lunedì 20 novembre 2017

Deepwater: Inferno sull'oceano (2016)

Solida ricostruzione del disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuto nell'aprile del 2010 è Deepwater: Inferno sull'oceano (Deepwater Horizon), film del 2016 diretto discretamente bene da Peter Berg (HancockBattleship). Il regista infatti, probabilmente al suo miglior film, negli spazi angusti della piattaforma, dove è ambientata gran parte della vicenda, lascia ai margini retorica e sentimentalismo per concentrarsi sui fatti e sull'azione raccontati con un taglio assai realistico e senza troppi fronzoli. Deepwater difatti è un disaster movie di grande presa, non solo visiva, capace di mantenere in costante attenzione il pubblico coinvolgendolo e trasmettendogli discrete dosi di emozioni, forse un po' troppo spettacolarizzate ma ampiamente capaci di soddisfare le attese e i requisiti che storie come questa intendono proporre. Anche se la cosa più interessante del film (e di questa storia), non è il dramma accaduto al largo della costa della Louisiana, dove la piattaforma trivellatrice semi-sommergibile Deepwater Horizon, di proprietà della multinazionale britannica "British Petroleum", a causa della superficialità e della cupidigia dei dirigenti della stessa compagnia, è esplosa causando undici operai morti e inquinando con milioni di barili di greggio l'oceano e tutto il Golfo del Messico con un disastro ambientale riconosciuto unanimemente, come il più grave della storia americana, ma i rapporti, l'aspetto umani (quello che al regista lo interessa di più e quello che gli riesce meglio raccontare) e gli scontri tra chi mette al primo posto la sicurezza dei lavoratori, e chi invece mette al primo posto solo ed esclusivamente il business. Del resto Deepwater Horizon, dal titolo omonimo con la piattaforma, non vuole essere un documentario o un film forzatamente ambientalista, ma un film che racconta nel modo più verosimile e genuino la tragedia umana.

