dopo la separazione e altro in Charlie Countryman deve morire, non un film eccezionale anche se la sua bellezza era graziosa, l'ho rivalutata, in più aveva Ed Harris e Sir Anthony Hopkins (due nomi così diciamo), cos'altro potevo quindi desiderare da questa serie? Un po' di sere fa è andato in onda il finale di stagione (su Sky Atlantic andata dal 3 ottobre 2016 in versione originale sottotitolata, in simulcast con HBO, e dal 10 ottobre 2016 doppiata in italiano), e che dire, una serie straordinaria che fa invidia a molte di quelle uscite in questi ultimi anni. La serie infatti sin dal primo episodio mi ha colpito per tutto l'aspetto tecnico, a dir poco sensazionale, con una cura a dir poco notevole. La regia colpisce con delle inquadrature a dir poco straordinarie e con dei movimenti di macchina che ti lasciano trasportare all'interno della scena. La colonna sonora, la musica di Westworld poi, è pura gioia per le orecchie. E' ad opera di Ramin Djawadi, celebre per la colonna sonora di Game of Thrones, da cui qualcosa prende come movimenti soprattutto nella bellissima sigla, anche se qui leggermente migliore. Una delle pecche invece di questo aspetto tecnico quasi impeccabile è la fotografia. In molte delle scene c'è una fotografia davvero eccezionale, in altre meno, ma comunque di livello. Ovviamente le lodi vanno anche alle scenografie e agli effetti visivi a dir poco straordinari. La CGI è ridotta al minimo e quella poca che c'è è resa benissimo, come la scena del bambino che 'porge l'altra guancia'. Ma per quanto l'aspetto tecnico sia fenomenale è il doppio più stupefacente la sceneggiatura di ogni singolo episodio. Ammetto che nelle prime puntate (a parte il pilot) la trama risulta abbastanza lenta ma rimani incollato allo schermo per tutta la durata dell'ora. In ogni caso non è un prodotto lento e allo stesso tempo noioso, Westworld intrattiene grazie soprattutto ai personaggi caratterizzati in maniera impeccabile e interpretati anche meglio. La serie raggiunge però il suo massimo dalla settima puntata in poi, fino ad arrivare al finale di stagione che ritengo essere uno dei migliori final mai visti fino ad ora (anche se sinceramente non tutto mi è chiaro). Ma prima di andare oltre, di cosa parla Westworld? cos'è e come è giusto catalogarlo?

sabato 17 dicembre 2016

To do list per le feste e l'anno nuovo

Mancano ormai pochi giorni alla fine di questo infausto 2016, soprattutto per quanto riguarda gli angeli volati in cielo, cinematograficamente, televisivamente e personalmente parlando, molti di meno a Natale, che quest'anno arriverà in modo un po' più sottomesso, perciò è arrivato il momento di tirare le somme e cominciare a programmare l'anno che verrà, e la lista (To do list) è particolarmente lunga. Prima di tutto vorrei augurare a tutti, followers e non, amici e visitatori, i migliori auguri di un felice Natale e un sereno anno nuovo. Anno che spero sarà migliore di questo che sta per terminare, anno in cui personalmente ci potrebbero essere alcuni piccoli cambiamenti (al momento riservati), al contrario dei pochi o nessuno per quanto riguarda il blog, difatti nel 2017 aumenterò in modo esponenziale non tanto le recensioni (quest'anno davvero tantissime fatte), quanto il modo di approcciarmi al mondo dei social, sia la pagina Facebook che Twitter (a proposito nei contatti il modo per aggiungermi), a cui si potrebbe aggiungerne un altro 'network', saranno molto più attive, ci saranno notizie, trailer, link e tanto altro, insomma più movimento. Un movimento che sarà quasi programmato, come nel caso delle mie pubblicazioni, 4 sicure, ma solo dal lunedì al venerdì, il sabato c'è poco 'traffico' e la domenica il riposo è d'obbligo. Ovviamente la qualità, anche se non eccelsa, sarà garantita, in più spero seriamente (dato che quest'anno per un motivo o per un altro non è stato possibile) di fare qualche collaborazione, anche se non ho idea di come, di cosa e soprattutto con chi. Infine preannuncio già da adesso che il blog subirà un restyling in occasione del suo biennio, previsto a luglio. Intanto prima che il 2016 termini, soprattutto settimana prossima, durante le feste e i primi giorni dell'anno ci saranno tanti post diversi e alcuni interessanti, come per esempio le immancabili classifiche di fine anno, sia cinematograficamente che serialmente parlando.

venerdì 16 dicembre 2016

The Green Inferno (2013)

Solo dopo la visione non tanto eccezionale di questo film mi è sorto un dubbio, ma era davvero un film horror? No perché anche se tutto sommato mi è abbastanza piaciuto, mi aspettavo di meglio da questo film, soprattutto sul piano dell'orrore, infatti a parte poche scene di violenza ce né poca, forse in 2 scene, per il resto ordinaria amministrazione. Salvo poi scoprire che la versione appena vista era quella cut (censurata), e subito mi sono incavolato, perché senza le parti "crude" (sì ho fatto la battuta) di The Green Inferno, film del 2013 scritto, prodotto e diretto da Eli Roth, è un film a metà, senza senso, senza gusto. Che senso ha far vedere e promuovere un film violento se poi quello che dava quel minimo interesse lo tagli? certo la versione uncut la puoi comprare così stai apposto e puoi capire i motivi della scelta di vietarlo ai minori di 18 anni (in sala l'anno scorso mi sembra di capire), ma allora che senso ha vietare ai minori di 14 anni un film che di così orripilante e sanguinolente non ha niente? Di persone mangiate ne ho visti di peggio in film con gli zombie, quelli sì ha volte disgustosi, perciò che sono cannibali che cambia? per me niente. Anche se devo dire che la mia cultura di genere alla visione di questo e di altri film sui cannibali è relativamente limitata, neanche il discusso Cannibal Holocaust (il film più censurato di sempre) ho visto (e come si poteva soltanto 15 anni fa?), perciò non posso paragonare i due film, anche se alcuni film riguardante il cannibalismo ho visto, da Il silenzio degli innocenti a Le colline hanno gli occhi, quelli sì che facevano 'accapponare' la pelle, questo The Green Inferno invece niente di particolare, solo disgusto per un film, nella versione vista, inutile. Inutile dato che non è neanche il remake del film di Ruggero Deodato, a cui il regista dedica la pellicola, perché se lo era forse qualcosa di meglio poteva esserci, anche se probabilmente l'avrebbero ugualmente tagliato, dato che l'odiatissimo politically correct, sta raggiungendo livelli davvero ridicoli e insopportabili, in più da quello che mi è sembrato di capire anche nella versione integrale qualcosa è stato tolto, il che mi sembra davvero strano. La storia poi ovviamente è scontata ma è in funzione del massacro degli indigeni/cannibali a danno dei poveri mal capitati di turno, un gruppo di studenti attivisti che raggiunge l'Amazzonia per condurre sul luogo la battaglia per proteggere una tribù di indios che rischia l'estinzione. Nella giungla, però, il gruppo si ritroverà ad essere ostaggio degli stessi indigeni che ha provveduto a mettere in salvo.

