Credo già di aver di lui parlato in occasione della recensione del suo interessante e bel live action Yattaman: Il film, del perché Takashi Miike è diverso da qualsiasi altro regista, del suo stile unico e controverso, del perché sia considerato uno dei registi più "folli" del cinema orientale, ed anche uno dei più eclettici, prolifici ed originali di sempre (ha al suo attivo, dal suo debutto nel 1991, oltre 100 tra film ed episodi televisivi di dorama, praticamente fiction), ma ripetersi non è sbagliato, se si parla appunto di questo incredibile ed ambiguo (in senso buono) regista. Un regista noto per i suoi film estremamente violenti e inquietanti, pregni di sequenze splatter e di bizzarre perversioni sessuali. Tuttavia Miike non è solo gore, splatter e perversioni, è anche un grandissimo regista e sceneggiatore dallo stile appunto inconfondibile. Perché dietro la forma violenta e disturbante delle sue opere, si nascondono tematiche profonde e ricorrenti: i rapporti familiari, l'amicizia, l'amore, la fedeltà al proprio gruppo (spesso si tratta di gruppi criminali), la solitudine e l'isolamento. Però analizzare, seppur superficialmente, tutti questi aspetti è impresa ardua e che lascio volentieri ad altri più coraggiosi e più esperti di me. Io mi limito solo a vedere ed a "gustarmi" il suo cinema. E infatti non potevo fare a meno di lui, dei suoi film, anche se consapevole che la mia conoscenza si basa su un campione limitato, avendo visto una percentuale minima della filmografia totale di Miike (stare al passo è quasi impossibile), anche quest'anno. Difatti, approfittando delle mie ormai consuete (anche se questo è solo il secondo anno) Promesse Cinematografiche, eccomi ora e adesso a presentare un pezzettino della sua (prolifica) filmografia che ho visto recentemente. Quattro pellicole che trasudano il suo cinema da tutti i pori, quattro film di cui alcune scene è impossibile dimenticare.
Sukiyaki Western Django (Western, Giappone, 2007)
Sukiyaki Western Django (Western, Giappone, 2007)
Tema e genere: Omaggio al western all'italiana, nato dalla volontà del regista Takashi Miike di volerne girare uno.
Trama: In Nevada un piccolo villaggio è conteso fra i Bianchi, guidati da Yoshitsune, e i Rossi, capeggiati da Kiyomori. L'improvviso arrivo di un misterioso pistolero sconvolge i precari equilibri del villaggio, contribuendo a far precipitare in un bagno di sangue una situazione già tesissima.
Recensione: Il successo del Django di Sergio Corbucci del 1966 rese il personaggio del pistolero con l'ingombrante bara, una vera e propria icona del cinema. Non solo per la fama ottenuta a livello nazionale, ma anche all'estero. Molti sembrano aver apprezzato questo lungometraggio. Tarantino, con il suo Django Unchained e la sua passione non celata per i western all'italiana, è il più recente autore ad aver omaggiato la pellicola di Corbucci in un suo lavoro. E poco prima di lui, nel 2007, il noto regista Takashi Miike aveva sfornato il suo personalissimo tributo alla pellicola nostrana: Sukiyaki Western Django, appunto. Miike raccoglie lo stile e l'atmosfera del genere western e lo fonde insieme a quello dell'oriente e della tradizione nipponica. Ad una trama che ricorda immediatamente Per un pugno di dollari di Sergio Leone, si unisce un cast di personaggi assurdi, con una caratterizzazione portata all'inverosimile. Dallo sceriffo schizofrenico fino al capo rozzo col pallino per Shakespeare, tanto da farsi chiamare Enrico. Proprio come il noto sovrano decantato dall'autore inglese. Ed è doveroso menzionare il personaggio di Yoshitzune, esperto nell'uso della pistola ed allo stesso tempo della katana, simboli dei due stili che collidono in questa pellicola. A questo enorme calderone di citazioni, battaglie e sangue, si unisce la violenza tanto amata da Miike. Una pellicola che intrattiene, ben congegnata e curata. Il finale, poi (come l'inizio in cui un certo Quentin fa la sua divertita comparsa) è davvero una bella trovata.
