venerdì 29 giugno 2018

Gli altri film del mese (Giugno 2018)

È da poco cominciata l'estate, ma in questa settimana più che il sole a picchiare è la pioggia, imperterrita pioggia che non smette di scendere, che spero finisca presto per cominciare a godere delle miti e piacevoli temperature del periodo. Al contrario per quanto riguarda la cinematografia e il mio cinema, a splendere sono alcune pellicole, perché certo, questa rubrica è nata proprio per contenere buoni film, tuttavia interessanti sorprese sono capitate in questo, ancora del tutto primaverile, mese. Mese che non ha riservato in ogni caso nessuna sorpresa o novità nella vita reale, realtà che proprio oggi tuttavia mi permette di festeggiare il mio onomastico senza nessun relativo fastidio psico-fisico, in tranquillità e in pace, nonostante tutto. Ora però concentriamoci sui film, gli altri film, quelli dalla sufficienza e oltre, che ho visto e che vi consiglio di vedere, che sono sei, e tutti, chi più chi meno, interessanti e da apprezzare.

giovedì 28 giugno 2018

Le uscite special con Cannibal Kid e Ford

Per la prima volta in quasi tre anni (tra un mese più o meno lo saranno), questo blog presenta le uscite al cinema, relative in questo caso ai film in uscita questo giovedì. Ed essendo quindi la prima volta (e forse non l'ultima o forse l'unica) non poteva che essere speciale, infatti ho avuto l'opportunità di finire anch'io nella consueta rubrica di due dei blog, di due dei blogger, più cool della blogosfera, Cannabil Kid di Pensieri Cannibali e Ford di WhiteRussian. E perciò eccomi qui, i post "originali" li trovate nei loro rispettivi blog, a fare questo sporco e duro (simpatico e divertente) lavoro.

Introduzione: E' inusuale per me presentare i film in uscita, dato che al cinema non vado mai, e non perché sono tirchio. Tuttavia ogni settimana vedo sempre quali film escono, dopotutto è utile segnarmi subito quali film vedere e quali no, e quali quindi segnarmi sulla lista, che comunque credo non finirà mai. In ogni caso mi sono cimentato in questa "sfida" con grande piacere, d'altronde non capita tutti i giorni di far parte di questa memorabile rubrica. Rubrica che questa settimana contiene, non solo pochi film, ma soprattutto alcune interessanti proposte, quali? Vediamole insieme.

mercoledì 27 giugno 2018

I peggiori film del mese (Giugno 2018)

Nel mese in cui l'inizio dei Mondiali ha gettato nello sconforto milioni di tifosi italiani, il motivo è (ahimè) arcinoto, una piccola sorpresa per questo consueto post, clamorosamente tuttavia in negativo, quella di un genere che ha visto giorni migliori. Perché a parte due thriller, che scontano soprattutto la prevedibilità del racconto, sono ben 6 le commedie che in questo calderone dei peggiori film del mese liberamente sguazzano. Colpa di cosa non so, anche se non ci vuole certo un genio per capire che il genere stia subendo una certa preoccupante involuzione, perché se alcune riescono a tener botta, altre latitano nella assoluta mediocrità, come queste sei commedie. Commedie (italiane, francesi, spagnole e americane) tutte poco originali e poco divertenti. E quindi spero presto di imbattermi nel primo caso, ma nel frattempo eccovi le recensioni del secondo, e dei motivi del perché essi non mi sono sufficientemente piaciuti.

Una piccola impresa meridionale (Commedia, Italia 2013): La seconda fatica cinematografica di Rocco Papaleo (dopo Basilicata coast to coast  e prima di Onda su onda) può definirsi in tutto e per tutto "un'occasione sprecata". Il film infatti, al di la delle nobili intenzioni del regista (che agisce in modo genuino e indipendente), che s'ispira a un racconto scritto da lui medesimo, s'impantana nei luoghi comuni, all'insegna del facile buonismo, con una sceneggiatura raffazzonata. Perché la suddetta commedia, anche se riesce a farsi apprezzare per più fattori, innanzitutto lo scorcio di territorio utilizzato è semplicemente meraviglioso, peraltro ripreso spesso e volentieri, un vero protagonista partecipativo (il film difatti è ambientato in Puglia ma interamente girato in provincia di Oristano), è discontinua, risultando anche incompiuta in diversi settori, visto che si aprono tante strade, dovute alla coralità dell'insieme, che non sempre trovano degna valenza e/o una destinazione calibrata. E questo nonostante una trama all'apparenza accattivante, quella di Costantino, che costretto a trasferirsi in un faro una volta "spretato", si ritrova presto a condividere questo spazio con l'ex prostituta Magnolia ed il cornuto Arturo, lasciato dalla moglie nonché sorella di Costantino. In breve tempo poi com'è ovvio altre persone convergono in questo luogo che riprende vita tra nuove consapevolezze e qualche sogno. Ma saranno proprio quest'ultime, insieme all'inutile e men che meno divertente compagnia girovagante dei due uomini e la bambina che aiutano nella ristrutturazione Papaleo e gli altri, ad "affossare" una commedia che non riesce ad essere particolarmente incisiva, come dovrebbe e vorrebbe (soprattutto nel suo debole tratteggio omosessuale). Certo, il registro è ad ogni modo piacevole, sufficientemente delicato e scandito senza (troppe) uscite fuori luogo e qualche scorcio surreale, ma la struttura, come detto, è assai più opinabile, appare infatti esile, prevedibile seppur coraggioso nel finale, ma soprattutto insoluta, colpa anche di una regia poco attenta al ritmo (qui lento), una narrazione non scorrevole e dialoghi alquanto slegati. Peccato perché il cast in parte è buono, a partire da Rocco Papaleo, che è bravo e simpatico, tutti gli altri invece non tanto (Riccardo Scamarcio lasciamo perdere, Sarah Felberbaum con cadenza russa stona, Giuliana Lojodice prigioniera del personaggio e Barbora Bobulova che sembra da qui averci preso gusto a denudarsi come visto anche recentemente in Lasciami per sempre), ma è la storia, poiché discontinua e che non decolla, a non convincere in questo film derivativo, non spregevole ma certamente dimenticabile, innocuo, mediocre. Voto: 5+ [Qui più dettagli]

martedì 26 giugno 2018

Le mie canzoni preferite (Maggio/Giugno 2018)

