Nick, giovane surfista, raggiunge il fratello in Colombia, pensando di aver trovato finalmente il paradiso. L'incontro con Maria, una bellissima ragazza del posto, segna però l'inizio di un amore che cambierà presto il resto dell'esistenza di Nick. Nel momento in cui tutto sembra perfetto infatti, Maria decide di presentare a Nick suo zio: Pablo Escobar, il capo del cartello della droga colombiano di Medellin, che inevitabilmente lo coinvolgerà nelle sue losche attività. Queste le premesse che ci introducono all'opera prima di Andrea Di Stefano, al suo debutto internazionale come regista e sceneggiatore. Un'opera, un film, Escobar (Escobar: Paradise Lost), del 2014 scritto e diretto dal regista italo-americano, indubbiamente riuscito e discreto seppur non memorabile, che però ancora una volta ci consegna una robusta e magnetica interpretazione di un sempre più affermato Benicio Del Toro, qui calatissimo nella parte di Pablo Escobar, di cui riesce perfettamente a far esaltare luci e ombre, debolezze e manie, regalandoci un affresco impeccabile di uno dei più noti e controversi criminali dei nostri tempi, e lasciando come attore la sua impronta distintiva. Il ruolo di Escobar, infatti, sembra naturalmente pensato per essere indossato da un fenomenale Benicio, che ancora una volta ruba la scena al vero e proprio protagonista, Nico (interpretato da Josh Hutcherson), diventando il centro gravitazionale del film. Inquietante ma affascinante al tempo stesso, la figura di El Patron assume nuove dimensioni, e ci viene presentata in tutte le sue forme più umane e spietate al tempo stesso, prima un uomo e padre modello, un punto di riferimento per il popolo colombiano, un uomo devoto alla famiglia e alla religione ma anche uno spietato assassino che ordina le stragi persino dei suoi collaboratori più fidati, e un narcotrafficante tra i più pericolosi e ricercati al mondo.
La pellicola, dunque, è un abile incrocio di generi, tra il biografico, il dramma, il thriller (indiscutibilmente figlio degli action movie americani) con momenti esplicitamente action, anche se non si incanala su quelle tematiche prettamente guerresche (ci sarebbe tantissimo da far vedere) ma cerca di percorrere strade un po' diverse. Il film di Andrea di Stefano difatti diventa, a suo modo, poliedrico, offrendo una veduta diversa ed inserendo nello spaccato storie di uomini comuni, è qui la particolarità dell'operazione cinematografica. Dato che Escobar si snocciola (e vivendo in due distinti tronconi) non solo attorno a due personaggi distanti dalla "movida" criminosa, ovvero una coppia di ragazzi che si amano, Nick e Maria (la bella Claudia Traisac), quest'ultima nipote del boss, ma anche attorno al mondo disincantato e altresì sanguinario che la malavita si porta appresso. D'altronde il regista illustra, nella prima parte, un mondo quanto mai parallelo a Pablo Escobar, e solo nella seconda parte il tutto collima nel sangue e nell'apocalisse di uccisioni e resa dei conti. Per questo, malinconico e romantico, nel senso di decadente, dalla prima all'ultima inquadratura il Paradise Lost di Di Stefano affida perciò la narrazione della storia al giovane e innocente Nico, una figura diametralmente opposta a quella di Escobar, un anti-eroe drammatico e segnato dal destino che perderà progressivamente tutto ciò che ama, conoscendo il dolore, la perdita, il tradimento, la rabbia in un crescendo di violenza inaspettata e ingiustificata.
Nico, interpretato comunque da un intenso e straordinariamente impegnato seppur non perfettamente in parte Josh Hutcherson (conosciuto soprattutto per la sua discreta interpretazione nella famosa saga distopica Hunger Games), era infatti la scelta inevitabile per raccontare, attraverso la sua figura, ciò a cui fa riferimento il titolo stesso, la perdita dell'innocenza, il passaggio dal idillio alla più cruda e brutale realtà, lo sgretolarsi di ogni speranza e aspettativa per raggiungere il culmine di tragicità nella perdita di coloro che ama di più, la sua famiglia. Il tutto avendo come sfondo la Colombia dei primi anni novanta, la Colombia piegata e ferita dalla miseria e povertà nella quale si era creato un impero Escobar. L'ingenuità e la semplicità di Nico si scontrano più volte col volto spietato di Escobar, che a sua volta diventa il simbolo di una nazione spezzata, un paradiso corroso e violentato nel nome della droga e dell'arrivismo, fin quando avviene la svolta decisiva e finale, quando anche lo sbigottito ragazzo perde definitivamente ogni traccia di umanità e innocenza. Il Male che contagia e trasforma il Bene in una furiosa macchina di vendetta. Ma percepibile è pure il divario intestino della nazione, da una parte c'è il popolo, le bande che si spartiscono i territori, le famiglie, dall'altra c'è lui, El Patron, che come un Dio onnipresente e onnisciente controlla e comanda tutto, compresa la vita e la morte dei suoi connazionali.
