Anche se sono passati un po' di giorni da quando li hanno mandati in onda in televisione, e da alcuni dalla mia visione ecco le mie quattro recensioni dei film visti durante questo mese, cominciando da The Danish Girl, controverso e delicato film del 2015 diretto da Tom Hooper (Les Misérables e Il discorso del re) che si avvale di un cast di livello, da Eddie Redmayne ad Alicia Vikander, da Ben Whishaw a Matthias Schoenaerts, per raccontare il dramma umano e sociale nella Danimarca di inizio '900, quello Einar Wegener, una delle prime persone a essere identificata come transessuale e la prima a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. Il film infatti, liberamente ispirato alle vite dei pittori danesi Lili Elbe e Gerda Wegener, adattamento del romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebershoff, racconta di un pittore danese, (che sente prorompere in sé una natura femminile), pioniere del transgender che da Copenaghen (quando le problematiche sull'identità di genere venivano viste esclusivamente come patologie o, peggio, veri e propri casi di schizofrenia) arriva fino a Dresda per coronare il sogno di diventare donna. Aiutato e supportato attraverso molte difficoltà da una moglie da cui è sempre meno attratto, Einar conscio che quella che intende provare è un'operazione mai tentata prima e dai rischi immani, decide ugualmente di tentare poiché l'idea che muove il personaggio è chiara, piuttosto che rimanere se stessi nel corpo di qualcun altro, meglio la morte. Il messaggio del film invece non lo è altrettanto, così preso a rimanere equilibrato tra il dipinto agiografico di un pioniere dell'omosessualità e la condanna ad una medicina rozza ed incapace, in cui solo un coraggioso dottore ripudiato dalla scienza ufficiale capisce la tragedia interiore del protagonista. La parte migliore del film è la prima, quando la vera natura di Einar si palesa prima per scherzo, e per la complicità involontaria della moglie Gerda (una splendida Alicia Vikander), poi sempre più consapevolmente per entrambi i coniugi, con una metabolizzazione della nuova realtà infarcita di paura mista ad amore incondizionato.
Perché The Danish Girl è non solo e non tanto un film sulla transessualità, quanto una storia d'amore di grande forza emotiva, con due drammi ugualmente potenti sotto gli occhi dello spettatore, quello dell'uomo che soffre sentendosi nel corpo sbagliato e lotta fino a rischiare la vita per realizzare la possibilità di essere se stesso, e quello ancor più vivo e drammatico della donna che ama quell'uomo e, pur di accontentarlo nella realizzazione del suo sogno, si sacrifica rinunciando a se stessa e alla realizzazione della propria femminilità. Un film perciò bello, intenso e potente, ma nonostante ciò, e nonostante la notevole fotografia e il difficile tema, non mi è piaciuto tanto, non tanto per l'argomento personalmente non interessante quanto per la noia, perché a parte qualche scena non mi ha coinvolto più tanto, la sceneggiatura non ha picchi, emoziona certo (anzi, emoziona più per quello che dice che per quello che mostra), ma per via di un soggetto che unisce amore, ribellione, morte. Ma tant'è che qualsiasi film come questo che sponsorizza diritti e libertà individuali va sempre difeso, perché grazie all'ineccepibile confezione di una pellicola politicamente corretta ed adatta ad un pubblico vasto, resta un film da vedere. Una pellicola comunque commovente ed empatica, che nonostante una regia piatta, che si limita ad accompagnare la bravura degli attori, riesce a rendere The Danish Girl un film indimenticabile. Bisogna in ogni caso sottolineare la prova eccellente di Eddie Redmayne, che abbiamo imparato a conoscere quale finissimo camaleonte, un trasformista capace di passare da un astrofisico tetraplegico contemporaneo (film La teoria del tutto, visto recentissimamente) ad un inconsapevole omosessuale di un secolo prima, con la medesima disinvoltura. Senza dimenticare Alicia Vikander, non meno brava nel tratteggiare con partecipe sensibilità il dramma della moglie innamorata. Insomma un film storicamente, visivamente interessante ed emozionante, che nonostante non convinca, è imperdibile. Voto: 6,5