Regia: Un film costellato di errori probabilmente voluti dallo stesso regista, che mette in gioco un simbolismo tipico giapponese mischiandolo alle tipiche atmosfere western in stile Sergio Leone, il tutto con una spruzzata di violenza in puro stile Tarantiniano, niente di originale, tutto alquanto confuso in certi frangenti, eppure come per la maggior parte dei film del regista giapponese (che fortunatamente non rinuncia alla violenza, alla sua natura), riesce ad incuriosire lo spettatore rendendolo partecipe della pellicola.
Sceneggiatura: Alcuni difetti non rendono pienamente godibile questa ludica sperimentazione, penalizzata da una storia e una sceneggiatura abbastanza confusionarie e dove si susseguono massacri a raffica (comunque belli da vedersi perché molto coreografici) rendendo a volte il tutto piuttosto ripetitivo e stancante. Ma l'ironia, a volte quasi demenziale, e le bizzarrie, in parte sopperiscono, soprattutto se ci si rende conto del suo scopo primario, divertire.
Aspetto tecnico: Affascinante sul piano visivo grazie ad una fotografia sgargiante e dai colori incisivi ed a scenografie chiaramente finte, dove il paesaggio occidentale non ha problemi ad ospitare delle pagode, dove la Katana si accompagna alla pistola e Shakespeare viene volutamente preso in giro senza freni.
Cast: Gli unici attori conosciuti personalmente sono Quentin Tarantino, che ogni tanto ci allieta con la sua presenza, e Shun Oguri, che ha impersonato Lupin III nel suo ultimissimo live action. Comunque tutti gli attori qui presenti, oltre a quelli già citati, e mi riferisco a quelli che vanno da Shingo Katori a Yoshino Kimura, da Kaori Momoi a Kōichi Satō e Hideaki Itō, svolgono il loro compito (divertito) egregiamente.
Commento Finale: Per il suo approccio al genere western, Takashi Miike pesca a piene mani dalla tradizione del cinema di samurai giapponese (Akira Kurosawa su tutti), dal western italiano (Sergio Leone e Sergio Corbucci in primis) e dalla drammaturgia di Shakespeare (già abbondantemente presente negli autori citati) miscelando un cocktail lisergico e prolisso, citazionista e divertito, fiero di esibire la propria natura bastarda in un continuo prendersi gioco di generi e registri. La presenza di Quentin Tarantino in apertura cerca così di dare una legittimazione a questo divertissement fumettistico, figlio di un cinema postmoderno e sfacciatamente pop, da non prendersi mai troppo sul serio. Divertitevi e basta.
Consigliato: Se siete fan del regista lo è certamente, poi dipende dal vostro livello di sopportazione al sangue ed alla violenza.
Voto: 6
Trama: In Nevada un piccolo villaggio è conteso fra i Bianchi, guidati da Yoshitsune, e i Rossi, capeggiati da Kiyomori. L'improvviso arrivo di un misterioso pistolero sconvolge i precari equilibri del villaggio, contribuendo a far precipitare in un bagno di sangue una situazione già tesissima.
Recensione: Il successo del Django di Sergio Corbucci del 1966 rese il personaggio del pistolero con l'ingombrante bara, una vera e propria icona del cinema. Non solo per la fama ottenuta a livello nazionale, ma anche all'estero. Molti sembrano aver apprezzato questo lungometraggio. Tarantino, con il suo Django Unchained e la sua passione non celata per i western all'italiana, è il più recente autore ad aver omaggiato la pellicola di Corbucci in un suo lavoro. E poco prima di lui, nel 2007, il noto regista Takashi Miike aveva sfornato il suo personalissimo tributo alla pellicola nostrana: Sukiyaki Western Django, appunto. Miike raccoglie lo stile e l'atmosfera del genere western e lo fonde insieme a quello dell'oriente e della tradizione nipponica. Ad una trama che ricorda immediatamente Per un pugno di dollari di Sergio Leone, si unisce un cast di personaggi assurdi, con una caratterizzazione portata all'inverosimile. Dallo sceriffo schizofrenico fino al capo rozzo col pallino per Shakespeare, tanto da farsi chiamare Enrico. Proprio come il noto sovrano decantato dall'autore inglese. Ed è doveroso menzionare il personaggio di Yoshitzune, esperto nell'uso della pistola ed allo stesso tempo della katana, simboli dei due stili che collidono in questa pellicola. A questo enorme calderone di citazioni, battaglie e sangue, si unisce la violenza tanto amata da Miike. Una pellicola che intrattiene, ben congegnata e curata. Il finale, poi (come l'inizio in cui un certo Quentin fa la sua divertita comparsa) è davvero una bella trovata.
