martedì 30 aprile 2019

Gli altri film del mese (Aprile 2019)

Vi parlavo ieri di quella piccola (per non dire smisurata) delusione accaduta questo mese, che tuttavia non mi ha precluso un passaggio di vacanza tranquillo. Infatti a fare da contraltare a quel fatto sportivo che ormai tutto il mondo sa (che in ogni caso è stato attutito dalla vittoria di un trofeo dalla portata storica difficilmente replicabile), il fatto che è arrivata la Pasqua, anzi, sono arrivate le uova di cioccolato. Quest'anno ben 4, tutte diverse una dall'altra, purtroppo però di regali all'interno tutti ugualmente mediocri, due portachiavi e due collane, quest'ultime poi con fili davvero orrendi. Cioè non che mi aspettassi chissà cosa, però qualcosa di più originale era meglio trovare, ma mi sono dovuto accontentare, e comunque la cioccolata è stata una ricompensa gradita. Di altro di interessante non è invece successo niente, a parte in ambito cinematografico, che ha riservato alcune sorprese, alcune sono qui, altre invece ne saprete presto. Comunque prima di lasciare spazio alle recensioni, se ve lo stavate chiedendo, il nuovo banner del blog, che rimarrà lì fino a metà luglio o giù di lì, è presa da un'immagine dalla sorprendente e bella serie tv Kidding, quella con Jim Carrey, che nell'immagine tuttavia non è presente, ma è un dettaglio di poco conto.

lunedì 29 aprile 2019

I peggiori film del mese (Aprile 2019)

Vi sono mancato? Io spero di sì, di sicuro mi siete mancati voi, anche se, in questi 17 giorni di vacanza, sono passato assiduamente tra i blog, quindi lontano dalla blogosfera non sono stato, anzi, lontano neanche da Blogger, dato che ho approfittato per scrivere parecchie recensioni ed ovviamente preparare alcuni altri post. In tal senso avrei preferito un rientro più di qualità, e invece mi tocca rientrare con il post "peggiore", cioè questo, ma ormai dovreste essere abituati. E quindi, eccovi i film peggiori visti questo mese, mese che purtroppo sportivamente parlando mi ha lasciato l'amaro in bocca, e vabbè.

