Per il prossimo mese è previsto che io veda e recensisca un bel bottino di serie, più di quanto mai fatto, ma nemmeno in questo mese mi sono poi tanto risparmiato, tant'è che ho visto pure, anche se mezz'ora o meno di tempo l'avrei potuto trovare ugualmente, la seconda stagione di I Am Groot. Una seconda stagione (piena di buffe esplorazioni) che ne conferma la semplicità ed efficacia dei corti dedicati al personaggio dei Guardiani della Galassia (con la voce di Vin Diesel). Cinque nuove (baby)storie che mostrano un'altra fase della crescita dell'arbusto, ovvero pubertà e pre-adolescenza, con un'animazione fluida, dinamica e molto slapstick. Poche settimane fa "prendeva" parte all'ultimo viaggio dei Guardiani, nel capitolo conclusivo della trilogia di James Gunn (Qui recensione Vol. 3), ora lo si ritrova nella sua versione più dolce e irriverente (sempre su Disney Plus). Baby Groot, un po' cresciuto rispetto alla prima stagione (qui il mio commento), animato da una curiosità invincibile e una naturale propensione a cercar guai. Brevi, tecnicamente ottimi e divertenti, manca la "magia del gruppo" sì, ma è sempre bello ritrovarlo in "azione", tutto semplice però tremendamente efficace. Comunque ecco cos'altro ho visto in quest'ultimo mese dell'anno, di novembre vinaio.
Das Boot (3a stagione) - Una nuova stagione, della serie di guerra prodotta da Bavaria Fiction e Sky Studios, migliore delle precedenti. Si attenuano i difetti, si acuiscono i pregi. La trama continua sempre a vacillare di tanto in tanto, complice l'intreccio di più storie, lentezza e derive narrative (inutili in certi casi) non sono alleate dell'intera struttura (ecco pure alcuni archi che vengono spazzati via rapidamente), ma Das Boot continua (ed ancor meglio) ad impressionare con la sua plausibilmente evocazione atmosferica della vita durante il Secondo Conflitto Mondiale. Non c'è modo di sfuggire alla brutalità della guerra. Ma ciò che questa serie fa così bene è trasmettere le aree grigie della vita: non tutti i "cattivi" sono "cattivi" e non tutti i "buoni" sono "buoni", abbiamo sempre una scelta su come comportarci. Ci muoviamo dal mare aperto (che resta centrale motore narrativo e quello più convincente), a Dusseldorf e Kiel in Germania, a Liverpool in Inghilterra e a Lisbona in Portogallo per seguire tre trame in questa stagione. Una stagione preferibile alle altre, ma pur sempre altalenante. Voto: 6
Tulsa King (1a stagione) - Sylvester Stallone, lontano dai suoi ruoli abituali (qui decisamente più cattivo ed ambiguo) e alla prima volta (da protagonista) in una serie tv, è talmente bravo che quasi dispiace non si sia cimentato in nulla di simile prima. L'attore dimostra una notevole maturità ed offre (probabilmente) una delle sue migliori prove attoriali di sempre. La trama, a sfondo gangsteristico, raccoglie l'eredità dei classici film sul tema di Scorsese & Co, ma con un taglio meno drammatico, a tratti (specialmente nelle prime puntate) stemperato da qualche slancio ironico. L'attenzione viene mantenuta alta, la violenza non manca e la curiosità per la prossima (confermata) stagione è tanta (lo zampino di Taylor Sheridan, creatore della serie, si nota, si vede e si sente). Tulsa King si può quindi vedere, certo, nulla di nuovo nel campo malavitoso-cinema, tutto secondo canoni, ma è bella da seguire. Forse le puntate sono troppo brevi, qualcosa non funziona al 100%, ma nel complesso semplice, movimentata, ben girata e piacevole. Per il momento alquanto più che sufficiente per un buon giudizio. Voto: 7
Good Omens (2a stagione) - Non sempre le seconde stagioni sono necessarie, soprattutto quando la prima è stata autoconclusiva. Ma Neil Gaiman riesce a riprendere con naturalezza la storia che aveva portato sul piccolo schermo nel 2019, dando nuovamente prova (dopo The Sandman e in parte dopo American Gods) di essere non solamene uno scrittore di talento, ma anche uno sceneggiatore abile. Anche in questa seconda stagione infatti, la storia di Good Omens (tutt'altro che tranquilla) funziona. Rispetto alla precedente, la trama rallenta un po', tralasciando i momenti d'azione per concentrarsi sul rapporto tra l'angelo e il demone. Ma la comicità british, l'immenso talento dei suoi interpreti e gli effetti speciali rendono Good Omens 2 un prodotto di grande qualità televisiva. Il romanticismo non manca in questa stagione, capace di emozionare anche gli spettatori più infernali. In fondo Good Omens vuole insegnarci che tutti hanno il diritto di provare amore, anche nell'Aldilà. Per concludere, il seguito di Good Omens ha una storia più piccina dell'originale (forse anche più debole), ma la solita ironia e due protagonisti così possono bastare. Una terza stagione la merita e ci meritiamo, promettenti basi sono state gettate, attendiamo fiduciosi. Voto: 7
