lunedì 28 giugno 2021

Le serie tv del mese (Giugno 2021)

E' giunta a conclusione la decima stagione di The Walking Dead, e questa volta per davvero. La serie televisiva sugli zombi più celebre dell'ultimo decennio si è infatti regalata eccezionalmente (ancora per colpa della Pandemia e il conseguente blocco della storia dopo l'emergenza) una terza tranche di episodi che, a dispetto delle intenzioni iniziali di chiudere l'agonizzante show della AMC, doveva fare da ponte all'undicesima e, salvo ulteriori sorprese, conclusiva stagione. Peccato che nella loro totalità le puntate non vanno ad aggiungere molto, anzi si lasciano andare a digressioni sui singoli personaggi, ai loro rapporti e passato. Per farla breve, sono tutte praticamente inutili. Difatti tutti gli episodi di questo terzo atto della decima stagione sono filler che non portano avanti la storia di un solo passo, bensì si soffermano, come se ce ne fosse ancora bisogno, sul passato dei personaggi, sui conflitti interiori e sulle dinamiche a due (ovviamente tramite l'insistito uso dei flashback, imbarazzanti nel caso di due ridicoli episodi). E così dopo l'attacco ad Alexandria e la dipartita di Alpha per mano di Negan (nella prima tranche) e la fine dei sussurratori (nella seconda), ciò che si sceglie di esplorare in questi sei episodi riguarda le macerie interiori che questo conflitto sanguinoso ha lasciato sui protagonisti e si accenna vagamente a quello che potrebbero essere le linee guida della narrazione a venire. A tal proposito al contrario di altre occasioni, proprio per l'irricevibilità di questi episodi (episodi che fanno sì che ci si ritrovi al vero finale di stagione con un pugno di mosche e tanto tempo perso sul groppone), è venuta a mancare la creazione dell'attesa, che pure nelle stagioni più sonnolenti era garantita, e questo è decisamente un bel problema. Poco interesse (non solo mio) difronte quindi alla (si spera) conclusiva (e per davvero) stagione, ma sfuggirli (ahimè) non potrò, io purtroppo devo. Nel frattempo da vedere c'è stato (ecco), c'è e ci sarà.

The Man in the High Castle (1a stagione) - Il complotto contro l'America? Niente in confronto a questa serie che, adattandosi quasi fedelmente al romanzo ucronico La svastica sul sole di Philip K. Dick (per quanto ne so non avendolo letto), ci immerge in una realtà alternativa ancora più spaventosa, quella in cui gli Alleati hanno perso la guerra e in cui conseguentemente la Germania domina gran parte del mondo, assieme agli alleati del Giappone. C'è anche però una zona neutrale in cui la Resistenza cerca di organizzare una sorta di rivoluzione, sicuramente una riscossa da parte del popolo oppresso e questo soprattutto grazie ad una serie di film che fanno vedere una realtà diversa da quella a loro conosciuta (quella vera) e che devono essere consegnati a "L'uomo nell'alto castello". Serie interessante e di grande impatto scenico, l'argomento della vittoria dei nazisti e dei giapponesi nella seconda guerra mondiale, è una bella base di partenza e la serie riesce a mantenere vivo l'interesse, anche se talvolta la credibilità viene leggermente meno, con situazioni che potevano essere gestite meglio, cercando un po' troppo il colpo di scena. Sicuramente ci sono dei risvolti melodrammatici, una sorta di storia d'amore a tre, ma, per fortuna, questo resta comunque sullo sfondo perché è la storia, la "vera" storia, a tenere incollati allo schermo gli spettatori, o almeno, questo è quello che è successo a me. Tra tutti i personaggi spicca sicuramente il nazista John Smith alias Rufus Sewell, un cattivo fatto davvero bene, un "bad to the bone" che si fa volere bene (porca miseria). Anche il Trade Minister giapponese (Cary-Hiroyuki Tagawa) ha il suo perché, non si capisce, in questa prima stagione, quale sia il suo ruolo né quali siano i suoi reali scopi, ma è impossibile non affezionarcisi e non guardare con occhio curioso la sua spiritualità. Oltretutto a lui viene affidata nel finale di stagione il colpo di scena più sorprendente e carico di interrogativi. Gli sceneggiatori decidono infatti, forse consci del fatto che nella seconda stagione non potranno più contare sullo spunto iniziale offerto dal romanzo di Dick, ormai superato dagli eventi mostrati negli episodi, di rischiare parecchio sul piano della credibilità con un finale aperto che contrasta con l'andamento sostanzialmente realistico degli episodi precedenti. Assumerà più decisamente i caratteri di un'opera fantascientifica (FringeX-Files) o preferirà seguire le orme fantasiose ed esoteriche di Lost? Chissà, comunque tra i tanti paradossi, sono i personaggi principali (Juliana, Frank e Joe, rispettivamente Alexa DavalosRupert Evans e Luke Kleintank) ad interessare di meno, forse per le dinamiche ripetitive che li vedono protagonisti in un continuo attrarsi per poi respingersi. Nonostante ciò e nonostante uno svolgimento non sempre centrato, The Man in the High Castle è una gran serie, è questa una spettacolare prima stagione, una prima stagione interessante, a mio avviso ben fatta, ricca di suspense e ansia, che non mi ha mai annoiato e che non vedo l'ora di continuare con la seconda stagione. Voto: 7,5

