lunedì 14 maggio 2018

La cura dal benessere (2016)

Difficile esprimere un giudizio sull'ultima opera di Gore Verbinski, il quale gira un film decisamente visionario e criptico, molto ambizioso, con diversi livelli di interpretazione. Fonti d'ispirazione e d'imitazione tantissime, ci sono tracce di Argento, echi di Kubrick e Lynch, qualche richiamo a "Shutter Island" di Scorsese, con momenti di smarrimento paranoico alla Polanski e perfino un finale che fa venire in mente "La maschera di cera". Classificabile come thriller-horror, tra paranormale e psicologico, non a caso quest'impasto di generi diversi inizia come un thriller aziendale, prosegue come un giallo psicologico, per poi diventare sempre più un horror e chiudere come un melodramma gotico, è una storia che si mantiene ad un ritmo sostenuto malgrado la sua lunghezza. Immerso in un clima onirico, il protagonista sembra seguire un percorso altalenante, tra delirio e realtà, tra pazzia e lucidità, tra farneticazione e pericoli reali. Dopotutto ci sono delle invenzioni visive molto suggestive e le atmosfere sono perfettamente allucinanti ed estranianti, insomma sembra di essere in un forte "trip "da acidi. Tuttavia la storia appare disordinata e affollata da troppi elementi eterogenei, che ne rendono poi difficile l'assimilazione e la relativa interpretazione. Tanto che personalmente, non mi ha entusiasmato più di tanto. Questo perché La cura dal benessere (A Cure for Wellness), film del 2016 diretto dal regista statunitense, seppur è un lavoro decisamente interessante, per buona parte avvincente e ricco di interessanti suggestioni ottimamente sfruttate nell'eccellente prima parte, presenta però un certo (netto) calo nella meno efficace seconda quando (e soprattutto nell'ultima mezz'ora di film, in cui tutte le aspettative s'infrangono) i nodi vengono al pettine. La presunta rivelazione finale è infatti ampiamente intuibile dagli elementi sparpagliati nel corso della narrazione che non possono sfuggire all'attenzione dello spettatore più accorto. A tal proposito sembra che il regista abbia provato (non riuscendoci ahimè) a far qualcosa in cui altri ci sono riusciti. Sono difatti moltissimi gli esempi di film costruiti come giochi di prestigio, il cui motore trainante altro non è che il colpo di scena finale, macchine illusorie perfette che depistano e seminano falsi indizi per tutto l'arco della propria narrazione, con l'unico scopo di lasciare di stucco lo spettatore, regalandogli poi la soddisfazione di tornare a casa con in tasca la soluzione del trucco. A questa categoria vorrebbe appartenere anche questo film se non fosse appunto che già nei primissimi minuti viene offerta allo spettatore, in maniera chiara ed evidente, la soluzione all'inganno attorno a cui ruotano le due ore e mezza del film.
Un film che si apre certamente in maniera sublime, perfetta e inquietante la colonna sonora (di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch), le location e persino il cast sono ben studiati e presentati. D'altronde efficace è la costruzione e lo sviluppo dei personaggi, spaventosi ed affascinanti al tempo stesso. Anche perché essi agiscono all'interno di una storia (che oscilla fra il genere horror e il thriller, anche grazie a loro che risplendono di un'inquietante oscurità interiore, come quella del protagonista come vedremo), composta da un susseguirsi di eventi misteriosi, di cui sono motore e "colore". Ma a dispetto di tutto questo, il film, ricco di promesse e di reali momenti di suspense, angoscia paura e terrore, si dirige però verso un epilogo sconclusionato, al di là del lontanamente plausibile senza spiegare assolutamente nulla (le domande senza risposta che l'epilogo si butta alle spalle difatti sono tante, veri e propri buchi che minano il senso di tutta la storia lasciando irrelati tra loro lo scioglimento finale con quanto visto fino a quel momento). Una pellicola che per questo quindi aveva tutti gli elementi per essere memorabile, ma che purtroppo crolla mestamente su sé stessa come un fragile castello di carte (non aiuta in questo caso il titolo, perché quando ci si accorge del "dal" e non "del" tutto è già chiaro). Eppure l'incipit era più che interessante: quello di una clinica spa, immersa nella natura incontaminata della svizzera che serve da valvola di decompressione per magnati e altri benestanti di terz'età che cercano una cura. Ovvero un antidoto efficace all'eccessivo logorio e stress dato dalla vita moderna, che rende le persone schiave della materialità e del lavoro, distaccandole dalle vere bellezze della vita. La clinica perciò offre loro cure alternative, immergendo i suoi ospiti nella natura e facendoli rinascere spiritualmente. Il protagonista del film dunque, si ritroverà in questo paradiso terrestre ma con l'intenzione di riportare a NY un pezzo grosso dell'azienda nella quale lavora per sbrigare alcune pratiche. Inutile aggiungere che l'operazione "recupero amministratore delegato pentito" (quasi in stile Apocalypse Now) si rivela molto più ardua del previsto e il giovane cinico si troverà a fare i conti con una serie di demoni interiori/esteriori, reali/fantastici, che lo porteranno sulla strada della follia (non per caso il film è ricco di sequenze ai limiti dell'onirico, il cui significato viene rimandato ad una successiva rivelazione catartica del mistero).