Regia: Un film costellato di errori probabilmente voluti dallo stesso regista, che mette in gioco un simbolismo tipico giapponese mischiandolo alle tipiche atmosfere western in stile Sergio Leone, il tutto con una spruzzata di violenza in puro stile Tarantiniano, niente di originale, tutto alquanto confuso in certi frangenti, eppure come per la maggior parte dei film del regista giapponese (che fortunatamente non rinuncia alla violenza, alla sua natura), riesce ad incuriosire lo spettatore rendendolo partecipe della pellicola.
Sceneggiatura: Alcuni difetti non rendono pienamente godibile questa ludica sperimentazione, penalizzata da una storia e una sceneggiatura abbastanza confusionarie e dove si susseguono massacri a raffica (comunque belli da vedersi perché molto coreografici) rendendo a volte il tutto piuttosto ripetitivo e stancante. Ma l'ironia, a volte quasi demenziale, e le bizzarrie, in parte sopperiscono, soprattutto se ci si rende conto del suo scopo primario, divertire.
Aspetto tecnico: Affascinante sul piano visivo grazie ad una fotografia sgargiante e dai colori incisivi ed a scenografie chiaramente finte, dove il paesaggio occidentale non ha problemi ad ospitare delle pagode, dove la Katana si accompagna alla pistola e Shakespeare viene volutamente preso in giro senza freni.
Cast: Gli unici attori conosciuti personalmente sono Quentin Tarantino, che ogni tanto ci allieta con la sua presenza, e Shun Oguri, che ha impersonato Lupin III nel suo ultimissimo live action. Comunque tutti gli attori qui presenti, oltre a quelli già citati, e mi riferisco a quelli che vanno da Shingo Katori a Yoshino Kimura, da Kaori Momoi a Kōichi Satō e Hideaki Itō, svolgono il loro compito (divertito) egregiamente.
Commento Finale: Per il suo approccio al genere western, Takashi Miike pesca a piene mani dalla tradizione del cinema di samurai giapponese (Akira Kurosawa su tutti), dal western italiano (Sergio Leone e Sergio Corbucci in primis) e dalla drammaturgia di Shakespeare (già abbondantemente presente negli autori citati) miscelando un cocktail lisergico e prolisso, citazionista e divertito, fiero di esibire la propria natura bastarda in un continuo prendersi gioco di generi e registri. La presenza di Quentin Tarantino in apertura cerca così di dare una legittimazione a questo divertissement fumettistico, figlio di un cinema postmoderno e sfacciatamente pop, da non prendersi mai troppo sul serio. Divertitevi e basta.
Consigliato: Se siete fan del regista lo è certamente, poi dipende dal vostro livello di sopportazione al sangue ed alla violenza.
Voto: 6
Tema e genere: Splatter tratto dall'omonimo manga di Hideo Yamamoto.
Trama: Dopo la misteriosa scomparsa del boss Anjo, il folle e masochista Kakihara scatena una guerra fra bande per ritrovarlo. Ignora però il fatto che dietro a tutto c'è la mano di Jijii, il quale si sta servendo del fragile e sanguinario Ichi per tessere i fili di un complicato e pericoloso intreccio.