Simbolica e suggestiva in tal senso la scena col piccolo Martin, anch'egli vittima dell'ondata di violenza che si innesca per ordine di Escobar nelle poche ore che lo separano dal consegnarsi alle autorità. Realtà e finzione difatti si intrecciano costantemente in questo prodotto, che parte da un setting e un personaggio realmente esistito, incentrandosi nel periodo tra il 1991 e il 1993, per poi tessere la storia (fittizia) d'amore tra Nico e Maria e seguirne il progressivo disfacimento, la discesa verso l'inferno con l'arrivo dirompente di Pablo Escobar nella vita dei due, e raccontare una storia (interessante ed appassionante) parallela fatta di sconfitta e dolore. Proprio per questo il film sorprende e risulta altresì essere dignitoso, giacché Escobar non si ferma nelle stazioni della convenzionalità ma cerca, con tutte le forze, di andare oltre. E a mio avviso, nonostante memorabile o indimenticabile questo film non è, riesce ugualmente nell'impresa. Paradise Lost infatti, grazie alla serratissima regia, l'intensa, umana e verosimile interpretazione degli attori principali che riescono sempre a trasmettere allo spettatore le emozioni (anche contrastanti) che provano nelle diverse situazioni, è indubbiamente, anche se solo discretamente, un'opera completa e riuscita. Opera in cui, abbastanza solida è la sceneggiatura e la struttura narrativa, compresa di flashback e salti temporali avanti e indietro che però non disturbano e non confondono lo spettatore nel seguire la storia.
Curata e funzionale è anche la fotografia e il contrasto dei colori, molto nitidi e vividi nella prima parte (quella che racconta la gioia di vita) per optare successivamente verso tonalità più scure e cupe, seguendo il mutamento della trama e del protagonista. Altra carta vincente per la suddetta pellicola è che racconta la violenza ma senza cadere nella trappola dell'autocompiacimento, evitando accuratamente di mostrare (visivamente) la crudeltà di cui narra. Niente scene forti, splatter o sensazionalistiche, qui la violenza è soprattutto percepita e immaginata ma altrettanto abrasiva. Curati e verosimili anche i dialoghi. Escobar insomma ha tutte le carte in regola per essere un buon e visibile film, che cattura, inquieta, coinvolge e commuove. Anche le prove recitative in effetti colpiscono, Benicio Del Toro (straordinario in Sicario ed efficace in Le Belve) su tutti ovviamente, ma la vera rivelazione si nasconde proprio nel volto prima statico poi stupito e sofferto di Josh Hutcherson che riveste abilmente (seppur con qualche evidente eccesso) i panni del ragazzo qualunque, un po' impacciato che si vede crollare il mondo addosso ma riuscendo pienamente a farci immedesimare nelle sue peripezie e stati emotivi fino all'escalation conclusiva. Comunque sempre riguardando gli attori, da nominare sono Brady Corbet (Giovani si diventa e Forza Maggiore) e Carlos Bardem (fratello maggiore dell'attore Javier Bardem, già visto in Anime Nere, Cella 211 e Che: Guerriglia), da segnalare invece oltre alla bella ma sconosciuta Claudia Traisac, la dolce Ana Girardot (Les Revenants) e la sexy Laura Londoño.
Ovviamente però Escobar un film perfetto propriamente non è, le note negative ci sono eccome, anche se solo lo spettatore attento potrebbe trovarli. Prima di tutto il finale appare un po' troppo precipitoso e veloce, quasi come mancasse una parte che lega le azioni di Nico tra la scena notturna in auto e la successiva in chiesa. E probabilmente sarebbe stato opportuno approfondire maggiormente il personaggio del fratello Dylan. Dato che su alcuni personaggi (soprattutto su quest'ultimo) manca infatti un po' di corposa "scannerizzazione" psicologica. Ma forse il film per riuscire in questo intento, in questa piccola richiesta, doveva durare una mezz'ora in più, almeno. Però siccome il ritmo poteva pagarla cara, ha fatto decisamente bene a non farlo. Dopotutto anche senza riesce nell'intento di rendersi appassionante, perché superati e perdonati questi difetti, il suddetto resta altamente vedibile e coinvolgente. Poiché a conti fatti, Escobar, resta una sorpresa positiva, specialmente per il debuttante di Di Stefano che non ricorderemo qui, per una temeraria fantasia e rischio di rappresentazione cinematografica, ma per un ottimo compito svolto, fra equilibrio ed intelligenza. Il tutto nonostante alcuni difetti, come sottolineato precedentemente, anche se in definitiva (e anche se l'ottima resa del personaggio di Escobar come detto mette a nudo una frammentaria caratterizzazione degli altri protagonisti), il suo esordio è assolutamente da promuoversi. Giacché questo film, che fa ben sperare sul futuro registico del giovane italo-americano, è un thriller emozionante, pieno di tensione, azione e ritmo, che seppur non a grandi livelli o risultati straordinari, si lascia vedere, si può vedere ed è certamente da vedere. Voto: 7
Wao, è praticamente italiano!
RispondiEliminaNon lo sapevo! Ammazza, tra film e telefilm stanno ripompando la figura di Escobar e dei narcotrafficanti sudamericani.
Insomma, dai, questo piàù che un post è un consiglio che mi hai dato! Recupero!^^
Moz-
In effetti ultimamente ho visto tanti prodotti trattare la sua magnetica figura, ma vedendo anche questo ho capito il perché, le sfumature sono tantissime e non basta uno solo ;)
EliminaMi sono un po' meravigliato anch'io che il regista fosse italiano, anche perché è stato bravo e il film è davvero consigliabile :)
Devo vedere anche questo, ma quanti ne devo recuperare? Eh si, mi devo mettere di buona lena :D
RispondiEliminaNon sai quanti ne ho anch'io, un'infinità ;)
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