Egli infatti non appena raggiunge il posto inizierà a capire che non tutto è idilliaco come sembra, e i clienti una volta entrati non possono più andarsene. Egli stesso diventerà vittima di un incidente che gli impedirà di tornare indietro e poco a poco, durante la sua permanenza nella sinistra clinica, scoprirà gli oscuri segreti del passato alla quale la clinica e i suoi dipendenti sembrano visceralmente legati. Ma come detto e sfortunatamente, La cura dal benessere sembra più come un'opera incompiuta, un soggetto interessante colmo di idee e spunti, effetti visivi, tecniche narrative meticolosamente scelte che sfocia tuttavia in un risultato confusionario e confondente, lasciando aperti tutti quegli interrogativi posti precedentemente agli spettatori: si tratta di una psicosi o della realtà? Il protagonista (di cui ambigua è la sua evoluzione, dato che sembra perdere continuamente di vista l'obiettivo della sua spedizione, forse a causa della "cura" speciale somministratagli nella clinica "dal" benessere, oppure per un più complesso bisogno di elaborazione del trauma personale represso) è vittima dei suoi incubi oppure quello che vede e percepisce accade realmente? Purtroppo il regista, vincolato da una sceneggiatura sbrigativa e incompleta specialmente nella parte finale evita di chiarire i dubbi e spazzare via gli interrogativi posti, peggiorando di fatto la valutazione finale della pellicola. Una pellicola che difetta, nonostante Gore Verbinski (Pirati dei Caraibi, Rango, per il quale ha vinto l'Academy Award nella categoria Miglior film d'animazione, The Lone Ranger e il remake americano di The ring), un ottimo, collaudato, visionario regista commerciale di grandissima grazia tecnica in grado di maneggiare e destreggiarsi abilmente nell'horror, nel thriller e nel fantasy, di un misto di genere non propriamente riuscito. Non a caso una delle ragioni del "fallimento" è non sapere esattamente quello che vorrebbe essere. Una crisi d'identità simile a quella che attanaglia il suo protagonista, alla quale però Verbinski (un regista nel quale si ha fiducia e che solitamente riesce a rendere molto bene sullo schermo e che qui invece firma il suo film più complesso, e forse il suo peggiore) non è riuscito a trovare una cura.
Tuttavia nonostante non tutto giri alla perfezione La cura dal benessere resta una affascinante operazione che potrebbe esser gradita a chi ama il genere, per di più con l'indubbio merito di proporre immagini di grande suggestione. La potenza visiva messa in atto infatti rimane indiscussa. Le sequenze sono suggestive e potenti, alternando lo stile gotico a quello del thriller psicologico. Gli effetti visivi e la fotografia sono certamente d'impatto e il luogo dove si svolge l'azione, come succede quasi sempre in questi casi, risulta inquietante e sinistro (in tal senso assolutamente felice è apparsa la scelta delle location, il castello reale di Hohenzollern nella Svevia per gli esterni e l'ospedale abbandonato di Beelitz, nel Brandeburgo, che ebbe tra i suoi pazienti un certo Adolf Hitler, per l'opprimente ambientazione interna). La suspense e il mistero sono presenti in corpose dosi, avvolgendo tutta la storia e incrementando la curiosità degli spettatori (anche perché in questo caso bravo è il regista a costruire molto bene l'impalcatura strutturale della storia, offrendo, tramite l'alternarsi di momenti di accumulazione e di rilascio della tensione ed anche da una criptica a e spaventosa rete di indizi, che portano Lockhart sempre più vicino alla risoluzione del caso, al film il giusto crescendo narrativo), mentre la recitazione si mantiene su livelli discretamente alti. Dane DeHaan è abbastanza convincente (certamente più che in Life) nel ruolo dell'arrivista che si riduce a vittima nella spettrale clinica, Mia Goth a mio avviso risulta tremendamente antipatica ma riesce comunque a convincere nel ruolo di una minorenne mentalmente disturbata (in tal senso da notare un certo rimando a Sorrentino, tanto che sembra questa la versione horror di Youth), e Jason Isaacs, che spicca su tutti con il suo diabolico e tirannico personaggio. Senza dimenticare le funzionali prove di Celia Imrie (Ritorno al Marigold Hotel) e Adrian Schiller (la serie tv Victoria). Tuttavia i difetti superano i pregi. Non solo il ridicolo finale, incapace di dare consistenza al percorso intrapreso che invece sotterra i buoni propositi, ma anche per aver abbandonato totalmente il discorso interessante iniziato in apertura del film.
