sabato 9 dicembre 2017

Tutti gli altri film visti durante il 2017: Dramma (Il Clan, 100 Streets, Woman in Gold & The Sacrament)

Terzo appuntamento oggi con il genere drammatico, un genere che ogni anno regala grandi intensi ed emozionanti film, non a caso è uno dei generi maggiormente candidati all'Oscar. Vincitore per la regia del Leone d'Argento al festival del Cinema di Venezia del 2015, e vincitore del Premio Goya 2016 come miglior film straniero in lingua spagnolaIl Clan (El Clan), film argentino del 2015 scritto e diretto da Pablo Trapero, racconta la storia, apparentemente incredibile ma ahimè drammaticamente vera, della famiglia argentina Puccio, che all'inizio degli anni '80, e precisamente tra il 1982 ed il 1985, organizzava (sotto la protezione del regime) e perpetuava rapimenti e, dopo avere incassato il riscatto dai familiari dell'esponente rapito, lo uccideva a sangue freddo. Saranno poche infatti le vittime a salvarsi da un capo-clan luciferino e dai suoi fedeli parenti, fino a che non torna la democrazia e qualcosa necessariamente cambia. Davvero un grande film, che riflette su responsabilità individuale, etica di gruppo e, in maniera indiretta, memoria collettiva è questo qui. Il film difatti è molto ben diretto dal giovane regista argentino, con uno stile rigoroso, lucido e freddo, riflettendo adeguatamente le azioni e soprattutto il carattere e la personalità del carismatico capo famiglia, il quale costituiva la "mente" principale di tutti i misfatti in cui egli riusciva anche a coinvolgere, chi più chi meno riluttante, tutti i parenti. Giacché il regista, descrivendo appunto come anni di militanza al servizio della dittatura abbiano trasformato l'assuefazione al binomio violenza/impunità in assenza di rimorso e in indifferenza, l'orrore in ordinarietà, riesce bene a rappresentare (senza indulgenze e dove ad emergere è la storia di un paese in cui nessuno è veramente innocente) un'epoca cupissima. Un'epoca e un'opera questa, che ha comunque una sua innegabile originalità, in cui la violenza è però necessaria e funzionale al racconto.

