Visualizzazione post con etichetta Yorgos Lanthimos. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Yorgos Lanthimos. Mostra tutti i post

venerdì 2 luglio 2021

I film del periodo (14-30 Giugno 2021)

Giugno è stato il mese della svolta, della ripartenza, ed ora che è finito, ne comincia un altro, un mese estivo che si prospetta anche migliore, un mese di Luglio in cui tra l'altro festeggiare (il 22) l'anniversario di questo blog (il sesto), ma non solo. Infatti da martedì 6 riparte l'abituale appuntamento con la Notte Horror, la rassegna cinematografica a tema che, arrivata alla sua ottava edizione, riproporrà, grazie alla più famosa cricca di blogger cinefili della blogosfera, serate terrificanti da leggere (e poi chissà vedere). Va da sé che il mio turno sarà ad Agosto, ma il mio consiglio è quello di non perdersi un appuntamento, dall'inizio alla fine, e con l'aiuto di un calendario sarete sempre informati. Che poi mi toccherà il 17 di Agosto, eppure due settimane prima (più precisamente il 4) ci sarà un altra rassegna, stavolta ad opera dell'altra cricca di blogger più cool della blogosfera, quelli della Geek League, tornerà infatti il Geekoni Film Festival, che proporrà nuovamente ai nostri lettori recensioni di film per ragazzi, quindi sì, parecchia carne al fuoco all'orizzonte. Ma nel frattempo ecco cosa ho visto nella scorsa seconda parte di Giugno, un mix (succoso ed interessante) di azione, dramma, commedia ed avventura, tra biopic, film animati e tanto altro.

Dogtooth (Dramma/Thriller 2009) - Ancora prima di The Lobster (il suo migliore a parer mio), Il sacrificio del cervo sacro e La favoritaYorgos Lanthimos mostrava una certa propensione nel colpire lo spettatore e portarlo su terreni poco battuti, cercando di spiazzare e coinvolgere in maniera quasi surreale. Questo Dogtooth esalta queste caratteristiche del regista greco con una storia quasi grottesca nei dialoghi, decisamente surreale per come si presenta e, per certi versi, criptica per quello che mostra ma non spiega. Tutto questo tratteggiando in maniera spietata le abitudini di una strana famiglia. Il tema "familiare" molto caro al regista è così una escalation di situazioni che porta inevitabilmente alla goccia che fa traboccare il vaso. In questo caso una ragazza esterna che ha "perfino" un nome. Un vaso in cui l'assurdo regna ovunque e diventa la regola, la norma. Tutto è capovolto e nulla è come sembra, ma è indubbio che ci sia qui follia, oppressione, ignoranza, cecità spirituale e mentale. Facendo diventare il tutto un vero trattato sociologico, un film morboso ricco di sfumature, con una riflessione sull'amore e sulla famiglia, sul linguaggio fino a toccare il rapporto con gli animali. L'amore come forma di possesso emerge come elemento destabilizzante e portatore assoluto di negatività. Film che purtroppo risente di una impostazione eccessivamente accademica e per paura di cadere in un didascalismo che ne limiterebbe le potenzialità interpretative, si lascia andare a un rigore formale che lascia troppo in sospeso e mutila il film di un momento topico, di confronto, imprescindibile per comprendere almeno in parte le dinamiche familiari. Tutto è lasciato allo spettatore ma il tutto è troppo. Alla fine un buon film (che grazie anche a un cast volenteroso, tra cui la povera Mary Tsoni ritrovata morta pochi anni fa, riesce a non scadere nella noia estrema), ma a mio parere incompleto. Al regista va comunque il grande merito di coinvolgere e bloccare lo spettatore in quella logica perversa il cui risultato è una sensazione di totale claustrofobia, e non è poco. Voto: 6,5

El bar (Commedia/Horror 2017) - Un giorno come tanti in un bar nel centro di Madrid. Personaggi pittoreschi che fanno colazione, il primo cliente che esce viene freddato. Le strade si svuotano, nessun telegiornale ne parla, i cellulari sono senza rete. L'incubo è all'esterno o il vero pericolo è all'interno del bar? Álex de la Iglesia è uno dei pochi registi viventi che riconosceresti un suo film già al primo frame. Il suo grottesco è un marchio di fabbrica, a volte cade nello splatter, altre volte nell'horror o nel trash più sconcertante, ma è sempre intriso di genialità. Non parliamo di capolavori, per carità, ma di un cinema divertente e con picchi di grandi trovate. El bar è una pellicola gustosa e che nel suo essere di poche pretese, riesce a nascondere bene alcuni aspetti molto interessanti. Lo fa in modo intelligente, nonostante una sceneggiatura a volte titubante, riesce a creare dei personaggi realistici e a creare situazioni. Buona in questo senso la prova del cast (tra Mario Casas e Jaime Ordóñez, ecco spuntare la bella Blanca Suárez), con personaggi (appunto) abbastanza curati e disparati. Álex de la Iglesia ha fatto film migliori di questo (vedasi Ballata dell'odio e dell'amore o Le streghe son tornate), ma rimane comunque un prodotto discreto. Voto: 6+