In attesa degli immancabili tormentoni estivi e non, categoria di canzoni che comunque farebbero meglio a sparire, soprattutto ascoltando quelli degli ultimi anni, lontani anni luce da quelli degli anni '90, '80 (una bella rinfrescata la trovate qui e qui) e via dicendo a ritroso (anche se quest'anno, quest'estate, non andrò negli anni '70, ma tornerò agli '80 con una speciale compilation davvero eccezionale), eccomi ritornare con le mie canzoni preferite di questi due mesi appena trascorsi. Due mesi in cui non poche sono state le novità, tuttavia al contrario della scorsa puntata divisa in due, qui quelle italiane, qui quelle straniere, questa sarà in un unico troncone. Un troncone in cui da sottolineare ci sono tante bravissime (e belle) cantanti, ma anche alcuni graditi ritorni ed ovviamente alcune interessanti e fresche novità. In ogni caso, e senza dilungarmi troppo, è tempo di accendere il vostro apparecchio musicale (o semplicemente cliccare play sui video qui sotto) e ascoltare, se volete anche tramite la playlist completa da Youtube, la mia compilation di Maggio e Giugno.

Bello il video, bella la canzone, tanto carina la Francesca Michielin

lunedì 25 giugno 2018

Recuperi Sky on demand (Maggio/Giugno 2018)

Sembra strano a dirsi, ma per la prima volta ho davvero concluso una lista di film da vedere, anche se in verità la suddetta, come accennato nella prima parte di quasi due mesi fa, a tal proposito qui potete trovare la prima tranche (con film quali: Il prezzo della gloria, Ma Ma: Tutto andrà bene, Fiore, Che Dio ci perdoni, Zeta e Noi siamo Francesco), essa conteneva solo 12 titoli. Quindi niente di così impegnativo, eppure questa lista di film, di film che non potendo o non riuscendo a registrare, ho dovuto scaricare e vedere tramite Sky Go, mi ha comunque impegnato parecchio. Ma soprattutto alcuni hanno reso meno delle mie aspettative, come in parte successe anche nella prima parte (e quindi alcune piccole delusioni avrei fatto meglio ad evitare, dopotutto a parte 3-4, tutti gli altri hanno risicato la sufficienza), tuttavia dopo aver concluso questo piccolo "progetto", sono comunque contento di averli visti tutti.

venerdì 22 giugno 2018

The War: Il pianeta delle scimmie (2017)

Quando, nel lontano 2010, 20th Century Fox annunciò il reboot della saga de Il Pianeta delle Scimmie in pochi avrebbero puntato un euro sulla riuscita dell'operazione. Il periodo era quello dei remake da parte di tutte le case cinematografiche, segno, secondo molti, di povertà creativa. Le idee originali, ad Hollywood, sembravano latitare e Rise of the planet of the apes uscì un po' in sordina. Il successo di pubblico e critica fu immediato e lo stesso fu per Dawn of the planet of the apes, nonostante il passaggio di regia nelle mani di Matt Reeves. Ed è per questo che ci si aspettava una conclusione ad altissimi livelli per chiudere una trilogia prequel d'autore. Così è stato. The War: Il pianeta delle scimmie (War for the Planet of the Apes), film del 2017 diretto e co-sceneggiato dal regista statunitense, è il film (un film che si regge benissimo sulle proprie gambe, malgrado gli ovvi rimandi non solo ai due prequel ma anche alla saga originale, con una chiusa nient'affatto scontata, di certo non per come matura) più riuscito dell'intero trittico dedicato alle scimmie. Questa nuova trilogia (una saga che è partita abbastanza bene con il film di Rupert Wyatt ed è andata a crescere: come ambizioni, epicità e anche come durata dei film) de Il pianeta delle scimmie è infatti e probabilmente uno dei casi di blockbuster fantascientifici più interessanti dei nostri tempi. Perché sì, dopo l'incipit finale di Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie era quello che ci si aspettava da questo capitolo (molto probabilmente) finale, ovvero la spettacolare resa dei conti, ma ciò avviene in modo (alternativo, più adulto) ancor più migliore di quello che si prospettava, giacché The War: Il pianeta delle scimmie è il punto di arrivo che non ci saremmo mai aspettati all'inizio della saga, qualcosa di più unico che raro nel cinema hollywoodiano contemporaneo, qualcosa che si può certamente paragonare ad altri due blockbuster del 2017 (ed entrambi visti quest'anno, entrambi con risultati e giudizi finali più che lusinghieri): Logan: The Wolverine di James Mangold e Blade Runner 2049 di Denis VilleneuveThe War difatti non è solo un film di guerra (perché anche qui siamo di fronte ad una rielaborazione di generi riuscitissima, western, azione e fantascienza), un'opera stratificata e complessa capace di raggiungere un lirismo epico e un respiro cinematografico d'altri tempi, accompagnato però da uno spettacolo visivo sempre protagonista.