Skyscraper (Azione, Usa 2018): Questo è uno di quei film senza pretese che punta tutto sulla forza bruta e sull'azione all'ennesima potenza. Tuttavia, qualcosa va storto nel processo creativo, perché il film, che racconta di Will (Dwayne Johnson, a cui sicuramente non gli si può dire niente), ex agente dell'Fbi e veterano di guerra, che si occupa di valutare gli standard di sicurezza dei grattacieli, che quindi per lavoro in Cina, vede andare in fiamme il grattacielo più alto e sicuro del mondo, egli che ritenuto colpevole, si vede costretto a scappare, a ricercare i veri responsabili e a salvare sia la sua reputazione sia la sua famiglia intrappolata all'interno dell'edificio, è platealmente inverosimile. Si spinge parecchio oltre il limite dell'umano, il che non sarebbe un problema se non si presentassero situazioni inverosimili frequentemente. Colpa presumibilmente del regista, Rawson Marshall Thurber (quello del divertente ma troppo assurdo Una spia e mezzo), che prende troppe decisioni sconcertanti per quanto riguarda la trama in generale (anche se pur registicamente egli lasci a desiderare, con certe scene interessanti gestite in modo non esaltante). Ogni volta che si incontrano l'un l'altro, i personaggi risultano semplicemente slegati tra di loro. Non che mi aspettassi tanto da Skyscraper, un film che prova ad essere un Die Hard più duro, ma almeno avrebbe potuto prendere in prestito le parti migliori del film classico a cui si ispira, invece niente. Come se la poca originalità nello sviluppo della storia non bastasse, non ci sono colpi di scena tangibili. Il fatto che Will non abbia una gamba è molto interessante, ma quest'aspetto si presenta a sbalzi nel film, come se gli autori si ricordassero di colpo che hanno un protagonista senza un arto. Stucchevoli quadretti familiari si alternano a più riprese a sventagliate di mitra, il tutto incorniciato digitalmente (e neanche ottimamente) da un fuoco che dovrebbe mangiarsi tutto il film ma che poi non fa così paura. Anche l'edificio non diventa mai un vero e proprio personaggio. Possiede tante caratteristiche interessanti, ma dal momento che viene sabotato, il film non riesce a imprimere quella situazione di Will contro l'edificio, è costantemente un Will contro i cattivi. Il The Pearl vanta anche una sala degli specchi ad alta tecnologia senza alcun motivo logico e non solo...lo script dedica parecchio tempo ad incensare il grattacielo ma poi non lo sfrutta al meglio. Inoltre, è davvero inspiegabile perché, in un edificio in fiamme, nessun personaggio si comporta mai come se stesse all'interno di un luogo in cui la temperatura risulta insopportabile. Mi sarei aspettato un goccio di sudore o qualche effetto più credibile in qualche scena. Ora, non voglio essere troppo critico, le esplosioni mi sono piaciute, e mi è piaciuto rivedere in azione Neve Campbell, ma egli stessa e The Rock (entrambi carismatici che riescono comunque a far sì che questo non sia completamente un film da buttare) meritavano di meglio. La categoria dei film d'azione, anche se questo pur non raggiungendo nuove vette di originalità cinematografica rimane in ogni caso un blockbuster caciarone che si lascia guardare senza indugi, meritava di meglio. Perché certo, nonostante tutti i difetti (anche una colonna sonora veramente poco originale), mi sono leggermente divertito a guardare Skyscraper, ma poi quello che rimane è pochissimo. Ed è un peccato, perché c'era tanto potenziale...ahimè non sfruttato. Voto: 5 [Qui più dettagli]

venerdì 12 aprile 2019

Le mie canzoni preferite (Marzo/Aprile 2019)

Leggermente in anticipo lo so (di venerdì poi è accaduto quasi mai), ma si è reso necessario questa volta anticipare questo classico mio post bimensile inerente alle mie canzoni preferite del periodo per potervi salutare nei migliori dei modi. Infatti, come avevo già accennato un mesetto fa, mi prenderò una "piccola" pausa a partire dalla prossima settimana fino alla successiva (il rientro è fissato per gli ultimi due giorni del mese). Due settimane, a cavallo delle feste pasquali, in tal senso l'immagine del post (un uovo) è eloquente e vi fa capire che già da oggi vi faccio i migliori Auguri di Buona Pasqua (e Pasquetta), che mi serviranno per così dire "mettere fieno in cascina", anche perché al momento ho solo tre post, tre recensioni da pubblicare. Due settimane di riposo (riposo tanto per dire, anche perché attivo tra i blog sarò comunque e a scrivere mi concentrerò) che spero non rallenti troppo le visite, o l'attenzione, ma è un rischio calcolato, e in ogni caso non mi perderei d'animo, so che mi seguite costantemente e vi ringrazio. Ma bando alle ciance, cliccate play (Youtube o i video) e buon ascolto.

Se vi dico che mi piace questa canzone, anzi video, solo perché c'è Elodie, non pensate male..

giovedì 11 aprile 2019

Detroit (2017)

