Da quando sono tornato a fare un post singolo ad ogni film è capitato solo due volte di fare un post doppio, ma siccome entrambe queste due commedie mi sono moderatamente piaciute e poiché quello che rimane è la positività che emana, la delicatezza e leggerezza dei temi, non potevo che metterle insieme, d'altronde sono due filmetti non conosciutissimi, per cui perché non sfruttare il momento per farli conoscere meglio? non c'è un motivo per non farlo, ecco perciò le mie recensioni di due gradevolissimi film. A partire da un film mai distribuito in Italia ("acquistato" da Sky ad inizio maggio 2017), e non si sa perché, visto che The Meddler (2015), della giovane regista americana Lorene Scafaria, qui alla sua seconda prova, è una gradevole, deliziosa e malinconica commedia, in cui la settantenne Susan Sarandon, più in forma che mai (merito anche del ruolo frizzante, originale e pieno di sfumature offertogli dalla regista), interpreta una vedova alle prese con il vuoto incolmabile lasciato dal marito defunto e una figlia che, anch'essa profondamente scossa dalla perdita del padre, nonché dalla fine di un rapporto travagliato, fatica a comunicare con la madre. Poiché senza dubbio la relazione fra madre e figlia rappresenta una delle tematiche portanti del film, anche se non l'unica. La brillante commedia della Scafaria infatti sfrutta le pieghe nascoste della sceneggiatura per trattare temi importanti come la solitudine, l'elaborazione del lutto e il dazio imposto dal tempo che passa. Ma riesce anche a fornire un eccellente e dolce-amaro strumento di "compensazione", o quantomeno di astuto bilanciamento delle parti, nel momento in cui si concede timidi slanci di ottimismo e calde rievocazioni di affettuosi momenti familiari. Difatti il difficile rapporto con la madre (preso probabilmente spunto da i trascorsi della regista) viene sviscerato con levità di tocco, sebbene il ventaglio dei sentimenti rappresentati sia assai delicato, e a tratti fortemente drammatico. E riuscire a farlo, ovvero ottenere delle atmosfere agrodolci efficaci, trattando questioni tutt'altro che leggere, non è semplice come si potrebbe di primo acchito pensare. Bisogna lavorare di fioretto e muoversi sulla linea di un equilibrio molto precario, e solo degli attori di razza possono garantire un risultato soddisfacente, come qui è successo.
Comunque questa vivace, garbata, delicata e ricca di tematiche interessanti commedia è incentrata su una madre, da sempre inguaribile ottimista, che dopo aver seguito la figlia (la bella Rose Byrne) a Los Angeles, cerca di godersi ciò che di bello la città ha da offrire, e di conservare un atteggiamento di disponibilità e apertura mentale verso tutto ciò che è nuovo. La tecnologia, ad esempio, è qualcosa che al contempo la incuriosisce e la affascina. Alla radio ascolta pezzi recenti di Beyonce, e si tiene allegramente al passo coi tempi in materia di cibo e gusti cinematografici. Addirittura organizza un matrimonio fra persone dello stesso sesso, trasformandosi in una sorta di adorabile Fata Madrina per un'amica gay di sua figlia. Insomma, non si può assolutamente dire che Marnie sia una persona che vive nel passato. Per lei infatti ogni secondo del presente ha un valore, e rappresenta un prezioso frammento di potenziale che non può assolutamente andare sprecato. Ma non appena Marnie si rende conto che la figlia (una donna complessa, ansiosa, piena di tic, paranoie e contraddizioni) sta faticando molto a superare il trauma, decide quindi di farsi carico dei suoi problemi e diventare un'implacabile e dolcissima "meddler" (in inglese: "impicciona"), per aiutare Lori a rimettersi in