martedì 5 novembre 2019

Possession (1981)

Tema e genere: Controverso film del regista polacco Andrzej Żuławski, ed anche il suo più famoso e scioccante, un film che non ha avuto vita facile (pesantemente censurato), che è divenuto tuttavia un cult del genere horror.
Trama: Berlino, anni '80. Il muro domina la città. Mark, ex agente spionistico, torna a casa dopo l'ultima missione. Il rapporto con la moglie Anna si deteriora. Mark indaga, sospettando un tradimento. Scopre che oltre a un amante "ufficiale", Heinrich, Anna vive una seconda vita con un mistero che non vuole svelare, e che, lentamente, la trascina in un climax di violenza e follia che le fa dimenticare ogni cosa: il figlio Bob, i suoi uomini, la vita stessa.
Recensione: Generalmente stroncato dalla critica (e con valide argomentazioni a supporto), Possession è diventato una chicca per gli amanti del genere horror (per alcuni cinefili vero e proprio capolavoro). Più che a un horror vero e proprio, tuttavia, la trama illogica e piena di risvolti surreali ricorda da vicino le opere di David Lynch: stessa sensazione di straniamento, di angosciante (e a volte fastidiosa) dissociazione. Solo che, se con David Lynch (ed attenzione, ho visto solo Twin Peaks) il contorno affascinava e la storia riusciva ad essere più leggibile, con questo ciò non accade. In tal senso mi sto forse rendendo conto che i film criptici, o almeno quelli troppo criptici, non fanno per me. Non è un caso che negli ultimi anni non abbia visto bene questi tipi di film (e pensare che devo recuperare lo stesso Lynch), infatti ho ben visto Madre! (l'arcano era più comprensibile) ma non ho ben visto sia Il sacrificio del cervo sacro (bisognava conoscere il testo originale), Il filo nascosto e Antichrist, quest'ultimi due lavori di estetica più che di sostanza a parer mio. Ora non che Possession sia allo stesso livello, anzi, è certamente di un livello superiore, però questa favola horror nella forma di un grottesco dramma metafisico di agenti segreti oltrecortina, amanti zen dallo stomaco debole, mogli fedifraghe sensibili alla sensuale fascinazione del male, ultra-corpi dagli occhi verdi ed uno scoppiettante ed amaro finale apocalittico, non mi ha convinto pienamente, tanto da non considerarlo alla stregua di un capolavoro. Tuttavia bisogna ammettere che la storia che questo "maledetto" film racconta (maledetto perché colpito dalla censura e dai tagli in tutti i paesi in cui è stato distribuito, ne esistono diverse versioni: quella italiana di 80 minuti, io ho visto quella di 2 ore), ambientata in una deserta, fredda e divisa Berlino non per caso, il suo lavoro di "disturbo" lo fa alla grande. Eppure la trama di Possession non potrebbe essere, apparentemente, più banale: una giovane coppia, Marc e Anna, in crisi a causa del tradimento di Anna. Un semplice triangolo che si complica nel momento in cui Marc si accorge che il vero amante di Anna non è il fatuo Heinrich, esaltato dalle filosofie orientali (e soprattutto dall'assunzione di qualsiasi sostanza stupefacente che lo conduca sulla via dell'illuminazione sessuale), ma bensì qualcun'altro, anzi, qualcos'altro. Qualcos'altro che farà precipitare la situazione, e aprirà anche al marito le porte della follia. Facendo così partire un viaggio appunto folle all'interno degli orrori nascosti della coscienza umana, i quali si sono aperti una strada verso la realtà materializzandosi. I mostri, infatti, non si trovano fuori dall'uomo, ma proprio nella sua parte più nascosta e imponderabile, l'inconscio, l'anima. E quando la reificazione delle nostre paure infine avviene, non le riconosciamo finché non assumono il nostro volto. Il film è perciò una riflessione sul bene e sul male, incarnato qui dalla creatura (una sorta di mostro tentacolare, ideato dall'immaginazione della protagonista e poi da lei realmente partorito in una delle scene più deliranti del film) che possiede Anna e la rende sua schiava.

