La spia: A Most Wanted Man (A Most Wanted Man) è un film del 2014 basato sul romanzo 'Yssa il buono' di John le Carré. Una spy story anomala, che all'azione preferisce l'introspezione, al dinamismo il gioco intellettuale, un thriller vecchio stile. All'azione vera e propria si preferisce infatti tutta la ricostruzione delle indagini con un'ampia panoramica su come funzionano i servizi segreti e quali metodi usano per arrivare ai loro scopi. Spesso questi metodi non spiccano per la loro legalità ma ormai dopo l'11 settembre questo sembra ormai dato per assodato. E' stato l'ultimo film del compianto Philip Seymour Hoffman. Tre degli attentatori dell'undici settembre erano di base ad Amburgo, da quel giorno la città portuale tedesca divenne un sito ad alto rischio, sorvegliato dai servizi segreti tedeschi e americani, compresi nel tentativo di anticipare un'eventuale minaccia terroristica. È in questo contesto geopolitico che si muove questo thriller politico. Un povero diavolo di origine russo-cecena, Issa Karpov, approda nel porto deciso a recuperare il denaro che suo padre, uno spietato criminale di guerra, ha accumulato impunemente. Allertati i servizi segreti tedeschi e americani, spetta a Günther Bachmann (Hoffman) scoprire se Issa Karpov è un innocente coinvolto in una storia più grande di lui o un pericoloso terrorista pronto a fare esplodere Amburgo. Intanto però sta indagando su un rispettato accademico musulmano che sta appoggiando segretamente delle attività terroristiche tramite donazioni ad una compagnia di navigazione con sede a Cipro. Bachmann, grasso, depresso, solitario ma acuto e intelligente, cinico e deluso col vizio dell'alcol e della solitudine, non può sbagliare e deve riscattare un passato e un fallimento pesante. L'uomo infatti è solo, beve ed è concentrato solo sul suo lavoro e questo ovviamente non fa che tormentarlo. Con l'aiuto di una giovane avvocatessa (Rachel McAdams), di un'astuta agente della CIA (Robin Wright), ben determinata ad ottenere ciò che vuole, con cui sembra nascere un'intesa sentimentale e professionale e di un losco banchiere (Willem Defoe), Bachmann organizza un contorto piano per incastrare il suo obiettivo.
E' deciso a distinguere il bene dal male e a consegnare alla giustizia soltanto i cattivi, quelli che si nascondono dietro una mitezza e una filantropia di facciata. Bachmann è finito in una sorta di 'ritiro coatto' dopo il repulisti successivo all'undici settembre, in un garage anonimo di Amburgo sconta adesso il rimorso per qualcosa che avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Eppure il suo lavoro lo fa e lo sa fare bene, dentro un quotidiano privo di cromie e passioni. Non trova sbocchi al lutto indefinito che lo agita e lo isola dalla sua squadra e dentro un epilogo di insolita malinconia. La sua ultima replica è un grido di rabbia, il suo ultimo piano un perfetto epitaffio. Disilluso, solo e smisurato, esce di scena e dalla sua Mercedes. Perché i veri attori non sono quelli che godono all'accendersi delle luci ma quelli che decidono quando le luci si possono spegnere. Per questo merita una menzione speciale, il compianto Hoffman, qui perfettamente a suo agio in questo personaggio che purtroppo per certi versi pare ricalcare tragicamente alcuni aspetti della sua vita reale. Una menzione anche alla Robin Wright, qui in versione mora che, dopo la riscoperta in House of cards, sta vivendo una seconda giovinezza e si trova perfettamente a suo agio nei ruoli glaciali. Il ritmo è volutamente molto compassato proprio perché ciò che interessa al regista non è tanto l'azione che c'è in queste operazioni ma tutto il lavoro che c'è dietro e quanto questo lavoro sconvolge non solo le persone che lo fanno ma anche chi ci rimane invischiato alle prese con dilemmi morali di non facile risoluzione.
