giovedì 7 novembre 2019

Il livello della commedia italiana moderna (Test terzo)

E mi ritrovo nuovamente a distanza di un anno (qui il test secondo e qui il primo esperimento) a tastare il polso alla commedia italiana, anche in questa occasione infatti, ho sfruttato le visioni che Sky ha proposto ai suoi abbonati in ambito commedie nazionali, anche se in verità ho semplicemente preso ad esempio le commedie che non avevo ancora visto e che avevo registrato sul mio MySky, per vedere se qualcosa fosse cambiato. Ebbene proprio no, non c'è due senza tre, anche questa volta difatti, una commedia su 4 riesce nel suo intento (come potrete vedere dalle mie recensioni), solo una commedia riesce a raggiungere la sufficienza piena (di più è alquanto raro), tuttavia le altre tre, a parte una da "rimandare", da bocciare non sono e bruttissime non sono. Ma per sapere di quali commedie sto dicendo vi basta leggere, però prima è utile e necessario analizzare un po' la situazione attuale e quella scaturitasi dopo la visione di queste quattro pellicole, che una cosa hanno in comune, sono tutte di stampo grottesco, ovvero surreali, stravaganti e paradossali, ma che appunto non tutte con lo stesso risultato. Allora, innanzitutto bisogna dire che finalmente qualcosa sta cambiando, le banalità e volgarità sono in diminuzione (seppur in verità tante le ho evitate quest'anno di questo stampo), e sempre più produzioni puntano sull'originalità. Purtroppo non tutte riescono nei loro intenti, ma almeno ci provano ed è già tanto. Poi da dire c'è che nonostante tutta questa mediocrità ancora latente, perché alcune commedie italiane viste quest'anno (e finora) non mi hanno convinto, a parte il pessimo (personalmente parlando, a tal proposito tutto è a "titolo" personale) Addio fottuti musi verdi, piccole delusioni da A casa tutti bene e Beata Ignoranza, grandi da Bentornato Presidente, ci sono state alcune belle sorprese, piccoli cadeau da Metti la nonna in freezer, Tutto quello che vuoi, In guerra per amore e soprattutto Orecchie, grandi da Easy - Un viaggio facile facile e Morto Stalin, se ne fa un altro. Insomma non tutto è da buttare, anche se poi delle commedie che si producono ultimamente ne vedo probabilmente un terzo, forse meno. In ogni caso spero di vederne di buone più spesso. Ma concludendo la mia analisi è giusto anche fare i "nomi" alle cose positive scaturite da queste pellicole, ricordate chi spiccava nei due precedenti test? Uno era Edoardo Leo, equilibrista della risata, l'altro fu sorprendentemente Fabio Rovazzi, la genuinità fatta a persona, e in questo è Pif, già apprezzato nell'originale e bel In guerra per amore (di cui sopra, e in tanti altri), che è sempre in grado nelle sue commedie di far ridere e ben riflettere. Come appunto anche in questo caso, dove egli riesce nella sua semplicità ad emozionare con poco. Non ci credete? Prima leggete e poi vedete. Comunque viva la commedia all'italiana, sempre.