Banshee - La città del male (3a stagione) - A Banshee si iniziano a tirare le somme. L'urlo funebre della mitologica creatura si diffonde sempre più rumoroso tra le case, i magazzini e i bar dell'immaginaria cittadina della Pennsylvania, alcuni fili narrativi vengono infatti conclusi in questa stagione pre-finale ed il destino di vari personaggi più o meno fondamentali trova il suo naturale (ma sempre sanguinoso) compimento. Il tema principale, il "rapporto" Hood-Carrie-Rabbit, è stato (fortunatamente) definito nella passata stagione (la sua eliminazione, dell'antagonista più temuto e meno "fraternizzato", credo abbia giovato davvero alla serie) e l'approccio allo sviluppo delle varie tematiche si fa progressivamente più corale, ampliando a dismisura gli intrecci del plot. E si approfondisce la conoscenza con l'arcinemico di stagione: il truce indiano ribelle Chayton Littlestone, interpretato dal massiccio Geno Segers (un po' dispiace l'uscita di scena di Siobhan, ma ahimè, era scritto nella pietra che andava così, per cui tocca rassegnarsi e non rimanere stupiti della sua tragica e violentissima fine). Come si è già detto (almeno credo d'averlo fatto) il progetto seriale di base è "cialtronesco" e la sua forza risiede nella pletora di caratteri messi nel calderone seriale e nell'improbabilità (pulp-trash-splatter) di molte situazioni. Che divertono (sanguinosamente) a più riprese, grazie ad un nutrito nugolo di volenterosi e sconosciuti attori, molti alla "prova" della vita, trovatisi perfettamente a loro agio nel mood definito dagli autori. I più noti all'avvio, almeno per lo scrivente, erano due o tre, ma chi più chi meno, tutti interpreti/ruoli memorabili. Per una terza stagione (ancora) rutilante e carnascialesca, con solo un pizzico in meno di sexploitation. Si vedrà poi nella quarta, nella speranza che il finale della storia sia in pieno stile con il resto della serie: violento, serio, e quanto basta sanguinario. Voto: 7
BoJack Horseman (3a stagione) - Dopo una prima e una seconda stagione scritte, dirette ed interpretate a ottimi livelli, BoJack Horseman non molla la presa e si riconferma (nuovamente) ottima, con un terza stagione che colpisce dritta al cuore: emoziona, divertente, conquista e strappa anche qualche riflessione. Se la seconda stagione si era chiusa con un BoJack pieno di buone intenzioni dopo la realizzazione del film dei suoi sogni (Secretariat), la terza si apre con il cavallo in piena corsa per una nomination agli Oscar e col ritorno al successo mondiale. Ovviamente il livello di stress (e di alcol nel suo sangue) si alza terribilmente e a tenere in piedi BoJack ci pensa la sua nuova pubblicista Ana, che cercherà in tutti i modi di portarlo verso la vittoria della statuetta. Seguiamo così il percorso tortuoso di BoJack verso l'Oscar, tra gioie e crolli, illusioni e sogni spezzati. Una stagione, la terza quindi, che può tranquillamente essere riassunta con un The rise and fall of BoJack Horseman (again). Una gran stagione, la più intensa. Chiude tante porte ma ne lascia aperta una più grande nel bel finale, l'ennesimo punto interrogativo posto sulla nuova epifania di BoJack e sul cosa verrà questa volta fagocitato dal suo vortice di auto (e non) distruzione, quale idea, quale aspirazione, quale sogno. In tal senso chissà se la prossima stagione sarà quella della redenzione e della catarsi per BoJack e gli altri, quel che è certo è che, pur non potendo più contare sull'elemento di novità delle prime due annate, la serie di Netflix non perde neanche un po' della sua carica sperimentale e della qualità della scrittura e continua a regalare perle di "saggezza", ma non solo. La terza stagione sì, la più matura e toccante. Si ride, certo, si ride tantissimo soprattutto grazie alle disavventure legate alle carriere di Princess Carolyn e Diane e ai personaggi minori che compaiono qua e là, ma le risate col passare degli episodi lasciano spazio ai momenti più riflessivi e commoventi. L'episodio numero 4 (Un pesce fuor d'acqua) tutto ambientato nella città sottomarina di Pacific Ocean City è uno degli episodi più belli dell'intera serie e uno dei più particolari: completamente privo di dialoghi, fatto solo di animazione, gestualità ed estetica, sfruttando la splendida ambientazione sottomarina. E' una puntata commovente e splendida, il momento più alto della stagione senza dubbio, assieme allo straziante episodio 11 (E' troppo, amico!), basato sul rapporto tra BoJack e Sarah Lynn (una delle bambine di Horsin Around diventata da adulta una specie di Lindsay Lohan). Ma non sono le uniche cose da segnalare, e come sempre ci sarebbero tante cose da citare o da dire ma quelle vanno scoperte guardando gli episodi, inutile fare l'elenco di tutti i tipi di carne messi al fuoco e della continua evoluzione dei rapporti tra i vari personaggi. Diciamo solo che in questa stagione di BoJack Horseman c'è davvero tutto quello che si poteva desiderare e anche qualcosina in più (un po' di satira, che si scaglia contro il gigantesco obiettivo degli Oscars e di tutte le pagliacciate che gli ruotano attorno). Un piccolo capolavoro che proseguirà con la quarta stagione e non vedo l'ora di vedere cosa si sono inventati. L'autodistruzione non è finita, temo. Voto: 8+