giovedì 21 giugno 2018

Trust - Il rapimento Getty

Ero indeciso se vedere prima il film o la serie, poi quest'ultima è approdata su Sky e non ci sono stati più dubbi, ho visto la serie e ho fatto anche bene, anche se il film prima o poi lo recupero ugualmente, anche solo per vedere le differenze tra i due lavori, tra due mondi, tra due modi simili eppure così differenti di approcciare un racconto, di trarne conclusioni e costruire un universo narrativo partendo da un evento vecchio di quarantacinque anni. Sì perché Trust: Il rapimento Getty, la nuova serie tv antologica della rete via cavo FX (quello di Sons of AnarchyThe Americans e Fargo, per fare qualche nome) andata in onda in Italia (e conclusasi settimane fa) su Sky Atlantic, è incentrata sulla stessa vicenda, la stessa storia portata sul grande schermo pochi mesi fa da Ridley Scott in Tutti i soldi del mondo. Una cosa che certamente potrebbe non piacere a chi si troverebbe davanti, a pochi mesi di distanza, la stessa storia, peraltro vera e quindi dal finale già ben noto. Ma se non si conosce (neppure parzialmente) la suddetta storia o non si è vista la pellicola (come nel mio caso) ci si potrebbe trovarsi di fronte ad una serie sorprendente e appassionante, una serie che meriterebbe molta più attenzione (basta infatti guardare il primo episodio di Trust per capire che la serie merita, e parecchio), non solo perché questa nuova serie ideata, scritta e diretta, almeno nei primi episodi, da Simon Beaufoy e Danny Boyle, già coppia da Oscar per The Millionaire, è una serie che eccelle in tutti i campi, ma perché essa offre l'incredibile possibilità (già avvenuta in passato ma non a così pochi mesi di distanza) di vedere come due diversi approcci affrontano lo stesso episodio. La serie difatti, offre la perfetta opportunità per capire quali possano essere oggi le differenze tra cinema e serie tv (anche se in questo suddetto caso non posso fare ancora nessun confronto). Una differenza che sta principalmente nella sua durata (non a caso in Trust le cose sono molto differenti e i tempi molto più dilatati), e il dubbio in questo caso è, soprattutto dopo averla vista, può riuscire un film ad approfondire una vicenda così controversa, complessa e ricca di sfumature come questa?

mercoledì 20 giugno 2018

Cars 3 (2017)

È difficile capire quando è tempo di fermarsi, di cercare altre strade, di guardare al futuro. Un po' perché non è così facile cambiare drasticamente vita, un po' perché è complicato accettare una realtà che non vogliamo vedere. Questo Saetta McQueen lo sa bene in Cars 3, film d'animazione del 2017 diretto da Brian Fee, terzo capitolo della serie iniziata con Cars: Motori ruggenti nel 2006 che si avvale nuovamente di un cast vocale originale d'eccezione: Armie HammerNathan FillionOwen WilsonKerry WashingtonBonnie Hunt e Chris Cooper, tra i tanti. La pellicola infatti, che propone un'amara seppur importante riflessione tra vecchio e nuovo, tra le vecchie e le nuove tecnologie, ci racconta di Saetta McQueen che, senza rendersene conto, si ritroverà con le spalle al muro quando la tecnologia busserà alla sua porta e sfreccerà sull'asfalto. Quest'ultimo difatti è costretto ad affrontare una nuova generazione di auto da corsa che minacciano non soltanto il suo primo posto nel mondo delle corse, ma anche la sicurezza interiore che l'ha reso un campione. Saetta insomma è vecchio, obsoleto perché le nuove tecnologie ha prodotto auto migliori in tutto della vecchia generazione alla quale Saetta appartiene: più veloci, aerodinamiche, e tecnologiche. Per lui quindi la stagione del declino (non bastasse un grave incidente) è ormai alle porte con il conseguente inevitabile ritiro. Ma il mito resiste e viene carpito dal solito faccendiere senza scrupoli che tenta di lucrare su un marchio ancora tanto amato e che vende. Dopo i primi disastri (la tenacia da sola non basta), Saetta è sull'orlo di essere licenziato ma riesce ad ottenere un'ultima possibilità: allenarsi come vuole lui, fuori all'aperto e secondo i vecchi metodi che lo avevano reso campione. Lo accompagna la giovane istruttrice Cruz Ramirez, in realtà campionessa dall'enorme potenziale inespresso, autoconvintasi di non essere un pilota a seguito di un'esordio alle gare non proprio felice. La risalita è perciò lunga e difficoltosa ma saranno proprio le esperienze positive e negative che permetteranno al nostro eroe di tornare in corsa, o quasi, per trovare finalmente il suo posto nel nuovo mondo e dare forse una svolta alla sua vita.

martedì 19 giugno 2018

[Games] Watch Dogs

Non so, sarà stato forse un bug, sarà stato lo stesso sistema di gioco, ma ho trovato parecchie difficoltà a giocare a Watch Dogs, videogioco action-adventure (sviluppato da Ubisoft Montréal) del 2014. Il gioco infatti, avuto in regalo mesi fa dalla piattaforma Uplay, non mi ha permesso di cambiare e personalizzare i comandi, e si sa che se quando si gioca soprattutto dal PC non avere la possibilità di farlo penalizza la giocabilità, o almeno per me (viste soprattutto le mie "leggere" difficoltà manuali) è stato così. Anche se in ogni caso, dopo essermi adattato in qualche modo (nonostante tanti bottoni da destra e sinistra e soprattutto alcune "combo" fastidiose) sono riuscito a giocare e anche con discreti risultati, anche perché il gioco, nonostante alcuni difetti, è riuscito comunque a divertirmi, non tantissimo in verità ma sufficientemente. Watch Dogs difatti, di cui c'è già un sequel e il terzo è stato annunciato all'E3 del 2018 (a tal proposito anche questo fu annunciato all'E3, ma nel 2012), che mi ha comunque deluso per alcuni aspetti, è un gioco molto interessante, innovativo e solido, anche se imperfetto. Ma per comprendere, conoscere e sapere meglio partiamo dal principio, ed analizziamo tutti i dettagli. Partiamo ovviamente dalla componente narrativa, che sostanzialmente gira intorno alla (classica) vendetta, nuda e cruda. Il nostro alter ego (Aiden Pierce) è infatti tormentato dalla perdita della nipote, perdita causata dalle nostre attività illegali da hacker e ladro informatico, ovviamente questo non fa altro che farci arrabbiare ancora di più e ci lanceremo quindi alla ricerca di chiunque si sia macchiato di tale omicidio. Peccato che nonostante la trama (tuttavia prevedibile) riesce comunque a tenere vivo l'interesse in chi sta giocando, anche solo per scoprire come l'epopea della famiglia Pierce andrà a finire, lo sviluppo quasi sempre lineare e classico non aiuta, perché nonostante l'argomentazione particolare (l'hacking ricoprirà un ruolo fondamentale) in ciò i personaggi, pur essendo dotati di una discreta dose di carisma, non raggiungono quasi mai quella carica emotiva che ci si aspetterebbe da un gioco con una componente narrativa così forte. Certo, la trama è solamente uno strumento a servizio di una giocabilità che tuttavia offre qualcosa di variopinto e divertente nel mondo degli open world, mi riferisco ovviamente al sistema di hacking, ma mi aspettavo qualcosa in più.

