Sono numerosi i casi in cui il cinema si è confrontato con personaggi aventi una condizione di diversità fisica, causata dalla malattia: Freaks di Tod Browning, The Elephant Man di David Lynch e Dietro la maschera di Peter Bogdanovich sono solo alcuni esempi. Nel nuovo film di Stephen Chbosky, film del 2017, Wonder, è un bambino a dover fare i conti con la propria deformità fisica e a sottoporsi al peso dello sguardo indiscreto e crudele degli estranei. In tal senso il film aveva tutto per essere un drammone strappalacrime, in più ricattatorio, perché si parla appunto di bambini. Invece, pur avendo una tensione emotiva molto evidente, riesce ad essere attento, intelligente, profondo nella rappresentazione della malattia, perché allarga la prospettiva adottando punti di vista tematici validi per tutti: quello della difesa dei diritti del bambino malato, il rapporto con la diversità e una non peregrina riflessione sul bullismo. Il film è inoltre brillantemente diviso, in quattro voci narranti, che raccontano le differenze e le difficoltà del rapporto con Auggie, il protagonista (Jacob Tremblay), un bambino che ha dieci anni e dalla nascita ha una grave anomalia cranio-facciale, bambino che deve affrontare il mondo e andare a scuola dopo aver avuto un'educazione da sua madre a casa, un bambino che tra tante difficoltà deve riuscire a trovare il suo posto nel mondo. La sorella, Via (Izabela Vidovic), al primo anno di High School, poco considerata da una famiglia che pensa solo al fratello di cui forse si vergogna anche un po', Jack Will (Noah Jupe), compagno di scuola, e della sua amicizia difficoltosa con Auggie, e infine Miranda, ex migliore amica di Via. Tante voci, tanti sguardi, a cui se ne attaccano altri: i genitori soprattutto, la madre (Julia Roberts) totalmente affezionata al figlio, ma fragile e preoccupata, il padre (Owen Wilson), il più solido tra tutti e sempre presente per la moglie e i figli, e poi il preside (Mandy Patinkin) e l'insegnante di Auggie, il fidanzato di Via, i bulletti della scuola e Summer, che tra tutti gli amici ha lo sguardo più libero. Ed è questo che emoziona e commuove, il non voler necessariamente esasperare il tema della malattia da lacrima facile, ma emozionando facendo vivere delle situazioni di vita quotidiana in cui forse ciascuno di noi, da genitore o da figlio, si è trovato.
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venerdì 5 aprile 2019
mercoledì 20 giugno 2018
Cars 3 (2017)
È difficile capire quando è tempo di fermarsi, di cercare altre strade, di guardare al futuro. Un po' perché non è così facile cambiare drasticamente vita, un po' perché è complicato accettare una realtà che non vogliamo vedere. Questo Saetta McQueen lo sa bene in Cars 3, film d'animazione del 2017 diretto da Brian Fee, terzo capitolo della serie iniziata con Cars: Motori ruggenti nel 2006 che si avvale nuovamente di un cast vocale originale d'eccezione: Armie Hammer, Nathan Fillion, Owen Wilson, Kerry Washington, Bonnie Hunt e Chris Cooper, tra i tanti. La pellicola infatti, che propone un'amara seppur importante riflessione tra vecchio e nuovo, tra le vecchie e le nuove tecnologie, ci racconta di Saetta McQueen che, senza rendersene conto, si ritroverà con le spalle al muro quando la tecnologia busserà alla sua porta e sfreccerà sull'asfalto. Quest'ultimo difatti è costretto ad affrontare una nuova generazione di auto da corsa che minacciano non soltanto il suo primo posto nel mondo delle corse, ma anche la sicurezza interiore che l'ha reso un campione. Saetta insomma è vecchio, obsoleto perché le nuove tecnologie ha prodotto auto migliori in tutto della vecchia generazione alla quale Saetta appartiene: più veloci, aerodinamiche, e tecnologiche. Per lui quindi la stagione del declino (non bastasse un grave incidente) è ormai alle porte con il conseguente inevitabile ritiro. Ma il mito resiste e viene carpito dal solito faccendiere senza scrupoli che tenta di lucrare su un marchio ancora tanto amato e che vende. Dopo i primi disastri (la tenacia da sola non basta), Saetta è sull'orlo di essere licenziato ma riesce ad ottenere un'ultima possibilità: allenarsi come vuole lui, fuori all'aperto e secondo i vecchi metodi che lo avevano reso campione. Lo accompagna la giovane istruttrice Cruz Ramirez, in realtà campionessa dall'enorme potenziale inespresso, autoconvintasi di non essere un pilota a seguito di un'esordio alle gare non proprio felice. La risalita è perciò lunga e difficoltosa ma saranno proprio le esperienze positive e negative che permetteranno al nostro eroe di tornare in corsa, o quasi, per trovare finalmente il suo posto nel nuovo mondo e dare forse una svolta alla sua vita.