Moschettieri del Re - La penultima missione (Commedia, Italia 2018)
Tema e genere: Avventurosa commedia che ha come protagonisti la banda di moschettieri più famosi al mondo, ritratti in chiave prettamente autoironica e disincantata, il tutto ispirandosi ai celebri romanzi I tre moschettieri e Vent'anni dopo di Alexandre Dumas.
Trama: La regina chiede a D'Artagnan di riunire i suoi compagni d'arme, invecchiati e malandati, per una missione segreta.
Recensione: L'operazione del film di Giovanni Veronesi sui celebri moschettieri di Francia, kolossal all'italiana in costume con grande cast, lascia perplessi sin dall'inizio: chi ricorda grandi film del passato non trova tanto il parallelo con opere sugli eroici personaggi di Dumas ma semmai intravvede L'armata Brancaleone di Mario Monicelli come possibile modello, pur lontano anni luce per comicità e finezza linguistica (ci vuole del metodo pure nel giocare con gli strafalcioni, che qui fanno ridere molto poco), ma ci sono rimandi anche a tanti altri film, di cappa e spada e non, e riferimenti anacronistici, tra un cavallo che si chiama Zizou (noto diminutivo dell'ex calciatore francese Zinedine Zidane), Mazzarino definito "sadico" da una regina che sembra molto ecumenica e rispettosa dei diritti delle minoranze religiose, un Athos "ambidestro" ovvero bisessuale e battute sui supereroi. I suoi moschettieri sono invecchiati, malandati, cialtroni, litigiosi e anche un po' cinici (ne fa le spese anche il celebre motto "Tutti per uno, uno per tutti") ma generosi e ancora in gamba, nonostante tutto. Nel rappresentarli, Veronesi e il co-sceneggiatore Nicola Baldoni affidano al bravo Pierfrancesco Favino un D'Artagnan che parla uno strano e buffo (sulla carta) italofrancese sgrammaticato e ridicolo, all'inizio moderatamente divertente ma alla fine un po' stancante, mentre gli altri parlano con cadenze dialettali (diverse) italianissime, dal "romano" Porthos (Valerio Mastandrea) ai meridionali Athos (Rocco Papaleo) e Aramis (Sergio Rubini), anacronismi e stranezze che il finale (che vorrebbe dire qualcosa ma non dice proprio niente) giustifica e spiegare, in una cornice finale che però risulta più melensa e didascalica che suggestiva e tale da ribaltare davvero la prospettiva. La modernizzazione passa inoltre anche dalla colonna sonora, con "Prisencolinensinainciusol" di Adriano Celentano e le musiche dei Gratis Dinner (un trio di musicisti in cui fa capolino, a sorpresa, Luca Medici in arte Checco Zalone), cui si aggiunge sui titoli di coda "Moschettieri al chiaro di luna" di Paolo Conte, ma sempre nell'ottica dell'accumulo, dei fuochi d'artificio per stupire a tutti i costi ma senza un'ispirazione coerente di fondo. Se la trama, con tanto di forzature politico-religiose, è debole, quel che convince meno è la violenza a tratti truce di una commedia d'avventura. Anche se è possibile che un pubblico di bocca buona decida di accontentarsi delle schermaglie tra i 4 (ex) amici e delle tante sotto-storie proposte da numerosi personaggi di contorno, dall'ancella prosperosa facile alle gaffe e a stuzzicare D'Artagnan (Matilde Gioli) alla spregiudicata Milady (Giulia Bevilacqua), dal fedele servo muto (Lele Vannoli) al misterioso Cicognac che in realtà è una donna fan dei moschettieri fin da piccola (Valeria Solarino), ma è un calderone che aggiunge poco al tema centrale e affatica non poco. E se è apprezzabile il coraggio del ritorno a grandi progetti "fuori scala" rispetto agli standard consueti, il risultato è comunque solo un grande sfoggio di costumi, schieramento di attori (che sembrano divertirsi parecchio, ma non vuol dire che si diverta anche lo spettatore), azioni più confuse che coreografiche e tante battute, che però fanno ridere pochissimo, quasi mai, e questo è un errore imperdonabile per una commedia di tali ambizioni. Un po' meglio del pasticcio Il mio West, in cui Veronesi dirigeva l'amico Leonardo Pieraccioni insieme a Harvey Keitel e David Bowie, ma anche Moschettieri del Re (come i suoi precedenti, a parte però L'ultima ruota del carro, uno dei migliori) sembra complessivamente un'operazione poco riuscita, che punta più sull'apparenza che sulla sostanza: quando tutti citano, nei punti di forza di un film, paesaggi (splendidi: è la Basilicata camuffata da Francia) mostrati in lungo e in largo, quasi a coprire la debolezza di intreccio e azione, qualche dubbio viene (perché come si sa un film non può vivere di sole immagini). Insomma, Moschettieri del Re - La penultima missione non può essere promosso. Certo, ci sono aspetti apprezzabili e può anche intrattenere per una visione senza troppe pretese, ma ci sono davvero troppi difetti gravi per poter soprassedere.