Una riflessione anche quindi sulla libertà umana e sul limite oltre il quale l'uomo non può spingersi se non lasciando emergere la sua parte belluina e irrazionale (caos come perdita di fede). La parte di bene che c'è in Anna soccombe di fronte al male che la possiede e lo stesso succede in Marc. La coppia muore e lascia il posto ai propri alter-ego che sembrano ritrovare una tranquillità persa e mai più ricostruita. Da segnalare stilisticamente la macchina in continuo movimento nelle scene di esterni e l'uso insistito dei primi piani a carpire ogni movimento dei volti degli attori, che riescono ad esprimere in modo stupefacente l'angoscia e il dolore di ciò che stanno vivendo. In tal senso superlativa la prova di una bravissima Isabelle Adjani (vincitrice del premio per la migliore interpretazione femminile al 34° Festival di Cannes), triste "Madonna" dagli occhi di ghiaccio e il corpo diafano, dilaniata dal male oscuro di un indicibile tormento interiore e la maschera fredda e sgomenta di un impotente Sam Neill perfetto prototipo delle debolezze e delle contraddizioni umane. A proposito di contraddizioni, quest'opera ne ha, un'opera difficilmente catalogabile nel panorama europeo del cinema d'autore (non aderisce al genere se non in una sua parossistica e personale rielaborazione dei meccanismi del giallo o della spy story), si mantiene sempre sul precario equilibrio di una delirante e irriverente rappresentazione dell'assurdo. Le inquietudini visionarie di una sovraeccitazione creativa che oscilla tra il ridicolo ed il tragico di una realtà deformata dalla spiazzante mobilità della camera a mano, dalle prospettive stranianti, dal debordante surrealismo della messa in scena dove gli attori si muovono come marionette impazzite in balia dei capricci di un oscuro manovratore (il Regista? Dio? il Caso?). Il regista polacco incrina con metodico rigore il rapporto che esiste tra realtà e finzione per restituirci una irridente allegoria sul destino dell'uomo combattuto tra l'ostinazione di un gretto materialismo e la sofferta aspirazione ad una verità superiore, in preda al delirio distonico ed afasico di una dolorosa impotenza. La materia scottante cui si accosta Andrzej Żulawski (il contatto dell'uomo col sacro o col metafisico) è affrontata con il freddo distacco di una grottesca teatralità sempre esibita, irritante, sconcertante, quasi ludica ma che sovente perviene agli esiti di una cogente tensione drammatica tra la viscida incarnazione del male, le spiazzanti dinamiche del noir e la irridente allegoria di un pessimismo cupo e irrimediabile. Un film tutto sommato originale, anche se talvolta presuntuoso stilisticamente rispetto ai contenuti.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Macabro, morboso, provocante. Possession è un ibrido di cinema dell'orrore e dramma psicologico, sorretto prevalentemente dalle prestazioni dei suoi interpreti. E se Sam Neill, un decennio prima di salire alla fama mondiale con Jurassic Park, offre una prova per certi versi precorritrice di quella Carpenteriana ne Il seme della follia, è una incredibile e bellissima Isabelle Adjani a dare anima e corpo all'ossessione in continuo bilico tra reale e immaginario, tra follia e perversione, con una delle scene di possessione più agghiaccianti dell'intera storia di genere, in cui (senza l'ausilio di effetti speciali) nel sudiciume di una lugubre metropoli, l'attrice francese offre una scena di innata e impareggiabile potenza emotiva. Andrzej Zulawski è abilmente perfido nel raccontare questa discesa nell'abisso interiore, un'atavica lotta tra il bene e il male in chiave grottesca che non disdegna però risvolti sociali, un visionario viaggio nei recessi dell'inconscio che tocca il suo apice negli ultimi, intensi minuti, con figure che si sdoppiano e ritornano negli antri infernali in un'orgia di sangue e dolore. La ripugnante creatura plasmata da Carlo Rambaldi, un'inquietante e viscido mostro polipoide, sarà stato sicuramente in grado di rimanere a lungo negli incubi dello spettatore (e lo rimarrà probabilmente nei miei), protagonista di sequenze memorabili, come il rivoltante rapporto sessuale con la Adjani. Da menzionare inoltre la colonna sonora, in grado anch'essa di colpire.
Commento Finale: Un horror realista, ecco quello che ci propone con questa pellicola il regista polacco Andrzej Zulawski. Realista perché entra nella vita dei personaggi con uno sguardo disincantato, volto a svelarne le pulsioni e le isterie, così come le debolezze. Egli, rifacendosi a uno dei topoi classici della letteratura, s'inoltra quindi in una profonda analisi psicologia sulla compresenza nella natura umana dei due opposti: il bene e il male. Il risultato è d'impatto (come d'impatto quelle scene memorabili di lei, due su tutte, che rimangono a lungo nella memoria di tutti quelli che si imbattono in questo film), ma la trama illogica e piena di risvolti surreali troppo spesso eccedono. Rimane un gran film, però è pure pretestuoso ed inoltre non convince pienamente.
Consigliato: Un'opera scomoda, ma immancabile per chi si ritiene un amante del cinema horror di serie A.
Voto: 7
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6 commenti:

  1. Non l'ho mai visto, sai?
    Mi stupisco, a volte, di non aver mai guardato dei grandi cult del passato.
    Ad esempio ieri sera ho visto per la prima volta "A letto con il nemico", con Julia Roberts. Lo conosci? L'ho apprezzato moltissimo e mi dispiace non averlo guardato prima.

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    1. Ma guarda, credo che in questo caso non sia colpa tua, giacché in tv è possibile che non sia passato mai...
      Di conoscere sì, ma tra conoscere e vedere c'è comunque differenza, anche se credo di averlo anche visto, ma non saprei dire a distanza di anni ormai se mi è mai piaciuto o meno ;)

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  2. Amo tutta la filmografia di Zulawski, che è uno dei miei registi preferiti, e mi è difficile preferire un suo film rispetto agli altri. Hanno tutti qualche particolarità che li rende affascinanti, anche in modo molto diverso tra loro. La costante è lo sforzo che lui richiede alle attrici, a cominciare dalla sua musa Sophie Marceau, che devono ogni volta recitare sul filo dell'isteria.

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    1. Ne ho sempre sentito parlare del regista, questo è stato il mio primo approccio, ma non credo vedrei gli altri, anche se questi come dici sono affascinanti ;)

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