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lunedì 3 settembre 2018

The Circle (2017)

Privacy contro trasparenza totale, questo è il punto cardine di The Circle. Un film del 2017 tratto da un opera letteraria (omonima) di Dave Eggers e adattata al cinema da James Ponsoldt (conosciuto soprattutto per The End of the Tour, film che tuttavia non ho visto e forse non vedrò mai), il fulcro di una vicenda che vede protagonista Mae una giovane determinata che raggiunge il posto lavorativo dei suoi sogni in The Circle, una azienda leader mondiale di tecnologia e social media, ma scoprirà che l'equilibrio fra sogno e incubo è flebile. Peccato che ciò sembra tutto detto e risaputo, una storia déjà-vu rispetto all'oggi che è già ieri, forse già fuori tempo massimo (non tanto sull'argomento ma sulla novità dello stesso). Infatti è similmente constatare che l'omonimo libro uscito nell'ormai lontano 2013 anticipava molti temi che oggi sono attualissimi: l'invasione dei social nelle nostre vite, la privacy che piano piano va a farsi benedire, i contatti umani che sfociano sempre più in contatti vivi solo su uno schermo e così via. Oggi, dopo quattro anni, queste tematiche le ritroviamo ogni giorno intorno a noi. Al massimo, ci sono alcuni sviluppi che immaginiamo, anzi temiamo possano accadere di qui a breve come, per fare un esempio, la possibilità che qualche società tipo Facebook o Google possa prima o poi costringerci a votare alle prossime elezioni tramite i nostri account. Ecco, da una parte questo è un difetto del film: la protagonista Mae ad un certo punto accetta di vivere in trasparenza la propria vita (ovvero filmare in streaming quello che fa 24 ore su 24) ma il fatto che ormai questa sia una pratica già diffusa abbastanza, se pensiamo alle varie live, dirette, stories e chi più ne ha più ne metta, rende la cosa meno efficace del previsto. Certo, possiamo anche per un attimo soffermarci sul fatto che proprio perché si tratta di un futuro apparentemente prossimo al presente allora c'è da spaventarsi. Ma la struttura generale del film, anche nell'accennare a grandi temi senza tuttavia approfondirli, non permette di notare i pochi pregi, perché presenta fin troppi difetti. E questo nonostante il fatto che i suddetti riescono comunque a rendere interessante il film, l'intrigante inchiesta di Dave Eggers infatti, sull'utilizzo dei social network, della tecnologia e dell'impatto che essi hanno sulla vita privata degli individui, fanno certamente diventare questo un film affascinante (almeno) nelle intenzioni ma purtroppo banale nella realizzazione.

venerdì 9 febbraio 2018

La Bella e la Bestia (2017)

A nemmeno tre anni dall'apprezzabile e discreta, perché cupa, meno fiabesca e poco musical, versione francese della celebre fiaba con Vincent Cassel e Léa Seydoux, ecco l'ennesima riproposizione in salsa Disney de La Bella e la Bestia (Beauty and the Beast), il (comunque bellissimo) classico che nella versione animata giunse nel 1991 alla nomination all'Oscar come miglior film. Una riproposizione che però non sortisce in parte l'effetto voluto, perché anche se la storia ricalca fedelmente (troppo) l'originale, visto che le novità si esauriscono nell'invenzione di due piccole back story per i protagonisti e nel nuovo adattamento delle parole delle canzoni, a mancare in questa (almeno personalmente deludente) pellicola, è precisamente la magia, quella che dovrebbe rapire lo spettatore e farlo immergere in una favola senza tempo accompagnandolo nella straordinaria storia di un principe, di un incantesimo, di un odio che si trasforma in amore capace di spezzare ogni apparenza, ogni superficiale impressione, ed invece manca tutto ciò, manca un'anima a questo film che, seppur tecnicamente ineccepibile, ben girato, con le musiche passate alla storia, le scene corali, tutto molto ben fatto ma senza trasmettere nulla in più allo spettatore che si vede scorrere la pellicola senza riuscire davvero ad apprezzarne il senso, il focus, giacché non scocca quella scintilla di magia tra film e spettatore, non c'è un vero coinvolgimento, è tutto molto approssimativo, molto superficiale, quasi sbrigativo. Questo live action del 2017 infatti, diretto da Bill Condon, se tuttavia merita appunto un'ampia sufficienza grazie ad un comparto tecnico notevole, grazie a scenografie ed effetti speciali di prim'ordine, senza dimenticare gli scontati ottimi costumi, non riesce insomma a ricreare quella magia e quel coinvolgimento dovuti a film del genere, anche perché il cuore e il pathos dell'originale non si avvertono.

lunedì 15 maggio 2017

Colonia (2015)