giovedì 15 dicembre 2016

Ash vs Evil Dead (1a & 2a stagione)

Mai avevo visto così tanto sangue in vita mia, mai mi sarei aspettato di divertirmi a vedere certe assurde e disgustose scene, mai come in Ash vs Evil Dead, la spettacolare serie televisiva statunitense di genere horror e commedia che ha fatto rivivere (termine più che azzeccato) una delle trilogie horror più famose di sempre, quella di Sam Raimi, ovvero La casa (Evil Dead), e infatti questo è il seguito della saga, anche se il terzo capitolo non viene mai esplicitamente menzionato per via di alcuni problemi di copyright. In ogni caso questa è probabilmente la serie più folle, pazza e fracassona di sempre, ironica e divertente, terrificante e terrorizzante, ma soprattutto delirante, sanguinolente e disgustosamente splatter, ma efficacemente comedy-horror, d'altronde il folle mondo in cui Ash Williams (interpretato dall'attore Bruce Campbell che torna a vestire i panni del protagonista) si muove, è un mondo che gira tra commedia grottesca, verace e puntuta, e horror iconico, di paura e di terrore nonché di sagace e gustoso divertimento. Proprio il divertimento, aggiunto al sangue e al rock and roll, sono probabilmente le 3 costanti che accompagnano Ash vs Evil Dead in tutta le sue vicissitudini. Già dall'inizio veniamo accolti dai Deep Purple per poi finire la (prima) stagione con gli AC/DC e nel mezzo tanti altri classici rock degli anni 60', 70'. Insomma ci si diverte tanto guardando la serie, tra le situazioni grottesche, le battute ad effetto e i siparietti comici. Non manca chiaramente ed ovviamente (come già ripetuto all'inizio) una dose spropositata di sangue, come da tradizione dell'opera originale. Ma oltre a questo troviamo delle scelte coreografiche davvero uniche, con mostri disturbanti (brutti e strani) e riprodotti senza l'utilizzo della CGI. Qualcosa di eccezionale come la regia, ispiratissima, con inquadrature coinvolgenti e inusuali per un serial TV. D'altronde la serie non poteva che essere diretta da chi questa l'ha creata, Sam Raimi, ma anche da Ivan Raimi e Tom Spezialy, tutti per la rete Starz (quella di Spartacus per intenderci, a proposito lì il sangue sgorgava a frotte), che dopo 30 anni torna ad strabiliare il pubblico con il suo modo geniale di girare, insieme a lui il suo fantastico personaggio che interpretato dall'attore originale (che figura anche come produttore esecutivo della serie, assieme a Raimi e Rob Tapert, anch'esso conosciuto per la trilogia ma anche per essere il marito di Lucy Lawless, sempre brava e straordinaria, che interpreta in questa serie l'antagonista prima, l'aiutante dopo) che intrattiene ed entusiasma con il suo esser 'cazzone' di primo pelo, dissacrante e scorretto ma tremendamente simpatico. Una serie andata in onda su Infinity che dopo una prima stagione tutta d'un fiato (vista appunto in una botta sola), ha trasmesso la seconda stagione in contemporanea con l'America, stagione appena pochi giorni fa conclusa, che ovviamente ho visto. Stagione che ha confermato dopo la frenetica prima come Ash vs Evil Dead sia una delle serie horror più belle e divertenti degli ultimi anni, anche se come detto l'horror è solo il contorno di un piatto ricco di risate, battute, gag e momenti assurdi, con situazioni assurde, movimenti strani e capovolgimenti folli nonché imprevedibili.

martedì 13 dicembre 2016

Natale con i Chipmunks

Dopo aver visto l'ennesimo film di Alvin Superstar, qui l'ultimo visto, ho ripensato ai Chipmunks e subito ho ricordato la serie a cartoni ma soprattutto il fatto che questi simpatici scoiattoli hanno anche inciso un album natalizio, perciò perché non cogliere l'occasione propizia per riascoltarli dato che l'anno scorso mi sono già giocato la carta de La top 10 delle canzoni di Natale preferite? e in effetti cercando anche su Youtube ho trovato dei video di queste simpatiche canzoni, visitabili e ascoltabili qui. In più già che ci sono ho pensato di conoscere un po' di più un fenomeno musicale incredibile, infatti se non lo sapete, Alvin and the Chipmunks sono un gruppo musicale a tutti gli effetti, nonostante i membri non esistano. Questo perché i Chipmunks, immaginario gruppo musicale a cartoni animati creato da Ross Bagdasarian, avendo una formazione, effettuando live, componendo album ed ottenendo contratti con varie case discografiche, non solo sono un band, ma possono anche essere considerati iniziatori di uno stile canoro molto speciale. Le voci dei Chipmunks infatti, molto particolari e stridule nonché non facilmente comprensibili, sono davvero speciali, ma comunque riproducibili anche digitalmente. Addirittura il termine "voce da chipmunk" è entrato a far parte dei modi di dire americani e non solo, musicalmente parlando, per riferirsi proprio ad una voce accelerata artificialmente. In seguito anche Prince ha utilizzato questa tecnica in alcune sue canzoni. Tutto questo concede difatti alla band il primato di gruppo musicale più vecchio ancora esistente. Ma snoccioliamo un po' di Storia di questi autentici fenomeni. Il gruppo formato da tre scoiattoli striati cantanti e simpatici (che hanno preso il loro nome da quelli dei dirigenti della loro casa discografica, la Liberty Records), Alvin, il ribelle, che diventò rapidamente la stella del gruppo, Simon, alto ed intellettuale, e Theodore, dolce e cicciottello furono 'inventati' nel 1958, da Bagdasarian, che usò il suo nome d'arte, David Seville (il "padre adottivo" umano), per incidere il primo disco, e cantare (in playback) insieme a loro tramite marionette. Da qui l'inaspettato successo che portò il gruppo ad incidere altri dischi e ad avere un cartone animato (Alvin Showche andò in onda negli anni sessanta in America.

lunedì 12 dicembre 2016

Le altre serie tv (Novembre-Dicembre 2016)

