lunedì 9 luglio 2018

20th Century Women (2016)

Partiamo subito con un appunto importante, il titolo inglese era probabilmente più adeguato e sicuramente più originale (non a caso è quello che ho preferito mettere) di quello scelto dalla distribuzione italiana, ovvero Le donne della mia vita, giacché il film 20th Century Women, film del 2016 scritto e diretto da Mike Mills, seppur è un racconto di formazione adolescenziale (dove le "sue" donne forti e indipendenti lo aiuteranno a crescere in una delle fasi più difficili dell'essere umano ma anche il racconto di una madre e di un figlio, del cambiamento che sta alla base della giovinezza), è soprattutto il racconto di tre donne, di tre età diverse, di tre concezioni della femminilità e dell'essere donna negli anni settanta, un periodo di forti cambiamenti. Un racconto in tal senso però innocuo (senza moralismi), semplice (il film infatti non ha una vera trama, che è come dire la vita stessa) e alquanto originale (insolito e interessante è il modo di raccontare). Giacché questo film di formazione di un quindicenne con madre single di 55 anni che ritiene utile coinvolgere nella sua crescita e maturazioni alcuni personaggi conviventi nella sua casa, tutti ben tratteggiati anche nella loro storia personale e rapportati al periodo storico (a cavallo tra gli anni '70 e '80, che delinea l'inizio di un cambiamento sociologico molto forte che si otterrà solo negli anni '80), è presentato in un modo piuttosto lontano dagli schemi tradizionali di oggi, ricordando in tal senso il periodo, colorato e bizzarro, degli anni '70. La pellicola infatti, una storia nostalgica, ma senza piagnistei, anzi piena di brio, di una singolare maternità, di una famiglia allargata ante litteram, e quindi essenzialmente di una lunga serie di scene aneddotiche, dove il regista mostra le passioni e paure semi sepolte di questi personaggi interessanti (e interpretati egregiamente), che hanno una vita e un passato profondo e complicato, di cui veniamo man mano a conoscenza, che altresì ci porta all'interno di un mondo affascinante e profondo, dove varie storie si intrecciano in una grande casa americana, cela spesso (e sorprendentemente) un sottile senso dell'umorismo che rende tutto molto divertente.
Perché appunto non è solo la storia o meglio le storie che si intrecciano (comunque abbastanza semplicistiche) ma il modo in cui vengono presentate a sorprendere, ovvero contrappuntate (e in successione vivace) da sovraimpressioni di citazioni e man mano delle date di nascita dei singoli personaggi, con una colonna sonora che esprime l'avvento del punk (dai Black Flag ai Talking Heads) e una formidabile interpretazione degli attori, tutti in stato di grazia. Poiché essi sono bravi a stare al passo di una sceneggiatura a molteplici strati, ognuno dei quali trattato fino all'osso, rendendo così giustizia al contesto complicato in cui i protagonisti vivono. Sono gli anni (quelli in cui ci riporta il film con una accurata soluzione di particolari scenografici e di ricostruzione) scottanti, forieri di importanti rivoluzioni culturali e dello spirito, e Dorothea (legata ai suoi tempi, gli anni '50, ma curiosa, anche se un po' incapace, di sperimentare il presente, vorrebbe capire la musica punk ma rimane legata alla colonna sonora di Casablanca) desidera che il figlio (l'esordiente Lucas Jade Zumann) apprenda a vivere con uno spirito disincantato, libero da falsi bigottismi e pregiudizi la sua vita agli albori. E così lei, interpretata da una Annette Bening più brava e immedesimata, se possibile, del solito, chiede aiuto a due ragazze, una eccentrica ma sensibile artista punk a cui affitta una camera (una insolita Greta Gerwig), ed una bella ragazzina 17enne (Elle Fanning) in rotta con la genitrice, che trova letteralmente rifugio (insinuandosi nella camera di Jamie attraverso la finestra del secondo piano per scambiarsi affettuose coccole, ma rigorosamente senza sesso) in quel "disordine organizzato" di casa (in cui abita anche il simpatico e piacente meccanico William, interpretato da Billy Crudup) per "crescere" suo figlio.