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il tentativo di Veronesi di fare della grande opera di Dumas una commedia canzonatoria non è riuscito del tutto, infatti la nota dolente di questo film sta proprio nella regia e nella sceneggiatura. La prima cade rovinosamente nelle scene d'azione, che si sviluppano a stento e in un disarmonico insieme, ulteriormente svalutate da un montaggio approssimativo e senza continuità. La seconda si perde in una narrazione lenta e confusa che a volte si dilunga in scene futili e superflue, mettendo talmente tanta carne al fuoco, da non far comprendere veramente allo spettatore la direzione che sta percorrendo. Una rivisitazione in chiave comica, che racconta più che altro il viaggio di quattro irriverenti personaggi e delle loro assurde, rocambolesche avventure, meri pretesti per fornire quelle gag che danno benzina al film, piuttosto che una vera e propria storia. Tecnicamente (come detto) si salva, anche il cast (corale), formato da un nutrito gruppo di attori di grande talento, che il pubblico ormai adora e conosce perfettamente, si salva (perché non è certo colpa loro, loro che fanno semplicemente il loro lavoro), ma resta ugualmente un film difettato.
Commento Finale: Si respira, in questa rivisitazione, una generale insipienza che non rende onore né al regista né agli interpreti, appiattiti da una trama che vacilla nella sua mediocrità. Giovanni Veronesi, nonostante abbia dimostrato in passato di saper raccontare i sentimenti e le stagioni della vita che attraversano le persone, in questo film non riesce a costruire una parte convincente dietro a questi concetti, che rimangono buttati lì e mai ripresi seriamente. Tutto questo per favorire il lato commedia che si sorregge su cliché ormai abusati e che non riescono a far ridere (si salvano un po' di battute comiche iniziali e i paesaggi magnifici, praticamente un po' tutto il primo tempo va benone, poi il film si perde in girotondi inutili e il finale sconclusionato e tragico rovina tutto). Rimane l'unicità del contesto, ma anche il senso di grande occasione sprecata.
Consigliato: Solo per il cast potrebbe non essere sufficiente, bisogna soprattutto abbassare le pretese, allora sì, ma non è detto.
Voto: 4,5
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L'uomo che comprò la Luna (Commedia, Italia 2018)
Tema e genere: Singolare commedia "trasognata e stralunata". Omaggio alla Sardegna e ai suoi abitanti.
Trama: Un giovane agente dei servizi segreti viene mandato in Sardegna, sua terra d'origine, per indagare su qualcuno che si è impadronito della Luna.
RecensioneL'uomo che comprò la Luna, opera seconda di Paolo Zucca, ha analoghi pregi e difetti dell'esordio: L'arbitro, che in un inconsueto ed efficace bianco e nero, dilatava uno spunto da cortometraggio (quale era in origine) mescolando grottesco e riflessioni serie sull'essere sardi (e sull'etica sportiva). Qui la Sardegna è ancor più in primissimo piano, ma lo spunto è ancora più forzato, da apologo letterario surreale che però sullo schermo mostra subito la corda. Già credere ai pur bravi e simpatici Stefano Fresi e Francesco Pannofino come agenti segreti è dura, tanto più a Benito Urgu (comunque sempre notevole) "mediatore culturale" per quanto sui generis per rieducare il commilitone che deve rientrare nell'isola mescolandosi ai nativi, e non parliamo dell'acquisto della Luna da parte di un misterioso sardo da smascherare a tutti i costi. Pur con raffinatezza, il gioco parrebbe divertire solo chi conosce bene quei luoghi (comuni e no) e quel tipo di umanità (gli uomini col basco, i ragazzi che si muovono in contemporanea, le donne col velo): agli altri, il film un po' strappa qualche sorriso e un po' stucca, con battute e situazioni che non riescono mai a diventare davvero travolgenti (giusto un paio di capocciate a sorpresa, per dire l'originalità). Il surreale riesce ai registi nordici come Aki Kaurismaki, noi latini funzioniamo meglio sul grottesco. La chiusa seria e "romantica" regala quanto meno l'ingresso in campo di due grandi attori come Angela Molina e Lazar Ristovski, ma anche la galleria dei grandi sardi del passato che si sono battuti per la loro terra e contro ogni ingiustizia suona parecchio retorica e sfonda le porte (presumibilmente) solo di chi ha già deciso di emozionarsi. Agli altri, rimane qualche punto interrogativo. L'operazione, ovviamente molto personale e sincera del cagliaritano Zucca, fa comunque simpatia (al netto della visione "anni 70" degli americani "padroni" in Italia) anche per