Negli ultimi due concitati mesi mentre cercavo e cerco adesso di vedere i migliori telefilm dell'anno negli scorsi mesi rinviati (non avevo Premium, ora sì, al contrario di Netflix non pervenuto) per poco tempo e spazio, che vedrò entro fine anno, ho visto anche altre tre serie tv, le prime due da Sky, la terza in streaming, tutte e tre molto interessanti, anche se il risultato è stato al disotto delle mie aspettative in tutti i casi. A partire da Minority Report (trasmessa dalla Fox dal 21 settembre al 30 novembre 2015, ideata da Max Borenstein), la serie tv che si preannunciava essere il sequel ideale e costruttivo dell'omonimo film di Steven Spielberg che vedeva in Tom Cruise l'indiscusso protagonista, e invece nonostante il buon incipit e l'idea iniziale di proseguire in modo onesto il cult del 2002, molto e tanto non ha funzionato a dovere, cominciando dalla storyline e il pilot, solo nei primi 15 minuti davvero accattivante, pura gioia per il cuore e l'anima, fantascienza allo stato puro, il resto prevalentemente solo noia e prevedibilità. Questo perché la formula adottata non è stata affatto innovativa, ci sono (come quasi tutte le serie procedurali) dei casi da risolvere (e la componente delle visioni del futuro del protagonista non sono neanche del tutto nuove, visto che esiste già una serie tv, Person of interest, in cui si cercano di prevenire dei crimini) ed i due protagonisti si aiutano l'un l'altra. La storyline perciò, proprio per prevedibilità della trama stessa, banale e non eccezionale, non riesce mai ad arginare e tappare i buchi di una sceneggiatura sciatta e che fa acqua da tutte le parti, soprattutto perché nonostante l'inserimento efficace di aggeggi tecnologici, dialoghi sferzanti e colpi di scena telefonati, proprio in questi particolari, comunque minimamente innovativi, la serie non riesce a decollare e cade in un pantano in cui l'annaspamento era prevedibile. Ma per capire meglio ecco la trama, nel 2065, a Washington, il dipartimento pre-crimine della polizia, il quale sfruttava le capacità precognitive di tre bambini, definiti precogs, per cercare di impedire il verificarsi di crimini futuri, è ormai chiuso da dieci anni. Uno dei precogs, Dash, tuttavia, ancora tormentato dalle visioni, decide di ritornare a collaborare con la polizia per cercare di impedire gli omicidi di cui viene a conoscenza. Inizia quindi a collaborare con la detective Lara Vega, anche se le sue visioni sono solo frammentarie, essendo la sua abilità condivisa con quella del fratello gemello Arthur, anche lui precog, con il quale non è più in contatto da tempo. Ma dopo varie vicissitudini interne ed esterne, e le solite diatribe, si formerà la squadra che cercherà di salvare la vita dei tre pre-cognitivi dal governo che vorrebbe riaprire illegalmente la pre-crimine, e non è detto che ci riusciranno (sì come no..).

sabato 10 dicembre 2016

Southpaw: L'ultima sfida (2015)

Di questi tempi fare un film sul pugilato significa, ormai, accettare di cadere inevitabilmente nel "già visto", tanto più nello script di pura fiction, troppo iconiche e indimenticabili restano ancor oggi le gesta dei vari Rocky, Toro Scatenato, Alì, Cinderella Man e l'ultimo Creed, ect, che risulta davvero difficile riuscire a scrivere una pagina veramente nuova di questa tipologia di film. Ma l'abilità di partenza di Southpaw: L'ultima sfida (Southpaw), film del 2015 diretto e prodotto da Antoine Fuqua, con protagonista Jake Gyllenhaal, se vogliamo, è proprio la scelta di non cercare alcun tipo di confronto con questi cult, mantenendo una costante umiltà di fondo che lo direziona sì verso caratteri prevedibili e masticati (a tratti pure semplicistici) ma nel contempo lo dimensiona a prodotto di genere più che commestibile, testosteronico e drammatico, emozionante e scorrevole, per un risultato non eccezionale ma più che dignitoso. Perché senza cadere nella presunzione di voler scrivere qualcosa di nuovo, Southpaw tiene fede ai caratteri che hanno fatto la fortuna del boxe-movie, regalando due ore di buon cinema, il cui scopo primario resta l'intrattenimento, coniugato però ad una valida dose di profondità, conferita dalla qualità dei suoi interpreti. La storia non brilla per originalità, certo (poiché già di per sé il progetto di un film sulla boxe e sul riscatto di un pugile dalle stalle alle stelle si presenta irto di difficoltà sul fronte originalità), ma quali sono i grandi film che possono davvero definirsi completamente originali? Il gladiatore, Braveheart, 300? la verità è che la differenza la fanno molto spesso gli attori e la sceneggiatura, che in questo caso funzionano alla grande. La sceneggiatura infatti, nonostante non sono come la regia da Oscar, riesce a far viaggiare le emozioni sui volti di tutti i protagonisti, e dallo schermo agli spettatori, in modo genuinamente emozionante proprio grazie alla storia semplice, che anche se già raccontata più volte al cinema (che è pieno di pugili famosi) con altri copioni identici, riesce sia a rendersi efficace, che ad intrattenermi fino alla fine facendomi affezionare ai personaggi, cosa che solo pochi film riescono a fare.

venerdì 9 dicembre 2016

Janis & Steve McQueen (2015)

Quest'anno di documentari ne ho visto ben pochi, perciò per rimpolpare un genere che finirà anch'esso nel calderone di uno speciale sul cinema e serie tv, di cui prossimamente vi parlerò, ho visto due film biografici-documentaristici di due miti, due star internazionali famosissimi, purtroppo prematuramente scomparse, una è ancora adesso una delle stelle cinematograficamente parlando e non solo più grandi di Hollywood di sempre probabilmente, ovvero Steve McQueen, e l'altra Janis Joplin è stata un'icona rock e una grande interprete musicale, anche se dietro le apparenze si celava molto più di ciò. E quindi dopo quello su Amy WinehouseAmy, ecco un altro film che racconta la biografia di una famosa ed eccellente cantante, anch'ella purtroppo morta per overdose. Janis, infatti, parla e presenta il ritratto di Janis Joplin, cantante blues estremamente dotata ed affermatasi più o meno nel decennio degli anni '60 fino al 1970 che costituisce l'anno della sua morte, anche se la regista Amy Berg e il produttore Alex Gibney guardano oltre la Janis del rock 'n' roll, svelando dietro la leggenda una donna gentile, sensibile e al contempo potente, che con la sua breve, turbolenta ed epica esistenza ha contribuito all'evoluzione del mondo della musica rock. La regista difatti, in questo ritratto appassionato, dolce ed emozionante, assai delicatamente e con un profondo atteggiamento psicologico, rifacendosi alle interviste di vari personaggi che la conobbero ed interagirono con lei e soprattutto alle lettere reali (nella versione italiana lette dalla cantante Gianna Nannini, non proprio una scelta saggia) che la cantante nel corso della sua carriera e negli anni immediatamente prima scriveva ai propri genitori, non entra nei particolari tecnici dei dischi, non indaga troppo sulle sue influenze musicali, e ci permette, in maniera splendida e implacabile, di cadere nel vortice di vita e dolore che ha accompagnato la cantante texana nella sua breve esistenza. Dagli accenni alla nascita a Port Arthur, da una famiglia borghese (il padre ingegnere, la madre insegnante), primogenita dal carattere ribelle, incerta sulle sue aspirazioni, ma sorridente e amabile nelle molte foto esibite, nonostante oggetto di bullismo dai compagni di scuola, per la sua scarsa avvenenza rispetto ai canoni dell'epoca, si passa attraverso la high school, dove predilige il disegno, all'Università di Austin dove interrompe gli studi per completarli in Scienze Sociali, con ottimi voti, presso l'università di Houston/Lamark. Ma invece di fare l'insegnante, secondo il desiderio dai genitori, si sente attratta dalla musica, scopre di avere una bella voce e comincia cimentarsi nel Blues e nel Folk con alcuni amici, è da lì tutto comincerà e finirà. Un racconto forte, dove si evince la figura di una donna estremamente dotata dal punto di vista artistico, più precisamente del canto, ma assai insicura, bisognosa d'affetto e molto sofferente per svariati problemi, legati anche al suo aspetto fisico presenti in lei sin dall'adolescenza, che credeva di riuscire a superare con l'uso smodato e frequente di sostanze alcoliche e droghe di ogni tipo.