Detroit, 23 luglio 1967: una retata della polizia in un locale sprovvisto di licenza per la vendita di alcolici è la scintilla che innesca la rivolta della popolazione afroamericana della città, esasperata ormai da tempo dalle differenze di classe e dalla brutalità della polizia, composta principalmente da agenti bianchi. I disordini continuano per giorni e raggiungono una gravità tale da costringere il governatore dello stato del Michigan a dichiarare lo stato d'emergenza, schierando l'esercito per le strade di Detroit. Il risultato è una vera e propria guerriglia urbana che si concluderà in una carneficina dal bilancio di 43 morti, 1189 feriti e circa 7200 arresti. Eppure sui fatti occorsi la notte tra il 25 e il 26 luglio 1967 presso il Motel Algiers di Detroit non è mai stata fatta chiarezza, al di fuori delle testimonianze di chi quei fatti li ha vissuti in prima persona. Tuttora è infatti tutto avvolto da un velo di omertà, molti aspetti di quello che successe durante quella notte non sono ancora del tutto chiariti e la stessa regista (che torna finalmente dietro la macchina da presa dopo sette anni dall'ultima volta) ammette di essere stata costretta a romanzare (forse troppo) i fatti dell'accaduto. E l'accaduto è un terrificante fatto di cronaca che vide tre afroamericani brutalmente massacrati e uccisi dalle forze di polizia. E a narrare questi tragici eventi sono lo sceneggiatore Mark Boal e la regista Kathryn Bigelow. Dopo The Hurt Locker e Zero Dark Thirty, Kathryn Bigelow ed il suo inseparabile sceneggiatore, il giornalista Mark Boal, scelgono infatti di rappresentare i fatti di Detroit, e questo caso specifico accaduto in una delle più grandi città d'America, nel film omonimo, Detroit, film del 2017, con la capacità di mostrare la verità dei fatti in un film documentario che ha la capacità di presa sullo spettatore come l'escalation emotiva che provoca un susseguirsi di eventi che portano alla risoluzione di un thriller, trascinando così lo spettatore in uno degli episodi più violenti della moderna storia americana. Un episodio, un film però, anche se dal punto di vista politico potrebbe essere uno schiaffo a Trump e le sue "ideologie", che ha lo scopo di far vivere allo spettatore non la piaga del razzismo, ma l'abuso di potere, la violenza che trascina un vortice di altre violenze ed il dramma psicologico che si trascinano le vittime che hanno subito abusi e soprusi. I fatti di Detroit avvengono nell'arco temporale di 5 giorni, ma il film si concentra nello scoppio della Rivolta del Riot (12 th street), l'abuso e la violenza da parte dei poliziotti bianchi verso i ragazzi neri ad un Motel (il famigerato Motel Algiers) e poi al termine della rivolta il processo che lascerà molti insoddisfatti.

mercoledì 10 aprile 2019

Room 104 (1a stagione)

Un format poco diffuso, una struttura non convenzionale, non facile sembrava in partenza, eppure alla fine si rimane più o meno soddisfatti dalla nuova serie antologica (12 puntate in totale) di HBO, Room 104. Una serie, firmata dai fratelli Duplass (che per HBO avevano già sviluppato la dramedy Togetherness, non con tanto successo), con un concept molto semplice ed una struttura narrativa decisamente suggestiva, si raccontano cose accadute all'interno della stanza 104 di un albergo. Infatti ogni episodio fa storia a sé e l'unica cosa che rimane invariata per tutta la stagione è la location: la stanza 104 di un motel statunitense, non meglio localizzato geograficamente. In tal senso viene spontaneo associare questa configurazione (anche se in questo caso però è sicuramente importante anche menzionare l'influenza della serie britannica Inside No.9, che con Room 104 condivide anche l'ambientazione al chiuso, oltre che il format) a Black Mirror, probabilmente lo show che in questi anni ha contribuito maggiormente (grazie alla sua qualità e al successo ottenuto) a rilanciare questo tipo di prodotti, ed effettivamente si individuano alcuni punti di contatto, seppur esclusivamente a livello concettuale, tra le idee alla base delle due serie televisive: i fratelli Duplass, così come Charlie Brooker soprattutto nelle ultime due stagioni, scelgono di spaziare molto tra i generi narrativi a loro disposizione, proponendo episodi molto diversi tra loro per struttura narrativa, tematiche introdotte e caratteristiche tecniche. Ogni episodio, quindi, ha una storia diversa, con attori e autori diversi, temi diversi, taglio differenti, con un proprio stile caratteristico e sviluppi imprevedibili: non c'è un filo logico evidente o una tematica di fondo a collegare la stagione, né dal punto di vista narrativo che strutturale rispetto alla trama verticale di ogni episodio. La stagione è a tutti gli effetti una raccolta di cortometraggi (considerata la durata molto breve di ogni puntata, poco più di venti minuti) che vanno analizzati singolarmente e che, proprio per questo motivo, determinano l'andamento altalenante della qualità della serie. Anche perché raccontare una storia in 20 minuti è difficile, si può sbagliare in qualsiasi momento e arrivare in fondo senza aver trovato una chiave efficace o senza aver costruito un percorso inattaccabile. Non a caso ad episodi eccellenti ne corrispondono altri molto deludenti e alle volte addirittura disastrosi, con una trama inconsistente e priva di mordente.