lunedì 18 giugno 2018

47 metri (2017)

Gli quali continuano ad essere tra i soggetti prediletti dell'industria cinematografica e anche questo claustrofobico thriller di ambientazione subacquea ricorre al loro immarcescibile fascino, costruendovi intorno una trama essenziale. Così tanto che prima di guardarlo ammetto che non mi aspettavo molto da 47 Metri (47 Meters Down), film del 2017 co-scritto e diretto da Johannes Roberts, mi sembrava infatti un film senza troppe pretese e invece, come accaduto lo scorso anno con Paradise Beach (da cui il film sembra quasi prendere ispirazione, soprattutto per la capacità di suscitare tensione ed angoscia) ho dovuto ricredermi, anche se questo film, che non cerca strade complicate o di elevarsi a masterpiece della cinematografia ma che punta invece al cuore dello spettatore, centrando comunque l'obiettivo, è una spanna sotto quella piccola sorpresa con la bellissima Blake Lively protagonista. Il film difatti, paga certamente la poca originalità della sceneggiatura e del soggetto (anche se è innegabile che la cinematografia di genere, che negli ultimi anni ha virato pesantemente sul trash, riesce ancora oggi a proporre spunti sempre interessanti), e la banalità di certe situazioni e decisioni (e quindi contraddizioni). Tuttavia, poiché questo è un film che non si proietta in primo luogo nel genere degli Shark Movie, visto che l'animale, reso famoso da Steven Spielberg come una perfetta macchina di morte, non è l'unico elemento a tenere in scacco le due protagoniste, una scorta di aria limitata e le comunicazioni con la superficie interrotte sono gli elementi scelti infatti per rendere la tensione ancora più palpabile (non mancasse l'ambientazione soffocante), e poiché è questo un film molto meno scontato di quanto si possa pensare, il suddetto riesce a rendersi assai soddisfacente. Proprio perché seppur di film sugli squali ne abbiamo visti a gran quantità, la buona regia e scrittura del regista (del comunque in ogni caso poco apprezzato horror sovrannaturale The Other Side of The Door e che ultimamente è al cinema con lo slasher horror The Strangers: Prey at Night, sequel del film con Liv Tyler) rendono 47 Metri un buon film che riesce a tenere alta la tensione fino all'ultimo. Giacché creare atmosfere claustrofobiche nell'immensità dell'oceano non è certo semplice, ma questa pellicola, anche grazie ad una efficiente fotografia (che ci fa comprendere l'incapacità umana di fronte la profondità oceanica), ci riesce alla perfezione.

venerdì 15 giugno 2018

Blade Runner 2049 (2017)

Sarò sincero, avevo il fucile puntato quando ho saputo del sequel di Blade Runner (d'altronde i sequel di certi capolavori come lo fu quello di Ridley Scott, non vengono visti di buon occhio). In seguito, alla notizia che Denis Villeneuve (soprattutto dopo aver, l'anno scorso, l'anno precedente e in questo, visto alcuni dei suoi straordinari lavori) avrebbe diretto il film, il dito sul grilletto si è allentato. Villeneuve è un regista con i fiocchi e la recente escursione fantascientifica di Arrival me lo ha confermato. Certamente mi sono detto, chi glielo fa fare ad impelagarsi in un film del genere, entrato nell'immaginario mitico della settima arte. Ha molto da perdere e poco da guadagnare. Una sfida coraggiosa piena di insidie e rischi, tuttavia ben ripagata (anche se sotto certi aspetti si poteva addirittura fare di meglio, e questo è veramente un peccato, vista la qualità generale e l'impegno profuso alla regia). Blade Runner 2049, film del 2017 diretto dal regista canadese classe '67, è infatti un valido e degno sequel dell'originale. Soprattutto perché la scelta di affidare appunto all'ottimo Denis Villeneuve la regia, che è stata sicuramente accorta da parte di Ridley Scott (che in questa operazione per fortuna si è ritagliato un ruolo da produttore, che da qualche tempo a questa parte sembra adattarsi meglio alle sue ambizioni, specialmente quando riesce a tenersi lontano dalla cinepresa, come visto nel deludente Alien: Covenant) si è rivelata azzeccata. Dopotutto lui è tra i registi migliori della sua generazione, è solo lui poteva garantire fedeltà (per quanto possibile) alla materia originale, e solo lui poteva al tempo stesso, con il suo sguardo originale e personale, non farsi schiacciare dal peso del confronto. Perché sì, con Blade Runner 2049, un bellissimo film, teso e pieno di spunti, egli regge, nonostante in verità non riesca a toccare quelle vette di visionarietà e di profondità esistenziale dell'originale (e dopotutto era impossibile per chiunque riuscirci), il confronto, non sfigurando quindi quasi per niente.