carreggiata. Nel frattempo inaspettatamente però si trova non solo a stringere nuove amicizie, ma anche ad innamorarsi di un poliziotto, interpretato da J.K. Simmons, l'unico "maschio" della vicenda. Dato che The Meddler, e non poteva essere diversamente, è un film fortemente al femminile, in cui vengono mostrate tutte le risorse di cui dispongono le donne, rispetto alle quali gli uomini rimangono a latere, come comparse mai davvero significative. La figura maschile è fuori campo, è una presenza fantasmatica che riverbera su tutto lo svolgimento della storia e traspare sotto forma di non-detto, fino ad incarnarsi in quel Randall Zipper, che saprà far rifiorire la frenetica protagonista. Protagonista interpretata splendidamente da Susan Sarandon, che nel suo "equilibrio" attoriale in questo film, dosa alla perfezione enfasi e malinconia, rimpianti, paura e voglia di andare avanti, l'attrice insomma riesce a ricreare sulla scena una lunga serie di sfumature emotive ed efficaci. Brava anche Rose Byrne, anche se merita un elogio J. K. Simmons (Oscar miglior attore non protagonista per Whiplash) che, con la sua fermezza e imperturbabilità, costituisce un ottimo contrappunto alla maldestrezza ed emotività di Marnie (Sarandon), che trova in lui un approdo sicuro per porre fine ad un girovagare forsennato ed infruttuoso. Al contrario di questo riuscito film che, non è sicuramente eccezionale, non è del tutto divertente, non è quasi per niente emozionante (o almeno non a massimi livelli) ma che con leggerezza, positività e delicatezza, si lascia tranquillamente vedere. Voto: 6+
Anche il secondo film, nato grazie al sostegno dei fan di Zach Braff su Kickstarter, uno dei volti più noti dell'immaginario collettivo degli anni 2000, anche per chi non segue molto le serie tv (o non ha visto tutta la sua serie), è quasi impossibile infatti non aver presente il viso del Dottor Dorian, J.D. per gli amici, protagonista della fortunata serie "Scrubs", non è stato mai distribuito in Italia, ma ancora una volta grazie a Sky ci è arrivato, lo scorso 3 maggio. Sto parlando ovviamente di Wish I Was Here, film del 2014 scritto, diretto, prodotto ed interpretato proprio da Zach Braff. Film che dopo l'esordio come regista nel 2004 con il delizioso La mia vita a Garden State, conferma un talento e un'idea di cinema (anche se l'opera non convince appieno, seppur la sincerità del film fa perdonare tutte le sue imperfezioni) del regista, autore di un film agrodolce e sensibile sull'elaborazione del lutto e l'importanza di essere presenti nella propria vita. Aidan Bloom (Zach Braff) è un uomo ossessionato dal sogno di realizzarsi facendo l'attore, nonostante sia disoccupato e padre di due figli, cose che dovrebbero quantomeno responsabilizzarlo. Chi porta avanti l'economia domestica è sua moglie, Sarah (una sempre sexy e salvabile Kate Hudson), costretta a professare un lavoro noioso come contabile presso un ufficio di Los Angeles. Un altro grande aiuto proviene dalle tasche del padre di Aidan, Gabe Bloom (Mandy Patinkin), il quale si trova costretto a chiudere il rubinetto al figlio per contrastare una gravissima forma di cancro ai polmoni. In mezzo a questo quadretto famigliare, ci sono i due figli Grace (Joey King) e Tucker (Pierce Gragnon), che sorreggeranno Aidan (che tra rabbini, perdita di fede, provini sbagliati, il cambio di scuola per i figli, il conflitto tra suo padre e suo fratello, Josh Gad, e i problemi sul lavoro della bella moglie Sarah, deve ancora trovare la sua giusta collocazione nel mondo) lungo questo racconto di vita agrodolce, dato che il film danza su diversi piani cagionando sorrisi e lacrime.
