Era giugno dell'anno scorso quando mi imbattei in un thriller davvero insolito, "un sorprendente, avvincente e incalzante thriller scandinavo" come scrissi all'epoca (qui), un thriller (giallo) di cui non nutrivo tante speranze e che invece mi sorprese moderatamente in positivo, il film in questione era Carl Morck: 87 minuti per non morire, dal nome originale 'Kvinden i buret' (The Keeper of Lost Causes), primo romanzo di una trilogia letteraria di Jussi Adler-Olsen che raccontava, e racconta, i cold case di un duo di poliziotti (all'inizio indesiderati) che fanno di tutto per scoprire la verità, la sconcertante verità. Una trilogia che ha avuto successo inaspettato, anche televisivamente parlando, in tutta Europa. E così dopo aver espresso il desiderio, già comunque espresso nel medesimo post di giugno scorso, ovvero quello di vedere il secondo capitolo perché difatti mi piacque molto, per le sue atmosfere angoscianti, accompagnate da una storia agghiacciante (non certo per gli attori poco conosciuti o per la regia comunque buona), finalmente grazie a Sky, non solo ho visto il secondo ma anche il terzo, concludendo così questa 'mini saga' comprendente tre capitoli. Un sequel infatti era già uscito, tant'è che sia gli autori che il regista Mikkel Nørgaard sono i medesimi del primo episodio, ma ancora non in Italia, ma ora eccolo qui, The Absent One: Battuta di caccia (Fasandræberne), thriller danese del 2014, che segue le vicende di due poliziotti di una sezione speciale nominata "Q", che riaprono un vecchio caso di omicidio rimasto irrisolto circa venti anni prima, facendo così luce su una vicenda di violenza in cui furono coinvolti dei giovani liceali.
Nel 1994 infatti una coppia di giovani gemelle viene brutalmente assassinata in un cottage estivo. Le indagini portano a sospettare degli studenti di un vicino college fino a quando un uomo non si dichiara colpevole e viene condannato. Venti anni dopo, il caso finisce sulla scrivania dell'ispettore Carl Mørck che si rende subito conto che qualcosa non quadra. Insieme al collega Assad, Carl si mette sulle tracce di una giovane scomparsa dai tempi dell'omicidio, ma a cercarla ci sono anche delle persone che faranno di tutto per farla restare in silenzio. L'atmosfera potrebbe ricordare "Zodiac" di David Fincher ma questa è un opera decisamente personale. L'indagine dei due detective difatti scorre in parallelo con il racconto del passato drammatico di una giovane ragazza, l'intreccio è complesso ma ben curato e gli sviluppi non sono mai scontati. Ma l'arma vincente di questo thriller (oltre ovviamente alla storia davvero sconvolgente nonché diabolica) è l'ottima caratterizzazione dei personaggi, alcuni con un ruolo ben definito ed altri, come la protagonista di questo episodio investigativo, sempre al margine della pazzia. Poiché due cose restano impresse, da un lato la straordinaria protagonista che appare al tempo stesso fragile e determinata, instillando il dubbio che sia lei l'origine di tutto il male, e dall'altro la forza di certe immagini che colpiscono per la loro crudezza come per la loro singolarità, come quella che vede i ricconi organizzare cacce alla zebra in Danimarca, ma non solo. La regia (asciutta) di Mikkel Nørgaard infatti, sa riprendere perfettamente l'atmosfera maligna che ruota attorno ai fatti accaduti e al tempo stesso riesce ad esaltare anche il dolore provato da chi è vittima. Discreta infine la fotografia, gli interpreti sono bravi (Nikolaj Lie Kass, Fares Fares e Danica Curcic), la trama avvincente ma su tutto domina la sensazione di un finale a sorpresa sempre dietro l'angolo e così sarà. Sicuramente perciò questo sequel è un buon sequel, ma anche un film che da solo sa stare benissimo in piedi. Voto: 6,5
