Fuga in tacchi a spillo (Hot Pursuit) è un film del 2015, con protagoniste Reese Witherspoon e Sofía Vergara. Cresciuta sul sedile posteriore di una macchina della polizia, Rose Cooper è diventata un'agente tutta d'un pezzo portata a combinar guai dal suo eccesso di zelo. Lei, sempre ligia nel rispetto delle regole, impermeabile (suo malgrado) al fidanzamento, è nota nella sua stazione di polizia dopo un colpo partito nei confronti del figlio del sindaco, da qui il termine "cooperata". Confinata per anni ad archiviare le prove in un bugigattolo della centrale, ottiene finalmente l'incarico di uscire per scortare a Dallas la moglie di un pentito del clan di Cortèz, boss del narcotraffico. Presto, la piccoletta e rigida (un po' ottusa poliziotta) Cooper e la slanciata signora Riva, una scoppiettante vedova, tutta curve e diamanti in valigia, si ritroveranno ad essere le uniche sopravvissute ad un'imboscata: una strana coppia in fuga dai proiettili e in perenne battibecco reciproco, un viaggio attraverso il Texas, a braccarle, poliziotti corrotti e spietati killer a pagamento, trovandosi così coinvolte in una storia molto complicata e pericolosa. Ma quando i ciak sbagliati riproposti sui titoli di coda sono la sequenza forse più divertente del film, non ci vuole un tesserino da detective per capire che c'è qualcosa che non va.
L'idea di mettere nella stessa inquadratura Reese Witherspoon e Sofia Vergara non è affatto male, ma non si può pensare che basti a se stessa. La trama scontata si salva grazie a cliché, dialoghi irresistibili e qualche gag ben assestata, ma senza troppa convinzione. La sceneggiatura sperimenta tutte le gag prevedibili (litigi tra le ragazze, gag finto-lesbiche, variazioni sulle lingue inglese e spagnola, l'episodio in cui la poliziotta ingerisce per sbaglio cocaina e molla i freni inibitori...) senza però riuscire a far ridere di gusto. Le due attrici si buttano volentieri nella mischia, ma lo script a disposizione delle ragazze è più sottile e meno affilato dei tacchi della Vergara. Non è certo un film memorabile, nonostante la Whiterspoon poliziotta minuta e casinista e la Vergara moglie di un boss sudamericano che deve testimoniare, però si lascia guardare. Non mancano riferimenti e battute scorrette sull'altezza della Whiterspoon e sull'età della Vergara (una nana che deve scortare una gigantessa). Film sorretto dalle poppe di Sofia Vergara (e non è poco), ma anche dalle scarpe a tacco 12, da qui il titolo italiano, visto che la Whiterspoon fa la poliziotta in divisa con le scarpe quasi sempre basse. Il passo a due funziona, ma non tanto, il massimo a cui ci si può aggrappare per sorridere sono i nomignoli con i quali il personaggio della Vergara apostrofa quello della Witherspoon. Fra baci lesbici e catfight ridicoli, si arriva alla fine, che è (quasi) un vero giallo pulp e che fa risalire di un bel po' le quotazioni di questo film, che rimane sì una frizzante, ironica e divertente commedia ma che finisce per essere il solito road-movie americano, stupidino, casinista, irriverente e divertente, ma soprattutto insipido e scarno, senza senso e con il solito finale stucchevole, amorevole e scontato. Da vedere e dimenticare. Voto: 6-
Il Segreto del suo volto è un drammatico e toccante film (del 2014) ambientato nella Berlino del giugno del '45, appena dopo la fine della guerra, una triste vicenda legata all'Olocausto. Il film narra le vicissitudini prima e soprattutto post guerra di una donna, Nelly (ebrea ed ex-cantante), sopravvissuta ad Auschwitz, ma ferita e con il volto sfigurato. La sua amica Lene, ebrea anche lei, la conduce in macchina nella clinica svizzera dove ricostruiranno il suo volto. Nelly potrebbe modificare i suoi lineamenti, le dicono, ma sceglie di tornare come prima. Lene comunica all'amica che tutti i suoi parenti sono morti o spariti e Nelly è rimasta l’unica erede, affitta un appartamento per tutte e due, dato che la casa di Nelly è ridotta a un cumulo di macerie. Progetta di trasferirsi insieme a lei in Israele, visto il perdurare di diffidenza e ostilità dei tedeschi nei confronti degli ebrei. Ma lei, guarita a malapena dall'intervento chirurgico, vuole ritrovare il marito, Johnny, l'amore della sua vita. Quando casualmente Nelly ritrova Johnny, lui non la riconosce. L'intervento l'ha resa quasi irriconoscibile. Eppure notando in lei una vaga somiglianza con la moglie, le chiede di assumerne l'identità, sperando così di mettere le mani sull'eredità della famiglia di lei. Nelly, che rivuole la sua vita, accetta, diventando così il suo stesso alter ego, con la speranza di scoprire i veri sentimenti o i tradimenti del consorte, come sostiene la sua amica. Phoenix (il titolo originale del film) è, allo stesso tempo, una storia d'amore e un film noir. Come in un gioco di specchi il film affronta i temi della rimozione dei crimini nazisti e di un amore dimenticato, la donna non viene riconosciuta, allo stesso modo non vedendo le proprie responsabilità nell'Olocausto, si crede possibile rinascere dalle ceneri come la fenice. Ma la vera fenice è Nelly che sceglie di non dimenticare nulla, non rinunciando ad essere quella che è, solo questo le permette di andare avanti, senza cadere nella sindrome suicida della sua amica Lene.