Wish i was here infatti, cerca di mischiare commedia e dramma, riuscendoci però a metà, poiché da un lato Braff mostra di essere perfettamente in grado di gestire e rendere situazione particolarmente drammatiche ma dall'altro il film funziona meglio nelle sue parti da commedia che in quelle drammatiche. Sono comunque molti i temi che vengono trattati all'interno del film. Quest'ultimo infatti non solo vorrebbe essere un film di crescita, mettendo il protagonista in una situazione che lo obbliga a cercare di mettere la testa a posto confrontandosi con se stesso e coi problemi reali che deve affrontare, ma vuole anche dare uno spaccato delle emozioni dei personaggi. Personaggi credibili e reali, poiché vengono ben sottolineati i problemi, i conflitti e le emozioni dei personaggi principali facendo cosi calare lo spettatore nei loro panni. Dato negativo, come già detto il fatto che pare riuscirci a metà, soprattutto perché in poco più di 100 minuti il regista mette insieme tutti i pregi e tutti i difetti del cinema indipendente americano, la colonna sonora ricercata (Shins, Bon Iver, Bob Dylan, Paul Simon, Gary Jules, Cat Power, Badly Drawn Boy e molti altri), la leggerezza e la carica di voglia di vivere, ma anche i soliti conflitti famigliari. Fortunatamente la storia non rimane piatta, adagiandosi sul classico dramma casalingo e, anche se tutti i punti focali portano la trama verso un imprescindibile senso di malinconia, la qualità di Braff esce fuori deliziandoci con il suo dolce surrealismo che riesce ad affrontare temi delicati e toccanti in modo leggero, evitando dunque un tragico e quantomeno scontato epilogo, per un film che in ogni caso presenta momenti molto belli e riesce a sottolineare quanto duro è per il protagonista continuare la ricerca del proprio sogno nonostante ogni disagio, nonostante tutto gli direbbe di rinunciare.
Perché nella vita (come Zach Braff vuole farci capire) ci vuole coraggio, il vero coraggio, che non sta nell'immaginare mondi fantastici o nell'ostinata attesa di un sempre più vano successo. Risiede, piuttosto, nell'essere presenti. Nella capacità di vivere la vita quando questa si manifesta per assaporarne e condividere ogni momento senza lasciarla scorrere via passivamente. Quando mollare e quando no. C'è un momento per sognare e un momento per crescere. Temi profondi, ma semplici e quotidiani ed è da essi che il regista estrapola un racconto capace di divertire e commuovere. Nonostante Wish I Was Here si configuri comunque come un'opera dalla struttura incerta e dagli stridenti e farraginosi meccanismi narrativi, ma è grazie a una spiccata sincerità che Zach Braff riesce comunque ad appassionare. Riproponendo temi quali il rapporto con la religione ebraica e il lutto legato alla perdita di un genitore, il regista ribadisce insomma il nucleo della sua poetica e traccia i contorni di una visione che, alla luce di questa seconda pellicola, lo contraddistingue. Poiché secondo lui questo è un mondo tragicomico, dove ognuno di noi ha la possibilità di scrivere il suo lieto fine attraverso scelte diverse e contraddittorie per alcuni, giuste e concrete per altri. Un invito insomma a cambiare in meglio, buttandosi dietro tutti quei preconcetti radicati nella nostra cultura. Wish i was here infatti mostra cosa accade quando le persone sono obbligate a rallentare, uscendo dallo stress quotidiano per valutare la propria vita affrontandone i momenti più delicati. Amore, lavoro, grandi delusioni e grandi speranze ed infine la morte. Se si è pronti, si è più forti di quello che si crede d'essere. Tutto per un film bello ed emozionante, poetico, ironico e largamente godibile in cui, oltre all'apparizione di Jim Parsons, interprete di un giovane attore insicuro, c'è da sottolineare non solo il simpatico cameo di Donald Faison, che insieme a Zach Braff, riesce a esprimere quella spontanea alchimia venutasi a creare anni prima sul set di Scrubs, ma anche l'ultima apparizione cinematografica dell'attore James Avery (Zio Phil ne Il principe di Bel Air). In definitiva perciò se l'avete perso, recuperatelo, ne varrà la pena. Voto: 7
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