Dopo l'inaspettato successo e dopo un'attesa cinematografica lunga due anni (dovuta probabilmente ad un cambio di gestione), la serie sulla sezione Q ha avuto un terzo libro e ovviamente un terzo film come già annunciato, e così dopo The keeper of lost causes e The Absent One ecco un altro romanzo di Jussi Adler-Olsen della serie di Carl Morck avere una trasposizione cinematografica. Alla regia stavolta e difatti c'è un altro regista, Petter Moland, che si è fatto notare un paio di anni fa per il noir grottesco In ordine di sparizione. Un terzo episodio, A Conspiracy of Faith (il titolo tradotto dall'originale significa Un messaggio in bottiglia da P, come il titolo completo "Il messaggio nella bottiglia") che però, nonostante un buon incipit, è forse, a parere personale, il peggiore dei tre sotto l'aspetto coinvolgimento, addirittura al contrario dei precedenti la storia ad un finale più prevedibile, dato che soprattutto questo film sempre danese ma del 2016 non ci dice davvero nulla di nuovo sui polizieschi con tema serial killer, ci sono difatti in ballo sette religiose, fascinazioni diaboliche e ambientazioni costiere. La sceneggiatura è però ben ordita e tira fuori un sentito discorso sulla fede, mentre la regia di Moland è discreta, sfugge presto ad una estetica di taglio paratelevisivo, e non tradisce nemmeno nelle scene thrilling, anche se inferiori e meno intense. In ogni caso, nell'ultimo, almeno credo, episodio, Carl Mørck si ritrova a dover far luce sullo strano caso di un messaggio in una bottiglia, a lungo dimenticato in una stazione di polizia nella più profonda Scozia. Un grido di aiuto scritto con il sangue, due fratelli imprigionati chiedono di essere liberati. Chi sono i due ragazzi, e perché nessuno ne ha denunciato la scomparsa? Potrebbero essere ancora vivi? Carl Mørck e il suo assistente siriano Assad dovranno usare tutte le risorse disponibili per svelare la spaventosa verità che le onde del mare hanno trascinato alla deriva troppo a lungo. Insomma, una storia alquanto intricata e abbastanza sconcertante, che il regista, anche grazie alla bravura dello scrittore, riesce a trasmettere con pathos, anche se come detto, meno avvincente e leggermente più noioso, dato che crescono anche i protagonisti della serie, hanno uno sviluppo i loro rapporti e l'esiguo numero di componenti tende sempre più ad assomigliare ad una squadra (addirittura aumenta anche la considerazione della sezione Q stessa, la spina nel fianco della centrale parallelamente ai risultati ottenuti sul campo), cosa che sembra abbastanza forzata se si pensa ai precedenti capitoli. Ma nonostante il livello, comunque non eccelso ma abbastanza degno, il film fa fino in fondo il suo dovere di intrattenere e angosciare, perché quando ci sono i bambini di mezzo, tutto risulta agghiacciante. Un film che, con una buona colonna sonora e fotografia, un discreto montaggio e dei buoni attori oltre ai due protagonisti principali (Johanne Louise Schmidt, Jakob Oftebro, Pål Sverre Hagen, Lotte Andersen, Søren Pilmark, Jakob Ulrik Lohmann) merita di essere visto, anche se a dir la verità il film è soprattutto consigliato a chi ha amato i primi due. Voto: 6
Ho visto The absent one, un film che si fa vedere ma è abbastanza telefonato e con qualche incongruenza di troppo (Kimi non la trovano per vent'anni e in una settimana riciccia fuori tre volte..vabbe'..).
RispondiEliminaSarà che dopo la tramvatona di Uomini che uccidono le donne col thriller nordico nutro sempre qualòche pregiudizio di troppo...
Incongruenze forse, telefonato secondo me non tanto, ma sicuramente non eccelso è il film che probabilmente hai visto già influenzato pregiudizievolmente, comunque brutto non è, anche se capisco il tuo giudizio ;)
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