mercoledì 7 dicembre 2016

Revenant: Redivivo (2015)

Gli aggettivi che mi vengono in mente dopo la visione di questo lungometraggio (un film del 2015, diretto, co-scritto e co-prodotto da Alejandro González Iñárritu) sono: maestoso, epico, selvaggio, ma anche purtroppo deludente e disturbante. Deludente perché anche se il film scorre bene e la pellicola si fa vedere, questa solo a tratti intrattiene, ma mai riesce ad appassionare completamente nonostante la forza emotiva che indubbiamente c'è e tanta. Disturbante perché Iñárritu non è proprio un regista da definirsi delicato, quindi la cosa ci starebbe, se non che, ciò che mi 'disturbava' (e non poco) nella prima mezz'ora/tre quarti di visione (l'esagerazione quasi grottesca, le forzature battagliere, la ridondanza in generale amplificata da un'eco naturalistico che andava profilandosi come un'esibizione di maniera e di stile fine a se stessa, senza dimenticare alcune scene cruente e alcune molto surreali) si è però lentamente dissolto quando ho capito e ho visto quanto sia stato lo sforzo, umano e tecnologico, nonché naturalmente di budget (ma quest'ultimo non è certo un elemento a favore), operato per realizzare questo film. Un film però che nonostante non sia riuscito efficacemente a stupire o a commuovere me, regala uno spettacolo straordinario di puro cinema, film che stenta a decollare, che stenta a farsi capire e coinvolgere ma che regala maestosi paesaggi innevati e una storia incredibile, potente e intensa con un finale più che accettabile. Revenant: Redivivo (The Revenantrimanda, come in un gioco di specchi, recuperando temi propri della frontiera americana (quando la frontiera era in realtà un gigantesco territorio inesplorato che iniziava a ridosso degli stati della costa atlantica, abitato da una pluralità di popolazioni indigene), ad opere come Into the wild e affini, sviluppando un percorso artistico originale (anche se a dire il vero questo è un remake dato che il soggetto è già stato usato da un'altra pellicola, Uomo bianco, va' col tuo dio! 'Man in the Wilderness' del 1971) a partire dalla spettacolarizzazione di una storia vera (in parte basata sul romanzo Revenant: La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta e parzialmente ispirata alla vita del cacciatore di pelli Hugh Glass, vissuto a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento), ambientata nel grande nord americano all'inizio dello stesso diciannovesimo secolo, il nord delle spedizioni di caccia, dei combattimenti con tribù di indiani ostili, dei vincoli famigliari e il tradimento, dello spirito di sopravvivenza e la vendetta e ne propone una scrittura tersa ed essenziale, in cui gli individui diventano minuscoli a fronte di una natura primordiale, implacabile e ferocemente bella.

martedì 6 dicembre 2016

Marte (1a stagione) [Prima parte]

Ha debuttato poco meno di tre settimane fa in tv, tra lo stupore generale, uno dei progetti cinematografici e televisivi più ambiziosi di sempre, quello de 'La più grande avventura di sempre nella storia dell'uomo', ovvero la colonizzazione del pianeta rosso, cioè Marte. Un progetto che non sembrava essere straordinario, invece dopo aver visto le prime tre puntate, la quarta delle sei totali andrà in onda stasera, ne sono rimasto affascinato. Ecco perché nonostante io sia arrivato soltanto a metà non potevo esimervi nel consigliare di vederla, perché Marte, la nuova miniserie evento di National Geographic Channel è qualcosa di veramente eccezionale. In più è diretta da un certo Ron Howard (straordinario regista) e prodotta da lui stesso insieme a Brian Grazer (uno dei produttori più famosi di Hollywood), perciò cosa volere di più? Niente, soprattutto se le vicende narrate sono a dir poco fantastiche. Le vicende narrate infatti si sviluppano tra il presente e l'anno 2033, alternando dati scientifici e rappresentazione cinematografica, vicende che ci trasportano direttamente alla vigilia della prima missione dell'uomo sul pianeta rosso. Difatti nell'anno 2033 lo sbarco dell'uomo su Marte sta per diventare realtà. Mancano 90 secondi all'atterraggio e l'equipaggio della navicella Daedalus, che vive con ansia questi ultimi tormentati momenti che li separano dal toccare terra sul pianeta rosso, è pronto per questo storico avvenimento. Nonostante però abbia avuto il miglior addestramento e abbia le migliori risorse disponibili, l'equipaggio dovrà spingersi sull'orlo delle capacità umane per riuscire a creare con successo la prima colonia eco-sostenibile su Marte. A metà tra un documentario (grazie alle testimonianze delle menti più brillanti della scienza) e un film (con ricostruzioni fedeli e precise di una perfetta missione spaziale), Marte infatti ci racconta in modo strabiliante come sarà finalmente possibile replicare lo sbarco dell'uomo sulla Luna sul pianeta rosso. Un racconto che via via si fa sempre più incredibile. Storia che perseguendo il doppio scopo di informare, come è abitudine e forza della rete televisiva internazionale, racconta una storia avvincente, un ibrido innovativo e interessante, soprattutto per come la serie è strutturata e sulla sua particolarità.

lunedì 5 dicembre 2016

Krampus (2015)