giovedì 14 giugno 2018

Dark (1a stagione)

Si è detto che assomiglia a Stranger Things (non proprio, a dire il vero), a Lost (riferimento, forse, più azzeccato) a The OA, a Twin Peaks e potremmo andare avanti a lungo, ma Dark, l'enigmatica e complessa (per i termini tecnici e tanto altro) serie tv tedesca creata da Baran bo Odar e Jantie Friese (in tal senso questa sarà una recensione rigorosamente senza spoiler tranne per il tema e l'argomento incentrato sui viaggi nel tempo e sul tempo che è già nell'incipit), ha soprattutto alcune similitudini con alcune opere letterarie e poi filmiche di Stephen King, da 22.11.63 (a causa delle finestre temporali situate in luoghi di passaggio, su vere e proprie soglie, frontiere da superare) a Under The Dome (dove il cunicolo, la caverna, il "sotto", il "wormhole", la galleria gravitazionale, erano le chiavi per muoversi nel "quando", ovvero nel tempo) fino all'ultimo (e vecchio) It (nella tematica del posto dal quale tutti vogliono scappare e dove qualcosa a distanza di anni inevitabilmente succede, non dimenticando che le vittime di questi misteriosi accadimenti sono per lo più ragazzini), tuttavia è proprio in questo miscuglio di citazioni e riferimenti creativi, non dimenticando che da questi show in particolare il regista/creatore (che ad Hollywood ha esordito con il personalmente passabile Sleepless) ha anche preso ispirazione per condire la struttura narrativa dell'opera, dopotutto l'intreccio di "Dark" non è mai banale, fa del mistero e della suspense i suoi punti di forza e tiene incollati allo schermo fornendo diversi indizi allo spettatore, che lo show Netflix riesce a trovare un elemento che lo renda unico e distinguibile. Perché l'intera narrazione si collega a un dialogo più profondo in cui è il Tempo il vero protagonista. La serie (che riprende così un tema già affrontato da molti, unendolo però a una struttura forte e a diversi personaggi su cui fare affidamento, che si fa forte del dialogo filosofico sul tempo e scardina pezzo dopo pezzo le nostre convinzioni sulla sua linearità) si apre infatti con una citazione ad Albert Einstein che lascia poco spazio a dubbi sul prosieguo: "La distinzione tra presente, passato e futuro è una mera illusione".

mercoledì 13 giugno 2018

Io, Daniel Blake (2016)

Tutto il mondo è paese quando si tratta di burocrazia lenta e contraddittoria che lede la dignità umana. E Ken Loach (uno dei più integerrimi, lucidi ed impegnati cineasti militanti, da sempre proteso al difesa della classe sociale più povera e soggetta a soprusi ed ingiustizie) è un maestro nel trattare argomenti che riguardano la classe operaia, il ceto medio, la cosiddetta "middle class" inglese, con le problematiche, le necessità e le mancanze che ruotano attorno ad essa. Non a caso il ritorno (dopo aver annunciato dopo il bel dramma romantico Jimmy's Hall il suo ritiro) del regista, attivista e politico britannico con Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake), è nel pieno del suo stile. Questo film del 2016 infatti (vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes 2016), segna il suo ritorno alla critica sociale (che lo ha reso famoso grazie a molti film) in un'Inghilterra dei giorni nostri, in cui si intrecciano le vite di anziani e giovani, accomunati dalla difficoltà che incontrano in un sistema sociale in cui tutto sembra essere contro di loro. Un sistema che permette, anche a chi ha lavorato per tutta la vita, di ritrovarsi in uno stato d'indigenza. E il regista Ken Loach quindi, racconta con molta sensibilità e con uno stile essenziale e sobrio (senza alcun fronzolo), un dramma che è umano e sociale, partecipando con slancio sincero e generoso al dolore dei suoi protagonisti. Protagonisti che fanno di tutto per poter dare una vita normale ai suoi figli o che esprimono rabbiosamente, tutto il loro disappunto (scrivendo con una bomboletta spray sui muri dell'ufficio nome e necessità) per il cinismo spietato e ottuso degli impiegati di un ente statale. Il film per questo (che riesce a coinvolgere con una storia immaginaria ma che è più reale di una storia vera) colpisce direttamente al cuore, fino a spezzarlo, fino alle lacrime che scaturiscono un po' per commozione e un po' per rabbia.

martedì 12 giugno 2018

[TAG] Very Pop Blog - Le mie estati del passato

Si sa, l'estate è forse il periodo più bello dell'anno, o almeno per bambini lo è sicuramente, certamente lo è stato per noi nati negli anni '80, noi che abbiamo nel decennio successivo vissuto estati indimenticabili. E' per questo che il nostro fedele amico Miki del Moz O'Clock, per ricordare quel fantastico periodo, ha deciso di proporre questo post, questo Tag, che consiste nel:

1 - Elencare tutto ciò che è stato un simbolo delle nostre estati da bambini, in base ai vari macroargomenti forniti;
2 - Avvisare Moz dell'eventuale post realizzato, contattandolo in privato o lasciando un commento sul suo blog.
3 - Taggare altri cinque bloggers, avvisandoli.

E quindi, nonostante molte cose ho già detto, cose che sicuramente qui ripeterò (altre invece abbastanza "nuove"), ecco LE MIE ESTATI DEL PASSATO.


GIOCO IN CORTILE
Di mattina o pomeriggio era indifferente, quando potevo scendevo di casa e giocavo con gli amici del quartiere a nascondino e/o calcio. Mentre la bicicletta, non sempre avuta e non sempre a disposizione in paese, la usavo davvero poco.

