Se appena ieri dicevo che il mese di novembre è stato il mese delle occasioni sprecate, ed è stato appunto così, a riabilitare questo stesso mese, un mese in cui il freddo e il brutto tempo ha fatto parecchi danni (personalmente per esempio mi ha "costretto" a stare a riposo per 2 giorni, colpa dell'ennesima interruzione di linea), ci hanno pensato per fortuna non solo i 4 film che "presento" oggi, ma anche alcuni altri di cui avrete certamente letto le mie recensioni. Film che hanno risollevato appunto il mio stato d'animo un po' deluso e scoraggiato da visioni sempre meno originali e non proprio soddisfacenti. In ogni caso, tra pochi alti e tanti bassi in campo cinematografico, la vita è andata avanti, ma dopotutto non può che essere così sempre, seppur ad andare avanti è stato solo (come sempre) il tempo, quello sì, che certe volte passa davvero velocemente (aveva ragione Albert Einstein con il suo strabiliante concetto della relatività), perché poi in verità non c'è stata nessuna grossa novità e nessun cambiamento importante, ed in nessun campo, in questo Novembre che sta per finire, e che sta per lasciare spazio al mese, anzi, al periodo festivo più bello dell'anno (almeno personalmente parlando). Tuttavia a Novembre, anzi, pochi giorni fa, c'è stato il compleanno di mio fratello, mentre a metà mese è ricorso il secondo anniversario della scomparsa di mia nonna materna, e quindi qualcosa è successo. Ma io non vedo l'ora adesso di assaporare l'aria natalizia, l'albero è quasi pronto per essere addobbato, anche se prima di ciò, se io devo vedere se tutte le luci si accendono, voi dovete continuare leggere questo post, dopotutto questa introduzione è solo per introdurre comunque l'ultima selezione degli altri film del mese di quest'anno, perché a dicembre non ci sarà. Perciò buona lettura e tante care cose a tutti.
Oramai siamo abituati al binomio Liam Neeson/Action Movie e a quanto pare ci stiamo abituando anche al sodalizio artistico che il regista e l'attore hanno iniziato. Sono infatti quattro i film realizzati dal regista Jaume Collet-Serra con il roccioso attore nordirlandese e possiamo individuare un elemento chiave che accomuna ognuno di essi: l'adrenalina. In ognuno di questi film il regista spagnolo (che ha anche diretto il sorprendente survival movie Paradise Beach) sceglie con molta attenzione l'ambientazione e tra interno ed esterno vi è sempre un senso di claustrofobia che inchioda chi guarda i suoi film. Ebbene, è proprio questo il punto forte di questo regista, che con una buona tecnica e tanta intelligenza riesce a dare qualcosa in più a delle storie che, altrimenti, risulterebbero noiose e scontate. L'uomo sul treno: The Commuter (The Commuter), film del 2018 diretto appunto da Jaume Collet-Serra, film che gira intorno (che fa da premessa e da fulcro attorno a cui ruota una trama che ci trascinerà in un turbinio di eventi imprevedibili e di azioni altrettanto inaspettate) alla fatidica domanda: "Fareste una piccola cosa, che avrà delle conseguenze per uno sconosciuto, in cambio di una lauta ricompensa?", è infatti diviso a metà nella mia testa, diviso in due parti, due generi che sembrano stranamente cozzare l'uno con l'altro. Giacché dopo un attenta visione non ho potuto fare altro che lodarne la regia e la buona interpretazione di Liam Neeson per poi, però, criticare negativamente quasi tutto il resto. Il regista infatti gioca molto bene con l'impostazione "classica" del thriller per presentare la storia del film. Tutta la prima parte (a partire dall'ottimo montaggio iniziale, che riesce, in modo originale e convincente, a rendere lo scorrere del tempo uguale giorno dopo giorno) è molto fluida, ben strutturata a far emergere la quotidianità e ripetitività dell'essere pendolari (il titolo originale della pellicola), non solo, getta molto bene le basi anche del "giallo da camera" per antonomasia e in odore di Orient Express e di matrice hitchockiana: un uomo, un treno, tanti passeggeri tutti sospettati, un (doppio) mistero da risolvere. Lo spettatore scopre pian piano che la situazione si fa sempre meno tranquilla e sempre più tesa, angosciante, (apparentemente) senza via d'uscita. Da una tensione silenziosa, emotiva si passa a un'inquietudine che si vede sullo schermo, tutta messa in scena, forse troppo. Una volta presentato effettivamente il "caso", si passa quindi alla seconda parte. Michael (il protagonista) ha sempre meno fermate per trovare la soluzione all'enigma con i pochi indizi in suo possesso: ha tempo fino al capolinea per trovare la persona misteriosa di cui non sa nemmeno il sesso, ma solo un nome in codice. Una vera e propria corsa contro i minuti quasi in tempo reale, man mano che l'orologio scorre inesorabile, che però pecca di eccesso. Azione all'ennesima potenza, un deragliamento che pare non avere fine, risoluzioni un po' improbabili condiscono un prodotto che, un prodotto dove l'asticella della soglia di sospensione dell'incredulità viene alzata tanto, alla fine lascia non poco l'amaro in bocca. Anche perché se il protagonista, Liam Neeson, è convincente nella parte di un uomo che ha come unico