lunedì 6 marzo 2017

Confirmation & All the way (2016)

Oggi vi parlerò di due film per la televisione della HBO, due film 'storici' e interessanti, due film mandati in onda nel 2016, due film drammatici che documentano uno spaccato del mondo, di un popolo, quello americano, che è sempre in conflitto, un conflitto interno dove tutto può essere, accadere e succedere. E queste due storie raccontano di due episodi, che hanno in qualche modo cambiato il mondo in positivo, perché hanno saputo, nonostante le difficoltà, migliorare la vita di molte persone. Il primo, Confirmation per esempio, film per la televisione diretto da Rick Famuyiwa, è un film drammatico che offre diversi spunti di riflessione, film che drammaticamente riporta le vicende avvenute negli Stati Uniti nel 1991, in occasione dell'elezione a giudice della Corte Suprema di Clarence Thomas e le accuse di molestie sessuali rivolte contro di lui, da parte di Anita Hill, una delle prime donne che non ebbe paura di dire la verità (purtroppo solo presunta), anche se proprio grazie a lei molte donne si sono fatte avanti e hanno denunciato (cosa che tutte dovrebbero fare) gli abusi da parte di capi o mariti. Ma non solo, poiché il caso in questione, ha segnato un momento cruciale della cultura americana, cambiando per sempre il modo in cui si percepiscono le politiche di uguaglianza tra i generi. Per questo e per altri motivi, è una pellicola che già vi consiglio di vedere. Comunque Confirmation è una pellicola storica, dall'inizio alla fine, quasi un 'film documentario', che ripercorre, uno dei fatti che crearono più scandalo, sul quale ci fu un notevole accanimento mediatico, che ebbe risvolti sia negativi, sia positivi. Si tratta di un film che richiede un certo impegno nella sua visione, è una pellicola dal ritmo lento, che ripercorre (il più possibile fedelmente) le vicende che avvennero in occasione dell'elezione di Clarence Thomas. E lo fa, concentrandosi unicamente sulle interviste, sulle ricostruzioni dei Tg e dei giornali dell'epoca e sui commenti dei rispettivi interessati, Anita Hill (interpretata in modo egregio da Kerry Washington per il quale gli è valsa una candidatura sia al Premio Emmy che al Golden Globe) e Clarence Thomas (interpretato da Wendell Pierce). Perfetta è difatti la Washington nel mostrare i suoi sentimenti, e i suoi quattro diversi stati d'animo che la attraversano durante il film. Originariamente è dubbiosa, poi diventa motivata, verso la conclusione viene sopraffatta da un senso di rassegnazione, e, infine, riesce a trasmettere un senso di soddisfazione e compiacimento, grazie a ciò che (attraverso la lettura delle lettere) realizza essere riuscita a smuovere nella società americana. La pellicola offre, infatti (come già detto), numerosi spunti di riflessione. Tanto che, per comprendere al meglio il film, potrebbe essere d'aiuto avere già qualche informazione in merito al caso in questione e rivedere la pellicola anche un paio di volte. Poiché, in una sola visione, potrebbe essere facile non comprendere in pieno il senso delle parole e capire al meglio la situazione che ci viene mostrata. Detto ciò, gli spunti di riflessione che il film ci offre sono molteplici, la maggior parte ancora più che attuali.