venerdì 1 dicembre 2017
Vizio di forma (2014)
La settima fatica (e il suo terzultimo film prima del documentario Junun e del nuovo film in uscita l'anno prossimo in Italia) del quarantasettenne Paul Thomas Anderson è la prima pellicola mai tratta da un libro di Thomas Pynchon, l'omonimo Vizio di forma, ed è un film bello e (o ma?) complesso, pienamente nell'ormai riconoscibile, tanto venerato da alcuni quanto disprezzato da altri, stile del regista statunitense. Egli è infatti famoso per la coralità dei suoi film, e questo non è da meno, la pellicola è colma di personaggi, tutti funzionali alla costruzione del quadro di un'epoca, quella dell'America anni '70, rappresentata con un pizzico di nostalgia e devozione. Ne esce un paese a due facce, da una parte lo Stato che va in Cambogia a controllare il traffico di droga, i suoi funzionari (i poliziotti) intolleranti e ottusi e la borghesia bene (i dentisti) con i suoi vizi privati e pubbliche virtù, dall'altra quei ragazzi che non si riconoscevano in quel tipo di paese, gli hippy appunto, che per evadere sperimentavano droghe e che predicavano l'amore. Le prime tre categorie sono rimaste, la quarta no, e con questo il regista vuole avanzare anche una riflessione sull'America di oggi, un paese che "ha perso la sua innocenza" e lo ha fatto proprio a cavallo di quegli anni, quando Charles Manson (deceduto pochi giorni fa) commettendo i suoi delitti ha svegliato gli Stati Uniti dal quel sogno che erano stati gli anni '60. Assistiamo perciò, attraverso il personaggio principale, a questo ristagno generazionale, e seguiamo quindi una trama sotto i fumi della "maria", un (strano, quasi incomprensibile) viaggio psichedelico con visioni di un futuro prossimo aberrante ma vestito in doppiopetto. Anche perché Vizio di forma come The Master è un'opera estremamente complessa e stratificata, fin appunto dalla storia stessa ascrivibile ad un vero e proprio trip.