martedì 9 aprile 2019

Una donna fantastica (2017)

Dopo "Gloria", il regista Sebastian Lelio presenta un altro interessante ritratto di donna, anche se in questa pellicola la donna in questione è molto "particolare" perché è un transgender che, dopo la morte improvvisa del suo compagno, rimane completamente sola ed, anzi, invisa e rifiutata da tutti i componenti della famiglia a cui il proprio amante apparteneva prima della loro relazione sentimentale. Come in quel più che discreto film quindi, Una donna fantastica (Una mujer fantástica), film del 2017 diretto dal protegé di Pablo Larrain (che co-produce e presta volti noti), ha come tematica principale l'identità, portandoci così nuovamente alla lenta scoperta dei caratteri dei personaggi ed in tal caso alla loro forza o debolezza. Ma se Gloria trattava di una ridefinizione dell'identità, questo film si pone come un ideale seguito dove l'identità ridefinita duramente da un transessuale che si sente pienamente donna viene messa sempre in discussione dagli altri che lo vedono come un oggetto strano, un essere perverso o una cosa indefinibile, pertanto, alla protagonista ciò comporta una serie di discussioni e di attacchi verbali molto offensivi, a volte persino violenti, da parte degli ex-familiari che ella deve affrontare con coraggio e determinazione, insieme anche a svariate questioni pratiche, quali l'abbandono immediato dell'appartamento dove il defunto amante le permetteva di abitare e l'abbandono del cane, che le rendono ovviamente più difficile la sua condizione di profondo e sincero dolore. Dall'ex famiglia le viene, inoltre, negata la possibilità di partecipare alle onoranze funebri dell'amante data la sua particolare condizione sessuale ritenuta disdicevole ed imbarazzante e, pertanto, totalmente vergognosa. Di conseguenza per la protagonista si tratta di ricominciare lottando a mantenere ciò che ha acquisito con piena consapevolezza, cercando allo stesso tempo di essere riconosciuta dagli altri. Dopo innumerevoli "battaglie", affrontate sia prima che dopo la morte del suo compagno, la protagonista riuscirà infatti ancora una volta a non soccombere ed a volgersi verso il proprio futuro nuovamente con estremo coraggio e forza interiore.

lunedì 8 aprile 2019

Justice League (2017)

Dopo il film che ha chiuso, ma non definitivamente, il percorso produttivo ed artistico della casa delle idee, ecco finalmente il film della sua rivale, che con Justice League prova a replicare quel fantasmagorico successo, ma come già capitato in altre occasioni, non ci riesce. Il confronto, perché è ovvio in questo caso fare dei confronti, dopotutto il dualismo tra Marvel e DC Comics che ha sempre connotato il pantheon super-eroistico dall'epoca delle strisce a fumetti si è evoluto ed è continuato imperterrito anche nel cinema, perciò è giusto e normale farlo, è infatti impietoso, l'enfasi epica è carente, le coreografie di combattimento inesistenti, buoni certamente gli effetti speciali (ma questa non è una sorpresa), ma il resto lascia a desiderare, e gli unici picchi emotivi sono conferiti dalla colonna sonora. Difatti, anche se la struttura è identica a quella di The Avengers, per filo e per segno, il team che si riunisce, le Scatole Madri al posto del Cubo Cosmico, il primo round con il cattivo, l'innocua scazzottata tra supereroi e lo scontro finale, e paradossalmente abbia lo stesso sceneggiatore, il risultato è completamente diverso. La Marvel con il suo MCU ha trovato la quadra per collocare i suoi eroi in un universo transmediale che fonde abilmente le storie in un unicum fatto di fumetti, videogiochi, serie tv e film, con questi ultimi capaci presumibilmente di riprenderne le caratteristiche fondanti del fumetto e innervarle di una sana ironia sdrammatizzante. Questa formula ha consentito di produrre buoni film indipendentemente dalla popolarità del supereroe, si vedano gli esempi più che riusciti di Ant-Man e Doctor Strange. Risponde la DC Comics, zoppicando malamente alla ricerca della formula della concorrente, evidentemente difficile da replicare quanto cercare di copiare la Coca-Cola, e infatti producono la Pepsi-Cola, che non la beve nessuno ed in confronto è niente.