Diretto e sceneggiato da Charles Martin Smith, L'incredibile storia di Winter il delfino 2 continua la storia (vera, bellissima ed emozionante) del coraggioso delfino Winter, il cui recupero e riabilitazione, avvenuti grazie a una miracolosa e innovativa protesi alla coda, sono diventati simbolo di resistenza e perseveranza per le persone di tutto il mondo grazie al successo nel 2011 di L'incredibile storia di Winter il delfino (film davvero coinvolgente). In L'incredibile storia di Winter il delfino 2 (2014) sono passati diversi anni da quando il giovane Sawyer Nelson, il team dell'acquario di Clearwater e il dottor Clay Haskett hanno salvato Winter grazie all'applicazione di una coda protesica sviluppata con l'aiuto del dottor Cameron McCarthy, intervento che ha contribuito a salvare anche le sorti dell'intero acquario. La storia prende avvio dalla morte di Panama, la madre adottiva di Winter, e tale evento naturale rappresenta un nuovo problema per l'acquario, dal momento che in base ai regolamenti ogni delfino, in quanto animale sociale, deve avere compagnia all'interno della struttura ospitante. Ma quando ogni cosa sembra andare per il peggio e il tempo stringere, nuova speranza per Winter e il Clearwater arriva da Hope, una piccola delfina rimasta incagliata e incapace di sopravvivere in natura ma che deve però prima accettare la sua diversità. Nel film ritroviamo tutto il cast del primo episodio, con piccoli ruoli per Ashley Judd, Morgan Freeman e Kris Kristofferson, quello che cambia invece sono le riprese più mobili per aumentarne la spettacolarità anche se il film è comunque visivamente meno impressionante di tanti documentari ormai anche televisivi e punta tutto su una storia commovente, di indubbia quanto facile efficacia, ma decisamente poco cinematografica nonostante le lussuose guest star (tra cui quella della surfista Bethany Hamilton, nei panni di se stessa). Ma quello che cambia è anche il cuore umano della vicenda, quello del giovane Sawyer, che è cresciuto insieme a Winter e ora affronta come lei una fase di cambiamento. Il film girato interamente presso il Clearwater Marine Aquarium, un vero centro no profit di soccorso e riabilitazione, è meno bello del primo, anche se come il primo riesce ugualmente a coinvolgere. Ma con una buona fotografia, scenografia, costumi e le musiche del premio Oscar Rachel Portman, è un film interessante e davvero da non perdere, sopratutto agli amanti degli animali e delle belle storie. Infine è difficile non commuoversi durante i titoli di coda, dove vediamo immagini vere non solo dei salvataggi ma anche di tutti i bambini disabili che fanno visita a Winter. Voto: 6
Strangerland è un drammatico thriller del 2015 diretto da Kim Farrant, che sfruttando il desertico territorio australiano prova a raccontare una vicenda di dissapori e controversie familiari, portati ancor più alla luce dopo la misteriosa sparizione dei due figli della coppia protagonista. Quelli della famiglia Parker che si è da poco rifatta una nuova vita nella piccola Nathgari quando appunto i loro due figli svaniscono misteriosamente nel nulla. Le ricerche sono condotte dal poliziotto Rae (Hugo Weaving), ma i conti non tornano fin da subito, c'è infatti un trascorso poco limpido, ed un presente che non vuole/deve emergere, con Catherine (Nicole Kidman) devastata e suo marito Matthew (Joseph Fiennes) assai ambiguo. Strangerland è un opera assai aspra e amara, un melodramma intenso che a tratti vola alto ma non è privo di sporadiche cadute in un inesorabile svelarsi di segreti e bugie che a tratti risulta sin troppo forzato, pur possedendo una sorta di fascino disperato e beffardamente avvolgente. Questo perché nonostante la stupenda fotografia dell'Australia, polverosa ed afosa, assai poco accogliente, quasi pericolosa ed in fondo l'aspetto migliore di tutto il