Visualizzazione post con etichetta Rodrigo Santoro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Rodrigo Santoro. Mostra tutti i post

mercoledì 8 agosto 2018

Westworld (2a stagione)

Parto subito col dire che purtroppo questa stagione non è all'altezza della prima (che ho letteralmente adorato, qui la recensione), e credo che difficilmente la serie tornerà mai ad avvicinarsi così tanto alla (quasi) perfezione (che non esiste e forse non esisterà mai), ma siamo sempre davanti ad uno dei migliori prodotti televisivi contemporanei, capace di distinguersi tanto per la raffinatezza delle tematiche quanto per l'ottima qualità della realizzazione. Perché questa seconda stagione di Westworld è qualcosa di notevole, un'opera dalla qualità di gran lunga superiore alla media televisiva, ma allo stesso tempo altalenante, a tratti deludente, soprattutto al confronto della prima, indimenticabile stagione. Questa doverosa premessa per dire che, di conseguenza, mai mi sarei aspettato di rimanere insoddisfatto o indifferente alla visione di Westworld 2, eppure eccomi qui a tirare le somme sulla seconda stagione, da poco (2 mesi) conclusasi e, a conti fatti, la mia opinione è più negativa che positiva. O, cosa ancora peggiore, è più un'opinione neutra, da parte di una persona che non è rimasta particolarmente colpita da quanto visto sullo schermo. Perché dopo una prima stagione che mi aveva non solo soddisfatto ma anche incuriosito a scoprire di più, attendevo con grande aspettativa la seconda stagione, sperando che gli sceneggiatori avessero in serbo per noi spettatori una prosecuzione all'altezza dell'originale. E invece, anche se questa volta gli autori non hanno fatto giochi di prestigio con la trama, ma hanno deciso di giocare a carte scoperte (il problema è capire in che ordine vadano lette queste carte, come incastrare tra di loro i tanti pezzi di questo puzzle dal disegno sfocato), non tutto funziona in modo adeguato. Questo perché viviamo gran parte della storia dal punto di vista di Bernard (Jeffrey Wright) e la sua mente è danneggiata, frammentata, passa continuamente da una memoria all'altra rendendogli difficile comprendere l'ordine temporale delle vicende. Noi siamo confusi tanto quanto lui e questa soluzione di farci immedesimare nel personaggio personalmente l'ho trovata brillante, seppur fonte di alcune problematiche. Non è un segreto che i due "creatori" Christopher Nolan e Lisa Joy si divertano come matti a confondere gli spettatori, sfidarli a capirci qualcosa in ciò che stanno guardando, ma forse qui si sono fatti scappare un po' troppo la mano, rendendo le cose talvolta più complesse del necessario. La storia tende ad una frammentazione eccessiva e non riesce a scorrere naturalmente come dovrebbe, rendendo in alcuni punti la "sfida" più frustrante che divertente. E infatti sembri che la seconda stagione di Westworld abbia perso per strada un elemento non proprio secondario: la narrazione.

lunedì 11 settembre 2017

Ben-Hur (2016)

È consuetudine (ormai acquisita, sarebbe una novità il contrario) di Hollywood sfornare remake o sequel di film che hanno avuto successo, e in certi casi che hanno fatto la storia del cinema. Ma alcuni rifacimenti cinematografici però non li avremmo proprio voluti vedere. L'ultimo caso e ultimo della serie (perché negli anni molti altri sono stati i casi simili e quasi tutti in negativo) è Ben-Hur, film del 2016 diretto da Timur Bekmambetov, che quasi svilisce il capolavoro kolossal del 1959 di William Wyler, con protagonista un immenso Charlton Heston e vincitore di ben 11 Oscar (solo Titanic di James Cameron è riuscito a eguagliarlo). Tra i due film infatti non c'è proprio partita, tra l'epica della Hollywood di fine anni Cinquanta e quella fredda dei giorni nostri c'è un muro invalicabile che sinceramente non andava minimamente infranto. E invece eccoci qui ancora una volta a recensire l'ennesimo remake che sarebbe subitamente da cancellare, se solo potessimo. Giacché questo remake non fa altro che deludere lo spettatore che invece, ingannato dal trailer, si aspetta un film vulcanico, dinamico, avvincente, ben ritmato, con una sceneggiatura che certamente non avrebbe fatto rimpiangere l'originale scritto da Lew Wallace nel 1959. Difatti, senza voler usare ipocriti e ingenui eufemismi, questo film, diretto da un regista personalmente sconosciuto, ri-scritto e ri-sceneggiato dagli statunitensi John Ridley (seppur vincitore del Premio Oscar 2013 per la migliore sceneggiatura non originale del Film 12 Years a Slave) e Keitt R. Clarke (quasi sconosciuto al grande pubblico cinematografico americano avendo realizzato poche sceneggiature importanti, The Way Back (2010)In Search of Dr. Seuss (1994), ma forse più conosciuto come produttore e scrittore statunitense), è quasi dilettantesco e certamente inutile da farsi.