Quel discorso sulla declinazione capitalistica del lavoro, sul "male oscuro che ci rovina dall'interno", sul bisogno despotico di governare gli altri e sfruttarli fino alla consumazione. Tutti temi che rimangono senza uno svolgimento, senza un riscontro che li riconnetta alla trama. Al contrario essi spariscono dal film in modo fin troppo evidente, impedendone la valorizzazione. Un peccato dunque, se si pensa che La cura dal benessere poteva essere un film molto più profondo di quanto non volesse dare a vedere. Perché certo, il risultato è un opera dall'andamento ossessivo e labirintico, in cui lo spettatore è sì portato a perdersi e a perdere l'intreccio tra diversi corollari, flashback, divagazioni, citazioni, a perdere sempre il centro e a venire sospinto in una situazione certo di malsana inquietudine, ma dopo una prima parte suggestiva, valorizzata da una bella colonna sonora, magnificamente girata con riprese vertiginose prima su un treno ad alta velocità che entra in galleria, poi su stradine di montagna a strapiombo sul vuoto, la bella e intrigante regia cede il passo ad un intricato (complicato e talvolta pure astruso) intreccio narrativo che sprofonda nel gotico, a dispetto dell'interessante contenuto del primo tempo, evidentemente polemico nei confronti dell'arrivismo e della spietata corsa all'arrampicamento sociale. Quel che rimane è infatti un film minato non solo da un impianto criptico (e perciò elitario) destinato a scadere nel mediocre con la manifesta esposizione del medico Heinrich Volmer, sorta di uomo invisibile (meglio: inguardabile) ed immor(t)ale che solo con il sangue del suo sangue intende promuovere una "razza" superiore (non è qui velato il sotto-testo anti nazista) ma pure da una lunghezza eccessiva che contribuisce a sminuire l'ottima messa in scena (al limite del maniacale). Un doppio peccato appunto, se si pensa che il lavoro registico e la sua risoluzione tecnica è più che accettabile. Gore Verbinski infatti (anche autore del soggetto) con l'aiuto di ottimi comparti tecnici costruisce un atmosfera di grande fascino visivo e scene di forte inquietudine (il cervo nel bagno turco, la vasca con le anguille, il ballo finale, il dentista), anche senza rinunciare a passaggi grotteschi e disgustosi.
Comparti tecnici come la fotografia, che riesce a dare sfumature specifiche ed espressive alle singole scene, istituendo un legame solido fra immagine e progressione narrativa, la scenografia, gli effetti speciali, soprattutto nelle comunque efficaci soluzioni oniriche, il suono, che agisce quasi da metronomo della narrazione e scandisce, con il giusto intervento, i tempi e i movimenti del film e il montaggio, che tuttavia, seppur sia apprezzabile il tentativo di costruire momenti di narrazione non lineare, con flashback e sequenze alternate, esse vengono depotenziate dagli esiti infausti raggiunti nel finale, che ne riducono la valenza ai fini del discorso generale o ne confondono il significato. Dopotutto il regista ha sempre avuto nel suo stile la capacità di ingigantire le cose, di raccontare ogni storia con fare epico, e qui di fatto ingigantisce una storia di film gotico di serie B ad un maestoso e decadente prodotto hollywodiano: un'opera deforme affetta da gigantismo (anche nella non facile durata di due ore e mezza), che ha anche in questa sua deformità il proprio fascino. Ma nonostante ciò, e nonostante le valide interpretazioni, le suggestive location, la bella fotografia e (in genere) l'affascinante prima parte, esse sono così appiattite da un più preponderante secondo tempo confuso e irrisolto, talvolta perduto in una sceneggiatura contorta e (purtroppo) fuori tema. Peccato, perché con un set così costoso (quaranta milioni di dollari) era lecito attendersi un prodotto più coerente e fruibile, al posto di un cervellotico esercizio di stile, talvolta fine a se stesso e destinato (purtroppo) ad annoiare lo spettatore, perso nello sviluppo di un film ben fatto, ma mal scritto, che resta comunque, anche in virtù dei profondi significati e del tentativo di portare in campo un discorso morale a sfavore del cieco egoismo/edonismo, un buon lavoro. Un lavoro non del tutto riuscito dunque, ma assolutamente godibile. Giacché tutto sommato, sia pure con i suoi difetti, mi è sembrato un film abbastanza coraggioso, se non altro poco allineato a tendenze commerciali consolidate. Anche se alla fine questa è davvero un'occasione persa. Perché seppur dal punto di vista formale, La cura dal benessere è ineccepibile, la sceneggiatura confusionaria da B-movie anni settanta rovina tutto. Non dimenticando tante altre cose che allineano la pellicola verso la mediocrità, per fortuna non l'insufficienza. Voto: 6 [Qui più dettagli]

