Presto detto presto fatto, avevo accennato all'intenzione di recuperare oltre alle tre stagioni dello spin-off  sui film della nostra infanzia (ancora da completare) anche quello "originale" su I giocattoli (della nostra infanzia), e così ho fatto, vista la prima stagione delle tre complessive (sempre su Netflix) sulla storia di importanti linee di giocattoli. Giocattoli che, paradossalmente, non ho mai avuto l'onore, l'onere di ricevere e/o avere, ma questo non mi ha impedito di apprezzare questa docuserie incentrata appunto sulle tecniche di marketing e i processi creativi che hanno portato alla creazione di alcuni dei più famosi giocattoli del mondo. Un documentario a puntate in cui le menti che hanno ideato i giocattoli più famosi della storia parlano dell'ascesa, e a volte della caduta, delle loro creazioni da miliardi di dollari. Perché di certo non potevo mica possedere una Barbie, nel caso specifico traendo ispirazione da un'audace bambola tedesca, il cofondatore di Mattel rivoluziona per sempre l'industria dei giocattoli destinati alle bambine, ma potevo forse possedere un giocattolo della linea di G.I. Joe (un gruppo di esperti di marketing, a cui si deve anche la creazione del termine "action figure" più di 50 anni fa, inventa un nuovo tipo di bambola per i maschietti), di He-Man (i creatori che hanno ridato lustro a una linea di action figure in crisi discutono dell'epica ascesa e della caduta del loro impero miliardario), ma soprattutto Star Wars (una piccola azienda di giocattoli di Cincinnati ottiene i diritti per il progetto più grande che abbia mai gestito, dando vita al franchise più redditizio della storia), però non è successo. Poco male, presumo di aver risparmiato tantissimi soldi, e continuerò probabilmente a risparmiare. Ma ecco le altre cose, le serie viste questo mese.
The Haunting (2a stagione) - Tutta un'altra cosa rispetto al precedente Hill House, ne rimangono 
solamente il cast (valido, e in alcuni anche casi riciclato, in stile 
AHS) e le qualità tecniche in specie per fotografia e scenografie di cui
 nulla di male si può dire. L'orrore fa capolino in qualche sequenza 
riuscita, ma a farla da padrona
 sono il melodramma e i rapporti umani filtrati dal sentimento amoroso 
(che travalica tempo, spazio e morte). Il risultato è una serie poco a 
fuoco rispetto alle premesse. L'ambientazione e i personaggi principali 
sono quelli, ma il resto è da 
far cadere le braccia. A partire dalla mancanza di una qualsiasi forma 
di tensione che sia degna di chiamarsi tale, passando attraverso 
lungaggini del tutto inutili (addirittura interi episodi) che 
appesantiscono il racconto in modo insostenibile. Buone le 
caratterizzazioni dei personaggi e buona la confezione, ma a certi 
livelli è il minimo sindacale. Dopo i primi episodi che lasciano 
intendere grandi cose Bly Manor conosce
 una brutta caduta nella sua parte centrale cadendo in banalità varie e 
risultando un po' troppo prevedibile in alcuni passaggi. Si salva 
fortunatamente con un finale abbastanza convincente nella sua 
malinconia. Non inguardabile ma con parecchi difetti. Voto: 6-
The Last Dance (1a stagione) - Il mito di Michael Jordan e di una squadra forse irripetibile in uno dei
 documentari meglio narrati e confezionati che mi sia mai capitato di 
vedere. Con molti aneddoti del periodo mai detti (ad esempio tutta la 
storia del contratto di Pippen, della quale non ero a conoscenza) e 
tanti momenti di forte emozione sportiva e non (il rapporto tra Jordan 
ed il padre scomparso tragicamente). Quella di Michael Jordan e dei suoi
 Chicago Bulls è una eccezionale 
storia di sport, che questa docuserie racconta come meglio non si può. 