Recensione: Geniale, folle, bizzarro, ironico, prolisso, incoerente e a tratti noioso. Questo e tanto altro ancora è Ichi the Killer, spettacolo raccapricciante partorito dalla mente del diabolico Takashi Miike che qui rilegge un celebre manga. Non è un horror, ma è piuttosto splatter, anche se questo è un lavoro talmente particolare che non si sa dove collocarlo, Ichi the Killer non ha infatti un genere, lui è Ichi e basta, e ammazza un sacco. Si sa però che per film di questo "genere" si sente spesso usare la frase "per stomaci forti". E questo senza dubbio lo è, anche se Ichi the Killer non è un mero splatter privo di sostanza, è un film in cui il drammatico, lo yakuza-movie, il grottesco e lo splatter appunto, vanno a braccetto e non scadono nel banale, anche se l'eccelso è ben distante, perché seppur geniale è anche al tempo stesso, così ripetitivo e confuso da risultare a tratti letargico, e non tutte le trovate poi hanno la stessa forza dirompente. Ichi ha la faccia da debole, da uno che pare più uno studentello sfigato, piuttosto che un terribile carnefice. Ma Ichi è entrambe le cose e il regista "gioca" e sgretola lo stereotipo del temibile Killer annientatore. Si prova una certa compassione verso questo "povero" essere sfruttato e plagiato da chi cerca solo di raggiungere i propri interessi. Kakihara (interpretato da un grande già Tadanobu Asano), dalla faccia da Joker sfregiato, è un yakuza dall'animo di ghiaccio, che ricerca più il dolore fisico come piacere piuttosto che la vendetta. E' forte e freddo quanto sadico e masochista. Il sadismo e il masochismo, appunto, sono un filo conduttore dal primo all'ultimo minuto, sia nella nelle torture ai rivali, sia nella sessualità deviata. Le donne appaiono soltanto come prostitute e si respira una certa misoginia per nulla velata. La telecamera è spesso "schizofrenica" nel suo inseguire il sangue che zampilla dalle ferite mortali inflitte ai personaggi. La fotografia è curatissima e il montaggio accelera e rallenta a seconda delle azioni, nulla è lasciato al caso. Ichi the Killer è insomma un film sadico e lo spettatore è la sua vittima consapevole e consenziente, in cui il genio visionario e folle di Takashi Miike tortura la mente del suo pubblico, riuscendo a farlo ridere con una cascata di budella e sangue. Sufficienza piena di sicuro, più che piena.
Regia: Il film è girato con maestria eccezionale, le immagini sono sempre vivide, taglienti, esteticamente curate in ogni dettaglio. Lo stile di Miike è riconoscibilissimo sin dal primo secondo di pellicola, con una sequenza velocizzata che sembra uscire da un videoclip musicale. Una regia ed un montaggio schizzati che squarciano la pellicola e lo stomaco dello spettatore, che, comunque, non può fare a meno di lasciarsi andare a delle fragorose risate, grazie a delle trovate comiche senza le quali il film sarebbe stato davvero uno dei più traumatizzanti di sempre.
Sceneggiatura: Ichi the Killer non è un film sulla violenza, la violenza non è il fine del film ma è un semplice mezzo. La sceneggiatura infatti, comunque parecchio confusa e ripetitiva (e quindi non perfetta), vuole proprio trasmettere un messaggio che affonda le proprie radici nella filosofia pessimista: il piacere è un obiettivo irraggiungibile.
Aspetto tecnico: L'idea di puntare su scene piuttosto forti funziona, considerando anche che la realizzazione delle stesse è di un livello molto elevato e riescono a rimanere impresse nello spettatore per diverso tempo.
Cast: Kakihara, ottimamente interpretato da Tanadobu Asano è senza ombra di dubbio l'MVP della partita, battendo tutti gli altri con abbondante distacco.
Commento Finale: Cult assoluto di Miike, Ichi the Killer è l'opera che lo ha consacrato fra i fan di tutto il mondo come autore guida di un cinema estremo, delirante, eccessivo, iperviolento. A uno sguardo meno superficiale, rappresenta una lucida e intensa riflessione sul dolore (subito o provocato) che si accompagna a ogni relazione umana. Partendo dall'omonimo manga, Miike mette rapidamente in secondo piano il convenzionale intreccio yakuza per concentrarsi su una carrellata di bizzarri personaggi dalle psicologie deviate (dal carismatico Kakihara all'instabile Ichi fino all'ex poliziotto Kaneko, la figura più tragica, tormentata del film), colti nell'infruttuosa ricerca di una qualche forma di felicità. Privo di armi o scontri a fuoco, il nucleo violento passa tutto attraverso smembramenti, mutilazioni e torture sadiche, in una continua esasperazione grottesca di leggi fisiche e limiti corporei. Se si aderisce all'energica carica nichilista del film, il divertimento è assicurato, nonostante la forte ironia e i toni fumettistici nascondano, in realtà, una delle pellicole più dolenti del regista, pervasa da una intensa malinconia di fondo continuamente richiamata dallo straniante commento musicale. A tratti prolisso, ma il fascino non gli manca.
Consigliato: Da vedere? Non mi verrebbe mai in mente di consigliarlo a qualcuno ma è un film davvero interessante, soprattutto se avete stomaco.
Voto: 6,5
Trama: Dopo la misteriosa scomparsa del boss Anjo, il folle e masochista Kakihara scatena una guerra fra bande per ritrovarlo. Ignora però il fatto che dietro a tutto c'è la mano di Jijii, il quale si sta servendo del fragile e sanguinario Ichi per tessere i fili di un complicato e pericoloso intreccio.