12 commenti:

  1. Pasticciatissimo, ma stilisticamente ha fascino da vendere.
    Piaciuto a metà.

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    1. Ma non sempre basta il fascino a rendere del tutto riuscito un film, perché appunto riesce e piace solo a metà ;)

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  2. Mai stato un estimatore di Gore Verbinski, anzi, proprio per niente.
    Questo film però ha il suo fascino, ricorda un horror anni ’70 per certe situazioni e ambientazioni, non è affatto del tutto riuscito, anzi, però a me è piaciuto abbastanza malgrado gli svarioni manifesti, sarà che ha un certo livello di gotico che mi mi trova sempre molto propenso ;-) Cheers

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    1. Neanch'io un estimatore, tuttavia ho visto tutti i suoi film, e questo non è certamente il suo migliore ;)
      L'ho anche scritto che formalmente è ineccepibile, però purtroppo anche e soprattutto colpevolmente prevedibile, confusionario ed irrisolto, ma ovviamente non brutto :)

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  3. A me il finale ha ricordato alla lontana The Skeleton Key o forse più Scappa, va be', tutti e 3 hanno a che fare con la vecchiaia.
    Un film che usando un solo aggettivo definirei "strano", col conseguente "vaffanculo" una volta arrivato ai titoli di coda. Non ricordo neanche perché ho deciso di guardarlo... forse era su SkyGo e mi è capitato per caso. Lo ricordo solo perché è passato qualche mese (era autunno), tra un anno o due penso lo avrò completamente dimenticato.
    Concordo in particolare sul trip, sui personaggi, sull'opera incompiuta, sulla fotografia, location e scenografia, sugli attori e sul voto... ma diciamo che concordo su tutto!

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    1. The Skeleton Key è un film che ho odiato parecchio...non sorprende quindi che anch'io sul finale ho esclamato un vaffa :D
      A me purtroppo non è capitato, ho voluto vederlo e me ne sono un po' pentito ;)
      Comunque concordare fa sempre piacere :)

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  4. Non mi dispiace se il finale è inconcludente, nel senso che lo è se ti fa porre degli interrogativi sull'effettiva natura della realtà vissuta. Mi intriga. Lo avevo opzionato, lo avevo dimenticato, potrebbe piacermi^^

    Moz-

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    1. A me invece dispiace parecchio, tuttavia alcuni film in verità riescono in tal senso, vedi Enemy, ma non in questo caso...comunque una visione non la sconsiglio ;)

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  5. si è un film imperfetto, anche a me ha fatto storcere il naso ^_^

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    1. Abbastanza imperfetto, ed è un peccato, perché poteva essere qualcosa di più ;)

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  6. Il giorno in cui Verbinski si troverà davanti la sceneggiatura giusta, vado personalmente a stringergli la mano. Questo purtroppo, nonostante gli ottimi spunti, non è una di quelle volte.
    Peccato. Mi dà l'idea di uno che potrebbe dare molto di più...

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    1. Ne sono convinto anch'io, anche perché Verbinski ha sempre svolto il suo lavoro dignitosamente ma mai con un qualcosa di più, quel qualcosa che potrebbe certamente dare se solo lo volesse ;)

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