martedì 20 giugno 2017

Focus: Niente è come sembra (2015)

Avrebbe dovuto nuovamente rilanciare Will Smith soprattutto in seguito allo smacco cosmico di After Earth, ma un copione incommestibile affossa qualsiasi possibilità di salvataggio per il terzo lavoro di John Requa e Glenn Ficarra, registi (ma non autori) del piacevole Crazy, Stupid, Love e del non del tutto sufficiente Whiskey Tango Foxtrot. Il divo, dopo 2 camei in altrettanti mediocri film prima di questo, in Focus: Niente è come sembra (Focus), film del 2015 scritto e diretto dai due registi, ce la mette anche tutta, (per fortuna che dopo arriverà il bel Zona d'ombra anche se per sfortuna arriverà il deludente Suicide Squad e dopo ancora, secondo molti, il non eccezionale Collateral Beauty), ma quasi niente funziona, poi purtroppo si ha anche la netta sensazione che Margot Robbie non è un'adeguata partner per lui (come anche visto nel fantasy DC), e ciò è intuibile sin dai primi momenti. La storia raccontata infatti, quella di Nicky Spurgeon, un incallito truffatore, che prende sotto la sua ala protettiva la giovane e attraente Jess, facendole da mentore ma che costretti a separarsi (dato che quando i due si innamorano le cose si complicano) si incontreranno nuovamente dopo tre anni a Buenos Aires per un colpo sullo sfondo dei circuiti da corsa, è un fritto misto con scopiazzature e copia-incolla rivisitate, riprese a dritta e a manca, che quasi non vale neanche la pena citare. La sceneggiatura difatti (degli stessi Ficarra e Requa) è incapace di operare una sintesi tra i generi (serio e faceto sembrano quasi fare a pugni), banalizza l'elemento potenzialmente più interessante (cioè il confondersi continuo di realtà e finzione), inserisce in chiusura un inconsulto squarcio splatter e scinde la trama in due tronconi narrativi che girano a vuoto e suscitano solo sbadigli, tra colpi di scena irrealistici, ammiccamenti ad Ocean's Eleven e trovate trite.

lunedì 19 dicembre 2016

Westworld (1a stagione)