la prova di Jacopo Cullin, lui sì credibile come giovane sfuggito da una cultura ora "rinnegata" che lo richiama alle ragioni del cuore. Ma serviva una scrittura più robusta di quella di Geppi Cucciari (non a caso, molto a sketch) e Barbara Alberti, e un intreccio più interessante. Insomma, il bicchiere risulta mezzo vuoto, se la cosa migliore è la musica settecentesca di Luigi Boccherini ("La musica notturna delle strade di Madrid", che molti ricorderanno in Master & Commander). Certo, per chi ha a cuore la bandiera dei 4 mori, è probabile che il bicchiere l'abbia trovato mezzo o del tutto pieno, ma agli altri quello che resta è un film riuscito appunto a metà, pur restando un'opera con elementi innovativi, soprattutto nel trovare una chiave inedita per raccontare le peculiarità della civiltà sarda, da sempre in constante connessione con la sua dimensione più arcaica e mistica, comunque da vedere.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il cagliaritano Paolo Zucca si misura con una nuova commedia ambientata nella sua Sardegna, sempre assecondando toni picareschi e surreali (scherzando con luoghi comuni che conosce bene). Questo suo secondo film è infatti una commedia insolita e originalissima, favola surreale e racconto stralunato e sarcastico, che strizza l'occhio al western, alla fantascienza e perfino un po' alle saghe a fumetti. Egli quindi sembra attingere alla tradizione minimalista e surreale di alcuni cineasti nordici, ma dagli stessi non riesce a recuperare essenzialità e intensità di forma e scrittura (pesca troppo e da troppi). Sembra, in altri termini, di trovarsi di fronte ad un film schizofrenico formato da due sotto-trame, uno spy-story e un road movie, non sempre ben amalgamate in modo funzionale. Certo, nonostante queste carenze, il film offre comunque sequenze memorabili, uno su tutte l'esame di "sardità", ma la mancanza di armonia è evidente. Non aiuta la costruzione approssimativa e sbrigativa del protagonista, né l'eccessiva caricaturalità dei personaggi di contorno, seppur tutti gli attori non sono affatto da condannare, fortunatamente troviamo però gli spettacolari entroterra sardi ben fotografati.
Commento Finale: Al secondo lungometraggio, Paolo Zucca mette sul piatto un progetto assolutamente ambizioso: raccontare la sua magica isola con filtri narrativi di genere, con un occhio a cinematografie apparentemente distanti. Il risultato, però, manca a tratti di una visione organica e coerente, non riuscendo sempre a far coincidere le vocazioni drammatica e surrealista dell'impianto narrativo. La sensazione è quella di un prodotto che talvolta divaga eccessivamente dalla via maestra segnata dall'incidente scatenante, ossia l'acquisto apparentemente illegittimo della Luna da parte un abitante sardo. Tuttavia, il film centra sufficientemente il suo obiettivo (anche se non quello prettamente cinematografico, complessivamente di poco meno), ossia celebrare la riappropriazione del proprio retaggio culturale, baluardo che le ingerenze imperialiste non potranno mai erodere e sgretolare definitivamente.
Consigliato: Sì, soprattutto ai "nativi" del luogo, agli altri dipende dai gusti.
Voto: 5,5
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Momenti di trascurabile felicità (Commedia, Italia 2019)
Tema e genere: Romantica favoletta sul senso dell'esistenza, che prende spunto dai due romanzi Momenti di trascurabile felicità (2010) e il sequel Momenti di trascurabile infelicità (2015), scritti da Francesco Piccolo, co-sceneggiatore del film insieme al regista.
Trama: Paolo ha 92 minuti per ritornare sulla Terra e vivere gli ultimi momenti accanto alle persone che ama. Avrà il tempo di fare i conti con le cose importanti della propria vita, o gli torneranno in mente solo momenti di trascurabile felicità?
Recensione: Dai due romanzi di cui sopra, il solido e fidato Daniele Luchetti riesce a trarre un film che, forte di una sceneggiatura accurata, opera (come detto) del regista assieme all'autore dei romanzi, convince e si fa voler bene, nonostante qualche vezzo non proprio originale e, sulla carta, a rischio di provocare insofferenza. Se infatti l'io narrante del protagonista (un valido e ben scelto Pif, davvero bravo, come lo è sempre) si dimostra subito una discriminante narrativa troppo abusata che meriterebbe provvedimenti severi se non qualche divieto a danno di ostinati sceneggiatori che ancora se ne dimostrano schiavi, qui tuttavia l'espediente finisce per non infastidire, grazie ad una certa lungimiranza della narrazione, gradevole e ben scritta, con tratti di arguta brillantezza. E se il regista sorprende