True story è un misterioso, enigmatico e drammatico film del 2015, diretto da Rupert Goold, al suo debutto alla regia cinematografica e scritto da David Kajganich, che si è basato (facendo un adattamento) sul libro di memorie di Michael Finkel, True Story: Murder, Memoir, Mea Culpa. La pellicola, presentata un anno fa circa al Sundance Film Festival, vede tra i produttori che partecipano al progetto un certo Brad Pitt, e segna il ritorno a ruoli impegnativi dopo le loro abituali esilaranti performance tra cinema, tv e social, di James Franco e Jonah Hill. Proprio quest'ultimo interpreta uno dei protagonisti di questa drammatica e agghiacciante storia vera, ossia il giornalista del New York Times, Michael Finkel, giornalista che ha da poco terminato di lavorare con la famosa testata, che si ritrova a lottare per il suo lavoro dopo una storia conclusasi non bene. Un giorno però riceve una sconvolgente e alquanto strana telefonata, di un uomo che gli dice, che il suo nome è stato 'usato' da Christian Longo (Franco), uno dei maggiori ricercati d'America e dall'FBI, un pericoloso serial killer accusato di aver ucciso brutalmente sua moglie e i loro tre figli in Oregon, che al momento dell'arresto (in Messico) ha dichiarato infatti di essere Finkel. Michael e Christian finiscono così con l'incontrarsi, per 'colpa' del giornalista che a seguito di una serie di vicissitudini che mettono in gioco la carriera, decide di andare a scoprire il motivo per cui il killer ha scelto proprio lui per raccontare un'assurda e alquanto angosciante verità. Il film perciò ruota (solamente) intorno al rapporto che si viene a creare tra i due, un forte legame mentre Longo, accusato appunto di aver sterminato la propria famiglia, è in attesa del processo. Una verità verrà fuori, ma non quella che ci aspetterebbe.
Il film si sviluppa in modo abbastanza comprensibile e facile da decifrare, ma avviene in parte così disarticolato e confuso, che dopo la visione sono rimasto leggermente sconcertato. Non tanto per la storia degli omicidi molto forte, intensa ed sconvolgente, quando per quella metafisica tra giornalista e carcerato, poiché mi sono perso dall'inizio alla fine della vicenda in attesa di un qualcosa che ho avuto l'impressione non sia arrivata mai. Non lo si può definire un thriller, quanto piuttosto una sorta di duello psicologico tra due persone, il giornalista e l'imputato, che si attraggono e respingono al tempo stesso. Ma al di là delle espressioni intense dei due bravi (veramente bravi) attori la trama non ci restituisce nemmeno nel finale qualcosa di convincente e men che meno appagante. Troppe chiavi di lettura restano aperte, senza risposte. La principale, il rapporto tra i due protagonisti offre solo bugie e silenzi fini a se stessi, mai realmente motivati, Un atteggiamento omertoso dell'imputato Chrstian Longo col giornalista Michael Finkel che in realtà non servono a coprire nessuno. Quello che forse doveva rivelarsi come un piano astuto per salvarsi in realtà non lo è: le ammissioni parziali o totali di Longo in aula non stravolgono un destino processuale segnato e mai messo in discussione. Del contenuto dell'enorme quantità di materiale che avrebbe fornito Christian a Michael durante i loro colloqui e nella loro corrispondenza, e che alla fine il giornalista vorrebbe passare al procuratore, in realtà durante lo svolgimento del film non c'è traccia. La sensazione è che il galeotto al cronista abbia offerto solo un "grande nulla", un po' come il regista agli spettatori. Anche il rapporto di Finkel con la moglie non viene mai approfondito né chiarito, lasciando solo una scia di problematiche sfiorate ma mai approfondite né spiegate. La sensazione forte è quella di aver assistito a un'incompiuta, a tanti inizi senza nessuna fine. A delle buone idee di partenza, a tanti spunti, puntualmente irrisolti, che lasciano un amaro senso di insoddisfazione ai titoli di coda.
Peccato perché il materiale per realizzare una bella pellicola c'era e il ritorno del sodalizio Hill-Pitt lasciava ben sperare. Invece il film è insopportabilmente troppo lento e noioso e finisce per incartarsi attorno al morboso rapporto killer-giornalista con Franco nei panni di quest'ultimo. Insomma un film senza mordente che non lascia nessuna traccia di se al termine della visione. Certamente il film non è brutto e neanche inutile, ma troppo vuoto e insipido nonostante appunto la storia molto 'commovente' con alcune scene (flashback) belle ma anche alcune foto e immagini forti. Un film che segue un filone di moda diciamo, ossia quella di fare film tratti da storie vere che a Hollywood è diventata più che una abitudine, quasi un genere cinematografico a sé tanti sono i casi: il pubblico partecipa emotivamente e la critica apprezza la credibilità e l'adesione ai fatti. Dopo per esempio American Sniper (al tempo dell'uscita) e tanti altri (dopo ovviamente), ecco che anche l'esordiente filmaker inglese Rupert Goold attinge a fatti realmente accaduti, e sceglie di debuttare dietro la macchina da presa con un film ispirato alle memorie di questo (anch'esso enigmatico) giornalista. L'elemento sorpresa rimane soprattutto quella dei due attori principali, che come detto in precedenza, tornano a copioni drammatici dopo una lunga parentesi comica (per Franco The Interview, anche se va detto che all'Oscar lui ci è andato vicino col tragico 127 ore e il Golden Globe se l'è aggiudicato per la sua intensa caratterizzazione di James Dean). Ma True story offre al pubblico un ottima prova da protagonista anche per Jonah Hill, che ad appena 30 anni ridendo e scherzando come comprimario 2 nominations all'Oscar se le è già portate a casa, per L'arte di vincere (2011) e The Wolf of Wall Street (2014) facendo da spalla rispettivamente a Brad Pitt e Leonardo DiCaprio. Oltre a loro i ruoli femminili comunque sufficienti affidati alla star emergente inglese Felicity Jones (che ha sfiorato l'Oscar con La teoria del tutto) e la biondissima Gretchen Mol (al cinema Donnie Brasco e in tv in Boardwalk Empire). In conclusione però, nonostante quindi una grandissima prova di recitazione dei protagonisti, il film, che è sicuramente interessante, è abbastanza anonimo e abbastanza inconsistente. Comunque a me un po' è piaciuto, non tantissimo, dato che non credo lo vedrò una seconda volta, una è più che sufficiente. Voto: 6-
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