Recensione: Geniale, folle, bizzarro, ironico, prolisso, incoerente e a tratti noioso. Questo e tanto altro ancora è Ichi the Killer, spettacolo raccapricciante partorito dalla mente del diabolico Takashi Miike che qui rilegge un celebre manga. Non è un horror, ma è piuttosto splatter, anche se questo è un lavoro talmente particolare che non si sa dove collocarlo, Ichi the Killer non ha infatti un genere, lui è Ichi e basta, e ammazza un sacco. Si sa però che per film di questo "genere" si sente spesso usare la frase "per stomaci forti". E questo senza dubbio lo è, anche se Ichi the Killer non è un mero splatter privo di sostanza, è un film in cui il drammatico, lo yakuza-movie, il grottesco e lo splatter appunto, vanno a braccetto e non scadono nel banale, anche se l'eccelso è ben distante, perché seppur geniale è anche al tempo stesso, così ripetitivo e confuso da risultare a tratti letargico, e non tutte le trovate poi hanno la stessa forza dirompente. Ichi ha la faccia da debole, da uno che pare più uno studentello sfigato, piuttosto che un terribile carnefice. Ma Ichi è entrambe le cose e il regista "gioca" e sgretola lo stereotipo del temibile Killer annientatore. Si prova una certa compassione verso questo "povero" essere sfruttato e plagiato da chi cerca solo di raggiungere i propri interessi. Kakihara (interpretato da un grande già Tadanobu Asano), dalla faccia da Joker sfregiato, è un yakuza dall'animo di ghiaccio, che ricerca più il dolore fisico come piacere piuttosto che la vendetta. E' forte e freddo quanto sadico e masochista. Il sadismo e il masochismo, appunto, sono un filo conduttore dal primo all'ultimo minuto, sia nella nelle torture ai rivali, sia nella sessualità deviata. Le donne appaiono soltanto come prostitute e si respira una certa misoginia per nulla velata. La telecamera è spesso "schizofrenica" nel suo inseguire il sangue che zampilla dalle ferite mortali inflitte ai personaggi. La fotografia è curatissima e il montaggio accelera e rallenta a seconda delle azioni, nulla è lasciato al caso. Ichi the Killer è insomma un film sadico e lo spettatore è la sua vittima consapevole e consenziente, in cui il genio visionario e folle di Takashi Miike tortura la mente del suo pubblico, riuscendo a farlo ridere con una cascata di budella e sangue. Sufficienza piena di sicuro, più che piena.
Regia: Il film è girato con maestria eccezionale, le immagini sono sempre vivide, taglienti, esteticamente curate in ogni dettaglio. Lo stile di Miike è riconoscibilissimo sin dal primo secondo di pellicola, con una sequenza velocizzata che sembra uscire da un videoclip musicale. Una regia ed un montaggio schizzati che squarciano la pellicola e lo stomaco dello spettatore, che, comunque, non può fare a meno di lasciarsi andare a delle fragorose risate, grazie a delle trovate comiche senza le quali il film sarebbe stato davvero uno dei più traumatizzanti di sempre.
Sceneggiatura: Ichi the Killer non è un film sulla violenza, la violenza non è il fine del film ma è un semplice mezzo. La sceneggiatura infatti, comunque parecchio confusa e ripetitiva (e quindi non perfetta), vuole proprio trasmettere un messaggio che affonda le proprie radici nella filosofia pessimista: il piacere è un obiettivo irraggiungibile.
Aspetto tecnico: L'idea di puntare su scene piuttosto forti funziona, considerando anche che la realizzazione delle stesse è di un livello molto elevato e riescono a rimanere impresse nello spettatore per diverso tempo.
Cast: Kakihara, ottimamente interpretato da Tanadobu Asano è senza ombra di dubbio l'MVP della partita, battendo tutti gli altri con abbondante distacco.