In primis, che hanno dovuto affrontare persone semplici, lavoratori comuni che non si portano dietro il glamour delle metropoli ma la forza di volontà degli abitanti della periferia, talvolta rurale, americana che sbarcano il lunario lavorando su una piattaforma petrolifera in mezzo all'oceano, isolati per giorni dal resto del mondo. Il regista, che vuole dar voce ed espressione all'eroismo di uomini e donne che in quel drammatico 20 aprile hanno lottato per sopravvivere e per poter riabbracciare i propri cari, scavando nelle loro vite e nei loro cuori (e proprio per questo la prima parte del film è interamente dedicata a mostrare allo spettatore brevi stralci della vita privata di alcuni dei lavoratori della Deepwater prima di imbarcarsi, e successivamente, una volta saliti sulla piattaforma, quanto questa fosse considerata da ciascuno di loro una sorta di seconda casa, evidenziando in questo modo l'approccio dell'intero film, volto all'interesse di coinvolgere il pubblico nelle vite semisconosciute dei lavoratori della piattaforma petrolifera ben prima che si verificasse l'esplosione), sceglie così di affidare la parte di Michael Williams nuovamente a Mark Wahlberg (col quale ha collaborato nel convincente action di guerra Lone Survivor), volto comune di un personaggio che si scoprirà a sua insaputa un eroe.
D'altronde il film stesso è dedicato a tutti quegli eroi spesso dimenticati e passati in secondo piano, tutte quelle persone comuni che si vedono coinvolte in eventi drammatici e riescono a non perdere la loro integrità morale, mettendo da parte egoismi personali e istinti primordiali di sopravvivenza, riscoprendo la vera natura umana, quella della solidarietà, dell'aiuto reciproco, del non abbandonare il prossimo in pericolo. Che ci sia pure una certa retorica è inevitabile, cosi come non si può negare che il mito dell'eroismo americano e dei suoi valori più tradizionali è ancora molto sentito e radicato nell'inconscio degli statunitensi (d'altronde non bisogna sottovalutare che Mike diventa l'emblema di questo eroismo perché è un uomo, marito e padre di famiglia). Ma eccezion fatta per questa piccola enfasi, che viene ribadita soltanto nel finale del film con un doveroso ricordo-omaggio verso le vittime, il film rappresenta benissimo un mondo tipicamente maschile, quello dei lavoratori sulle piattaforme petrolifere, enfatizzando non solo la difficoltà e pericolosità di chi è ultimo tra gli ultimi, addetto a raccogliere e pulire la melma, ma mettendo in evidenza in modo schietto e onesto il divario sociale che divide il gruppo di dipendenti dal resto della numericamente inferiore élite presente sulla piattaforma.
Peter Berg, mette così in risalto un contrasto veritiero quanto verosimile, che rappresenta un passaggio narrativo cruciale nel tentativo di spiegare come sono andate le cose, e sopratutto un modo per cercare di ristabilire giustizia e attribuire delle colpe precise, perché un incidente di queste dimensioni non scaturisce senza la responsabilità umana. Difatti, la ricostruzione dei fatti presentata da Berg fa cadere la colpa sulla criminale arroganza e superficialità dei due "executive manager" della BP, uno dei quali viene reso magistralmente da John Malkovich. I boss, infatti, per risparmiare soldi e accelerare i tempi delle trivellazioni diedero l'ordine di procedere con la trivellazione del pozzo petrolifero senza accertarsi sulla solidità del cemento. Ma i segni premonitori che sta per accadere qualcosa di infausto, il regista li dissemina sin dalle prime inquadrature nelle quali apre lo scenario con una bollicina di gas che evade dal fondo oceanico. Anche perché tecnicamente la pellicola in questione è assolutamente impeccabile. Il regista infatti, riesce a bilanciare bene il dramma e usa caparbiamente i classici ingredienti dei thriller e action movies, l'adrenalina e la suspense crescente, il disastro imminente che bussa alla porta attraverso piccole scene premonitrici.
In termini invece di spettacolarizzazione Berg si contiene il più possibile mirando a creare un dramma solido, anche grazie all'attenta sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan e Matthew Sand e la sua sapiente regia, che forniscono quello che potremmo definire un approfondimento commovente e al contempo avvincente di come la gente comune riesca a compiere atti eroici e straordinari in situazioni inattese e sconvolgenti. Al contempo il linguaggio usato dai protagonisti nella prima parte del film è molto tecnico, un'espediente a doppio taglio, usato per incrementare il più possibile la verosimiglianza della situazione, ma che in altri casi potrebbe far annoiare o al limite far smarrire lo spettatore. Fortunatamente non è questo il caso, perché Berg riesce a farci immedesimare nella dura quotidianità a bordo della petrolifera e dosando coscientemente gli elementi sopracitati riesce a tenere vivo l'interesse e la curiosità del pubblico. Quello che invece ci viene mostrato nella seconda parte, è la rappresentazione spettacolarizzata di un disastro di proporzioni enormi e di un danno umano e ambientale irreparabile. La pressione del gas, la fallibilità dei sofisticati sistemi di emergenza, la forza violenta con la quale il petrolio è fuoriuscito causando la tragedia.
Da lì a breve la piattaforma andrà in fiamme e a questo punto il regista ci propina una serie di immagini ed effetti speciali agghiaccianti ma visivamente impeccabili, da vero disaster movie che si rispetti, ma di nuovo focalizzandosi sull'aspetto umano, sull'eroe improvviso che ognuno di noi può diventare (l'esplosione diventa una gara contro il tempo per mettere in salvo quante più vite possibili, comprese quelle dei colpevoli). Dopotutto il disaster movie di Berg è incalzante, ben ritmato, avvincente, imprevedibile, coinvolgente, con una fotografia e con effetti speciali dirompenti ed empatici, lo spettatore viene proiettato sulla piattaforma e sente il calore delle fiamme e il puzzo del fango e del greggio che devasta la piattaforma semi-sommergibile prima dell'esplosione catastrofica finale (spettacolare ed efficace) che distruggerà tutto. D'altronde Peter Berg conosce il valore di un esplosione su schermo. La sfida in questo genere di film è infatti tutta nel ritmo e nella conseguente tensione, mantenere entrambi alti dopo il climax raggiunto (in questo caso il così detto "blow out", l'esplosione di petrolio che genera l'incendio). Il regista ci riesce alla grande, perché assistiamo ad un continuo crescendo di tensione per circa una mezz'ora fino al "Boom", una scena impressionante.
Un inferno di lamiere incandescenti, torri che stramazzano al suolo, ferraglia e bulloni che schizzano come proiettili in un apocalisse di petrolio e fuoco, elementi che si mangiano il film. Un film che convince quindi sia sul piano meramente tecnico e narrativo, ma anche sul piano dell'elaborazione dei personaggi. Se è vero che parecchi personaggi secondari vengono lasciati sullo sfondo e incidono poco (Dylan O'Brien, conosciuto soprattutto per la saga di Maze Runner, e Ethan Suplee, il fratello di Earl in My name is Earl, ma anche la dinamica ma fragile Gina Rodriguez, senza dimenticare Kate Hudson, necessaria solo per enfatizzare il dramma di Mike, che sta vivendo un incubo senza avere le certezze o le garanzie di riabbracciare la sua famiglia), fanno la differenza il capitano Jimmy interpretato da un grande Kurt Russell e il capo degli elettricisti impersonato da Mark Wahlberg, impegnato finalmente in un ruolo non muscolare. Convincono loro due per il taglio verosimile con cui gli sceneggiatori hanno confezionato i loro personaggi, non supereroi improbabili, ma gente con la testa sulle spalle, scrupolosi nel proprio lavoro e, soprattutto, attenti ai colleghi. Gente normale, insomma, in cui lo spettatore può riconoscersi, uomini chiamati a star di fronte a una realtà tragica e immane, più grande di loro a cui cercano di rispondere, almeno secondo le proprie forze e possibilità.
Innanzitutto uomini, sembra dire Berg che mette in piedi una grande drammatizzazione senza eccedere mai né in discorsi né in durezze evitabili, anzi rimanendo fedele anche nei dettagli a un evento tragico causato appunto da tante inadempienze ed errori umani. Ma sottolineando pure come la differenza, anche nel bene e non soltanto nel male, la facciano gli uomini, la loro intelligenza, la loro affezione all'altro. E la corsa contro il tempo di Williams e degli altri lavoratori della Horizon, investiti da fiamme e combustibile, per sopravvivere, sarà infatti il cuore pulsante del film di Berg e sicuramente non lascerà lo spettatore indifferente, trascinandolo in un turbinio di emozioni e paure scaturite da una situazione inaspettata e quanto mai catastrofica. Il risultato è perciò un disaster movie avvincente e intelligente, che sa indovinare la giusta dimensione, un equilibrio riuscito tra dramma umano e componente spettacolare, e nel quale non c'è spazio per la vaghezza tecnica e logistica che in molti blockbuster funziona da alibi e da riempitivo. Il regista riesce infatti a confezionare abilmente un prodotto di intrattenimento convenzionale ma non superficiale, senza distogliere lo sguardo da chi ha vissuto la tragedia nel prima, durante e dopo, ma senza omettere le riflessioni ambientali ed ecologiste.
Un buon disaster movie, dunque, che poggia su basi tragicamente reali, che non sbandiera istanze generiche né gronda retorica (eccezion fatta per il finalissimo, più a rischio in questo senso). E anche un film sulla responsabilità e le sue due facce, quella penale, di chi ha preso rischiose scorciatoie in nome del profitto, e quella morale, di chi, invece, non si è affrettato ad abbandonare gli altri alla comoda speranza di un colpo di fortuna. Temi che il buonissimo film The Runner (che racconta i problemi relativi a quel disastro) con un grande Nicolas Cage ha provato a sviscerare, riuscendo in qualche modo anche a far riflettere. Ma soprattutto ottimo è questo film che, offre alto intrattenimento assolvendo appieno il proprio compito, perché una visione discretamente valida sotto tutti i punti di vista, questo film, da vedere senza ombra di dubbio, merita. Un film action avvincente, appassionante e spettacolare, un film biografico intenso ed emozionante, insomma un film efficace e riuscito. Voto: 7+ [Qui più dettagli]