Racconto che ha il merito di descrivere i meccanismi, che trasformarono l'inferno all'interno del Clan Puccio, in modo incredibilmente "normale". Ma il film non si limita alla documentazione di una pagina di storia criminale o a proporre la versione autoctona di un genere hollywoodiano, quanto mette in scena appunto una famiglia allucinante in cui si passa da momenti intrisi di normale quotidianità alla realizzazione di crimini a sangue freddo. E in cui un padre (uno straordinario Guillermo Francella) "compra" la collaborazione di un figlio con soldi e privilegi, mentre il giovane si dibatte nei suoi dilemmi con un candore fin troppo ingenuo (mentre dimostra molto più coraggio il fratello più giovane). Anche se sarà l'uscita di scena clamorosa e quasi beffarda (e sconvolgente) di Alex la vendetta contro un padre violento e scaltro. Ma non tanto da non comprendere che una stagione è finita anche per lui, e che presto o tardi anche i protettori più potenti ti possono abbandonare. Assai apprezzabile della pellicola è anche l'atmosfera con cui viene raffigurata l'Argentina degli anni '80, sia dal punto di vista della situazione politica e sociale attraverso filmati di repertorio che dal punto di vista strettamente della ricostruzione ambientale e dei costumi nonché della musica del tempo. Insomma, un quadro ben riflettente l'epoca e la crisi di un paese in aggiunta alla mente malata e perversa di alcuni suoi esponenti. Anche se proprio per questo, che il film, comunque non adeguatamente sviluppato, con troppa carne al fuoco forse e dove alcuni aspetti vengono tralasciati, è più interessante che bello, con uno stile pesantemente televisivo che fortunatamente sa riscattarsi solo verso l'epilogo finale. Giacché nonostante le potenzialità dello script davvero enormi, la famiglia Puccio è descritta forse troppo come una blanda telenovela qualsiasi, anche se resta tuttavia la mastodontica prestazione del protagonista (il viscido e glaciale) padre-padrone. La sua è infatti una prova attoriale di prim'ordine (consegnandoci in tal senso uno scomodo personaggio, difficilmente dimenticabile), che riscatta sia qualche falla emotiva della sceneggiatura, sia appunto le caratterizzazioni (didascaliche e televisive) degli altri personaggi. Il film però, molto ben montato, e nonostante qualche salto logico, qualche passaggio a vuoto e una colonna sonora (comunque alquanto discutibile) è importante e da non perdere. Voto: 7- [Qui più dettagli]
Davvero una piacevole sorpresa è questo bel film di produzione britannica, ovvero 100 Streets (A Hundred Streets), film drammatico del 2016 diretto da Jim O'Hanlon. Un indie movie indipendente imperniato sulla cosidetta "Commedia Umana". Vi si parla infatti di tre (non banali e bei) casi (molto) umani di persone (e famiglie relative) che ad un certo punto delle loro vite si trovano ad affrontare, sullo sfondo di una Londra forse un po' insolita ma comunque raccontata coi colori dei sentimenti e delle emozioni più intime (una Londra che custodisce qualità e difetti degli uomini, e dunque le loro fragilità e le loro debolezze), serie difficoltà. Tre storie (vicende) quindi che, grazie allo sceneggiatore Leon Butler, che riesce a narrare le tre vicende (scritte oltretutto a cuore aperto) con perfetto equilibrio tra le diverse caratteristiche dei tre "episodi", riuscendo oltretutto a farli intersecare ed incrociare lievemente e solo per brevissimi tratti (poiché avvengono a poche strade di distanza), stuzzicano sin da subito l'interesse dello spettatore, nella triste o nella buona sorte (a seconda dei casi). Oltretutto le storie presentate (nonostante alcuni risvolti poco convincenti) sono lineari, pronte a regalare realismo e veridicità alla storia, cosa che, grazie alla sceneggiatura molto interessante e non banale, coinvolge e appassiona. Anche se in verità non è tanto la storia il motivo (più bello o convincente) che mi ha spinto a vedere questo film (e a farmelo piacere interamente), è stato, lo ammetto, il nome dei due protagonisti. Premesso che il cast è azzeccatissimo, a risaltare sono infatti Gemma Arterton e Idris Elba (nello stesso episodio), indubbiamente già delle star piuttosto note. La Arterton è di una bellezza impagabile (una delle donne più belle del mondo), una donna semplicemente meravigliosa che, se la cava assai bene anche come attrice. Quanto ad Idris Elba in questo film (come in Bastille Day e Star Trek Beyond) s'impegna davvero al massimo offrendo una prestazione più che discreta. Anche perché la loro infatti, è la storia più importante, quella di un campione di rugby il cui matrimonio con la moglie è in crisi, e l'esasperata gelosia di lui lo porta quindi a sragionare e a rifugiarsi nella cocaina, fino a quando non dà di matto e rischia di combinare un casino irreparabile. Nell'altro episodio abbiamo un ragazzo di colore (il promettente Franz Drameh) che sta vivendo un'adolescenza assai problematica che lo porta a spacciare e a conoscere il mondo della criminalità, finché l'incontro con un anziano attore di teatro (un discreto Ken Scott, certamente più credibile che nella seconda, alquanto mediocre, stagione di Fortitude) non gli cambia la vita. E infine c'è una giovane