Narcos (3a stagione) - Eccomi arrivato alla fine anche di questa (terza ed ultima) stagione della saga (regolare) di Narcos (la serie spin-off al momento non vedrò, ma poi chissà), una stagione leggermente inferiore alle altre due, ma sempre d'altissimo livello. Il titolo è sempre stato chiaro: Narcos pone l'attenzione su un fenomeno, su un mondo, che si è sviluppato nell'America centrale e della lotta delle autorità colombiane nei confronti dell'esplosione del traffico di cocaina tra Stati Uniti ed Europa nel corso degli anni '80. Narcos 3 riprende la storia che ci si era lasciati alle spalle al termine della seconda stagione e ci immerge nuovamente in un mondo in fervente divenire come può essere quello del cartello della droga, nel quale il ruolo di comando è destinato a cambiare con repentina frequenza. Alla morte di Escobar, sono i "Gentiluomini" di Cali a comandare il narcotraffico, nuovi leader che si muovono con metodi diversi da quelli di chi li ha preceduti: meno violenza che possa catalizzare l'attenzione generale, ma piuttosto una preferenza per la corruzione ed il controllo di uomini di governo attraverso tangenti e mazzette. Quella che poteva essere una seria difficoltà, diventa in realtà una grande opportunità: la serie non dimostra in alcun modo di soffrire la mancanza del suo uomo simbolo, ma coglie l'occasione per rinnovarsi e ripartire. Se la stagione 2 finiva per essere in qualche modo claustrofobica con la sua inevitabile attenzione su Pablo Escobar e la sua cattura, chiudendo gli stessi spettatori con lui nella sua gabbia dorata, la terza stagione si apre a nuovi temi e personaggi, amplia il suo raggio d'azione e riesce a raccontare una storia corale in cui ogni membro del cast (vecchio e soprattutto nuovo) risulta funzionale al ruolo che deve ricoprire. Narcos 3 mantiene l'impostazione e lo stile delle due stagioni precedenti, mantiene la stessa sigla di testa, l'alternanza di inglese e spagnolo, la fotografia ed il look generale, ma si adatta all'andamento della storia che racconta, evolvendo con essa. La stessa voce fuori campo, presente nella terza stagione come nelle precedenti, è ora affidata al Peña di Pedro Pascal che, orfano del collega Boyd Holbrook, diventa il punto di riferimento per le indagini e lo spettatore, portandoci per mano in un mondo che allarga il proprio raggio d'azione e diventa sempre più complesso e internazionale. In questo senso il lavoro della sceneggiatura (Carlo Bernard e Doug Miro firmano la maggior parte degli episodi) si rivela strumentale alla delineazione di questa complessa realtà, ricca di pathos trattenuto, di violenza che esplode improvvisa, di suspense calibrata sull'impiego di sequenze in montaggio alternato e parallelo. La Colombia emerge, ancora una volta, come luogo affascinante e contraddittorio: una terra in cerca di riscatto ma anche una sorta di "narco-democrazia" indotta che ha fatto dell'illegalità e dello scontro una seconda natura. In conclusione la terza stagione di Narcos sfrutta (sorprendentemente) benissimo l'eredità di Pablo Escobar costruendo, su un terreno già solido, una vicenda composta da ottimi personaggi, fotografati con un'ottima messa in scena. E contro ogni previsione si conferma ancora una volta un grandissimo prodotto. Voto: 7,5