Nessun tedesco, dice il film di Christian Petzold, ha voluto sapere quel che era successo nei campi di concentramento, e nessuno si è potuto chiamare fuori dalla responsabilità collettiva di aver permesso l'Olocausto. Attraverso un racconto lineare e nitido, il regista tedesco affronta i fantasmi che affollano la coscienza del suo popolo senza mai calcare la mano, e sceglie di raccontare la sua storia attraverso il cuore di una donna che non si rassegna né all'indifferenza dei suoi connazionali né alla disumanità dell'antisemitismo. Nelly non smette di amare e di credere nella fondamentale bontà dell'uomo, ed è questo che la salva, invece di intrappolarla nella zona morta fra l'impossibilità di tornare indietro e quella di andare avanti. Ma perché Nelly insiste tanto per volere recitare la parte di se stessa? Perché spera fino all'ultimo che suo marito la riconosca e che non sia vero che proprio lui l'ha tradita, denunciandola alla Gestapo. Ma la verità uscirà allo scoperto (il certificato di divorzio avvenuto il giorno stesso in cui la Gestapo l'aveva arrestata) e scoprirà solo la pochezza di lui, di cui è ancora fortemente innamorata, che continua a non riconoscerla e vuole solo perseguire il suo scopo venale. La sua presa di coscienza avverrà quando Nelly gli chiede di suonare Speak low, che lei canta davanti ai conoscenti cui Johnny vuole dar prova che Nelly è tornata (una scena, quella finale, che è un autentico pezzo di bravura degli ottimi attori Nina Hoss 'Nelly', Ronald Zehrfeld 'Johnny', ma anche Nina Kunzendorf 'Lene'). La voce è proprio la sua inconfondibile, e sul braccio fuori dalla manica compare il numero tatuato nel campo davanti agli amici, sul viso di lui cade tutta l'angoscia, tutto il peso della sua mascalzonata. Nelly prende la sua giacca e se ne va. Perché in love is pure gold and time a thief (parole della canzone), nulla è più come lei sperava. Il finale migliore di una storia d'amore al femminile. Il dialogo è scarno, la trama è interessante ma piuttosto ardita e poco credibile nei modi e termini in cui viene esposta, soprattutto non sono rispettati i tempi, le trasformazioni ambientali e psicologiche di tutti i personaggi, troppo presto per rivedere Berlino con ottimi ospedali, alberghi e case intatte. Ancora più presto è vedere i sopravvissuti accettare le due donne ebree, curare le ferite di Nelly procurate da altri tedeschi ed accoglierle festosamente a braccia aperte. Quando tempo è passato dall'evasione? Da quando si è salvata in Svizzera? Tutto poco credibile. Ma a rendere positiva questa storia che pare frutto di una fantasia, c'è l'intenzione di dimostrare che al di là dell'odio e del tradimento c'è l'amore. Un film da vedere e sul quale riflettere a lungo. Voto: 6+
L'idea di mettere nella stessa inquadratura Reese Witherspoon e Sofia Vergara non è affatto male, ma non si può pensare che basti a se stessa. La trama scontata si salva grazie a cliché, dialoghi irresistibili e qualche gag ben assestata, ma senza troppa convinzione. La sceneggiatura sperimenta tutte le gag prevedibili (litigi tra le ragazze, gag finto-lesbiche, variazioni sulle lingue inglese e spagnola, l'episodio in cui la poliziotta ingerisce per sbaglio cocaina e molla i freni inibitori...) senza però riuscire a far ridere di gusto. Le due attrici si buttano volentieri nella mischia, ma lo script a disposizione delle ragazze è più sottile e meno affilato dei tacchi della Vergara. Non è certo un film memorabile, nonostante la Whiterspoon poliziotta minuta e casinista e la Vergara moglie di un boss sudamericano che deve testimoniare, però si lascia guardare. Non mancano riferimenti e battute scorrette sull'altezza della Whiterspoon e sull'età della Vergara (una nana che deve scortare una gigantessa). Film sorretto dalle poppe di Sofia