GIOCO IN SPIAGGIA
Ero un bambino abbastanza "standard", anche se pistole ad acqua i miei genitori non mi compravano, usavo semplicemente infatti paletta e secchiello, e con la sabbia al massimo ci facevo le polpette. Tuttavia giocavo spesso a racchettoni, anche se non erano mai i miei.

lunedì 11 giugno 2018

Transformers: L'ultimo cavaliere (2017)

Ogni volta è sempre la stessa storia, perché è innegabile che ogni film di Michael Bay si "trasformi" in un caso mediatico ogni qualvolta, con la critica che continua a stroncarlo senza ritegno, mentre al box office si registrano (immancabilmente) incassi altissimi, ma come spesso accade in questi casi, la verità sta sempre nel mezzo. Perché anche se nel corso degli anni (a eccezione del primo film, che risulta ancora oggi un perfetto mix di intrattenimento, scene d'azione e idee visive) i capitoli di Transformers hanno sempre vissuto nel limbo della mediocrità (quel luogo dove a fine visione già ci si era scordati di quanto appena visto), Transformers: L'Ultimo Cavaliere (Transformers: The Last Knight), quinto capitolo della serie datato 2017, pur non esente da difetti (anzi, ce ne sono tanti), è forse il miglior film dei Transformers (sempre escludendo la pellicola d'esordio e sempre non discostandosi molto dalla sua costante mediocrità), riuscendo altresì dove il quarto aveva fallito (praticamente quasi in tutto). Già con il precedente (buon) lavoro, 13 Hours, Bay (alla soglia dei 57 anni) aveva scoperto un oggetto mistico e dai grandi poteri cinematografici: la sceneggiatura. Anche se, nonostante questa venisse a mancare in altri lavori, il risultato finale è sempre riuscito a regalare grande intrattenimento (infatti anche qui, come nei precedenti, senza dubbio ci si diverte, indubbiamente gli effetti speciali sono eccezionali, anche se esagerati). Perché si sa, la sceneggiatura se applicata con sapienza anche a un prodotto ormai testato (e con delle proprie logiche che vivono al di fuori di ogni sistema, come la saga dei Transformers) ne arricchisce il racconto. Tuttavia, l'inserimento di questa nuova rotella in una macchina perfettamente oliata avviene con qualche intoppo. Perché è innegabile che qui, anche se l'intrattenimento rimanga comunque elevato e godibile, essa non venga usata in modo del tutto consono, facendo risultare uno dei migliori film della saga in un film solamente sufficiente e fortunatamente non totalmente bocciabile.

venerdì 8 giugno 2018

Baby Driver: Il genio della fuga (2017)

Era solo questione di tempo, prima che Edgar Wright dedicasse un intero lungometraggio alla sua passione per gli inseguimenti automobilistici. Già a partire dal fulminante esordio con L'alba dei morti dementi e ancora di più con il successivo Hot Fuzz, il regista inglese aveva dimostrato una dote straordinaria nella direzione delle scene d'azione su quattro ruote: mai appunto come in queste sequenze, il celeberrimo montaggio velocissimo tipico del suo cinema (coadiuvato da virtuosistici movimenti di macchina quali panoramiche a schiaffo e zoomate) trovava un perfetto sfogo. Certo, scegliere di costruire una storia basata sulle avventure di un autista per rapine non è certo l'idea più fresca degli ultimi tempi (anche se il genere "rapinatori in fuga con inseguimento" è uno dei classici del cinema americano fin dagli anni '40, e bisogna riconoscere che funziona sempre), ma il regista ne è consapevole e costruisce attorno alla sua vicenda una trama elementare, caratterizzata da personaggi molto caratterizzati, il cui scopo è semplicemente quello di essere utili alla semplicità di fruizione. Si perché se da una parte il regista chiede allo spettatore di non formalizzarsi troppo per una narrazione non troppo precisa, dall'altra lo conquista attraverso una messa in scena potente e un ritmo inarrestabile. Tanto che l'heist movie a tempo di musica dal titolo Baby Driver: Il genio della fuga (Baby Driver), film del 2017 scritto e diretto da Edgar Wright, diverte e riesce, almeno in parte, a rinfrescare un genere in cui resta davvero poco da inventare. Anche perché sinceramente in meglio e di diverso dall'ultimo visto simile, Autobahn: Fuori controllo (che a me è sufficientemente piaciuto) c'è ben poco. Di certo migliore è la sceneggiatura, la regia e migliori nettamente sono le musiche, abbastanza in linea e simile invece il livello del cast (anche se qui di donne "gnocche" ce ne sono due), mentre abbastanza sorprendente è il fatto che non tanto migliore è la parte action, era lecito aspettarsi vedendo il trailer infatti, sequenze ancor più adrenaliniche (seppur quelle poche che ci sono eccezionali), invece no. I punti di forza di questo film difatti (che sono comunque molti) stanno altrove e la componente puramente action non è tra questi. Giacché per differenziarsi e proporre qualcosa di nuovo in un genere inflazionato, l'incipit propone un protagonista decisamente sui generis.

giovedì 7 giugno 2018

Ash vs Evil Dead (3a stagione)