Per entrare in clima natalizio (anche se in questo caso non proprio festivo o felice) e finalmente vedere un film di cui molti hanno già avuto l'onore di recensire, anche positivamente (paradossalmente in estate), ho deciso di recuperarlo, anche perché proprio in questi giorni nel nord Italia, anzi, propriamente stasera (almeno credo) con l'arrivo di San Niccolò, ci sarà la sfilata dei Krampus, di cui questo film si ispira, esseri mistici e favola nera di cui già ne avevo sentito parlare e visto nel discreto thriller tutto italiano In fondo al bosco, infatti proprio durante questa festa un bambino sparirà, ma questa è un'altra storia. Intanto concentriamoci su Krampus: Natale non è sempre Natale (Krampus), film del 2015 diretto da Michael Dougherty, qui anche sceneggiatore e produttore, conosciuto soprattutto per la stesura dello script di X-Men 2 (2003) e di X-Men: Apocalisse (2016). Un film che è una discreta commedia-horror che affonda le sue radici nelle antiche tradizioni folkloristiche europee, riportando in auge la figura del Krampus (bestia cornuta che cattura i bambini disobbedienti per il Natale), demone che secondo la leggenda accompagna l'arrivo di San Nicholas. Infatti basandosi su questa leggendaria creatura, la pellicola racconta di un giovanissimo ragazzino Max (sensibile e riflessivo), che decidendo decide di voltare completamente le spalle a Babbo Natale (strappando la letterina e gettandola dalla finestra), dopo alcuni screzi con la sua maldestra famiglia, scatena l'ira del Krampus, un antico e oscuro demone malvagio che attacca i miscredenti. Da quel momento il cielo diventa cupo portando il gelo e lo sconforto, e la mattina seguente la casa si ritrova sommersa in una bufera. Non solo, perché bloccati all'interno della loro casa, si ritroveranno accerchiati dai simboli del Natale (gli aiutanti del demone) che cominciano ad animarsi e ad attaccare i componenti della famiglia di Max. A questo si aggiunge il demone in persona, che non darà tregua ai componenti della famiglia, famiglia che per sopravvivere e non essere presi dalla forza demoniaca, sarà costretta ad aiutarsi vicendevolmente. L'unico antidoto infatti è comportarsi bene e aiutarsi l'un l'altro, così facendo decidono di essere solidali tra loro per tentare di sopravvivere a questo inferno. È sufficiente questo incipit di Krampus per rassicurarci sulle capacità del suo regista Michael Dougherty, gli anni passati dall'ottimo La Vendetta di Halloween non gli hanno tolto affatto smalto, dato che sa ancora come essere feroce con una carezza e spietato con delicatezza e stile, tirando pugni nel classico guanto di velluto. Difatti dopo aver sfornato uno dei migliori film di Halloween di sempre, ha saputo ora produrre un ottimo horror che si inserisce in posizioni molto alte sia nel cinema natalizio che nei film di fiaba e folklore. Fiaba che con la direzione della fotografia (ottima e inquietante) di Jules O'Loughlin, le scenografie (agghiaccianti e spaventose) di Jules Cook, i costumi (discreti, credibili ed efficaci) di Bob Buck e le musiche (azzeccatissime) composte da Douglas Pipes, rappresenta in chiave umoristica come il Krampus faccia parte della quotidianità, presentando personaggi realistici e facilmente riconoscibili.

sabato 3 dicembre 2016

Quo vado? (2016)

Quando ho saputo che Sky avrebbe mandato in onda questo film, cioè Quo vado?, mi sono già messo a ridere ancor prima di vederlo (pochi giorni fa) perché già sapevo che mi avrebbe fatto ridere, e infatti a termine visione ero strafelice di averlo visto. Difatti ho riso molto (riso proprio, non 'sorriso'), e questo mi sembra già un gran risultato, specie per un film italiano. Questa è la forza di questo e dei personaggi creati da Luca Medici, in arte Checco Zalone, al suo quarto film da protagonista, dopo Cado dalle nubiChe bella giornata e Sole a catinelle, ridere a crepapelle. Quattro film compreso questo diretti sempre da Gennaro Nunziante, che con Zalone formano un duo straordinario, poiché ripetersi non è mai facile, e invece per la quarta volta consecutiva superano loro stessi, in termini di spettatori e di incasso al box-office. Certo, un film non dovrebbe confrontarsi con i risultati, ma questa dissacrante commedia, nuova e fresca, funziona perché genuina e vera, spontanea, distante anni luce dalle classiche commedie italiane tutte identiche nell'effetto (pieno di gag già viste) e nel soggetto ormai inflazionato di fare battute mediamente volgari per fare scena. In "Quo Vado?" (2016) la ricetta di questo successo si evidenzia dall'obiettivo che si prefigge, quello di riuscire ad abbracciare un pubblico ampissimo e, soprattutto, di tutte le classi sociali. Il racconto di Nunziante-Zalone infatti è realistico e contemporaneo. E proprio per questo è un film che non necessita di particolari strumenti culturali per poter essere apprezzato, e infatti la cosa che subito si nota è che la linea comica del film si mantiene pressoché ininterrotta per 100 minuti, dove praticamente si ride di continuo, cosa che personalmente, è accaduta solo nel precedente capitolo filmico. Lui infatti mi diverte da morire con le sue uscite politicamente scorrette, e l'unica cosa che mi sentirei di obiettargli, su questo film, è che ci ha messo dentro contenuti 'buonisti' che sanno di 'voglio far contenti tutti' di cui non sentivo personalmente la mancanza. Comunque su questo sfondo di ilarità tutt'altro che volgare è tuttavia obbligatorio segnalare la pochezza narrativa della trama, in effetti poco consistente e di una semplicità estrema, quasi forzata in certi punti. Pur tuttavia il film riesce a toccare le corde giuste, esalta e demonizza alcuni stereotipi (italiani e non solo), ma non se ne distacca mai totalmente, e anzi a volte suscita un certo sentimento patriottico (esilarante è la scena in cui sradica letteralmente l'insegna "ristorante italiano" di un ristoratore norvegese, al grido di "Vichingo!"). In più alcune gag sono davvero spassose. Nel complesso perciò Zalone non delude le aspettative, perché la sua è la commedia italiana più divertente se non degli ultimi anni, di questo almeno lo è sicuramente.

venerdì 2 dicembre 2016

The Young Pope (1a stagione)

Nei confronti di Sorrentino ho sempre avuto una certa antipatia, non solo per il suo stile di fare cinema (che ormai quasi tutti conoscono vedendo i suoi film, uno addirittura premiato con l'Oscar) ma anche per gli evidenti rimandi a certi personaggi, luoghi e paesaggi che a volte puzzano di accattonaggio mediatico e territoriale (Maradona è Dio detto da un cardinale è eresia, soprattutto se non vero, perlomeno come persona perché come giocatore era un grandissimo). Ma nonostante lo si ami o lo si odi, sta di fatto che finalmente ha probabilmente trovato il luogo giusto per potersi esprimere a grandi livelli, un tipo di cinema, quello delle serie tv, più facile per poter esporre il suo pensiero, il suo genio e sregolatezza (senza troppi giri di parole, più facile da comprendere), anche se The Young Pope, ideata e diretta proprio da Paolo Sorrentino, prodotta da Sky, Hbo e Canal+, che ha esordito il 21 ottobre 2016 sul canale satellitare Sky Atlantic, conclusasi venerdì 18 novembre, è una non-serie tv, è più un film, lungo dieci ore, pieno di andate e di ritorni, di dettagli, di citazioni e di teologia, d'altronde il tema trattato è la Chiesa. Ora non che Sorrentino non ha fatto e non è stato Sorrentino, anzi, ha scritto una storia potente (una sorta di parabola della solitudine, chi viene, chi va e chi rimane), ricca di immagini, dove i protagonisti, prima di essere preti, cardinali o papi, sono uomini, perciò una delle Sue storie, ma in questo caso in modo più fluido, meno onirico, ugualmente affascinante ma soprattutto più efficace. E di questo me ne sono accorto subito, perché già dalla straordinaria sigla (pop-rock di un gusto raffinato ma elettrizzante) qualcosa è cambiato nella mia percezione del suo cinema, poiché anche se qui non mancano affatto le sue classiche movenze, Sorrentino infatti non è certo un regista 'd'azione', ha un ritmo lento e dilatato tutto suo, concentra tutta l'attenzione sui dialoghi, racconta con modalità assai diverse dal consueto, riflettendo continuamente sulle inquadrature, sulle situazioni, sui personaggi, sul tormento della vita umana, alla fine, e anche se non mancano poi come ovvio le 'trovate', magari allegoriche (si pensi al canguro che vaga libero in Vaticano, e tanti altri), ma in questo caso davvero gustose, riesce a sorprendere, portando una serie che all'inizio poteva essere o sembrare una cretinata (e a volte la sensazione era anche la mia) in un esperimento completamente riuscito e pure discretamente interessante nonché, anche se sembrerà strano visto l'argomento, divertente e sottilmente ironico. A partire dal personaggio da lui ideato, un incrocio storico accattivante, misterioso e sconvolgente. Ricercato, potente e soprattutto 'Sorrentiniano'. La storia di un uomo e della fatica di stare al mondo. Quella di Lenny Belardo (un cardinale giovane, mite e dallo scarso peso politico), che inspiegabilmente e inaspettatamente, viene eletto pontefice dal collegio cardinalizio, che crede forse di aver trovato una pedina da poter manovrare a piacimento. Tuttavia Lenny (abbandonato in orfanotrofio in tenera età e continuamente tormentato da tale abbandono, tanto che ha sviluppato un rapporto molto turbolento con la fede e con Dio), salito al soglio pontificio con il nome pontificale di Pio XIII, si dimostrerà un papa controverso e per nulla incline a farsi comandare, machiavellico e manipolatore.