martedì 11 giugno 2019

Il sacrificio del cervo sacro (2017)

Tema e genere: Presentato in concorso al Festival di Cannes 2017, dove ha vinto il Prix du scénario, premio che viene assegnato alla miglior sceneggiatura dei film presentati in concorso nella selezione ufficiale, il film è un thriller drammatico che riprende alcuni elementi del mito greco del sacrificio di Ifigenia.
Trama: Un carismatico chirurgo è costretto a fare un sacrificio impensabile quando la sua esistenza inizia a cadere a pezzi a causa del comportamento sempre più sinistro e misterioso dell'adolescente che ha preso sotto la sua ala protettiva. Il processo sarà dilaniante e le conseguenze gravi.
Recensione: Si ricompone la coppia regista/interprete Yorgos Lanthimos e Colin Farrell di The Lobster, in un film che in comune con il precedente ha il senso del "weird", del mistero soprannaturale nascosto tra le sue pieghe, e un senso dell'estetica cinematografica molto lineare e pulito. Il regista infatti, punta nuovamente tutto sul racconto distopico dallo stile straniato, algido, nel quale i sentimenti vengono espressi rigidamente, il sesso consumato attraverso lo sguardo posato su corpi inerti e l'ipocrisia serpeggiante in ogni ambiente. Il regista infatti, facendosi aiutare dal ruolo centralissimo di una colonna sonora che procede a colpi di dissonanze, punta tutto su un'estetica raggelata che è il suo marchio di fabbrica. Ma stavolta l'esito del racconto (al contrario del bellissimo precedente), che per gran parte sembra quasi seguire una pista gialla, che quasi naufraga miseramente in un finale leggermente ridicolo, non convince. Non tutto difatti sembra filare, con momenti in cui il meccanismo di tensione crescente e di tragedia annunciata perde il ritmo, con pause che dilatano l'attesa. A proposito del finale, che svelare (seppur immaginabile dalla trama) non è corretto e pertanto si tralascia la parte conclusiva del film in cui si spiega chiaramente l'andamento dell'intera vicenda che prende spunto direttamente dalla tragedia classica di "Ifigenia in Aulide" di Euripide. Il regista Lanthimos, in pratica (come spesso gli capita, egli infatti non è un regista diretto, giacché tutte le sue opere vengono caricate di significati ed immagini ricercate per consegnare allo spettatore in maniera contorta il proprio messaggio e la propria concezione negativa sulla natura umana ingenerale), trasporta l'opera o, più precisamente, il concetto espresso dall'autore greco ai giorni nostri, caricandola di metafore, però, poco comprensibili perché occorrerebbe effettivamente conoscere bene il testo originale. Ed è un problema non di poco conto, perché le scene disperate di tortura fisica e psicologica, le patetiche strategie di sopravvivenza dei condannati alla "maledizione", i calcoli spietati di chi ha la responsabilità di prendere decisioni inumane si perdono in un catalogo di sgradevolezze che culminano nell'atroce roulette mortale, epilogo sadico ed ambiguo che lascia perplessi. Il sacrificio del cervo sacro vuole raccontare una tragedia moderna, quella di un uomo le cui certezze si sgretolano quando viene messo davanti alle conseguenze tragiche dei suoi errori, ma non emerge mai davvero la volontà di inscenare questa suddetta tragedia e resta solo un revenge movie che pur essendo ben orchestrato non è mai fonte di stimoli e suggestioni ma solo di reazioni effimere e contingenti. In tal senso non aiuta il perseguimento estenuante di una perfezione formale sempre più ricercata, che sempre più spesso ultimamente sembra far capolino tra i grandi indagatori morali dell'arte cinematografica mondiale, tra questi il regista, che è seguace ed erede. Formalità che è senz'altro assai ambiziosa, nel casting e nell'impianto di ogni singola scena, ognuno ci può vedere riferimenti, palesi o impliciti, a grandi autori, ma perlopiù soffocante.