Non sono un appassionato di basket, conosco Michael Jordan di nome (e di
 fatto grazie al cinema), ma questa serie mi ha appassionato ed 
emozionato. La sapiente mano ESPN si vede tutta nella miriade di 
filmati, con 
parecchio inedito, con cui si ripercorrono tutte le tappe del glorioso 
periodo 1984 - 1998: accanto a Jordan, di cui non vengono taciuti gli 
aspetti caratteriali più duri, trovano così spazio anche molti suoi 
compagni, allenatori e avversari. Notevoli i capitoli riservati ad 
alcuni di questi. Ma che il racconto passi dal collettivo o dal singolo,
 è stupefacente 
l'impresa di un giovanissimo MJ che già da ragazzo prevedeva grandi 
annate per sé e la propria squadra. MJ è stato e forse resterà la più 
luminosa stella NBA, capace di 
anticipare la mediaticità dei futuri social con una capacità unica di 
attrarre spettatori. Piacevole l'espediente del flashback 
alternato. Una serie "evento" interessante e sviluppata con stile, 
peccato che in 
qualche momento si scada nell'agiografia, ma nel complesso (difetti ci sono) una docuserie
 con i fiocchi. Voto: 8
American Horror Stories (1a stagione) - Complessivamente questo spin-off di American Horror Story è abbastanza 
deludente, visto che su 7 episodi soltanto 2 o 3 sembrano essere 
convincenti, mentre il resto fa abbastanza pietà. Tre episodi non sono 
altro che una variazione sul tema della prima 
stagione "Murder House" (carina, ma non certo la migliore di tutta la 
serie) con situazioni ancora più forzate e paradossali, e per quanto 
riguarda gli altri quattro, beh solite cose: film maledetti, babbi 
natale assassini, figli del demonio, wrong turn etc. Tutta roba che per
 gli appassionati dell'orrore è vista e rivista. Per carità: non tutto è
 da buttare, c'è sempre il caro vecchio splatter e qualche trovata 
simpatica, ma se devo dare un voto complessivo non ce la faccio ad 
arrivare alla sufficienza. Una serie che parte già vecchia. Già che 
l'idea degli episodi autoconclusivi è stata scopiazzata da "Black 
Mirror" non è una grande scelta, poi dopo 10 anni ancora che 
Ryan Murphy (nel frattempo visto all'opera con Hollywood) racconta della
 Murder House? I problemi principali sono le recitazioni abbastanza 
trash e il poco impegno in regia e confezione finale. Adoro gli horror, 
ma spero in future 
stagioni più originali e migliori di questa. Qualche episodio carino, ma
 nell'insieme è mediocre. Voto: 5,5
Das Boot (2a stagione) - La prima stagione di Das Boot era stata un viaggio immersivo nella 
seconda guerra mondiale raccontata da diverse prospettive: il punto di 
vista dei cittadini francesi e della loro resistenza all'occupazione, i 
soldati tedeschi di stanza in Francia e i marinai degli U-Boot, i letali
 sottomarini orgoglio della marina del Reich. Un mix (abbastanza) ben dosato ed (in parte)
efficace di atmosfere soffocanti, azione adrenalinica e di dramma corale. La seconda stagione riparte da dove si era interrotta la prima, con i tedeschi impegnati nel disperato tentativo di cambiare il corso di una guerra che sembra ormai segnata. E in questo senso, sostanzialmente, niente cambia dalla precedente. Con storie che, procedono un po' come visto nella prima stagione, a
 compartimenti stagni, senza mai un reale intreccio complesso e 
appagante tra le tre linee narrative. Tutto scorre sullo schermo senza 
mai percepire l'ansia di una minaccia 
incombente, di qualcosa che possa smuovere le acque (scusate il gioco di
 parole). Alcuni temi come la segregazione razziale, il movimento 
nazista 
americano, il rapporto opaco tra la politica, l'opinione pubblica e 
l'industria americana potrebbero ampliare il ventaglio delle emozioni e 
dare nuova linfa alla storia, ma finiscono per ridursi a semplici lampi 
nella notte. L'America sembra solo uno sfondo senza una propria 
specificità narrativa: si presenta come spazio riflesso e prolungamento 
degli altri due. Dei tre campi d'azione è sempre quello marino 
(fortunatamente) il più convincente. Insomma, la sensazione è quella di trovarsi davanti ad un "more of the 
same" che si lascia guardare e non annoia, con alcuni passaggi 
estremamente piacevoli ed altri 
invece un po' troppo scontati. Dopo una prima stagione che aveva gettato 
le basi per qualcosa che potesse evolvere il prodotto, gli autori e 
produttori hanno optato per un'operazione più sicuro che non stravolge e
 stupisce, ma punta a portare avanti la storia senza mai annoiare... un 
po' un'occasione mancata, lo si può tranquillamente dire. Tuttavia
 la scrittura asciutta e semplice e la cura scenografica non affonda del
 tutto la barca, rendendola una serie d'intrattenimento senza grosse 
pretese, (clamorosamente) migliore della stagione passata. Voto: 6-
Euphoria (2a stagione) - Al netto delle imperfezioni, questa seconda stagione registra (almeno 
sul piano strutturale) un passo 
avanti rispetto alla prima annata: liberatasi dalla struttura 
narrativa che si concentrava su un personaggio alla volta, Euphoria 