mercoledì 30 novembre 2016

Creed: Nato per combattere (2015)

Inutile sottolineare che attendevo da tempo di vedere questo film, era da gennaio infatti, da quando ne parlai all'epoca della sua uscita, che aspettavo di ritrovare uno dei miti della mia infanzia, ovvero Rocky. Alcuni ricorderanno il post pubblicato a inizio gennaio, (che trovate qui), dove spiegavo i motivi e il perché la saga e il suo personaggio sono diventati simboli di forza e coraggio per me e per tutti. In ogni caso per rientrare in clima, ho aspettato un po', non perché non ho avuto tempo prima di vederlo (anche se avevo un calendario da seguire) ma perché prima ho visto grazie a Sky, che a proposito per l'occasione della sua mandata in onda ha predisposto un canale apposito per rivedere l'intera straordinaria saga, prima il bellissimo 'racconto di cinema' di Nino Castelnuovo, l'esperto di punta sul cinema della piattaforma satellitare, un racconto emozionante e incredibile, al pari del successivo documentario Da Creed a Rocky: la leggenda continua, con interviste agli attori del cast, i produttori e quant'altro. Insomma qualcosa di interessante e bello, che vi consiglio di vedere se già non l'avete fatto. Comunque ritornando a questo settimo capitolo della saga (anche se a dir la verità è uno spin-off che si svolge in ogni caso dopo Rocky Balboa, sesto film della serie), intitolato Creed: Nato per combattere (Creed - 2015) a primo impatto è un film bello ma non così eccezionale come mi aspettavo, perché nonostante ho ritrovato con piacere quel gusto vintage e demoralizzante (più emozionante) di un tempo non tutto è filato liscio, anzi, fila così velocemente (sbrigativo) che molte cose vengono accelerate senza mai fermarsi, troppi repentini cambi di direzione, fatto che aggiunto a molti punti oscuri o momenti, meglio situazioni, non spiegate abbastanza dettagliatamente, lasciano poco tempo di riflessione, praticamente non ci sono pause, non che sia un male però ci voleva qualche punto morto per riprendere meglio le emozioni, la storia lasciate a metà, anche se il sesto capitolo era il perfetto finale della straordinaria avventura vissuta dallo Stallone Italiano. Invece no, perché grazie ad un giovane regista, Ryan Coogler, al suo secondo lavoro importante (dopo Prossima fermata Fruitvale Station), il primo per me, quella storia ha potuto avere un seguito, un seguito che in certi momenti assomiglia ad un remake, dato che la storia, i temi e il finale sembra ricalcare il primo fantastico film. Certo, letti in chiave moderna per le nuove generazioni ma leggermente troppo simili, anche se proprio per questo il film mi è piaciuto di più, ma soprattutto perché torna il lato umano e non solo i muscoli e quelle atmosfere molto "cotonate" da anni '80. Insomma un film che efficacemente riporta in auge un mito, un mito che riesce a far risultare una pellicola non straordinaria ma tutto sommato credibile e anche e soprattutto riuscita.

martedì 29 novembre 2016

Gli altri film del mese (Novembre 2016)

Questo mite novembre è stato un mese abbastanza anonimo, anche un po' triste per me, ma come sempre anche in questo mese oltre ai film di cui ho già scritto, ne ho visti anche molti altri. Film non proprio eccezionali a dir la verità, ma perlomeno passabili (tranne uno). Al contrario di certi film che invece io sconsiglierei, film che proprio in virtù di questo fatto saranno solo accennati. Infatti oltre a 6 che propongo ce ne sono 4 di cui vorrei parlare perché sono davvero pessimi. A partire dalla classica ed ennesima (inutile e deludente) commedia romantica per la tv di produzione canadese, Amore sotto le stelle (Love Under the Stars, 2015), l'inflazionata storia di una ragazza che per caso e senza volerlo (sì vabbé) si innamora del padre di una bambina che ha da poco perso la madre (chissà perché lo sospettavo), e niente, la trama finisce qui, insieme alla mia di pazienza, quella di vedere sempre le solite frivolezze, le solite sciocchezze, con un finale scontato, dei dialoghi assurdi ma soprattutto il doppiaggio della bambina è da manicomio. Questa è l'ultima volta che ci casco. Un po' meglio invece accade per La giustizia di una madre (A Mother's Instinct, 2015), anch'esso per la tv di produzione canadese ma di genere thriller e molto più interessante (ma sempre brutto), anche se il finale della storia è addirittura molto più prevedibile. La storia (leggermente assurda anche se basata su fatti realmente accaduti, anche se non ci crede nessuno) di una madre che dopo il rapimento del figlio si convince della colpevolezza del vicino e siccome non ci sono prove, lo rapisce e lo fa confessare, poi lui (incredibilmente) fugge e cerca di ammazzare tutti, ma all'ultimo secondo lo stordiscono e si salvano tutti, non il film che ancora una volta come tanti thriller non suscita neanche un sussulto, un'emozione. Film davvero vuoto e insensato. Anche se mi ero ripromesso di non vedere più un film con Steven Seagal purtroppo ho visto Sniper: Forze speciali, film (del 2016) che come ovvio non esprime nulla di nuovo alle sue solite baggianate, perché anche qui fa il solito ruolo da cecchino infallibile che ammazza tutti. Un film che racconta in modo assurdo, la storia di una squadra di soccorso che si ritrova per magia coinvolto in un agguato uscendone però vittorioso, poi ovviamente succedono altre cose ma niente di così importante. Insomma, davvero pessimo, questo è definitivamente il capolinea. Ancora più brutto e deficiente è l'ennesimo disaster movie della Asylum, stavolta il film in questione ha a che fare con due aerei (uno è l'Air Force One, con a bordo il presidente, la moglie e la figlia 'Milani'?!) che non si sa perché (ah sì una tempesta elettromagnetica) stanno per scontrarsi in volo, il film si chiama infatti Air Collision, ed è uno dei film più assurdi di sempre, con effetti speciali di serie C, dialoghi di serie D, e scene da manicomio, infatti ho riso così tanto che mi serviva la camicia di forza per non spaccare tutto. Un film (del 2012) davvero senza un senso alcuno, stupido e inutile. Ma veniamo al momento che tutti aspettavate, ecco perciò le recensioni dei 6 film visti in questo mese, tra cui tre commedie, un drama, un thriller e un film d'animazione.