venerdì 5 aprile 2019

Wonder (2017)

Sono numerosi i casi in cui il cinema si è confrontato con personaggi aventi una condizione di diversità fisica, causata dalla malattia: Freaks di Tod Browning, The Elephant Man di David Lynch e Dietro la maschera di Peter Bogdanovich sono solo alcuni esempi. Nel nuovo film di Stephen Chbosky, film del 2017, Wonder, è un bambino a dover fare i conti con la propria deformità fisica e a sottoporsi al peso dello sguardo indiscreto e crudele degli estranei. In tal senso il film aveva tutto per essere un drammone strappalacrime, in più ricattatorio, perché si parla appunto di bambini. Invece, pur avendo una tensione emotiva molto evidente, riesce ad essere attento, intelligente, profondo nella rappresentazione della malattia, perché allarga la prospettiva adottando punti di vista tematici validi per tutti: quello della difesa dei diritti del bambino malato, il rapporto con la diversità e una non peregrina riflessione sul bullismo. Il film è inoltre brillantemente diviso, in quattro voci narranti, che raccontano le differenze e le difficoltà del rapporto con Auggie, il protagonista (Jacob Tremblay), un bambino che ha dieci anni e dalla nascita ha una grave anomalia cranio-facciale, bambino che deve affrontare il mondo e andare a scuola dopo aver avuto un'educazione da sua madre a casa, un bambino che tra tante difficoltà deve riuscire a trovare il suo posto nel mondo. La sorella, Via (Izabela Vidovic), al primo anno di High School, poco considerata da una famiglia che pensa solo al fratello di cui forse si vergogna anche un po', Jack Will (Noah Jupe), compagno di scuola, e della sua amicizia difficoltosa con Auggie, e infine Miranda, ex migliore amica di Via. Tante voci, tanti sguardi, a cui se ne attaccano altri: i genitori soprattutto, la madre (Julia Roberts) totalmente affezionata al figlio, ma fragile e preoccupata, il padre (Owen Wilson), il più solido tra tutti e sempre presente per la moglie e i figli, e poi il preside (Mandy Patinkin) e l'insegnante di Auggie, il fidanzato di Via, i bulletti della scuola e Summer, che tra tutti gli amici ha lo sguardo più libero. Ed è questo che emoziona e commuove, il non voler necessariamente esasperare il tema della malattia da lacrima facile, ma emozionando facendo vivere delle situazioni di vita quotidiana in cui forse ciascuno di noi, da genitore o da figlio, si è trovato.

giovedì 4 aprile 2019

True Detective (3a stagione)