già da subito con una scena di scontro frontale davvero impressionante per il realismo sconcertante che riesce a trasmettere sullo spettatore, risulta anche molto efficace la ripresa che ne segue immediatamente la dinamica del tremendo impatto: una visione dal basso di un abisso, o di una estranea dimensione, rivolta verso l'alto, ove lo scontro sta avvenendo in tutto il suo tremendo impatto. Una scena di stampo "nolaniano" molto forte e straniante, per nulla scontata in un contesto sin troppo tipico da commedia italiana leggera e malinconica. Poi il suo racconto prende avvio, tra il genere fantastico alla "Il paradiso può attendere", e la commedia degli equivoci, rappresentandoci ancora una volta (il cinema lo ha fatto spesso) il "vestibolo" per l'assegnazione del luogo finale di destino delle anime, come un luogo affollato e pieno di una burocrazia di stampo kafkiano che diverte ma inquieta anche molto. E così Momenti di trascurabile felicità si fa, nonostante tutto, ben volere. La storia funziona soprattutto per merito (appunto) di una bella sceneggiatura e per opera dei due ottimi protagonisti: oltre al già citato Pierfrancesco Diliberto, è bravissima fino a commuovere anche la bravissima attrice e cantante Thony, dolcissima e stupenda nel ruolo della moglie che non comprende appieno l'afflato sopra le righe e certo insolito che d'un tratto contraddistingue un consorte quasi sempre distratto, pigro fino all'indolenza, un'attrice che centellina le sue apparizioni, conosciuta ed apprezzata molto pochi anni fa grazie a Paolo Virzì ed il suo bel "Tutti i santi giorni". Esilarante e necessario come sempre, qui impegnato nel ruolo strategico del burbero ma bonario traghettatore di anime, il grande Renato Carpentieri contribuisce non poco alla sostanziale riuscita di una commedia piccola, gradevole, ma anche in grado di toccare il cuore.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Il film di Daniele Luchetti funziona bene, perché dice cose vere ed emozionanti: già questo per un film italiano del 2019 è tantissimo. In particolare il finale lascia spiazzati, riuscendo con un doppio salto carpiato a risultare al contempo lieto e malinconico. Efficace la tenuta narrativa, intelligenti (sofisticate, non scontate) molte piccole trovate disseminate qua e là. Certo, il tema a cinema non è originalissimo, essendo già finito in alcune pellicole americane del passato anche abbastanza recente, ma qui lo si riprende all'italiana, anzi alla palermitana, con un sorriso ed una indulgenza che in fondo è la stessa indulgenza che lo spettatore riserva a sé stesso, perché, inutile non confessarlo, nel personaggio di Pif, si finisce con l'identificarsi. Quanto agli altri interpreti, ne escono bene i giovanissimi Francesco Giammarco e Angelica Alleruzzo, mentre Renato Carpentieri offre una prova impeccabile delle sue. Brava anche Thony, che interpreta il ruolo della moglie con la giusta dose di bellezza e sensualità domestica. Tecnicamente invece, buone soprattutto le musiche.
Commento FinaleMomenti di trascurabile felicità è un racconto molto virato sul fantastico. Prende spunto da precedenti classici del genere per mostrare le incompletezze di un uomo in fondo medio, con pregi e difetti, nascoste dietro questi estenuanti quesiti, apparentemente fini a se stessi (frigorifero, autan, yoga ecc.). Il personaggio viene vivisezionato a fondo e Pif, pur non essendo un attore vero e proprio, ha la maschera giusta per le tonalità straniate e malinconiche scelte dal regista, che cerca di dare solidità ad una storia sulla carta molto frammentata, non sempre ci riesce, ma con un risultato tutto sommato lusinghiero.
Consigliato: Nonostante un eccesso di voce narrante, il film è da vedere e ovviamente da consigliare.
Voto: 6,5
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Ma cosa ci dice il cervello (Commedia, Italia 2019)
Tema e genere: Reduci dall'exploit (mai condiviso) di Come un gatto in tangenziale, la factory capitanata da Riccardo Milani e Paola Cortellesi ci riprova. Ancora una volta lo fa con una commedia graffiante, che prende di mira il malcostume ormai diffuso rovesciandone gli effetti sul pubblico. Il film infatti diventa specchio dei vizi italici e di un paese dominato dall'aggressività, dal cretinismo, dalla "tuttologia" e dalla continua messa in discussione delle competenze.
Trama: Una grigia madre divorziata nasconde una doppia vita, che le servirà per vendicare i soprusi subiti da vecchi compagni di scuola.