Westworld (4a stagione) - Con la quarta stagione, Westworld si conferma serie sci-fi dall'alto contenuto concettuale e dalle tremende potenzialità visive, ma non sempre in grado di combinare questi due aspetti al meglio delle sue possibilità. Il quarto capitolo della serie creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy parte bene (come il precedente) per poi perdersi ancora una volta dietro ad elucubrazioni eccessive, piuttosto che concentrarsi sull'azione e l'approfondimento sensibile dei tanti temi sollevati dal brillante inizio in cui era presente un eccellente Anthony Hopkins. Dopo il semi-disastro della goffa e ridondante terza stagione, la quarta si rivela un magro premio di consolazione che, se non altro, si ricongiunge con gli anni rimasti in sospeso, ripristinando un senso dell'orientamento totalmente smarrito in precedenza. Questo quarto capitolo dispone di un impianto narrativo complesso, ma, tuttavia, lineare, ricco di presuntuosi palazzi spazio-temporali e di invasioni intimistiche all'interno della fenomenologia degli spiriti dei protagonisti. E' una stagione che scuote dalla fondamenta tutti i temi trattati in precedenza, che respira a polmoni aperti e che non ha il timore (purtroppo) di strafare. Una stagione che almeno chiude il cerchio (dove altri falliscono). Il finale da brividi di Westworld 4 può infatti tranquillamente essere la perfetta (e deliziosamente amara) conclusione anche per l'intero show. Uno show da non dimenticare. Voto: 6
Secret Invasion (Miniserie) - Nick Fury torna sulla terra per sventare un'invasione da parte di una fazione della specie aliena degli Skrull. Miniserie (la prima della cosiddetta Fase Cinque dell'MCU) dedicata ad uno dei personaggi più iconici della Marvel, viene declinata come un thriller spionistico che accantona in parte i supereroi. L'atmosfera è cupa, con toni e riferimenti da guerra fredda, e questo ne fa un prodotto più "adulto" della media, purtroppo gravato da alcuni momenti di pausa (alcuni episodi sembrano aggiungere davvero poco alla narrazione generale). La messa in scena è di alto livello, così come l'ambientazione e la prova di un ottimo cast corale, a partire dal sempre ottimo Samuel L. Jackson (che in coppia con Ben Mendelsohn funziona benissimo, ma si fa notare anche il personaggio di Emilia Clarke). Buona la colonna sonora, poco incisiva invece l'azione, con uno scontro finale a dir poco deludente. Poteva essere di più, ma va bene anche così, per un lavoro che si può gradire come prodotto intermedio, che cerca di porre fine ad alcune linee narrative per aprire nuovi quesiti. Voto: 6
The Witcher (3a stagione) - Non mancano i colpi di scena, i momenti drammatici e i doppio giochi, che contribuiscono ad infittire la trama ed i legami tra i personaggi. La terza stagione di The Witcher dimostra ancora una volta di essere un punto fermo per tutti gli appassionati del genere, non tradendo (almeno non del tutto) le importanti premesse (letterarie e videoludiche). Ma, nonostante l'inizio molto coinvolgente ed accattivante, frutto anche del finale sospeso e pieno di suspense della stagione precedente, non tutte le otto le puntate della stagione sono all'altezza delle aspettative. Una narrazione spesso sincopata priva di lucidità, che vive grazie al carisma di Henry Cavill. Nel complesso però, la terza stagione di The Witcher ha avuto alti e bassi, e nonostante alcuni cali di ritmo e di pathos, la serie (che nel bene o nel male si lascia guardare) ha mantenuto il suo fascino grazie alla trama che si conferma forte ed avvincente e ai personaggi ben sviluppati. Resta da vedere come questi eventi influenzeranno il futuro della serie, e soprattutto come sarà gestito il passaggio da Geralt al successivo witcher interpretato da Liam Hemsworth. Nel complesso, promuovo comunque questa stagione che si guarda con piacere ed intrattiene narrandoci le vicende del Continente. Voto: 6,5