8 commenti:

  1. Berg è uno di quei registi che solitamente accentua il grottesco, il politicamente scorretto ed il black-humour...del resto Very Bad Things e The Rundown sonobstato i suoi debutti. Nonostante tutto la presenza di Russell attira sempre l'attenzione..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma è comunque un regista che il suo lavoro lo sa fare benissimo, i suoi film molto spesso convincono...come sempre buonissime sono le interpretazioni del cast, qui poi con ben tre grandi attori ;)

      Elimina
    2. Ha fatto pure Battleship eh :D.. che comunque come film d'evasione non mi era dispiaciuto, anche Hancock l'ho trovata una interessante variazione super-eroistica

      Elimina
    3. Appunto, nei suoi film il divertimento e l'intrattenimento, oltre al coinvolgimento emotivo o tanto altro, non è mai mancato ;)

      Elimina
    4. Io ho amato Hancock, oltre all'azione e al cazzeggio è di una grande profondità sull'amore impossibile!
      Questo film invece non mi interessa, nonostante il cast, colpa dell'ambientazione.

      Elimina
    5. Anche a me Hancock è sempre piaciuto, anche perché sono un grande fan di Will Smith ;)
      E' normale che quando un film non interessa uno può anche non vederlo :)

      Elimina
  2. Non amo i disaster movie, ma Mark Wahlberg mi sta simpatico. E' una delle poche cose che salvo degli ultimi Transformers, anche se, sia chiaro, non intendo dire che sia un maestro di recitazione eh :D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sia chiaro, non lo penso neanch'io, però i suoi film con lui fanno sempre il loro dovere. Perché poi in verità a me Transformers piace ;)

      Elimina