C'era grande attesa per la nuova stagione di True Detective, derivata in parte dalla fama della prima stagione e dalla delusione per la seconda, che chiamava a gran voce un riscatto da parte degli autori. Le premesse c'erano tutte, un ritorno alle origini delle serie e un cast ridotto ma d'alto livello. La scelta di far interpretare a Mahershala Ali il nuovo protagonista ha incuriosito gran parte dei fan della serie, che hanno atteso con trepidazione la sua prova. La loro attesa non è stata delusa, e l'attore è stato magistrale come sempre (un po' come tutti gli altri attori impegnati nella serie). Ciò che invece ha abbattuto le aspettative è stata la costruzione della storia e la sua messa in scena fino a che non ci si accorge di una narrazione stanca ed estenuante subito dopo i primi promettenti episodi. La terza stagione di True Detective infatti, pur restando ed essendo comunque un solido esempio di thriller e mistery drama, capace di inchiodare lo spettatore fino all'ultima puntata e pur confermando il talento del neo premio Oscar Mahershala Alì, che si conferma appunto uno dei più grandi interpreti del nostro tempo, non convince del tutto. E non c'entra solo il fatto che inesorabilmente paghi il confronto con la straordinaria prima, difatti per quanto essa poteva viaggiare ad alti livelli (e per un po' lo fa), era chiaro che non potesse mai raggiungere l'accattivante eleganza di quella impareggiabile stagione, ma perché non tutto è andato come doveva andare in questa terza stagione, andata in onda da gennaio a marzo su Sky Atlantic. E questo soprattutto perché, con il chiaro intento di restituire le emozioni e le atmosfere della prima, non bastasse che anche qui il caso che fa da perno per la vicenda si svolge in diversi archi temporali (di nuovo quindi in un'altalena temporale), la serie non riesca a replicare il medesimo successo, il medesimo effetto. Siamo infatti ben distanti dalla violenta eleganza della prima stagione con Matthew McConaughey e Woody Harrelson. La filosofia, l'introspezione, l'azione e soprattutto il pathos che caratterizzò l'esordio della serie vengono qui a mancare (o almeno in parte), manca quasi l'anima a questa terza stagione, stagione che ha un'obiettivo di altra natura, ovvero raccontare semplicemente un uomo, e questo indubbiamente ha pesato negativamente in confronto anche alla narrazione meno "potente" e più caotica.

mercoledì 3 aprile 2019

Mektoub, My Love: Canto Uno (2017)

Conservo sensazioni contrastanti come lascito della visione di questo film, al pari dei precedenti incontri con il mondo cinematografico di Abdellatif Kechiche. Nelle intenzioni un inno alla vita, ai corpi, ai sentimenti, ma per chi non è un fan acritico dell'autore, il rischio è di provare una noia profonda per infinite chiacchiere inframmezzate da bagni e giochi in mare, baci (anche tra sconosciuti), ubriacature, atteggiamenti seduttivi, litigi, inseguimenti, ecco, è quello che è successo più o meno anche a me. Certo, da un lato ne ammiro l'estrema vitalità dell'immagine, l'uso fantastico (abbagliante, potremmo dire) della luce, la scrittura molto libera e destrutturata soprattutto nei dialoghi (un vero e proprio turbinio verbale), il tutto a favore di una rappresentazione non-mediata della giovinezza, restituita con un impressionismo finanche crudo nel suo irripetibile dosaggio di esuberanza, euforia e soave inconcludenza. Ma dall'altro lato non riesco a non registrare una certa (ormai riconoscibile) insistenza, ostentazione, una specie di prepotenza visiva e parolaia che sembra voler più alimentare se' stessa che non veicolare un particolare messaggio. Tutto è infatti vissuto (o, comunque, portato in scena) con l'obiettivo di esaltare la carica e la vitalità dei corpi femminili, veneri vittime dell'invadenza voyeuristica del protagonista Amin (e di noi spettatori) che però diventa presto insopportabile. Perché, Mektoub, My Love: Canto Uno, film del 2017 diretto dal regista tunisino, conferma tutti i limiti nello sguardo di Abdellatif Kechiche. La costruzione della sua immagine, nonostante l'apparente libertà, è totalmente asfittica. Allo spettatore non è offerta alcuna via di fuga né spazi dialettici. Ciò che si mostra è l'unica cosa che si vede e il film è edificato in modo tale da ingabbiare chi guarda nella superficie delle sue immagini. Le sequenze si dilatano ma lo spettatore non è mai catturato emozionalmente ma solo percettivamente: il fondoschiena e il corpo erotizzato sono i visual effects dell'immagine del regista.