martedì 20 dicembre 2016
Gli altri film del mese (Dicembre 2016)
In questo mese nonostante il poco tempo a disposizione, dato che questo mio classico post è stato anticipato per permettere ai Saba Awards di essere pubblicati ininterrottamente dal 27 all'11 gennaio, come già accennato pochi giorni fa, qui, ho visto ugualmente tanti film oltre a quelli già pubblicati, alcuni interessanti, altri meno, come alcuni che per forza di cose e come ormai divenuta abitudine all'inizio di questo post, adesso vi parlerò brevemente. Partendo da un horror che partiva coi migliori auspici, un inedito horror in cui i migliori amici dell'uomo diventano mostri assetati di sangue, Night of the Wild (2015), fino a quando ci si rende conto che è prodotto dalla Asylum e tutte le buone intenzioni fanno a farsi benedire. Eppure era diretto da Eric Red, il creatore di "The Hitcher", e il cast comprendeva la bellissima Tristin Mays, invece brutto come la peste. Disgustoso e verdastro come il meteorite che cade nei pressi di una tranquilla cittadina, alterando il comportamento di tutti i cani del posto che si trasformano in belve feroci, che ovviamente attaccano e uccidono tutti, tranne la classica famiglia 'fortunata'. Ma se l'idea (che prendeva esempio dai classici eco-vengeance anni '70 e '80) risultava interessante il risultato è pessimo. Un non film con una trama sterile che annoia, con degli effetti speciali assurdi e situazioni imbarazzanti e tragicomiche da far ribollire il sangue, con un finale deludente e per niente appagante, praticamente una schifezza. Una mezza boiata è invece Swept Under, thriller del 2015 di produzione canadese che parte come un improbabile poliziesco figlio delle inflazionatissime serie tv che ormai portano agli onori della cronaca ogni figura professionale possa avere a che fare con un fatto delittuoso (lei infatti è solo esperta delle scene del crimine perché le pulisce e lui il giovane detective in completo perfetto, tipico del principiante), e finisce per essere una crime-love-story assurda e inconcludente, dato che i due, dopo il ritrovamento di un indizio sfuggito agli investigatori, che innesca un dialogo, formeranno una strana collaborazione che li porterà (forse) ad individuare il serial killer (un killer per niente credibile). In più la regia è piatta e inconsistente, e gli attori, conosciuti e affascinanti, la bella Devin Kelley e l'inossidabile Shawn Ashmore (The Following), non fanno scintille, anzi, il film scivola senza sussulti, nonostante la svolta nel finale, quando la vicenda cambia pelle e si discosta almeno un po' dalla banalità. Insomma guardabile ma non da consigliare. Si salva invece ma solo perché i primi due capitoli mi erano discretamente piaciuti (li trovate qui), Antboy e l'alba di un nuovo eroe (2016), terzo, probabilmente inutile, di cui non si sentiva il bisogno, lungometraggio del piccolo supereroe danese, dai poteri di formica che lotta contro il crimine. In questo capitolo per affrontare un super criminale farà ricorso all'aiuto dei suoi amici (e di un nemico) senza i quali difficilmente potrebbe uscirne vincitore. Perché come ovvio lui vince, perde interesse invece la trama banale e superficiale come tutta la storia, stavolta non credibile anche se bella. Insomma un film per ragazzi comunque discreto che però perde brio e sostanza dai precedenti capitoli, facendo così perdere lucidità e creatività. Troppo poco per consigliarlo. Consiglio invece di leggere le prossime recensioni poiché alcuni di essi meritano di essere visti.
lunedì 7 novembre 2016
No escape: colpo di Stato (2015)
No Escape: Colpo di stato (No Escape) è un crudo e avvincente film del 2015 diretto da John Erick Dowdle. Un film con una trama originale ma attuale, che trae ispirazione dalla cronaca estera, un paese del terzo mondo (forse quarto) diventa luogo di una rivolta, che sfocia nel sangue, ed una normale famiglia americana diventa un bersaglio mobile. La famiglia di Jack Dwyer, che lavora per una compagnia che costruisce e mantiene acquedotti, che le difficoltà economiche in patria portano la sua società a trasferirlo con tutta la famiglia (assieme alla moglie ci sono anche due bambine piccole) nel Sud-Est asiatico, nazione non prettamente specificata, si dice Thailandia ma in questo caso non confina con il Vietnam (sarebbe da fantascienza), forse Cambogia? In ogni caso, appena arrivati scoppia una rivoluzione, un gruppo armato, spietato e sanguinolento uccide il primo ministro e scatena una guerra senza scampo per le strade e nei palazzi. Ci vorrà poco per capire che il bersaglio prediletto di tutta questa violenza, oltre al governo, sono gli occidentali e in particolare proprio gli americani come Jack, quelli venuti per lavorare all'acquedotto. Senza nessuna conoscenza militare, nessuna spiccata capacità da uomo d'azione Jack dovrà cercare di mantenere in vita la propria famiglia. No Escape, è un film d'azione molto drammatico, che non dà momenti di tregua né ai protagonisti, né allo spettatore. La storia è infatti raccontata con un ritmo serrato al cardiopalma, sin dal primo minuto. Una storia che vede come protagonista un uomo medio, per nulla avvezzo ad intrighi e situazioni d'azione, in questo la scelta di Owen Wilson è perfetta. Purtroppo i fratelli Dowdle non riescono ad essere coerenti fino in fondo con questo presupposto, gongolano nel lasciarsi prendere la mano da qualche impossibile sequenza d'azione e non rimangono davvero fedeli al lato B, cioè alle dinamiche più elementari e di suspense che la storia di un uomo comune in circostanze eccezionali propone. Preferiscono difatti troppo spesso sottolineare l'amore del padre per le figlie ed esagerare nel fornire elementi di tensione lavorando (goffamente) sulle relazioni intra-familiari. Insomma invece che rimanere sui toni secchi e asciutti, determinati e convincenti si spostano eccessivamente sul melodrammatico, invece che far parlare le azioni fanno parlare le parole. Soprattutto non resistono alla tentazione di dare tratti da eroe al protagonista, annacquando uno dei presupposti migliori. Ma nonostante questi innegabili difetti lo stesso No Escape rimane un esperimento più che riuscito.