Il film è trattenuto, introverso e ossessionato dai dilemmi morali e dall'ingerenza degli americani negli affari mondiali. Teso, serrato, ben diretto e ben interpretato. Una spy story anomala, senza sesso, violenza, inseguimenti e lusso, una partita a scacchi giocata per il gusto della mossa, della tattica, sapendo che alla fine sarà sempre il sistema a dare scacco matto, come già successo a Beirut e chissà dove altro ancora. Nella partita i pedoni sono uomini inermi, disorientati, deboli, trattati come pericolosi assassini mentre le regine, gli alfieri e le torri sono persone di potere, spavalde, amorali. Ottima la fotografia che ricrea perfettamente gli ambienti e restituisce alla perfezione una vasta gamma di sentimenti. Per il resto complimenti al regista che è riuscito a fare un film di gran classe, dove tutto e tutti sono al loro posto senza sbavature, il resto del cast infatti merita un plauso per il lavoro svolto. La sceneggiatura è ben scritta, incalzante e ben sviluppata, l'idea di fondo, sicuramente interessante, è che all'interno della stessa intelligence esistano diverse livelli e visioni spesso contrapposte. E' una guerra fatta a colpi di tradimenti, segreti e manipolazioni. Vince chi è più bravo, furbo oltre che intelligente. I dialoghi sono serrati, incisivi anche se cupi e carichi di malinconia. L'ultima interpretazione del compianto Philip Seymour Hoffman è intensa, profonda, incisiva, è l'ultimo regalo che ha fatto al suo pubblico, dimostrando ancora una volta il suo immenso talento. Il suo Gunther non è un eroe, lavora nell'ombra e spesso deve compiere atti illeciti, ma il suo obiettivo finale è la sicurezza del suo Paese. Emoziona e coinvolge non solo con le parole, ma anche con i suoi silenzi, sguardi e dal suo incessante accendersi le sigarette. Rachael Mc Adams piace e convince nel ruolo dell'idealista, in qualche modo l'alter ego di Hoffman. Il finale drammatico e nello stesso tempo carico di pathos e di colpi scena piace e lascia nello spettatore l’amara convinzione che la difficile guerra al terrorismo spesso è combattuta da uomini di valore, ma poi le strategie vengono fatte dalle persone sbagliate. Ma nonostante tutto il film annoia e incupisce leggermente, di solito c'è molta più azione, un film diverso da altri ma forse non migliore, da vedere ma anche capire e decifrare, con un occhio attento ai particolari. Voto: 6,5
E' deciso a distinguere il bene dal male e a consegnare alla giustizia soltanto i cattivi, quelli che si nascondono dietro una mitezza e una filantropia di facciata. Bachmann è finito in una sorta di 'ritiro coatto' dopo il repulisti successivo all'undici settembre, in un garage anonimo di Amburgo sconta adesso il rimorso per qualcosa che avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Eppure il suo lavoro lo fa e lo sa fare bene, dentro un quotidiano privo di cromie e passioni. Non trova sbocchi al lutto indefinito che lo agita e lo isola dalla sua squadra e dentro un epilogo di insolita malinconia. La sua ultima replica è un grido di rabbia, il suo ultimo piano un perfetto epitaffio. Disilluso, solo e smisurato, esce di scena e dalla sua Mercedes. Perché i veri attori non sono quelli che godono all'accendersi delle luci ma quelli che decidono quando le luci si possono spegnere. Per questo merita una menzione speciale, il compianto Hoffman, qui perfettamente a suo agio in questo personaggio che purtroppo per certi versi pare ricalcare tragicamente alcuni aspetti della sua vita reale. Una menzione anche alla Robin Wright, qui in versione mora che, dopo la riscoperta in House of cards, sta vivendo una seconda giovinezza e si trova perfettamente a suo agio nei ruoli glaciali. Il ritmo è volutamente molto compassato proprio perché ciò che interessa al regista non è tanto l'azione che c'è in queste operazioni ma tutto il lavoro che c'è dietro e quanto questo lavoro sconvolge non solo le persone che lo fanno ma anche chi ci rimane invischiato alle prese con dilemmi morali di non facile risoluzione.
Il film è trattenuto, introverso e ossessionato dai dilemmi morali e dall'ingerenza degli americani negli affari mondiali. Teso, serrato, ben diretto e ben interpretato. Una spy story anomala, senza sesso, violenza, inseguimenti e lusso, una partita a scacchi giocata per il gusto della mossa, della tattica, sapendo che alla fine sarà sempre il sistema a dare scacco matto, come già successo a Beirut e chissà dove altro ancora. Nella partita i pedoni sono uomini inermi, disorientati, deboli, trattati come pericolosi assassini mentre le regine, gli alfieri e le torri sono persone di potere, spavalde, amorali. Ottima la fotografia che ricrea perfettamente gli ambienti e restituisce alla perfezione una vasta gamma di sentimenti. Per il resto complimenti al regista che è riuscito a fare un film di gran classe, dove tutto e tutti sono al loro posto senza sbavature, il resto del cast infatti merita un plauso per il lavoro svolto. La sceneggiatura è ben scritta, incalzante e ben sviluppata, l'idea di fondo, sicuramente interessante, è che all'interno della stessa intelligence esistano diverse livelli e visioni spesso contrapposte. E' una guerra fatta a colpi di tradimenti, segreti e manipolazioni. Vince chi è più bravo, furbo oltre che intelligente. I dialoghi sono serrati, incisivi anche se cupi e carichi di malinconia. L'ultima interpretazione del compianto Philip Seymour Hoffman è intensa, profonda, incisiva, è l'ultimo regalo che ha fatto al suo pubblico, dimostrando ancora una volta il suo immenso talento. Il suo Gunther non è un eroe, lavora nell'ombra e spesso deve compiere atti illeciti, ma il suo obiettivo finale è la sicurezza del suo Paese. Emoziona e coinvolge non solo con le parole, ma anche con i suoi silenzi, sguardi e dal suo incessante accendersi le sigarette. Rachael Mc Adams piace e convince nel ruolo dell'idealista, in qualche modo l'alter ego di Hoffman. Il finale drammatico e nello stesso tempo carico di pathos e di colpi scena piace e lascia nello spettatore l’amara convinzione che la difficile guerra al terrorismo spesso è combattuta da uomini di valore, ma poi le strategie vengono fatte dalle persone sbagliate. Ma nonostante tutto il film annoia e incupisce leggermente, di solito c'è molta più azione, un film diverso da altri ma forse non migliore, da vedere ma anche capire e decifrare, con un occhio attento ai particolari. Voto: 6,5
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