Mi aspettavo un film storico/politico che raccontasse gli orrori della dittatura di Pinochet in Cile dopo il golpe del 1973, un film che raccontasse di quel periodo oppure la storia dei giovani di quel periodo, della loro voglia di libertà, un po' come fece Pablo Larraín nel bellissimo No: I giorni dell'arcobaleno, invece inaspettatamente la partenza impegnata lascia presto il posto a un film di genere (che a sorpresa convince sufficientemente), dato che Colonia, film del 2015 diretto da Florian Gallenberger, partendo dal colpo di stato successo in Cile nel 1973 racconta, attraverso la love story tra due giovani ragazzi, una delle pagine più nere della storia contemporanea, che assolutamente non conoscevo direttamente, avrò forse sentito qualcosa ma non ricordo, comunque sullo sfondo del golpe cileno il film racconta la storia di due tedeschi segregati nella Colonia Dignidad (titolo originale della pellicola), intesa come luogo di reclusione assoluta dove venivano reclusi e torturati i prigionieri del regime e dove la libertà diveniva solo un lontano ricordo ed un irraggiungibile sogno, insomma un vero lager. Colonia Dignitad infatti, che in apparenza era soltanto una setta religiosa che viveva in disparte dal resto della società seguendo dogmi diversi, gestito da un pastore tedesco, Paul Schafer detto Pius, era in realtà un luogo di tortura e imprigionamento di molti detrattori e nemici del governo dittatoriale di Pinochet. Lo stesso Pius era un ex militante nazista che trovò rifugio in Cile e collaborò con la polizia militare di Pinochet che gli procurava gli "ospiti", dapprima torturati e poi impossibilitati a lasciare la comunità-lager. Insomma qualcosa di davvero terrificante e sconvolgente, che risulterà ancor più nei titoli di coda, quando risulterà evidente la drammaticità dei fatti, dei suoi sviluppi e quello che hanno subito tante persone, tanti innocenti bambini, l'indignazione è grande.

mercoledì 22 febbraio 2017

Thriller Week 2: Regression (2015), Good People (2014) & Manhattan Nocturne (2016)

Il genere thriller è uno dei generi cinematografici più in voga da sempre, dato che si possono coinvolgere nella trama più sceneggiature possibili e inimmaginabili, trattando argomenti diversi e convergendo il tutto in una sapiente (ma non sempre) aura di pathos e tensione, ecco perché ne vedo tanti. E così, dopo il Thriller week (Dark Places, The Captive, Reversal) dello scorso mese ripropongo nuovamente tre film a tema, anche se chissà perché credo che mensilmente sarà riproposto. Ma se nello scorso post parlavo di tre film a tinte horror, qui tutti e tre sono diversissimi, anche se come ovvio appartengono tutti alla stessa categoria. Comunque il primo, Regressionfilm del 2015 diretto da Alejandro Amenábar (Agora, Mare Dentro e The Others), è un thriller invero dall'impostazione horror che però diventa dramma psicologico e umano. Il perché è presto detto, Regression infatti è un thriller che mescola atmosfere inquietanti di (reali o presunti) riti satanici e teorie psicanalitiche sull'ipnosi e la regressione attraverso la classica vicenda del detective che si butta a capofitto nel caso e perde di vista la realtà. Siamo negli anni '90, un episodio inquietante, una presunta setta satanica, una ragazza (Angela alias Emma Watson) denuncia il padre di aver abusato di lei e di essere coinvolto in una setta satanica, il padre però non ricorda nulla. Si scatena così, in un paese della provincia americana (dove tutti conoscono tutti, dalla nascita o quasi), la caccia alle streghe da parte della polizia e non solo, un detective difatti (interpretato da Ethan Hawkesi fa coinvolgere emotivamente e psicologicamente in questa brutta storia, ma è lui e solo lui quello che deve trovare il bandolo della matassa e dare una spiegazione razionale a quello che sta accadendo attorno a lui. E man mano che la storia si infittisce, il detective Bruce Kenner (il detective più in gamba del suo dipartimento) si inoltra in una selva oscura e intricata che sembra prendere direzioni soprannaturali. La figura del professore (interpretato da David Thewlis) che affianca Bruce nelle indagini, non aiuta certo a schiarire le idee. Attraverso la pratica della regressione, il professore è infatti convinto che sia possibile riportare a galla i ricordi sepolti che ognuno cerca di nascondere per non doverli affrontare. La suggestione però prende il sopravvento e Bruce sprofonda in un limbo di quasi follia prima di riuscire a risolvere il caso, che si conclude con un plot twist inaspettato, anche se leggermente prevedibile. Il colpo di scena finale infatti ribalta tutta la vicenda, una vicenda che non poteva però avere un altro finale, come molti (compreso me) avrebbero voluto, perché se ancora non l'avevate capito si basa su fatti reali e non inventati come sembrerebbe, anche se qui, come detto precedentemente, il filo che lega realtà e fantasia è quasi impercettibile e neanche tanto efficace.