Recensione: Francamente il film mi ha un po' deluso. Ma cosa ci dice il cervello è un film gradevole non sguaiato o volgare che si basa su un soggetto abbastanza originale ma modesto nella realizzazione e confuso nello scopo che si propone. Il film è confuso nel senso che è in parte commedia e in parte thriller sia pure comico ma le due parti non si amalgamano e specie la parte della "vendetta" appare poco brillante. Manca il film di coesione e di vivacità, non è affatto coinvolgente per lo spettatore non fa ridere, solo sorridere. La trama è infatti poco divertente, ma soprattutto, anziché provare ad analizzare i motivi di certi malesseri, di un certo imbarbarimento che colpisce la società, si limita a citarli con tono ammonitorio. Se l'intento era quello di mettere lo spettatore davanti a fatti della vita di tutti i giorni, fungendo da specchio dei nostri tic, forse sarebbe stato più efficace un cinismo maggiore. Ma cosa ci dice il cervello dovrebbe compensare con la commedia e ci riesce di tanto in tanto grazie agli attori, cui è lasciata grande libertà e che ripagano aggiustandosi benissimo gag e personaggi sul proprio corpo, inevitabilmente però le sue energie sono drenate dal seguire i suoi molti temi. A tal proposito, in quanto alla recitazione Paola Cortellesi è brava e i suoi spunti comici sono apprezzabili, anche se non sembra in parte come agente segreto, sprecati appaiono validi attori come Remo Girone (che fa il Capo dei Servizi) e Claudia Pandolfi. Ma cosa ci dice il cervello funziona, appunto, nei frammenti in cui si avvicina di più agli schemi tradizionali della commedia commerciale tradizionale, dove si ride per il grottesco, per l'eccesso, per la battuta salace e di spirito, quando cerca di cambiare pelle addentrandosi nella parodia della spy story evocando i classici blockbuster alla Bourne o alla Bond (solo per citare i più famosi) perde di credibilità, si trasforma in parodia di se stesso facendo sorgere spontanea una domanda: di cosa vuole parlare davvero questo film? Non bastasse che tutto collassi nel finale in cui il film fatica a unire tutti gli intenti e le trame (quella internazionale, quella giustizialista e quella sentimentale con uno dei vecchi amici) come le diverse personalità della protagonista (qual è quella vera? È dura come sul lavoro o remissiva come nella vita?). Soprattutto di fronte ad un finale così smaccatamente intenzionato ad insegnare una lezione il risultato è più respingente che attraente. E insomma commedia con luci ed ombre, originale, a tratti divertente, a tratti meno, quando il "moralismo" prende il sopravvento sull'intrattenimento. Non ci si annoia mai, questo è certo, ma i troppi generi, i troppi temi, non convincono.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: La regia si mantiene sostanzialmente in superficie, se da una parte mette alla berlina la maggior parte dei nostri vizi nazionali, in primis il mancato rispetto delle regole, bacchettandoci severamente, dall'altra però, non riesce a graffiare veramente. Il tentativo di mescolare l'action con la commedia funziona all'inizio ma presto, come un meccanismo difettoso, s'inceppa nel momento in cui si cerca d'insinuare, nella sceneggiatura, troppe sotto-trame che allontanano e confondono, abbassando il potenziale (comico) della linea narrativa principale. Paola Cortellesi, da sempre abile attrice brillante, risulta credibile a "intermittenza" (non delude e neppure lascia il segno), così come finisce per essere discontinua la risata suscitata dai singoli episodi in cui si frammenta lo script. Tecnicamente invece, il montaggio così così, il resto (comprese le musiche) idem.
Commento Finale: Il film di Riccardo Milani (marito dell'attrice, che ormai collabora ai suoi film, e anche ad altri, anche come sceneggiatrice) convince solo a tratti, perché l'accumulo di piano narrativi non giova al film, continuamente spezzato in "scenette". Tante scene, anche potenzialmente efficaci, si spengono in brevi gag non memorabili. Detto questo, la commedia e i suoi personaggi sono gradevoli, se non si hanno troppe pretese. Se la storia ha qualche tratto di originalità, sul terreno della spy story si poteva osare di più, e invece si scivola purtroppo nel farsesco. Peraltro, per essere una commedia si ride raramente, mentre il valore aggiunto sono gli attori, tutti più o meno in forma (i vari Vinicio Marchioni, Paola Minaccioni, Lucia Mascino, Claudia Pandolfi, Ricky Memphis, Giampaolo Morelli, Alessandro Roja, Stefano Fresi) anche se confinati in una rigidità dei rispettivi personaggi quasi mai sorprendenti.
Consigliato: Sì e no, se vi piace la Cortellesi sì, se cercate una commedia in cui ridere no.
Voto: 5,5
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14 commenti:

  1. Il film con la Cortellesi devo vederlo :D, questo mi ispira di più del gatto in tangenziale. C'è anche Alessandro Roja: l'ho visto in un horror delizioso, The End? L'ijnferno fuori. Molto bravo.

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    1. Forse è anche meglio di Come un gatto in tangenziale...mentre per quanto riguarda Roja, The End ancora mi manca ;)

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  2. Anche a me sono piaciuti "Metti la nonna in freezer" e "In guerra per amore". I film che hai recensito in questo post, invece, non gli ho ancora visti, comunque mi incuriosisce "Momenti di trascurabile felicità"! :)

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    1. Bene così, proprio perché è stato il migliore dei quattro ;)

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  3. Ciao! A me "Momenti di trascurabile felicità" piace, quindi condivido la tua recensione :-) Non ho visto gli altri tre!

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    1. Ah sì? Bene, e in tal senso faresti meglio forse a non vedere gli altri ;)

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  4. Di questi vedrei giusto Momenti, ché ho pure letto il libro (e vorrei capire come hanno fatto a trarne un film... XD)

    Moz-

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    1. Non lo so come hanno fatto, ma l'hanno fatto ed è venuto anche bene ;)

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  5. La commedia italiana mi annoia a morte, te l'avevo già detto?
    E quanto ai test degli scorsi anni, adoro Edoardo Leo, ma non sopporto Rovazzi, né come cantante e né come attore.

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    1. A morte addirittura! E pensare che io credo di essere un po' troppo cattivo nei suoi confronti :D
      Uno su due è già tanto, va bene così dai ;)

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  6. Visto “ma cosa ci dice il cervello” ed anche se non mi ha strappato delle risate, per essere un film italiano (sono razzista, lo so) l’ho trovato tutto sommato guardabile. Avrei azzardato un sei perché lei è veramente bravissima e quindi almeno tiene su anche una storia decisamente non originale.

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    1. Mah, personalmente la Cortellesi mi è piaciuta più in altre occasioni che in questa, dove sì tiene, ma la storia è decisamente rivedibile, anche troppo.

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  7. Mi piace la Cortellesi, ma non ho apprezzato tutti i suoi film allo stesso modo.
    Mi ispira tra quelli che hai recensito quello per cui hai espresso giudizio più positivo, Momenti di trascurabile felicità, anche perchè Pif lo trovo fortissimo, ha una naturalezza che mi spiazza sempre :)

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    1. Esattamente come me, anche perché non sempre la bravura di un attore/attrice compensa il risultato finale. Sì, certo, la sua voce è un po' irritante, però così facendo esprime appunto naturalezza, ed è quella la sua marcia in più ;)

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