Sin dalla prime notizie, dalle prime immagini, quando venne annunciata, Westworld attirò la mia attenzione. Sulla carta infatti si presentava benissimo, d'altronde se era prodotto dalla HBO qualcosa di buono ci doveva essere, e poi il creatore era Jonathan Nolan, fratello minore del grande Christopher, insieme a Lisa Joy, moglie dello stesso Nolan e sceneggiatrice meno celebre ma di grande talento, e prodotta anche da J.J. Abrams. Il cast poi comprendeva Evan Rachel Wood, non una qualsiasi, bravissima in Across the Universe e The Wrestler, anche se poi per la relazione con Marylin Manson l'avevo dimenticata, ma ritornata recentemente dopo la separazione e altro in Charlie Countryman deve morire, non un film eccezionale anche se la sua bellezza era graziosa, l'ho rivalutata, in più aveva Ed Harris e Sir Anthony Hopkins (due nomi così diciamo), cos'altro potevo quindi desiderare da questa serie? Un po' di sere fa è andato in onda il finale di stagione (su Sky Atlantic andata dal 3 ottobre 2016 in versione originale sottotitolata, in simulcast con HBO, e dal 10 ottobre 2016 doppiata in italiano), e che dire, una serie straordinaria che fa invidia a molte di quelle uscite in questi ultimi anni. La serie infatti sin dal primo episodio mi ha colpito per tutto l'aspetto tecnico, a dir poco sensazionale, con una cura a dir poco notevole. La regia colpisce con delle inquadrature a dir poco straordinarie e con dei movimenti di macchina che ti lasciano trasportare all'interno della scena. La colonna sonora, la musica di Westworld poi, è pura gioia per le orecchie. E' ad opera di Ramin Djawadi, celebre per la colonna sonora di Game of Thrones, da cui qualcosa prende come movimenti soprattutto nella bellissima sigla, anche se qui leggermente migliore. Una delle pecche invece di questo aspetto tecnico quasi impeccabile è la fotografia. In molte delle scene c'è una fotografia davvero eccezionale, in altre meno, ma comunque di livello. Ovviamente le lodi vanno anche alle scenografie e agli effetti visivi a dir poco straordinari. La CGI è ridotta al minimo e quella poca che c'è è resa benissimo, come la scena del bambino che 'porge l'altra guancia'. Ma per quanto l'aspetto tecnico sia fenomenale è il doppio più stupefacente la sceneggiatura di ogni singolo episodio. Ammetto che nelle prime puntate (a parte il pilot) la trama risulta abbastanza lenta ma rimani incollato allo schermo per tutta la durata dell'ora. In ogni caso non è un prodotto lento e allo stesso tempo noioso, Westworld intrattiene grazie soprattutto ai personaggi caratterizzati in maniera impeccabile e interpretati anche meglio. La serie raggiunge però il suo massimo dalla settima puntata in poi, fino ad arrivare al finale di stagione che ritengo essere uno dei migliori final mai visti fino ad ora (anche se sinceramente non tutto mi è chiaro). Ma prima di andare oltre, di cosa parla Westworld? cos'è e come è giusto catalogarlo?

mercoledì 28 settembre 2016

I film visti in tv in questo mese di Settembre

Anche se sono passati un po' di giorni da quando li hanno mandati in onda in televisione, e da alcuni dalla mia visione ecco le mie quattro recensioni dei film visti durante questo mese, cominciando da The Danish Girl, controverso e delicato film del 2015 diretto da Tom Hooper (Les Misérables e Il discorso del re) che si avvale di un cast di livello, da Eddie Redmayne ad Alicia Vikander, da Ben Whishaw a Matthias Schoenaerts, per raccontare il dramma umano e sociale nella Danimarca di inizio '900, quello Einar Wegener, una delle prime persone a essere identificata come transessuale e la prima a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. Il film infatti, liberamente ispirato alle vite dei pittori danesi Lili Elbe e Gerda Wegener, adattamento del romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebershoff,  racconta di un pittore danese, (che sente prorompere in sé una natura femminile), pioniere del transgender che da Copenaghen (quando le problematiche sull'identità di genere venivano viste esclusivamente come patologie o, peggio, veri e propri casi di schizofrenia) arriva fino a Dresda per coronare il sogno di diventare donna. Aiutato e supportato attraverso molte difficoltà da una moglie da cui è sempre meno attratto, Einar conscio che quella che intende provare è un'operazione mai tentata prima e dai rischi immani, decide ugualmente di tentare poiché l'idea che muove il personaggio è chiara, piuttosto che rimanere se stessi nel corpo di qualcun altro, meglio la morte. Il messaggio del film invece non lo è altrettanto, così preso a rimanere equilibrato tra il dipinto agiografico di un pioniere dell'omosessualità e la condanna ad una medicina rozza ed incapace, in cui solo un coraggioso dottore ripudiato dalla scienza ufficiale capisce la tragedia interiore del protagonista. La parte migliore del film è la prima, quando la vera natura di Einar si palesa prima per scherzo, e per la complicità involontaria della moglie Gerda (una splendida Alicia Vikander), poi sempre più consapevolmente per entrambi i coniugi, con una metabolizzazione della nuova realtà infarcita di paura mista ad amore incondizionato.