coppia serena (un intensa Kierston Wareing, la quale forma appunto una splendida coppia con l'impeccabile Charlie Creed-Miles) a cui manca solo un figlio per completare il quadro perfetto, solo che lui (taxista) investe per una tragica fatalità una signora in bicicletta, piombando evidentemente nello sconforto. Sono tre vicende perciò ciascuna molto coinvolgenti ma col pregio di smuovere nello spettatore le corde dei sentimenti però senza eccessi e senza ricatti. Sì, perché è un film che ci mostra le vite di tre famiglie messe a nudo, anche impietosamente, nel proprio dolore, piccole storie in cui la tragedia è dietro l'angolo, anche se la speranza e i sentimenti positivi aiuteranno ciascuno dei protagonisti a ritrovare la propria strada e una ragione di vita. Giacché il regista irlandese, che dimostra una regia efficace, dovuta anche alla sua lunga gavetta televisiva, dà vita perfettamente alla sceneggiatura donando delicatezza, disperazione, tristezza, amore quando c'è il bisogno. Non è da meno il montaggio, che unisce spesso momenti di contrasto. Certo, nulla per cui gridare al miracolo, tuttavia una visione piacevolissima la da, anche perché 100 Streets è un indie movie oggettivamente bello dalle diverse sfaccettature ed ognuna molto valida. Voto: 6 [Qui più dettagli]
E' una storia vera quella portata da Woman in Gold, film del 2015 diretto da Simon Curtis, sullo schermo, con eleganza in un mosaico di misurata drammaticità intervallata da ricordi di una infanzia dolce e serena alle soglie di una guerra che tutto avrebbe cancellato. Il film infatti ripropone tematiche, epoche, luoghi, orrori che non si possono e non si devono dimenticare. Tutte cose che seppur trattate con minore intensità rispetto ad un film sulla discriminazione razziale del nazismo, riescono ad essere esplosivi e coinvolgenti grazie anche e soprattutto alla performance di un cast affidabile e credibile, ad una regia attenta e una realizzazione emozionalmente palpabile. Giacché gli eventi raccontati nel film (rappresentati comunque in forma di operetta) di Curtis, hanno spunti drammatici che fanno commuovere (9 temi degli abbandoni, delle umiliazioni subite dagli ebrei, dei sensi di colpa della sopravvivenza…) ma fanno anche sorridere e lo si vede volentieri. Anche se la lotta apparentemente impari, per recuperare ciò che apparteneva alla propria famiglia, si risolve in una vittoria che tuttavia non viene giustamente esaltata e osannata. Forse perché è difficile scoprire che a distanza di 60 anni, la shoah ed il delirio nazista non si è concluso nei campi di sterminio, perché una volta normalizzatasi la situazione, il diritto di proprietà alle opere d'arte dei legittimi proprietari diventa un'eventualità, infatti i furti perpetrati dai nazisti negli anni '40 hanno disperso gran parte dei capolavori dell'arte tra i parenti dei ladri e le grandi gallerie d'arte tedesche ed austriache. E così il ritratto di Adeele Bloch Bauer (la Gioconda d'Austria), la zia di Maria Altmann, di Gustav Klimt è conservato al museo Belvedere di Vienna. Maria, Hellen Mirren (sempre perfetta nei suoi ruoli, come già appurato in Collateral Beauty e L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo), vive negli Stati Uniti, non è mai tornata a Vienna, ma in occasione della morte della sorella decide di rivendicare il diritto alla restituzione del dipinto, e per farlo si affida ad un giovanissimo avvocato, Ryan Reynolds (non eccelso ma più che discreto e credibile, meglio che ne il mediocre Mississippi Grind), per attivare le procedure legali per richiedere il diritto di proprietà al dipinto. E così il processo (una battaglia legale che si prolungherà per ben otto anni e che la costringerà a confrontarsi con le difficili verità del passato) si sovrappone ai ricordi di Maria dell'inizio delle angherie dei nazisti viste da una ricca famiglia austriaca. E in primo piano il regista pone il tema (comunque non del tutto approfondito e non del tutto convincente) del rapporto tra l'Austria e il suo passato, con il bilanciamento tra l'atteggiamento di un giovane giornalista, Daniel Bruhl (sufficiente la sua interpretazione, comunque migliore che in Captain America: Civil War), che cerca di espiare con l'impegno contro gli atti del regime l'appartenenza del padre alle SS, e quello del governo austriaco che alla fine tende a negare i residui diritti civili dei superstiti al regime. Ma nonostante la mediocre intensità, supportato da una splendida ed efficace recitazione il film non solo di lascia guardare ma si lascerà ricordare. Il film infatti è piacevole (soprattutto grazie alla bravura di Helen Mirren), ha le cadenze del legal thriller classico, ed anche se risente tuttavia di qualche eccesso schematico nel ritrarre un intero popolo o quasi, quello austriaco, alla stregua di nazisti senza divisa, esso è un buonissimo film che emoziona e coinvolge fin dalle prime battute e che merita certamente una visione interessata. Anche perché questo film di riflessione e di grandissima godibilità che si avvale di due tra i migliori attori emergenti del cinema mondiale, il cui unico limite è la naturale comparazione (dato che i produttori sono gli stessi) con Philomena, un film forse migliore, è un film probabilmente non indimenticabile, ma dignitoso che, grazie anche a due piccoli cameo di Jonathan Price ed Elisabeth McGovern nel ruolo di giudici, si lascia vedere, ci emoziona, si fa valere e merita di essere apprezzato. Voto: 7- [Qui più dettagli]