lunedì 28 novembre 2016

APPuntamento con l'@more (2014) & Poli opposti (2015)

Come ben sapete (io non tanto ad esser sincero) i rapporti personali, relazionistici tra uomo e donna sono i più complicati sulla faccia della terra, e questo non lo scopriamo mica adesso e in molti casi sono tantissimi i film che cercano di spiegarne i problemi e trovare le soluzioni. Soluzioni che come ovvio quando si tratta di commedie romantiche si tramutano spesso nel finale in amore incondizionato anche se nella realtà non sempre accade la stessa cosa. E infatti queste due pellicole che hanno dalla loro dinamiche conclusive abbastanza scontate, sfruttano le classiche situazioni che molto spesso accadono (la classica guerra dei sessi) per imbastire una tavola, sì già sfruttata, ma in questo caso con un certo stile, un certo garbo, difatti queste due garbate commedie senza eccedere nella sfera romantica sono piacevoli ed anche scorrevoli da vedere. A partire da APPuntamento con l'@more (Two Night Stand), film del 2014 diretto dallo semi-sconosciuto Max Nichols, figlio del più conosciuto regista Mike Nichols, deceduto 2 anni fa, film in ogni caso riuscito. Riuscito non tanto nella trama quanto nel quadro generale delle vicende, quella di Megan che mollata dal suo ex decide, per dimenticare, di usare la tecnica del 'chiodo caccia chiodo', lei infatti non vuole impegnarsi e così fissa su Internet un appuntamento per una serata da una botta e via con uno sconosciuto da cui però se ne va insoddisfatta, ma il caso vuole che proprio i due il mattino dopo rimangano bloccati nell'appartamento di lui a causa di una forte nevicata, che ha paralizzato New York, ed è costretta perciò a tornare sui suoi passi e affrontare due giorni di convivenza con quello che doveva essere solo un partner occasionale. Costretti così loro malgrado a passare più tempo assieme del previsto, Megan e Alec iniziano a parlare delle loro aspettative, dei loro sogni e cercando a vicenda di trovare dei possibili accorgimenti per il futuro partner che verrà, entrano in sintonia e capiscono che il loro rapporto potrebbe trasformarsi in qualcosa di più di una semplice avventura.

sabato 26 novembre 2016

The Program (2015)

Premettendo che sono stato sempre convinto che Lance Armstrong si dopasse, ho visto con qualche perplessità The Program, film biografico del 2015 diretto da Stephen Frears sulla vita di questo famoso ciclista, perché la sua incredibile storia è una ferita ancora tanto aperta e tanto dolorosa per chi ha vissuto quei momenti, momenti che hanno per sempre macchiato uno sport così nobile come il ciclismo. La sua vicenda infatti è stata forse quella che più ha sconvolto gli appassionati di ciclismo e dello sport in generale. Perciò non era facile per il regista anche solo immaginare di fare un film del genere, in più raccontare storie vere è diventato sempre più difficile, non solo perché spesso si conosce il finale, fatto che altera in qualche modo la percezione della trama, ma perché essere imparziale è arduo compito. Ma mai come in questo caso nonostante la natura (sconcertante) della storia (che quasi tutti conoscono) e la bravura del regista inglese, il risultato è più che soddisfacente, il regista difatti riesce nel compito a lui assegnato, quello di ripercorrere le tappe della vita del ciclista statunitense Lance Armstrong, dai successi sportivi alla lotta contro il cancro, fino all'ammissione di doping, in modo discreto e senza eccessi. Stephen Frears infatti, partendo dal libro-verità del giornalista sportivo David Walsh 'Seven Deadly Sins', porta in scena le gesta (truccate) del campione texano, e lo fa con grande maestria da un punto di vista tecnico (con inquadrature e soprattutto effetti sonori che rispecchiano bene le corse in bici e con la rappresentazione di un personaggio talmente "vittima" del suo ego che, nella sua abitazione, è sempre solo) e soprattutto senza cadere nella trappola dei film sportivi tipo, quelli che si risolvono cioè nel rimontaggio di materiale di gara già esistente. Gira invece ad hoc poche ma eccellenti scene, talmente accattivanti da far quasi venir voglia di prendere la bici ed andare a scalare qualunque vetta. Sceglie poi con gran cura una colonna sonora decisamente azzeccata, e ciliegina sulla torta, punta il grosso delle sue fiches su Ben Foster (visto recentemente in Lone Survivor), attore che probabilmente non offriva le migliori garanzie e che invece si rivela per l'occasione capace non solo di interpretare ma addirittura di trasformarsi in Lance Armstrong (la somiglianza dell'attore è davvero sorprendente, soprattutto nel pedalare e nei caratteri somatici) grazie a un lavoro lungo e intenso da vero perfezionista dell'arte attoriale. In ogni caso, gli appassionati di ciclismo non si aspettino grandi emozioni sportive, impervie salite o volate storiche, poiché solo piccoli flash amarcord introducono la pellicola di Frears basata sul marciume legato al doping e sull'inchiesta di un bravo giornalista che mantiene la schiena dritta e non si fa piegare da nessuno.

venerdì 25 novembre 2016

La regola del gioco & The Reach (2014)

Oggi recensirò due film, due thriller, che mi hanno piacevolmente colpito, anche se nel primo il finale amaro lascia un po' scontenti, al contrario il secondo ha un finale avvincente, ma entrambi convincono soprattutto per i due attori principali, davvero bravi che ancora una volta dimostrano il loro valore, partendo da uno che ultimamente sta riscuotendo successi, fino ad arrivare ad un mostro sacro, ma saprete dopo, intanto cominciamo parlando de La regola del gioco (Kill the Messenger), political drama (del 2014) ottimamente architettato ed interpretato da un Jeremy Renner sempre più impegnato (questo è anche il suo primo film da produttore) e qui in forma veramente smagliante, nei panni di Gary Webb del quale racconta la difficile battaglia nel far emergere la verità su uno dei molteplici scandali della CIA (uno di quei soliti scandali che il governo americano ha più interessi a mascherare piuttosto che ammettere le enormi responsabilità del gioco sporco) e diffonderla. Inutile dunque ribadire che il film si ispira non solo a una storia vera, quella del tenace giornalista di una piccola e indifferente testata giornalistica, ma racconta in modo coerente e lucido di fatti realmente avvenuti (e frettolosamente insabbiati), fatti raccontati dallo stesso Webb nel libro Dark Alliance sui cui si basa il film di Michael Cuesta, regista che ha fatto tanta gavetta in tv (S.F. Under, Dexter, Homeland), insieme ai libro Kill the Messenger di Nick SchouLa regola del gioco infatti riporta alla luce del sole degli scandali che vennero a galla solo negli anni '90 (ma riguardanti la decade precedente) grazie al meticoloso e alquanto ostacolato lavoro investigativo di Webb che riuscì a scoprire il coinvolgimento della CIA nello spaccio di droga (cocaina) negli USA. Droga che aveva come principali destinatari la popolazione afro-americana, e il ricavato delle vendite andava a sostenere i Contras del Nicaragua nella loro lotta per destabilizzare il governo comunista. E per raccontare ciò il regista e lo sceneggiatore (Peter Landesman), scelgono il metodo più semplice e popolare possibile, seguendo rigorosamente lo schema di altre pellicole del genere (Tutti gli Uomini del Presidente, State of Play, Insider, etc.), non aggiungendo nulla di particolarmente innovativo al canovaccio, ma in modo semplice ed avvincente riesce a raccontare una storia, una storia ovviamente interessante. Difatti nel film vengono riportate tutte le fasi dell'inchiesta iniziata e portata avanti dal giornalista che, per puro caso come spesso accade (anche se in questo caso grazie all'avvenente pupa di un boss del narcotraffico, una stupenda Paz Vega), viene in possesso di un documento che proverebbe un certo intrallazzo tra agenti governativi ed i Contras, il tutto sommato a qualche discrepanza tra la mole di droga in circolazione allora nel paese e l'effettivo potere di spaccio dei gruppi malavitosi realmente conosciuti. Ma il film non si limita a questo perché le sue indagini, che iniziano ad essere scomode un po' per tutti, lo porteranno a sprofondare, contro di lui infatti inizia una campagna diffamatoria, che colpirà anche la sua famiglia, che lo porterà vicino al suicidio.