film, e nonostante una discreta prova degli attori, cade nel baratro. Poiché questa pellicola, comunque discreta nella prima parte, anche se lenta, pian piano precipita in una morbosa e sconclusionata noia, (si arena presto in scene inconcludenti e improbabili) infarcendo l'attesa di una svolta, di una spiegazione, di un epilogo che chiuda comprensibilmente la vicenda, con mille ingredienti, nessuno mai approfondito, sviluppato, chiarito. Fino a sprofondare in un finale ridicolo, o se preferite, "aperto", che non chiarisce nulla e non chiude la vicenda. Lo spettatore viene abbandonato alle proprie ipotesi e deduzioni senza alcuna certezza. Alla fine infatti questo film interiore e misterioso che era partito con discrete premesse (si capisce pochino, ma ci aspettiamo grandi rivelazioni) seguite da sviluppi che lasciano l'amaro in bocca anche nelle impennate improvvise proposte, è davvero pessimo e inconcludente, come assistere alla prima puntata di uno sceneggiato in due atti senza avere la seconda. Grande responsabilità di ciò è lasciata ai personaggi, descritti con ombre e luci, ma poi non sempre funzionanti. Buona in ogni caso, anche se troppo sopra le righe, l'interpretazione della Kidman ma, come in altre occasioni, questa pare fine a se stessa. Strangerland purtroppo è davvero poca cosa, più che un film un'offesa per il pubblico, irritante incompiuta. Un dramma sovraccarico, condito da depistaggi inutili, che apre vari canali che poi lascia morire, alla ricerca di un connubio anima/paesaggio che vorrebbe dar moto anche ad una (struggente) poesia, vedi il finale, che però non arriva a segno. Praticamente un film inutile e velleitario. Sconsigliatissimo. Voto: 5
300: L'alba di un impero (300: Rise of an Empire), film del 2014 diretto da Noam Murro, è il deludente (nonostante mi sia piaciuto) anche se spettacolare sequel/prequel, dato che questa è una storia parallela, a quella del bellissimo 300 di Zack Snyder del 2007. Il film infatti, ispirato in parte al romanzo grafico Xerxes di Frank Miller, non ha la stessa caratura del precedente capitolo, nonostante qui offra addirittura qualcosa in più rispetto al precedente, ovvero un aura più matura, dotata d'un femminino ammaliante e seducente, impersonato dalla mefistofelica Eva Green. Anche se comunque, a più riprese, l'aura rimane quella virile e sagace in immagini forti e sconsigliate ai sensibili, dove teste e arti smembrati sono la macabra "cornice" d'un quadro (o fumetto) di una nuova era cinematografica, quella dei film al digitale. Una pellicola "computeristica" dove le figure interagiscono tra loro, in dialoghi dal magnetismo forse retorico ed evanescente, ma efficaci nella complementarità ed in sintonia con l'ambiente che compie così un balzo avanti rispetto all'episodio del 2007 donando alla storia un realismo palpabile, abbandonando in parte i virgulti mastodontici di Butler e C. e disegnando soprattutto una tensione "erotica-emozionale" tra Artemisia e Temistocle, i nuovi protagonisti interpretati da Sullivan Stapleton (interpretazione comunque niente male la sua) e Eva Green. Il film in ogni caso rispecchia (come nel primo) per filo e per segno il fumetto, le scene di combattimento mantengono lo stile di Snyder (con i rallenty), meno l'epicità che comunque grazie anche a un ottima colonna sonora divertono ed emozionano. In 300: L'alba di un impero infatti, si confondono genialmente e si mischiano con una creatività ed innovatività, già sperimentate con successo nel 2007, ma qui amplificate e a tratti troppo compulsivamente replicate, rendendo tutto meno avvincente e rilevante. Come il basso "spessore" dei personaggi, nessun cambiamento importante, (di)partito Gerard Butler (evocato tramite brandelli del film precedente ai fini della "continuity"), a sostituirlo c'è un altro. Ai lati, il solito ensemble di 'tartarugati', pronti alla lotta ma soprattutto all'esibizione da passerella, con il ridicolo che s'eleva sovrano ogniqualvolta che appare il dio re Serse, conciato con un look fetish