Vergara (e non è poco), ma anche dalle scarpe a tacco 12, da qui il titolo italiano, visto che la Whiterspoon fa la poliziotta in divisa con le scarpe quasi sempre basse. Il passo a due funziona, ma non tanto, il massimo a cui ci si può aggrappare per sorridere sono i nomignoli con i quali il personaggio della Vergara apostrofa quello della Witherspoon. Fra baci lesbici e catfight ridicoli, si arriva alla fine, che è (quasi) un vero giallo pulp e che fa risalire di un bel po' le quotazioni di questo film, che rimane sì una frizzante, ironica e divertente commedia ma che finisce per essere il solito road-movie americano, stupidino, casinista, irriverente e divertente, ma soprattutto insipido e scarno, senza senso e con il solito finale stucchevole, amorevole e scontato. Da vedere e dimenticare. Voto: 6-
Nessun tedesco, dice il film di Christian Petzold, ha voluto sapere quel che era successo nei campi di concentramento, e nessuno si è potuto chiamare fuori dalla responsabilità collettiva di aver permesso l'Olocausto. Attraverso un racconto lineare e nitido, il regista tedesco affronta i fantasmi che affollano la coscienza del suo popolo senza mai calcare la mano, e sceglie di raccontare la sua storia attraverso il cuore di una donna che non si rassegna né all'indifferenza dei suoi connazionali né alla disumanità dell'antisemitismo. Nelly non smette di amare e di credere nella fondamentale bontà dell'uomo, ed è questo che la salva, invece di intrappolarla nella zona morta fra l'impossibilità di tornare indietro e quella di andare avanti. Ma perché Nelly insiste tanto per volere recitare la parte di se stessa? Perché spera fino all'ultimo che suo marito la riconosca e che non sia vero che proprio lui l'ha tradita, denunciandola alla Gestapo. Ma la verità uscirà allo scoperto (il certificato di divorzio avvenuto il giorno stesso in cui la Gestapo l'aveva arrestata) e scoprirà solo la pochezza di lui, di cui è ancora fortemente innamorata, che continua a non riconoscerla e vuole solo perseguire il suo scopo venale. La sua presa di coscienza avverrà quando Nelly gli chiede di suonare Speak low, che lei canta davanti ai conoscenti cui Johnny vuole dar prova che Nelly è tornata (una scena, quella finale, che è un autentico pezzo di bravura degli ottimi attori Nina Hoss 'Nelly', Ronald Zehrfeld 'Johnny', ma anche Nina Kunzendorf 'Lene'). La voce è proprio la sua inconfondibile, e sul braccio fuori dalla manica compare il numero tatuato nel campo davanti agli amici, sul viso di lui cade tutta l'angoscia, tutto il peso della sua mascalzonata. Nelly prende la sua giacca e se ne va. Perché in love is pure gold and time a thief (parole della canzone), nulla è più come lei sperava. Il finale migliore di una storia d'amore al femminile. Il dialogo è scarno, la trama è interessante ma piuttosto ardita e poco credibile nei modi e termini in cui viene esposta, soprattutto non sono rispettati i tempi, le trasformazioni ambientali e psicologiche di tutti i personaggi, troppo presto per rivedere Berlino con ottimi ospedali, alberghi e case intatte. Ancora più presto è vedere i sopravvissuti accettare le due donne ebree, curare le ferite di Nelly procurate da altri tedeschi ed accoglierle festosamente a braccia aperte. Quando tempo è passato dall'evasione? Da quando si è salvata in Svizzera? Tutto poco credibile. Ma a rendere positiva questa storia che pare frutto di una fantasia, c'è l'intenzione di dimostrare che al di là dell'odio e del tradimento c'è l'amore. Un film da vedere e sul quale riflettere a lungo. Voto: 6+
l'ho visto e l'ho trovato alquanto bruttarello ammetto
RispondiEliminaDici il primo vero? so che l'hai visto perché l'hai scritto...sì infatti, bruttarello ma non così male, a sprazzi diverte ;)
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