mercoledì 23 novembre 2016

La quinta onda (2016)

Dopo aver visto questo film, mi è venuto subito in mente la risposta di Monica Brizzi del blog Il mondo di M. al mio commento (di tre settimane fa) che l'avrei visto, lei che aveva letto i libri da cui è tratto e anche la pellicola credo, e mi consigliava di lasciar perdere e che forse non mi sarebbe piaciuto. Ebbene nonostante ciò, l'ho visto comunque, perché come sapete io i film li vedo a prescindere da giudizi, però in questo caso aveva probabilmente ragione, poiché nonostante La quinta onda (The 5th Wave), film fantascientifico del 2016 diretto da J Blakeson, adattamento del romanzo La quinta onda (The 5th Wave, 2013), primo dell'omonima trilogia di romanzi scritti da Rick Yancey, aveva dalla sua buone premesse, è un film (il libro, anzi, i libri, qui la sua recensione, sono comunque tutto un'altra cosa) decisamente mediocre, ma anche se certamente parecchio imperfetto, è per lo meno decente (migliore di alcuni e non peggiore di altri), perché riesce a essere un po' originale e parzialmente scorrevole. La quinta onda ovviamente non è un capolavoro e non è il film dell'anno, neanche lo sfiora, ma è il film giusto per una serata divertente, e quindi penso che lo si possa vedere, ovviamente consapevoli della sua portata piuttosto limitata, sia narrativamente che visivamente. In ogni caso la trama della pellicola è semplice, e ciò è già passabile anche se dannatamente scontata come sempre quando si tratta di futuri distopici, si parla infatti di un attacco alieno verso la terra, durante la quale la razza umana viene colpita e decimata da varie 'onde': prima la corrente elettrica viene soppressa, poi vengono scatenati terremoti, quindi si diffonde un virus, alla fine arrivano loro, gli alieni, per invadere la terra e uccidere gli ultimi umani rimasti in vita, prima con il risveglio degli alieni che erano stati innestati tempo prima in alcuni umani, e poi con uno stratagemma davvero sorprendente, che i ragazzi addestrati dall'esercito per cacciare e uccidere coloro che sono posseduti dagli alieni, riusciranno a scoprire, scopriranno infatti che non tutto è come sembra. In tutto questo, una giovane americana, Cassie (interpretata da Chloë Grace Moretz), cerca di sopravvivere e salvare il fratello minore. E quando la situazione precipita, l'aiuto arriverà proprio da dove e da chi non si sarebbe mai aspettata.

martedì 22 novembre 2016

The Affair: Una relazione pericolosa (1a & 2a stagione)

Può una serie tv lenta e con una trama quasi scontata (il classico dramma amoroso di lui, lei e l'altra) riuscire a tenere lo spettatore incollato alla tv? Se si tratta di The Affair la risposta è sì. La serie infatti, prodotta dalla Showtime (quella di Billions, ma anche Dexter e Homeland), creata da Sarah Treem e Hagai Levi, già creatori dello psicanalitico In Treatment, che continuano a portare i segreti della mente umana sul piccolo schermo, anche se questa volta decidono di tingerli delle tinte noir del thriller, è qualcosa di unico nel panorama televisivo, in quanto riesce a rendersi particolarmente interessante, perché riesce a sconvolgere ed intrigare. Poiché di serie che colpiscono, intrattengono ed incuriosiscono è piena la tv, ma poche sono quelle che sono in grado di sconvolgere chi le guarda nel corso della visione facendogli vivere in prima persona le sensazioni che provano i personaggi su schermo, e The Affair è una di quelle, d'altronde se la serie ha già vinto ben 3 Golden Globe (Migliore Serie Drammatica, Migliore Attrice in una Serie Drammatica a Ruth Wilson, Migliore Attrice non protagonista in una Serie Drammatica a Maura Tierney) un motivo ci sarà. La serie che è andata in onda da settembre ad ottobre e ad ottobre e novembre con le prime due stagioni su Sky Atlantic una dopo l'altra e proseguirà dal 30 novembre sempre sulla stessa emittente della piattaforma Sky con la terza attesissima terza stagione, sfrutta infatti una formula davvero ingegnosa e innovativa, quella che raccontando la più classica e nota delle vicende, quella di una relazione extra-coniugale fra un uomo ed una donna entrambi sposati, tra Noah Solloway (Dominic West, The Wire), aspirante scrittore e Alison Lockhart (Ruth Wilson, la punta di diamante che finora in tv aveva praticamente interpretato solo la distaccata figura di Alice Morgan in Luther), una cameriera che conosce durante un periodo di relax a Montauk, negli Hamptons, dove lui è ospite nella casa per le vacanze del padre di Helen (Maura Tierney, la madre dei suoi 4 figli), uno scrittore di successo la cui fama pesa sulle spalle di Noah che non riesce ad eguagliare il suocero, che nel frattempo sta cercando di tenere in piedi il suo matrimonio con Cole (Joshua Jackson) dopo la morte del figlio, appassiona e sorprende. Perché anche se ciò potrebbe sembrare l'incipit di un romanzo Harmony, c'è il colpo di genio degli autori, quello che risulta evidente nella modalità scelta per narrare la storia, le puntate difatti vengono divise in due parti, una raccontata dal punto di vista di lui, lo scrittore di Brooklyn intrappolato nei legami familiari, l'altra dal punto di vista di lei, la ragazza di periferia che fatica ad andare avanti, e non sempre i due punti coincidono. In più scopriamo questa 'tresca' attraverso l'interrogatorio a cui i due amanti sono sottoposti durante l'indagine per un omicidio, un omicidio del quale scopriremo a mano a mano nuovi risvolti, che non sono complementari, ma alternativi.