10 commenti:

  1. Ho seguito la serie tv The Walking Dead coi dvd ma alla fine l'ho mollata anche perché stavo seguendo la serie a fumetti. Che tra l'altro ha un ciclo finale pieno di sorprese ma anche molto deludente e stanco.
    Che fine fa Michonne nella serie tv?

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  2. Non ho mai visto queste serie ma, come ti dissi, conosco bene Bojack.
    Vedo che ti è piaciuta anche la terza stagione e che quindi continuerai a guardarla.
    Peccato. :P

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    1. Conosci sì, ma penso che vederla sia un'altra cosa, così depressiva non è, continuerò assolutamente ;)

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  3. Io ho scoperto (tardi) le quattro serie Fargo. Qualcosa di eccezionale davvero!

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  4. Purtroppo il telefilm tratto da La svastica sul sole è parecchio differente, anzi lo definirei parecchio più ricco rispetto al romanzo che rimane molto più sul vago.
    Resta comunque un telefilm che ho adorato per le prime due stagioni, ho apprezzato la terza, ma l'ultima non mi è piaciuta affatto purtroppo.
    Bojack un must.

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    1. Beh sì, leggendone la trama su Wiki credo risulti abbastanza ciò che dici, invece sulle stagioni successive semplicemente aspetto di vederne, non azzardo previsioni ;)

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    1. E lo sarò anch'io presumibilmente quando finirò la serie...

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