martedì 2 aprile 2019

[Tag] Conosciamoci un po' meglio

Avevo già partecipato ad un Tag del genere, anzi, il medesimo ma presumibilmente di una precedente edizione (qui), però siccome era da tanto che non partecipavo ad un tag, e giacché mi piace sempre rispondere alle domande per farvi conoscere magari qualcosa che ancora non conoscevate di me, non potevo nuovamente non riproporlo. Ma soprattutto perché a nominarmi è stata la carinissima Vanessa (qui il suo post), e a lei non si può dire di no, e quindi non potevo esimermi nel farlo. Ed eccomi qui infatti a rispondere alle 10 domande della nostra Gattaracinefila, domande non facilissime, a cui per rispondere ci vuole tempo, non a caso è proprio per questo che ho preferito farne un post che rispondere direttamente (e velocemente senza pensare adeguatamente) nel suo blog. Prima di cominciare tuttavia, e prima di elencarvi le regole, una premessa, ovvero che come consuetudine ormai, vi informo che non nominerò nessuno, che quindi non formulerò le dieci domande, ed ovviamente non informerò e taggherò nessun nominato. Le regole del tag: 1. Seguire il blog che ti ha nominato; 2. Rispondere alle dieci domande; 3. Nominare dieci blogger; 4. Formulare dieci domande per i blogger nominati (le domande potranno essere su vita privata, viaggi, musica, cinema, serie tv, libri e cibo); 5. Informa i blog della nomina; 6. Taggare nel post il blog che ti ha nominato.

lunedì 1 aprile 2019

Pacific Rim - La rivolta (2018)

Nel 2013 Guillermo del Toro aveva coronato il sogno di molti, ovvero: vedere dei robottoni giganti combattere contro mostri altrettanto simili. E ne venne fuori un piccolo cult, un film che nel suo piccolo riuscì a sorprendere, merito soprattutto del regista messicano (non a caso vincitore dell'Oscar per The Shape of Water) che donò autorialità ad un soggetto del genere, riuscendo a dare un certo spessore alla lotta tra jaeger e kaiju. Nessuno prima di lui infatti, aveva saputo mostrarci con tanta maestria al cinema scontri titanici tra enormi ed orrendi alieni "godzilliani" da una parte e giganteschi Mecha guidati da avveniristici piloti dall'altra. Ora con questo Pacific Rim - La rivolta (Pacific Rim: Uprising), il testimone è passato a Steven S. DeKnight (regista, sceneggiatore e produttore della popolarissima serie televisiva Spartacus), chiamato dalla produzione a creare un iter cinematografico che comprendesse giocoforza alcuni personaggi del primo episodio come il Dr. Newt Geiszler (Charlie Day), l'amico e collega il Dr. Hermann Gottlieb (Burn Gorman), e la ex asso degli Jeager Mako Mori (Rinko Kikuchi). A questi la sceneggiatura scritta a quattro mani da Emily Carmichael, Kira Snyder, lo stesso Steven S. DeKnight e T.S. Nowlin, che riprende la storia ben 10 anni dopo gli avvenimenti del primo e troviamo un mondo cambiato, che si è ormai rimesso in moto dopo i disastrosi eventi passati, ma che continua ad addestrare giovani reclute in vista di un eventuale ritorno dei nemici numeri uno, ha aggiunto come new entry l'arcigno pilota Nate Lambert (Scott Eastwood), la ribelle e talentuosa Amara Namani (Cailee Spaeny), l'autoritaria plenipotenziaria cinese Liwen Shao (Jing Tian) ed infine il figlio di Stacker Pentecost (Idris Elba), il figlio uno dei più celebri eroi della vittoria di 10 anni prima, un tempo promettente pilota di jaeger che ha poi abbandonato l'addestramento ed è finito nel mondo del crimine, dalle fattezze del John Boyega della saga Star Wars. E per quanto non possa neanche essere lontanamente paragonato al primo episodio, ne viene fuori un prodotto di intrattenimento godibile e che tiene abbastanza.