Su loro due difatti punta Dorothea che, alla sua età, si sente disorientata in un mondo in continuo cambiamento e reagisce fumando sempre, ed è convinta appunto che il dialogo e le uscite con le due ragazze di diversa età, e la presenza rassicurante di William, siano utili esperienze per la maturazione di Jamie. Ovviamente non tutto andrà come sperato, ma molti accadimenti, che rendono il racconto piacevolissimo, con delle parentesi comiche al limite del demenziale, come l'innamoramento (più che scontato) di Jamie per Julie, che lo vede come un fratello, o la relazione sessuale di Abbie con William, per dirne qualcuno, porteranno ad una spiegazione e ad una risoluzione alquanto positiva e convincente, come il film. Perché questo percorso, quello che ci fa fare il regista, attraverso queste vite così vere e palpabili, è davvero bello. Un percorso forse ottimisticamente troppo femminista, di donne intraprendenti e emancipate, decise ma allo stesso tempo fragili e insicure, un percorso certamente con qualche caduta retorica (forse inevitabile) e lungaggine sul finale, ma un percorso (probabilmente autobiografico del regista Mike Mills), con dialoghi spesso fulminanti e illuminanti, di notevole fattura come la pellicola, una pellicola aperta da un incipit emozionante e capace di stupire per la forza dei personaggi e per una messinscena di buonissima fattura. Una pellicola pregevolmente calata nel periodo storico di riferimento in cui la parte più bella e originale è da ricercare nella presentazione dei futuri destini di ciascuno (ma bisogna vedere il film, per non fare spoiler ma anche per apprezzarne la fattura).
Questo perché i personaggi sono tratteggiati con cura, anche nelle loro storie personali tutt'altro che banali. Come non banale è questo film, un film incredibile, di una potenza universale, primordiale, che fa della scrittura la sua forza (non a caso è stato candidato per la sceneggiatura agli Oscar 2017). Merito non solo della musica, assoluta protagonista del film, perché ci fa percepire il cambiamento, il gap generazionale in atto (è il cambiamento che avanza), musica ascoltata attraverso un vecchio giradischi, ad alto volume per sfogare la rabbia, in un jukebox o dal vivo in un club underground, e non solo perché il rischio di cadere nel banale è evitato attraverso l'adozione del punto di vista di Jamie per quanto riguarda temi importanti, osservati in modo incerto senza la pretesa di volerne carpire il senso fino in fondo, dopotutto si tratta in questo caso piuttosto di una scoperta, del distacco dal passato (sottolineato in maniera magistrale dal cambiamento del gusto per la musica) e di un viaggio meraviglioso verso la crescita (con tutte le difficoltà che ciò comporta) affrontato con la serenità di chi sa di avere ancora tempo per capire la vita, o almeno per provarci, ma anche merito di attori perfettamente in parte. Annette Bening, qui impegnata forse nella sua migliore prova dell'ultimo decennio, rinuncia con orgoglio e purezza ad ogni tentazione cosmetica per fornirci un ritratto di donna bella e stropicciata dal tempo che passa, positiva e orgogliosa nonostante le difficoltà e soprattutto madre leale, amica e collaborativa nei confronti del figlio sveglio e intelligente che sa tenerle testa con ironica ed acuta compatibilità.
Greta Gerwig con ciuffo fulvo sostiene con una drammaticità più forte del solito il suo personaggio di donna afflitta da gravi complicazioni uterine, destinata a rinunciare ad una maternità che mai come da quando sa di non sostenerla, le manca e le pare indispensabile. Elle Fanning, deliziosa come sempre, è una diciassettenne che sa ritagliarsi il ruolo di amica ed iniziatrice "emozionale" del suo compagno quindicenne sveglio e sicuro di sé senza inutili ostentazioni, sempre lucido e meditativo oltre ogni ipotizzabile misura rapportata alla sua giovane età e condizione, lo interpreta con brio e volitiva partecipazione un giovane attore che potremmo rivedere in altre occasioni, tanto pare felice la sua presenza nel film: si chiama Lucas Jade Zumann, volto gradevole e promettente. A Bill Crudup è assegnato il ruolo dell'uomo utile, rassicurante, necessario, ma per nulla opprimente né limitato da gelosie o altri limiti che spesso caratterizzano sino alla logorrea, la figura del maschio di riferimento, spesso padre e padrone consapevole e per questo più inevitabile che fondamentale. Insomma, 20th Century Women è un film abbastanza particolare, non eccezionale, ma interessante, un film che può anche non piacere o comunque non essere apprezzato abbastanza, considerandolo un esercizio intellettuale di Mike Mills alla ricerca delle cause e delle scelte che portano gli esseri umani ad essere quello che sono, ma poiché non è solo questo, il film, che riesce a rendersi sempre piacevole e gradevole, che riesce a divertire ed intrattenere (seppur non sempre), che riesce a non annoiare (nonostante una considerevole durata) e che può essere definito certamente un film riuscito, è sicuramente così tanto originale e fresco da meritarsi una visione ed un buon voto. Voto: 6,5 [Qui più dettagli]

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