Il primo dei temi trattati è l'accanimento mediatico, accanimento mediatico che, come ci viene mostrato anche nel film, può avere sviluppi positivi o negativi. Sicuramente negativi se si considera che, spesso, soprattutto per quanto concerne i reati sessuali, il passaggio da 'vittima' a 'colpevole' è breve. Spesso, di fronte a molestie sessuali (siano esse fisiche o psicologiche) c'è la paura di denunciare. Paura che corrisponde a vergogna, al timore di non essere capiti dagli altri e di essere giudicati. La pellicola all'inizio, si concentra proprio su questo aspetto, la paura, il dubbio, se denunciare o meno. Poi, messa in guardia e convinta, ha deciso di rendere pubblico il suo dramma psicologico vissuto. E, indipendentemente, da questo caso, il messaggio che ci lascia è che è sempre meglio rendere pubblico, rendere noto, denunciare le ingiustizie subite. Il film ce lo mostra verso la fine. Quando Anita Hill legge una delle migliaia di lettere che le sono pervenute. Infatti, indipendentemente dall'esito dalla vicenda e senza sapere chi dei due avesse ragione, questa storia è stata uno degli avvenimenti che hanno cambiato la cultura, il ruolo della donna, e il modo di pensare in America. Il fatto di denunciare le ingiustizie subite, di lottare contro i soprusi, di far sentire la propria voce è stato agevolato da questo scambio di accuse tra Clarence Thomas e la Hill. Come riportato alla fine della pellicola, infatti, il numero di denunce di reati di molestie sessuali, dopo quella vicenda è pressoché raddoppiato, così come la rappresentatività femminile nelle istituzioni è aumentato. Le donne elette al Congresso, infatti, furono molte di più che in ogni altra elezione nella storia della Nazione. Per il resto la pellicola, segue gli avvenimenti reali e mantiene un buon livello di obiettività. In film come questi, infatti, è facile rischiare di essere di parte, qui, invece, l'imparzialità è stata garantita. Certamente, ci si è soffermati più su Anita Hill e si è adottato il suo punto di vista. Però, si è riusciti a rappresentare anche la sofferenza del giudice Thomas e della moglie. Quando, infatti, la moglie va, in giardino, ad annunciare a suo marito la sua elezione a giudice della Corte Suprema, la regia si sofferma sul volto di Wendell Pierce, il quale fa trapelare, una gioia e un sollievo al limite del pianto. Perciò, a mio avviso, la regia è ben riuscita ad essere imparziale e a dividere gli spettatori (così come era avvenuto realmente all'interno dell'opinione pubblica, c'era infatti chi credeva ciecamente in Anita Hill e chi no). La cosa che più ho apprezzato del film, però, è che si è riusciti a far luce su alcuni aspetti che ogni giorno invadono le pagine dei nostri giornali. Ogni giorno sentiamo, infatti, parlare di scandali, abusi, molestie, mobbing, discriminazioni. E questo film si sofferma su queste cose. E quindi questa è davvero perciò, una pellicola impegnativa, da seguire attentamente e che fa (deve far) riflettere su tutti gli aspetti che presenta. Riguardo alla pellicola, occorre, ricordare altri due attori (oltre ai protagonisti) che hanno dato un contributo importante alla realizzazione del film. La prima è un'agguerrita Grace Gummer (sicuramente meglio che The Homesman). Mentre, il secondo, è Jeffrey Wright (nel film nel ruolo di Charles), attore che ha fornito una interpretazione convincente in Westworld, e prima ancora Boardwalk Empire. Film, perciò, consigliatissimo un po' a tutti. Voto: 7 [Qui più dettagli]
Il secondo film invece, come già avrete capito, parla di una storia, di un uomo che ha davvero cambiato storia, cambiando per sempre la società americana soprattutto nera. All the Way infatti, film per la tv del 2016, è un film biografico sull'ex presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, che diviene il presidente degli Stati Uniti d'America nel caotico periodo che si sussegue all'assassinio di Kennedy. Johnson trascorre ben 11 mesi alla Casa Bianca seguendo l'approvazione del Civil Rights Act e preparando la campagna elettorale che gli permetterà di non essere più il "presidente sostituto". Johnson che viene interpretato magnificamente dallo straordinario protagonista di Breaking BadBryan Cranston, che affiancato da Anthony Mackie e Melissa Leo, da vita al film, film storicamente nonché politicamente interessante. All the way, adattamento cinematografico del primo di due spettacoli teatrali (di Robert Schenkkan) dedicati alla presidenza di Lindon B. Johnson copre il primo anno di incarico dal novembre 1963 (dopo l'uccisione di John F. Kennedy essendo vicepresidente) fino all'elezione del novembre 1964 focalizzando l'attenzione in particolare sul suo impegno per l'approvazione di una legge sui diritti civili degli afroamericani. La figura di Lindon B. Johnson