Commento Finale: Cult assoluto di Miike, Ichi the Killer è l'opera che lo ha consacrato fra i fan di tutto il mondo come autore guida di un cinema estremo, delirante, eccessivo, iperviolento. A uno sguardo meno superficiale, rappresenta una lucida e intensa riflessione sul dolore (subito o provocato) che si accompagna a ogni relazione umana. Partendo dall'omonimo manga, Miike mette rapidamente in secondo piano il convenzionale intreccio yakuza per concentrarsi su una carrellata di bizzarri personaggi dalle psicologie deviate (dal carismatico Kakihara all'instabile Ichi fino all'ex poliziotto Kaneko, la figura più tragica, tormentata del film), colti nell'infruttuosa ricerca di una qualche forma di felicità. Privo di armi o scontri a fuoco, il nucleo violento passa tutto attraverso smembramenti, mutilazioni e torture sadiche, in una continua esasperazione grottesca di leggi fisiche e limiti corporei. Se si aderisce all'energica carica nichilista del film, il divertimento è assicurato, nonostante la forte ironia e i toni fumettistici nascondano, in realtà, una delle pellicole più dolenti del regista, pervasa da una intensa malinconia di fondo continuamente richiamata dallo straniante commento musicale. A tratti prolisso, ma il fascino non gli manca.
Consigliato: Da vedere? Non mi verrebbe mai in mente di consigliarlo a qualcuno ma è un film davvero interessante, soprattutto se avete stomaco.
Voto: 6,5
Tema e genere: Horror soprannaturale della commedia nera giapponese basata sull'omonimo primo arco di una serie manga
Trama: Shun Takahata è un normalissimo liceale che conduce una vita normale e che ha come miglior amica Ichika Akimoto. Un giorno, la testa di un insegnante esplode in classe e Shun e i suoi compagni sono costretti a giocare una partita con la morte senza sapere né con chi né come o perché.
Recensione: Vengono denominati i bambini di Dio gli studenti partecipanti loro malgrado al mefistofelico e impari scontro sovrannaturale che ha luogo in As the Gods Will, adattamento di un omonimo manga diretto per l'occasione da Takashi Miike, ben più che esperto in trasposizioni live-action. Il maestro nipponico ci trascina sin dai primi minuti, con una fase iniziale di rara e gustosa violenza filo splatter, nel puro delirio che dominerà le due ore di visione, un incontenibile concentrato di tipica follia giapponese sospesa tra horror e una verve demenziale e ispirata che si rifà proprio a iconografie e mitologie tipiche del Sol Levante. Ecco così che la narrazione, strutturata su una sorta di livelli da superare uno dopo l'altro, usa come inquietanti villain (resi in maniera piacevolmente caricaturale e con ottimi effetti speciali) figure classiche dell'immaginario nazionale e non come le bambole Daruma e Kokeshi, il Maneki Neko (il gatto della fortuna), l'orso bianco Shiro Kuma e la Matrioska, mettendole al comando di diverse sfide aventi a che fare con tipici giochi da bambini: da una simil versione di Un, due, tre, Stella al gioco della verità, da quello del gatto col topo fino al nascondino si usano sempre strade diverse affinché la sopravvivenza sia una meta da raggiungere soltanto per i più forti, i predestinati di un nuovo mondo. Le cause degli eventi rimangono di origine inspiegabile e se per buona parte del tempo i media di tutto il mondo (il fatto infatti ha avuto luogo nelle scuole di ogni dove) sembrano propendere, e noi con loro, per un'origine aliena, il finale aperto apre verso nuove vie, peccato che proprio la conclusione tranci parzialmente i fili della storia, costringendo presumibilmente lo spettatore ad aspettare un sequel (cinematografico) ad oggi non ancora annunciato. A ogni modo il film possiede una sua forza che gli permette di sopravvivere anche a se stante, un istinto viscerale che non lesina in risvolti dall'intenso impatto emotivo, tra tragiche perdite e inaspettati tradimenti, ben sorretti dal giovane e bravo cast che vede nel ruolo principale S9ta Fukushi. Non dimenticando una trama ricca di colpi di scena al contempo stravaganti e drammatici e, cosa più importante, coinvolgenti. Insomma, film stravagante e folle, davvero incredibile.
Regia: Il film è molto violento, come ci si poteva aspettare dal regista, le atmosfere seppur cartoonesche sono allo stesso tempo cupe e claustrofobiche. Egli infatti riesce ad esprimersi attraverso le tecniche più interessanti, e riesce a non annoiare mai lo spettatore. In ogni caso non manca una sua riflessione nichilista.