Questo mondo non mi renderà cattivo (1a stagione) - Altra serie (la seconda) di discreta qualità per Zerocalcare (sempre di produzione e distribuzione Netflix). Egli che, rallenta giusto un filo il ritmo delle parole e della narrazione, ma alza il tiro: quest'opera è decisamente politica e la sua poetica e il suo registro ironico sono quanto di meglio si possa utilizzare per affrontare il tema. Che è quello dell'intolleranza da parte della destra estrema nei riguardi di un gruppo di una trentina di immigrati. Se Secco rimane una macchietta, sono Sara e soprattutto Cesare a guadagnare tridimensionalità dalla scrittura, che mantiene un tono dolceamaro e non esagera in retorica, rimanendo asciutta quando potrebbe deragliare. Confezionata bene, l'animazione è persino migliorata, ma gli preferisco Strappare lungo i bordi, che sento più "mia" al contrario di questa, in cui comunque ridi (ed anche di brutto), e ti fa riflettere, il che non è male. Voto: 7
Black Mirror (6a stagione) - La sesta stagione di Black Mirror è un altalenante viaggio nei mondi distopici affrontati nelle precedenti stagioni. Se i primi tre episodi mantengono parzialmente le affascinanti idee che, da sempre, hanno contraddistinto la serie (proponendo comunque sempre degli spunti interessanti e attuali da parte di Charlie Brooker), negli ultimi due episodi il filo conduttore rappresentato dalla tecnologia svanisce nel nulla, lasciandosi alle spalle una narrazione in piena crisi esistenziale. Cinque puntate estremamente godibili ma che, nel complesso, non riescono a risollevare un'opera che sembra avere ormai ben poco da raccontare. L'episodio più riuscito è forse proprio il nome, ricchissimo di significato e livelli narrativi, si va poi via via scemando tra corsa allo spazio, true crime, paparazzi, fino alla salvezza dell'umanità attraverso un sacrificio. Tematiche e situazioni che richiamano più il passato che il presente-futuro, quasi a volerci dire che forse dovremmo andare indietro per trovare le risposte, piuttosto che avanti. Un dietrofront che lascia perplessi per una serie che forse si è definitivamente normalizzata su Netflix. Una serie che paradossalmente fa un passo in avanti rispetto alla quinta stagione, ma che non riesce più a stupire. Voto: 5,5
Only Murders in the Building (3a stagione) - Modificando leggermente le traiettorie dei tre protagonisti e riproponendo una formula che lo spettatore conosce ma ama lo stesso, Only Murders in the Building si conferma una delle serie più brillanti degli ultimi anni. Per la terza stagione della serie, il trio formato da Charles, Oliver e Mabel (l'evidente sostituto della signora Fletcher, proprio come ne La signora in giallo ovunque vanno qualcuno muore) si mette sotto i riflettori pronti per risolvere un altro misfatto che, proprio come i precedenti, si snoda più o meno secondo indagini già consolidate. E che, forse proprio per questo, desta in chi lo guarda un costante senso di déjà-vu. Only Murders in the Building 3 infatti (che divide il trio protagonista alle prese coi propri problemi personali, sfilacciando la narrazione forse un po' troppo e dandole un sapore un po' troppo amaro), perde la sorpresa della prima stagione e stabilizza le dinamiche della seconda, non aggiungendo nulla di inedito, se non le attesissime new entry Meryl Streep e Paul Rudd (che comunque il loro lavoro splendidamente fanno). L'entusiasmo è meno palpabile, si perde pure un po' di quella magia che solo l'Arconia e i suoi caratteristici abitanti sapevano dare. Rimane sempre un delizioso pasticcino televisivo, che si consuma velocemente puntata dopo puntata, ma le migliori ed apprezzabili caratteristiche stanno venendo pian piano meno. Ad ogni modo, tra nuove relazioni, musical improbabili e sconvolgenti rivelazioni, una buona stagione (in attesa della prossima). Voto: 6,5
La visione di Supernatural mi aveva inghiottito e mi stavo dimenticando che là fuori esiste un mondo di serie di cui devo riprendere le redini, tra cui proprio The Witcher, Good Omens (di cui la prima stagione, dopo un inizio splendido, mi aveva un po' deluso) e soprattutto Only Murders in the Building. Grazie del promemoria! :)
RispondiEliminaDi niente, sempre a disposizione ;)
EliminaZero non mi ha convinto coi pasticciatissimi primi due episodi, ma sul finale decolla davvero!
RispondiEliminaIn verità neanche me, ma poi mette il turbo e vola ;)
EliminaIo Zero lo adoro sempre :D Only murders... non so per quanto potranno andare avanti con questa formula, già qui l'ho trovata leggermente in calando, vedremo
RispondiEliminaSperiamo ancora per poco...sarebbe un peccato rovinare un così bel prodotto...
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