racconta una storia più organica e fa crescere i suoi personaggi di 
puntata in puntata facendoli passare attraverso crisi che li coinvolgono
 tutti (gli episodi cinque e sette sembrano quasi degli episodi 
"evento"). Sam Levinson confeziona una stagione ricca di contenuti, 
sorprendente per la molteplicità di temi portati in scena e per il modo 
in cui gli attori si sono perfettamente calati nei ruoli a loro 
assegnati (Sydney Sweeney, quella di Nocturne, si prende la scena e piovono applausi). Le ultime due puntate le migliori. Tuttavia, e nonostante la 
maggior parte degli episodi di questa seconda stagione 
siano stati ricchi di avvenimenti e plot twist, il ritmo di narrazione 
si è rivelato alquanto (forse troppo) lento. L'inizio claudicante, nel 
mezzo una sensazione che manchi qualcosa, che qualcosa al contrario si 
poteva evitare di "mostrare", alcuni flashback, in particolar modo, 
alquanto inutili. Alcuni punti fondamentali non sono stati risolti e 
sembrano essere stati lasciati in un momento di stasi, sospesi nel tempo
 in attesa della nuova stagione (che ci sarà). L'indole decisamente 
troppo volatile di un regista che conduce al grottesco la propria 
pretenziosa autorialità a discapito del senso è, in parte e adesso, più 
irritante che attraente. Questo non toglie nulla però, al suo carattere di eccezionalità. A due 
anni dalla messa in onda della prima stagione, lenita solo dalla 
produzione di due interessanti/discreti speciali (due episodi "bottiglia" incentrati rispettivamente su Rue e Jules), Euphoria si è ancora una volta 
confermata come una delle produzioni televisive più ricche, 
stratificate, coraggiose e impattanti del piccolo schermo. Ad avercene. Voto: 7
So cosa hai fatto (1a stagione) - Se dovessi riassumere in poche parole questa recensione, potrei dire 
semplicemente che So cosa hai fatto è una brutta serie tv. Sono troppe 
le cose che l'ideatrice ed adattatrice (dall'omonimo romanzo del 1973 di
 Lois Duncan, già adattato, cinematograficamente parlando, da Jim 
Gillespie nel film cult del 1997) voleva inserire: una storia horror 
colma di tensione narrativa, personaggi sfaccettati ed intriganti, una 
visione contemporanea dei rapporti interpersonali e una rappresentazione
 dei disturbi mentali ed alimentari, conditi con l'uso smodato della 
tecnologia. Gli ingredienti vengono rimescolati, adattati al mondo che ci circonda (ben diverso da quello di tantissimi anni fa) e la trama viene infarcita degli 
elementi tipici del teen drama, ma i risultati sono deludenti. Questa 
serie tv è l'esempio perfetto di come il troppo stroppia. O, almeno, che
 bisogna avere molta abilità e sensibilità per affrontare determinati 
argomenti e, al tempo stesso, confezionare un teen horror ben 
sviluppato. Certo, la cura dimostrata nelle (troppo poche) scene 
prettamente dell'orrore sono ben riuscite. Il passo falso è stato avere 
una visione limitata degli adolescenti, su cui si è data tutta 
l'importanza scordandosi dei numerosi personaggi secondari. Peccato per questo tentativo andato a vuoto, che aveva mosso i primi 
instabili passi quasi con convinzione proseguendo poi in maniera sempre 
meno incisiva. Episodio dopo episodio si perde la speranza di andare 
incontro a una narrazione valida e tra personaggi stereotipati, 
narrazione poco originale e indubbiamente un insieme di attori adatti a 
un teen drama e non a una serie horror espressiva. Un remake/reboot 
effettivamente debole sotto ogni aspetto, una pallida reinterpretazione 
(nemmeno imitazione) dell'originale So cosa hai fatto. Ora capisco perché la serie sia stata (da Amazon) successivamente cancellata, ma evitarla proprio no? Voto: 5


sinceramente non ho visto nulla di quello che tu recensisci. Ho solo visto qualche trailer che non m ha soddisfatto affatto... quindi niente di nuovo sotto il sole.
RispondiEliminaCiao mio adorabile Pietro!
Ciao Nella, che bello risentirti, e comunque l'ordinarietà a volte ci sta ;)
EliminaBly Manor non è ai livelli né di Hill House né di Midnight Mass ma è comunque una visione piacevolissima e commovente, con degli attori ottimi.
RispondiEliminaAmerican Horror Stories è, come tutte le antologiche, un lavoro riuscito a metà. Personalmente ho apprezzato tantissimo il ritorno a Murder House, l'episodio folle sul film maledetto e quello con Billie Lourd, il resto è dimenticabile, persino l'episodio con Danny Trejo. Nonostante tutti i difetti, però, domani comincia la seconda stagione e devo dire che non vedo l'ora!
Il prossimo sarà proprio Midnight Mass...e vedremo un po', lo spero sia molto meglio...
EliminaAh è già pronta? Non lo sapevo, diciamo che potrei anche vederla, nonostante appunto questa prima stagione altalenante.
American Horror Stories sono fermo al quarto episodio. Come dici tu è roba mediocre, per questo non vado avanti...
RispondiEliminaIo ricordo che ne avevi parlato, quindi eri a metà....bene, proprio bene....
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