Sceneggiatura: L'incipit della pellicola è sicuramente tra quelli più interessanti e innovativi degli ultimi anni, ma con il passare dei minuti il film salta di livello in livello in modo ripetitivo. La sceneggiatura non aiuta a livello di dialoghi anche contestualizzata al genere, e il sotto-testo di fondo comunque presente non è approfondito, sia quello relativo alla gioventù giapponese sia quello relativo alla religione. Tuttavia esperimento interessante e riuscito dell'instancabile Miike.
Aspetto tecnico: Il sangue nel gioco del Daruma è spettacolare per il modo divertente con cui viene rappresentato, ormai un classico del maestro nipponico. Comunque non male tutti gli effetti speciali utilizzati, decisamente migliori di molte produzioni anche moderne.
Cast: Gli attori si comportano splendidamente, specie il protagonista maschile Fukushi Sota, forse proprio per l'età contemporanea a quella del personaggio che è chiamato ad interpretare. Splendida anche Hirona Yamazaki, la quale riesce a trasmettere la forza al proprio migliore amico per andare avanti.
Commento Finale: Un gioco al massacro totalmente ironico e fuori di testa da sembrare una versione satirica dei popolari Hunger Games riletti per l'occasione dalla genialità estrema dell'autore nipponico. Un'opera che mira allo sberleffo, all'irrisione, a sottoporre a uno shock inevitabile i palati più delicati e perbenisti, e a elettrizzare ancora una volta i tanti affezionatissimi fan del regista, grazie a una messa in scena piena di divertimento sanguinolento, effetti speciali, rompicapi e prove tanto sadiche quanto gustose. Splendidamente geniale.
Consigliato: Se amate il lato weirdo del Giappone, As The Gods Will è un film da vedere obbligatoriamente, grazie al genio di un regista ancora una volta capace di regalarci un instant cult.
Voto: 6+
Yakuza Apocalypse (Horror, Giappone 2015)
Tema e genere: Film d'azione horror grottesco giapponese che parla di yakuza e vampiri, e no, non è uno scherzo.
Trama: Akira ammira Genyo Kamiura, il più potente uomo della yakuza sopravvissuto numerose volte a vari attentati. A causa di tale ammirazione, decide di entrare nel mondo della mafia giapponese ma ben presto rimane deluso da una realtà diversa da quella vista nei film e dalla mancanza di valori come fedeltà e carità. La situazione però si complica quando Genyo entra nel mirino di un gruppo di assassini, che conoscono la sua vera natura di vampiro.
Recensione: Parlare della Yakuza giapponese è sempre argomento valido, quindi perché non allargare il campo facendoli diventare dei vampiri? E' infatti è quello che succede in Yakuza Apocalypse, un film che presenta appunto un'impressionante mescolanza di generi e di situazioni, per cui definirlo "thriller/action" oppure "vampire movie" sarebbe riduttivo. A dirigerlo è ovviamente Takashi Miike (uno specialista del tema della yakuza, avendo girato molti film con questo argomento), che regala al pubblico un film camaleontico che attraversa e mischia più generi fino a toccare vette di esilarante surrealismo e di originalità. Pregno di sequenze splatter, di violenza e di momenti bizzarri, Yakuza Apocalypse riflette perfettamente il particolare stile del cineasta giapponese. In questo yakuza movie condito da arti marziali e intaccato dal tema del vampirismo, Miike inserisce anche i personaggi più disparati attingendo anche dall'immaginario folkloristico giapponese. Rimane impresso anche il killer con lo zaino a forma di bara che ricorda Django ma anche tanti altri (stavolta però l'omaggio al contrario che in Sukiyaki Western Django si ferma qui). Non è tutto perché il protagonista dovrà affrontare anche un uomo che indossa un costume da rana (il personaggio più fantastico di tutti) e infine un mostro enorme che ricorda i kaijū (i mostri tipici della fantascienza giapponese). Miike apporta delle novità anche nel tema del vampirismo distinguendosi dai soliti vampire movie: la persona che viene morsa da un vampiro infatti si comporta come un membro della yakuza generando duelli di arti marziali e quindi violenza e caos. E così, tra colpi di scena, personaggi al limite del surreale (tipicamente giapponesi) e tanto sangue si ha modo di apprezzare questo prodotto della durata di quasi due ore. Un prodotto che intrattiene e riesce anche a far ridere, grazie appunto ad un impianto puramente grottesco e pieno di strane e curiose trovate. Un film in cui spettacolari sono le scene di lotta, grazie soprattutto agli interpreti chiamati in causa come Yayan Ruhian nel ruolo del villain (impossibile dimenticare le sue performance anche in The Raid e The Raid 2) ed il protagonista Hayato Ichihara, non un professionista nelle arti marziali ma che ben figura nelle coreografie di lotta. Un film, anzi, una bomba ad orologeria che esplode sin dai primi minuti travolgendo lo spettatore che non può far altro che ammirare gli eventi carichi di azione, passione e umorismo, abbellito dal finale enigmatico. Insomma un film folle e straordinario che nella sua durata di quasi 2 ore ingloba, oltre all'inconfondibile stile registico, anche gran parte della cultura, delle tradizioni e del folklore giapponese. Il risultato non solo è notevole ma anche sorprendente.