Con la decima puntata della terza stagione, distribuita in Italia attraverso la piattaforma Infinity, si è chiusa una delle serie cult (più sorprendenti, spassose e demenzialmenti sanguinose) degli ultimi anni, parlo ovviamente di Ash Vs Evil Dead. La serie infatti, dopo le prime due convincenti stagioni (qui la mia recensione), ha riportato sullo schermo uno dei personaggi più amati del cinema horror degli anni '80 e '90, Ash Williams, personaggio iconico in una terza stagione della serie (sempre ispirata dalla saga filmica originale) fortunatamente e nuovamente diretta dal suo creatore Sam Raimi, insieme ovviamente a Ivan Raimi e Tom Spezialy. Purtroppo non è cambiata la casa di produzione, la Starz, perché essa (imprudentemente forse e comunque senza preavviso) ne ha annunciato la sua cancellazione poco prima della fine di questa terza stagione. Una cancellazione forse fisiologica dato il pubblico di nicchia di appassionati e il bacino d'utenza ridotto, ma che fa abbastanza male. Perché seppur dalla messa in onda del primo episodio, sono passati ormai diversi anni e negli ultimi tempi non era difficile capire che la serie stava iniziando a dirigersi verso un epilogo, e seppur la chiusura non è avvenuta nel bel mezzo di un arco narrativo, giacché per quanto apra in realtà una finestra su un eventuale proseguo, l'ultimo episodio della terza stagione (che si conclude per certi versi in modo simile a quello alternativo de L'armata delle Tenebre e quindi cronologicamente slegato) chiude senza ombra di dubbio l'arco narrativo che ha contraddistinto tutte e tre le stagioni che compongono Ash Vs Evil Dead, la sua conclusione ci toglie la possibilità di divertirci nuovamente con uno dei personaggi più folli, divertenti e cazzuti di sempre e con una serie più spassose degli ultimi tempi in ambito horror, anche se in verità Blood Drive merita certamente di essere vista e apprezzata e mi è piaciuta leggermente anche di più.

mercoledì 6 giugno 2018

Alien: Covenant (2017)

Sesto episodio della saga cinematografica di Alien (ottavo se contiamo i due spin-off) e secondo prequel della stessa dopo il discusso PrometheusAlien: Covenant, film di fantascienza del 2017 diretto da Ridley Scott, è un film ambizioso ma solo parzialmente riuscito e che in parte condivide molte delle perplessità espresse in occasione dell'uscita del precedente episodio (per sapere vi basta cliccare qui, nel post che raggruppa l'intera saga tranne ovviamente quest'ultimo capitolo). Il film infatti, seppur sufficientemente gradevole in parte, ha un sacco di difetti, parecchie mancanze dal punto di vista registico e alcune scelte nella sceneggiatura non propriamente condivisibili, inoltre i contenuti filosofico-esistenziali accennati appunto in Prometheus (subito riproposti tramite un algido flashback che ci mostra il momento della presa di coscienza dell'androide David, e in cui fa una breve apparizione Guy Pearce) che tuttavia nella sua incompiutezza e furbizia furono sufficientemente in grado, nel bene e nel male, di suscitare un dibattito e di far arrovellare gli appassionati con tutta una serie di interrogativi, non vengono minimamente approfonditi, e se qualcosa esce, lasciano il tempo che trovano, relegando così il franchise al suo punto basso. Alien: Covenant difatti, sequel di un prequel che assomiglia a un reboot ma non lo è, non solo è una combinazione squilibrata e indefinita di slasher spaziale non particolarmente ispirato e fantascienza filosofica da quattro soldi, ma è anche troppe cose insieme e qualcosa di già visto. Proprio perché il film, un ibrido che ripercorre personaggi e dinamiche di "Alien" e "Prometheus", sembra un lungo deja vu, che combina una fusione dei due film (e non solo quelli due), facendolo così risultare un patchwork mal riuscito. Anche perché a parte il buon inizio (che mette contenuti interessanti sul fuoco e prosegue poi con una sequenza movimentata che non ci si aspetta di trovare nei primi minuti di un film), è sempre la stessa storia, quella di una navicella spaziale che in missione di colonizzazione e a seguito di una misteriosa interferenza audio, il capitano e l'equipaggio, decidono di atterrare, su un pianeta fino a quel momento escluso dalla mappatura di quel settore del cosmo. Un pianeta che se a prima vista sembra un paradiso, è in verità un mondo oscuro e pericoloso, e dove David, l'androide sopravvissuto alla spedizione Prometheus (ed "unico" abitante del luogo), cela oscuri segreti.

martedì 5 giugno 2018

[Tag] La prima volta non si scorda mai

Già dalla prima volta che vidi questo Tag, ne La stanza di Gordie di Marco Contin, avevo in mente di riproporlo, poi avendolo visto successivamente da Il bazar di Riky di Riccardo Giannini, mi sono deciso finalmente a farlo, anche perché come dovreste aver capito questo Tag, "La prima volta non si scorda mai", non parla esclusivamente di "quella" prima volta, altrimenti non l'avrei mai riproposto, ma di tante prime volte, quali? Vi basta leggere qui sotto, così da farvi, nuovamente dopo due settimane dall'ultimo mio Tag "personale", un po' di fatti miei, e raccontandovi ancora qualche altro pezzo di me. Prima ovviamente una precisazione, ovvero che potete tranquillamente riproporre questo identico Tag (giacché qui le nomination sono bandite) e nei modi che preferite, aggiungendo o meno tante altre prime volte. Io per esempio ho evitato prime volte in cui avrei certamente risposto con un lapidario "non ricordo" o "non lo so", ma in ogni caso ecco Le mie prime volte.

Il mio primo libro: Non ho mai amato leggere, neanche da bambino, tuttavia ricordo bene di aver letto due libri che una (ora ex) vicina mi diede come regalo per il mio settimo od ottavo compleanno (non ricordo con precisione), ovvero Cuore di Edmondo De Amicis ed Oliver Twist di Charles Dickens.