Questo è un film che ti spiazza completamente, soprattutto se quando lo guardi non conosci assolutamente niente di esso. La sorpresa sarà immensa. Non tanto con riferimento alla bellezza del film, ma al suo contenuto. Perché The Sacrament, thriller drammatico del 2013, diretto da Ti West e prodotto da Eli Roth (The Green Inferno), racconta un'agghiacciante ed assurda storia vera, di certi tragici eventi (di cui sarebbe illogico riferire qui, pena la rivelazione degli sviluppi della storia) accaduti moltissimi anni fa, che sconvolsero il mondo. Ed proprio grazie a ciò che il film riesce a coinvolgere e intrattenere egregiamente, senza annoiare e cercando, riuscendoci abbastanza bene, di mantenere per tutta la sua durata un certo realismo sia nello sviluppo dei fatti narrati che nell'uso perenne della telecamere. Giacché nel film, una sorta di ibrido che fonde insieme il cinema "classico" con le tecniche del Mockumentary, vediamo immagini realistiche e dialoghi molto asciutti che si susseguono con un ritmo incalzante, trascinando lo spettatore fino in fondo nella vicenda da incubo. Il risultato non può che essere quindi discreto, anche perché Ti Westpromettente regista dalla formazione di matrice marcatamente horror (e qui di sfumature horror c'è ne sono abbastanza), tramite l'escamotage del servizio giornalistico, quello di un cameraman e un giornalista che accompagnano un amico alla ricerca della sorella, ex tossica e ora affiliata al gruppo controllato dal personaggio conosciuto con l'eloquente soprannome di "Padre", tra l'altro ottimamente interpretato da Gene Jones, sforna un prodotto decisamente accattivante. D'altronde egli riesce a dare alla sua opera un perenne alone di credibilità, non scadendo altresì mai nelle forzature, se non leggermente sul finale. In più egli si fa notare per uno stile di regia intelligente (come intelligente è l'inevitabile provocazione su vari temi, la manipolazione delle masse, la situazione sociale, ma anche assistenziale, i sentimenti religioso-esistenziali), mai banale, pur restando fedele ai dettami del falso documentario. Purtroppo non riesce a dare consistenza ai personaggi, semplici figure disorientate in balia degli eventi. La forza del Padre però è indiscutibile, capace di lasciare traccia indelebile nella memoria dello spettatore, un manipolatore nato il cui carisma viene a galla nell'ottima scena dell'intervista. La storia inoltre, come detto, prende abbastanza e malgrado sia prevedibile il regista riesce a costruire per bene un discreto climax che fra tensione e dubbi si concluderà nell'assurdo finale, il finale di una storia che mostra l'estremo esito folle a cui può giungere il fanatismo religioso, un fanatismo che riguarda una storia del passato, ma che ci parla anche del nostro presente. Dopotutto il regista, riuscendo ad unire le due concezioni di cinema (cinema classico e mockumentary) con meticolosità ed attenzione, dato che la tecnica è ben applicata (le riprese in soggettiva infatti sono efficaci pur senza lasciare il mal di mare) ottiene un risultato impressionante capace di coinvolgere davvero tanto. Dato che questo film atipico, che è riuscito a regalarmi qualcosa di nuovo ed interessante, forse un po' ingenuo per alcune cose affrontate con troppa superficialità a beneficio del ritmo e degli eventi principali, ma comunque notevole per tanti fattori, e dove la prova del cast di contorno (l'unica che ho riconosciuta è Kate Lyn Sheil di Outcast) è decisamente buona, e dove la gestione degli sviluppi e della componente thriller è ottima, merita una visione. Anche perché questo titolo, comunque non terrificante o innovativo ma piacevole e avvincente, si lascia vedere con gusto (e sdegno allo stesso tempo). Voto: 7 [Qui più dettagli]

10 commenti:

  1. Ho visto solo The Sacrament di Ti il Terribile West, non penso sia il suo film migliore, anzi, ma il tema è forte ;-) Cheers

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    1. Un tema davvero molto forte, vedere poi i bambini farlo è stato disumano..

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  2. Sacrament l'ho visto e mi è piaciuto molto, specie per come hanno attualizzato la vicenda facendone quasi uno shockumentary :)

    Moz-

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  3. Di questi mi incuriosiscono 100 Streets che non conoscevo e Woman in gold

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    1. Entrambi carini, anche se il secondo è più appassionante e coinvolgente ;)

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  4. Oh, non ne ho visto manco uno... mi spiace non poter dare un contributo.

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    1. Capita non preoccuparti, comunque due son passati in tv.. ;)

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  5. so many nice movie!
    https://clickbystyle.blogspot.in/

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