Regia/Sceneggiatura: Sull'eclettico regista giapponese Takashi Miike se ne possono dire di tutti i colori, ma di certo non che non sia originale e soprattutto audace. Questa volta compie una a dir poco insolita commistione di generi, che dal semplice yakuza movie, ovvero dedicato alla "mafia" giapponese, sfocia in un delirio pieno di azione ed elementi horror come il vampirismo, nonché di strambi personaggi presi dal folklore giapponese. Il risultato è il frutto del tipico modus operandi del director: l'istinto, nato dalla convinzione che il cinema goda di vita propria, dimostrando il suo amore per la settima arte e la sua voglia di sperimentare. La sceneggiatura però è del fidato Yoshitaka Yamaguchi, conosciuto quando era ancora studente e diventato col tempo suo assistente.
Aspetto tecnico: Lo stile e la fotografia sono i tipici segni inconfondibili dell'impronta di Miike, una vera goduria per gli occhi che conferma la straordinaria verve artistica mai sottotono del giapponese. Belle le musiche, tra il motivo del fischio quando arriva lo strambo cattivo e canzoni che incrementano anche un'atmosfera alla fine fumettistica, cartoonesca, e perché no videoludica.
Cast: Tra gli attori troviamo Hayato Ichihara, che impersona il protagonista Kagayama, ambizioso braccio destro del boss Kamiura (Lily Franky), che si troverà di fronte a degli eventi dai risvolti molto pericolosi, e lo stunt indonesiano Yayan Ruhian, famoso per il dittico "The Raid", nel ruolo del potente combattente Cane Pazzo. Comunque tutti, tenendo a mente il tipo di film, se la cavano bene.
Commento Finale: Yakuza Apocalypse è una perla, una gustosa macedonia di generi non leggeri che non può non stupire e meravigliare lo spettatore, dagli austeri e veloci vampiri all'arrivo di questo stupendo ranocchio difficile da sconfiggere, dalle lotte corpo a corpo al magnifico finale, sospeso ma comunque spaventoso.
Consigliato: Un noir/action/horror/commedia da recuperare e consigliato soprattutto a chi cerca un cinema fuori dagli schemi, imprevedibile e soprattutto folle.
Voto: 6+
Ora ne voglio sicuramente anch'io a questi pazzi film, film che mi resteranno in testa per parecchio tempo ;)
RispondiEliminaSi beh, me ne sono accorto eccome di quanto sia "disgustosamente" divertente, ma altre visioni anche con stomaco non so se riuscirei :D
Non ho visto questi film, ma credo che li guarderei.
RispondiEliminaMi hai fatto ricordare che quando andavo alle medie era molto diffuso un sito che si chiamava, se non erro, Rotten, in cui lo splatter era un must.
Lo conosci?
Dovresti esser sola in casa però, almeno non dovrebbe esserci Lorenzo, decisamente tanto sangue :D
EliminaSì lo conosco, ma non mi facevano effetto fortunatamente quelle immagini ;)
No dai, Django e Ichi sono magnifICHI! 😂😂 il secondo soprattutto, riesamina della cultura nipponica non da poco.
RispondiEliminaSul secondo son d'accordo, ma mi ha frenato nel voto la trama un po' contorta, però sì, che film incredibile ;)
EliminaDecisamente non il mio genere.. a Takashi Miike preferisco di gran lunga Beat Takeshi Kitano.. ;)
RispondiEliminaUn'altro mito, anche se io lo conosco soprattutto come attore, ma chissà, potrebbe essere il prossimo regista orientale da riscoprire ;)
EliminaAnch'io mi sto dando ai recuperi orientali, ma questo regista, mi sa, non farebbe proprio per me...
RispondiEliminaE no, non è per tutti :D
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