giovedì 20 ottobre 2016
Zoolander 2 (2016)
Se dar vita ad un cult è un'impresa titanica, riuscire a ripetersi in un sequel è qualcosa di miracoloso che infatti puntualmente anche in questo caso non si verifica, anzi, la base ideologica che fungeva da pilastro di Zoolander (che per completezza ho rivisto) in questo capitolo II si sgretola, se nel primo film la demenza era giustificata da un'iconologia della moda, nel secondo l'aspetto 'stupido' prende il sopravvento e soffoca gli aspetti pregevoli della pellicola. Il problema principale di Zoolander 2 (film del 2016 scritto, diretto ed interpretato nuovamente da Ben Stiller) infatti scaturisce dalla sceneggiatura che rielabora goffamente il soggetto, senza riuscire a rielaborare il tutto, perché se la trama cerca diversi appigli, in concreto non trova continuità, ferma in una carrellata infinita di personaggi e semplici guest star con il grosso problema che la risata non diventa mai contagiosa. Il regista difatti mette in scena personaggi e luoghi comuni ma che non hanno l'effetto propriamente desiderato, e che rendono banale e grotteschi i novanta minuti, eccezione fatta per alcuni momenti divertenti che intercorrono, però, con cadenza esasperante. Sicuramente rispetto al primo Zoolander, questo è più commerciale e standard, o, se si vuole, meno serioso, con battute molto più terra-terra e gratuite, molto più dirette e meno costruite e mirate a far riflettere sulla futilità ed estreme vuotezza del patinato mondo della moda. Il numero due appare decisamente la versione annacquata (a parte alcune eccezioni) del primo. Quindi è lecito domandarsi se fosse davvero necessario farlo o no...la risposta probabilmente è no. Detto questo però, non è un film proprio brutto, ma assurdamente bello. Poiché in fin dei conti le trovate molto azzeccate ci sono, ma le vedremo dopo, per adesso concentriamoci sulla trama, che sembra non soffrire il tempo (come gli attori), dato che ricomincia da dove si era concluso il primo esattamente 15 anni prima, quando due giorni dopo l'inaugurazione il Centro Derek Zoolander crolla miseramente, da allora Derek e Hansel vivono oppressi dalla vergogna e isolati, quando entrambi ricevono un invito speciale per partecipare a un grande evento internazionale a Roma. Al loro arrivo però, si rendono conto di come il mondo della moda sia drasticamente cambiato ma, nonostante ciò, vengono reclutati per tentare di fermare un complotto mortale che rischia di distruggere per sempre quell'universo da loro tanto amato. La riuscita della missione potrebbe infatti rilanciare finalmente la loro carriera e permettere a Derek di riavere il figlio. Peccato che liberi involontariamente Mugatu dal carcere, sempre più travestito e sempre più folle, e tutto sarà più complicato, ma riusciranno a cavarsela ancora una volta.
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