La mia prima gita scolastica: Non ricordo l'anno scolastico o l'anno in sé, ma ricordo che quando andai alla riserva del WWF "Le Cesine" in provincia di Lecce, pioveva e purtroppo vidi davvero poco della fauna selvatica, tuttavia mi divertii ugualmente.

lunedì 4 giugno 2018

Elle (2016)

C'era un tempo in cui andavano forte i "Rape & Revenge" (e il tempo sembra non essere ancora finito per loro, anzi), un particolare filone realistico dell'horror in cui una donna vittima di violenza sessuale si vendica in maniera dieci volte più cruenta dei suoi stupratori. Ora, in maniera del tutto singolare, anche il mitico Paul Verhoeven tenta la strada del Rape & Revenge, ma lo fa in maniera del tutto slegata dalla tradizione con Elle, un oggetto filmico affascinante e allo stesso tempo fortemente imperfetto. In Elle, film del 2016 diretto dal regista olandese, facciamo la conoscenza di Michèle, una donna forte e indipendente che sta a capo di un'azienda che produce videogiochi. Un giorno Michèle viene aggredita e stuprata, dentro casa sua, da uno sconosciuto dal volto coperto da un passamontagna. La donna decide di non denunciare l'accaduto, ma si procura le armi e comincia a dargli la caccia. Questo è solo l'incipit però, quello che sulla carta lo identificherebbe appunto come Rape & Revenge. Solo che Elle non si accontenta di un'etichetta di genere e va oltre in maniera così spudorata da perdere completamente un'identità: da dramma si trasforma in commedia e quell'anima thriller che lo muoveva diventa ben presto grottesco. Grottesco che tuttavia non vuol dire perdere ogni senso o logica (rasentare la mediocrità), anche perché in questa pellicola (una sorta di commedia grottesca sulla vita e sulle pulsioni), che in ogni caso segna il grande ritorno di Paul Verhoeven, lo scandaloso regista olandese che ben venticinque anni fa lasciava un marchio indelebile nella storia del cinema con Basic Instinct, nel quale una Sharon Stone più bella, più erotica e più perversa che mai faceva perdere la testa al detective Nick Curran interpretato da Michael Douglas, qui tuttavia al contrario la Michèle di Isabelle Huppert è molto diversa dalla bionda Catherine Tramell, tanto quanto Elle lo è da Basic Instinct, proprio perché i toni oscuri, da thriller poliziesco, qui vengono abbandonati in favore di atmosfere non allegre, ma sicuramente più leggere, egli narra comunque senza forzare mai la mano sul pathos, Michèle è una donna forte, dal pugno di ferro sia nella vita privata che sul luogo di lavoro (è una produttrice di videogame, un aspetto molto interessante che ci fa capire molto di questa donna energica, giovanile, circondata dai poster di The Last of Us o The Order 1886), una donna dal passato turbolento e tragico, che dà poca importanza alla violenza subita perché ne ha già passate fin troppe.

venerdì 1 giugno 2018

The Alien saga

In tempi non sospetti mi era balenata in testa un'idea, il desiderio (già espresso ai tempi delle mie promesse cinematografiche 2018 di pochi mesi fa) di rivedere, e prima di vedere l'ultimo capitolo uscito lo scorso anno, tutti i film della fortunata e straordinaria saga fantascientifica di Alien. E neanche a farlo apposta ecco che grazie a Sky e ai suoi speciali di Sky Cinema ho avuto la possibilità di farlo. Infatti anche se son passate settimane dalla sua programmazione (e mi scuso per il ritardo) ho finalmente avuto il privilegio di vedere tutti i 7 film (in verità 8), ovvero i 5 della saga classica e i due spin-off, più ovviamente l'ultimo, facente parte di quella classica, che tuttavia avrà una recensione singola tra pochi giorni. Nel frattempo però in questo corposo post dirò la mia, anche se ormai è già stato detto tutto e ci sono tanti appassionati e professionisti più competenti di me che su questo argomento (questa saga) hanno scritto e continueranno a scrivere a profusione (e in meglio e più dettagliatamente), su una delle saghe più longeve della cinematografia mondiale e sui film (soprattutto i primi quattro) che hanno fatto storia. La saga di Alien infatti (e non solo per quel capolavoro del primo episodio, addirittura scelto nel 2002 per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti) è qualcosa di eccezionale. Essa non è come le altre, è unica, è speciale, è incredibile e straordinaria. Non solo perché come detto è forse la più longeva di tutte (ben 39 anni dal primo film) e la più registicamente libera (ben 6 registi, e che registi si son cimentati nell'impresa, nell'arco di un tempo non sempre vicino), ma perché per l'immaginario collettivo ha segnato un'epoca, ha ridefinito ancora una volta dopo quel capolavoro assoluto ed ineguagliabile di 2001: Odissea nello spazio (che ha compiuto quest'anno 50 anni) un genere, anzi due. Soprattutto il primo film difatti, si può considerare un capolavoro sia horror che di fantascienza, poiché le vicende, e di tutti gli effettivi episodi, ruotano attorno a una specie aliena (a tal proposito davvero orrenda in tutti gli aspetti) che nella storia (lunga e "strettamente" continuativa storia, una particolarità molto intrigante) viene identificata con la generica definizione xenomorfa, costituita da feroci predatori dotati di intelligenza ma incapaci di provare emozioni, che si riproducono come parassiti annidandosi nei corpi di altri esseri viventi provocandone la morte. Per questo nessun umano, nessun pianeta inesplorato, sarà al sicuro durante l'intero ciclo di questa inquietante e terrorizzante saga. Saga (che può vantare 3 Oscar in totale) che probabilmente non sarebbe oggi un must senza la sua protagonista principale. Provate ad immaginare Alien senza Sigourney Weaver (lei che con il suo ruolo è stata la prima attrice nella storia degli Oscar a ricevere una nomination per un film fantascienza), bene, sarebbe stato probabilmente un flop (non a caso dopo il quarto episodio la mediocrità ha preso il sopravvento). Ma fortunatamente lei c'è stata ed il risultato si è visto, tanto che ancor oggi è difficile dimenticarsi di lei e della saga, ma se l'avete fatto (e spero di proprio di no), eccomi qui oggi a rinfrescarvi la memoria.