è stata in questi ultimi anni presente in almeno tre film. In J. Edgar di Clint Eastwood se ne mostrava il non facile rapporto con Edgar Hoover, nume tutelare dell'FBI. In Selma: La strada per la libertà al centro si trovava il suo rapporto con Martin Luther King e la questione razziale, mentre in Jackie (dallo scorso 16 febbraio al cinema) presumibilmente si sottolinea lo scarso feeling di Jacqueline e Bob nei confronti di un vicepresidente che aveva voluto giurare, in modo considerato un po' sospetto, direttamente sull'aereo che riportava la salma di Kennedy da Dallas. In questo interessante film, prodotto da Steven Spielberg con l'HBO (di cui al timone di regia vi è uno specialista di TV movie come Jay Roach), Johnson è stabilmente al centro della scena con la sua rudezza e anche volgarità tutta texana ma anche con la determinazione nel voler portare a compimento il Civil Right Bill pensato da Kennedy. Non è un caso che ci sia Spielberg tra i produttori perché, in più di un'occasione ci si ritrova a pensare che la storia ripete se stessa. Come nel Lincoln spielberghiano i compromessi, i giochi non sempre politicamente limpidi sembrano essere inevitabili se si vuole ottenere il risultato finale. L'uomo del Sud convinto di poter persuadere anche i più riottosi Stati meridionali della Confederazione a vedere in lui il simbolo della tradizione che deve confrontarsi con una giustizia troppo a lungo negata, è costretto a ricredersi. Tanto che nella campagna elettorale per l'effettiva elezione a Presidente si troverà contro un candidato decisamente razzista come Barry Goldwater. Il film guarda al passato (dando spazio anche al suo confronto con Martin Luther King e lasciando invece sullo sfondo la guerra nel Vietnam) ma con un occhio al presente. Sembra infatti chiedersi a cosa sia servito lo scorrere dei decenni se l'America ha ancora sul tavolo come questione scottante e di scontro il problema razziale. I tre attivisti uccisi a Montgomery in Alabama nel 1964 e fatti scendere dalla loro auto da un rappresentante delle forze dell'ordine fanno venire in mente le troppe uccisioni di afroamericani da parte della polizia avvenute in tempi recenti e/o recentissimi. Anche questo è un compito di chi fa cinema, farci rileggere il passato non solo come se fosse tratto da un archivio polveroso ma come lezione per il presente. All the Way è comunque un biopic piuttosto convenzionale, perché segue le linee guida di un copione che rispecchia fin troppo la propria derivazione teatrale, e in cui pertanto la dimensione prettamente dialogica prende il sopravvento su tutte le altre componenti del racconto filmico. Ma la politica, del resto, è un'arte basata sulle parole, e All the Way (titolo ripreso da uno slogan della campagna elettorale) è una pellicola biografica totalmente incentrata sulla dimensione politica della vita di Lyndon Johnson, rievocando il suo primo anno e dividendolo in due segmenti, nella prima mette in scena gli sforzi di Johnson per far approvare in Parlamento il Civil Rights Act, nella seconda, invece, narra per sommi capi la campagna di Johnson nel 1964 per le primarie del Partito Democratico fino alla sua trionfale rielezione, il 3 novembre 1964. Tutto per una ricostruzione, che non si concede sbavature melodrammatiche, che riduce al minimo le parentesi private e 'familiari' (ben poco spazio è concesso alla First Lady, Lady Bird Johnson, interpretata da Melissa Leo) e che per il resto non si allontana dai canoni del proprio filone di appartenenza, limitando in parte la pellicola, che però si regge soprattutto sulle spalle di un gruppo di interpreti di comprovato talento, capitanato da un mimetico Bryan Cranston penalizzato però da una tendenza a un eccessivo istrionismo (anche questo dovuto forse all'impronta teatrale del testo). Più convincente quando si inoltra nell'ineludibile ambiguità del potere che non quando si limita a percorrere i binari della "lezione di storia", anche rischiando in più occasioni di scivolare nell'agiografia, ma per fortuna non succede. In definitiva quindi, film davvero interessante e coinvolgente, insomma, da vedere. Voto: 6,5 [Qui più dettagli]

4 commenti:

  1. Mi ispirano.
    Li vedrò tutti e due!

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  2. Nonostante ami Cranston (Zordon, arrivoooo!), mi ispira di più il primo, visto come lo racconti. Mi piace che, fedelmente alla realtà, non si sia lasciato condizionare da una o l'altra campana.
    Meglio così, meglio far decidere allo spettatore.

    Moz-

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    1. Io infatti non ho ancora compreso se è stato tutto vero o meno, il dubbio c'è, perché non solo la storia è ambigua ma anche il film stesso ;)

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