dorato. Le uniche figure a salvarsi sono le femmine (il termine è più che appropriato data la "dimensione" dell'opera), Lena Headey (nel frattempo assurta a icona grazie alla spietata Cersei Lannister di Game of Thrones), riprende il suo ruolo della regina Gorgo ma è in scena (troppo) poco, anche se si prende il finale. Dell'altra, si dirà più avanti. Aspetto ancor meno degno di rilievo è la storia (incentrata sulla Battaglia di Capo Artemisio, svoltasi negli stessi tre giorni della battaglia delle Termopili), richiamati alcuni passaggi e personaggi storici (il personaggio di Serse per esempio, interpretato nuovamente da Rodrigo Santoro, ha un ruolo più ampio rispetto al primo film, il secondo capitolo delinea il suo passato e la sua "trasformazione" da uomo a divinità in terra e i motivi che lo hanno spinto a dichiarare guerra alla Grecia), procede spedita per toni retorici, proclami reazionari, discorsi e monologhi da pura esaltazione guerrafondaia. Concetti come la libertà, la famiglia, la patria, sparati nel tritatutto declamatorio di uno script leggermente pretestuoso. Ma anche se la storia, comunque tagliata su misura per un pubblico di appassionati del genere, non si configura certamente per lo spettatore come l'elemento attrattivo dominante, essa diventa lo strumento più idoneo e prolifico per esaltare straordinariamente la fantasia e l'immaginazione in un film che veste bene i panni di più generi cinematografici, storico, avventura, azione, e nonostante la struttura schematica e manichea, 300 l'alba di un nuovo impero, che si presenta sotto la classica cortina seducente, dal fascino ipnotico nel presentare i suoi personaggi (dall'eroico Temistocle, al "divino/(diabolico)" King Serse alla splendida Artemisia) è un film molto godibile e scorrevole nonostante tutto, perché in sostanza chi ha apprezzato il film di Snyder apprezzerà di sicuro questo prequel\sequel. Ma, davvero, non è per nulla importante, perché quello che rende 300: L'alba di un impero meritevole di visione, nonostante i piccoli difetti riscontrati, è la semplice la visione di Eva Green, che da sola vale tutto il film. Davvero indescrivibile, cattivissima e bellissima, anima nera e tormentata (i trascorsi narrano della solita sete di vendetta), la sua Artemisia colleziona teste (perché le mozza), sguardi libidinosi (ma più terrorizzati) e vittorie sul campo. E anche se probabilmente, il personaggio andava sviluppato e sfruttato meglio, non importa. Il regista, Noam Murro, che evidentemente non è scemo, appena può infatti le pianta in faccia la macchina da presa con primissimi piani da infarto, (in)seguendone le movenze per (cercare di) afferrarne l'esplosiva carica erotica (non è un caso se nell'unica scena veramente godibile lei è presente, una delle scene hot più 'belle' viste in questi tipi di film). Di questo bisogna perciò dirgli Grazie. Comunque in definitiva 300: L'alba di un impero, per una serata di relax e divertissement al popcorn ci può tranquillamente stare. Voto: 6,5
ho visto solo The Danish Girl e, sono totalmente d'accordo con te.
RispondiElimina:)
ciao Pietro.
Ciao, bene così, grazie! a presto ;)
Elimina300 L'alba di un impero è una versione sbiadita e con gli ateniesi del suo predecessore, versione che mi fa tanto pensare alla famosa frase di Leonida nel primo film: "gli ateniesi? popolo di filosofi ed effeminati" - ecco, diciamo che l'ho un po' parafrasata... -.
RispondiEliminaThe Danish Girl molto bello, Redmayne perfettamente in parte, ma la piccola svedese è la cosa migliore del film senza alcun dubbio proprio.
Si in effetti hai ragione però non è cosi male e comunque Eva non ti è bastata? :D
EliminaRedmayne è sempre in parte, molto bravo nell'immedesimazione infatti, Alicia poi è straordinaria ;)
Ti dirò, "The Danish girl" mi ha profondamente irritato. L'ho trovato finto...
RispondiElimina"300 - l'alba di un impero" invece è davvero inutile :/
Oggi non andiamo tanto d'accordo :D
EliminaComunque anche a me ha fatto questo effetto...ma 300 no, inutile proprio no ;)