scopo quello di lavorare duro e di vivere felice con la propria famiglia, e non risulta meno credibile nel momento in cui si trasforma nell'eroe di un film d'azione, ossia quando si trova coinvolto in un'escalation di tensione e sospetti, i personaggi attorno a lui, che sono tutti programmati per fare la stessa identica cosa, ovvero confondere le idee, sono purtroppo come oggetti privi di valore su una credenza piena di polvere, anche se tra questi, da Patrick Wilson a Sam Neill, da Elizabeth McGovern a Jonathan Banks, perfetta è solo Vera Farmiga nell'interpretare la bella sconosciuta che pare comparire dal nulla per porre il quesito che darà il via a tutti gli accadimenti successivi. E tuttavia L'uomo sul treno è un'opera davvero ben confezionata, un thriller psicologico che esalta una sceneggiatura scritta in maniera avvincente che tiene lo spettatore con il fiato sospeso dal primo all'ultimo minuto, grazie a continui cambi di fronte, ad un'azione spettacolare e all'iniziale quesito, un quesito che mette alla prova la morale del protagonista e provoca in chi guarda un mix d'immedesimazione, scelte, ripensamenti e dubbi etici tale da non permettergli, pur sapendo di avere a che fare con un cattivo, d'identificarlo sino alle battute finali, ma anche grazie all'innato carisma di Liam Neeson, che innalza la qualità di questo "action thriller", privo di raffinatezze narrative e di approfondimenti psicologici, con un finale disordinato e rumoroso, ma nel complesso sicuramente piacevole. Voto: 6+
Il film, basato sull'omonimo documentario del 2005, diretto da Rachel Boynton, sulle elezioni presidenziali in Bolivia del 2002, che portarono all'elezione di Gonzalo Sánchez de Lozada, aveva la possibilità, ma non l'ha sfruttata (pienamente), di andare un po' a fondo nei drammi economici e sociali che si vivono a latitudini come quelle della Bolivia (uno dei Paesi meno sviluppati del mondo). La sceneggiatura firmata da Peter Straughan (autore anche dell'applaudito La talpa) per questo All'ultimo voto (molto più serio il titolo originale Our Brand is Crisis) azzarda con discreto successo una discesa nei quartieri più degradati della capitale la Paz, ma l'opera (del 2015) del regista David Gordon Green resta comunque poco sotto la linea di galleggiamento per non perdere contatto con l'impostazione da semi commedia. Ecco, quindi, che per lo più l'impalcatura si regge sulle interpretazioni di due grandi attori come la sempre affascinante e convincente Sandra Bullock (premio Oscar nel 2001 con il commovente The Blind Side) e il magrissimo Billy Bob Thornton (Oscar da sceneggiatore per Lama tagliente nel 1997), anche se sul personaggio manca del lavoro a monte. Il loro duello psicologico a semi distanza è infatti, mentre gli altri contano poco perché Joaquin De Almeida non emerge da una personalità contraddittoria, il tridente di supporto formato da Anthony Mackie, Ann Dowd e Scott McNairy è strumentale alla portata principale (la leader Jane Bodine), e invece in pochi minuti Zoe Kazan lascia supporre che la sua parte da cacciatrice di scoop avrebbe meritato maggior risalto, uno degli ingredienti più gustosi della vicenda, la quale non manca mai di tenere alta l'attenzione dello spettatore. Interessante anche l'idea di mostrare le dinamiche della costruzione di una campagna elettorale per lo più basata (come avviene realmente dovunque) sul dare in pasto all'opinione pubblica e al popolo più sofferente, verità che nel migliore dei casi sono manipolate, se non spesso del tutto artefatte. In questo la pellicola di David Gordon Green per certi versi è affiancabile a Sesso & potere (1997, di Barry Levinson con due scatenati Dustin Hoffman e Robert De Niro). Nell'insieme la mano non troppo raffinata del cineasta americano (filmografia piuttosto leggera, suo il recente, emozionante ma mediocre, Manglehorn con Al Pacino) non fa spiccare il volo a questo film comunque a tratti piuttosto godibile. Un film in cui forse il limite più grosso dello stesso sta nel non averci detto niente di nuovo, tuttavia è ben fatto, ben recitato e quanto mai credibile. Si parla della Bolivia perché si ritiene un paese, "difficile e politicamente ballerino", ma in realtà si sa che le vicende narrate possono riguardare qualsiasi altro stato, perché dappertutto le tante promesse elettorali di candidati ben istruiti a mentire e disposti a qualsiasi inganno, grazie a campagne elettorali orchestrate da geniali burattinai, non vengono quasi mai mantenute, soprattutto quando possono favorire le classi più deboli, a scapito dei ricchi e quindi di chi detiene il vero potere. Insomma la politica è sporca e chi la pratica, prima o poi, ne resta contaminato. Ormai questo lo sanno tutti, i candidati e gli elettori, ma poi non si esimono, dal fare il gioco delle parti. Dopotutto All'ultimo voto ripropone la regola secondo la quale il fine giustifica i mezzi, e tuttavia quando le bocce si fermano e il lavoro finito, sopraggiunge il momento della riflessione, con promesse e realtà in progressivo allontanamento, come la vita politica ci ricorda spesso e volentieri, in tal senso, il finale è coerente con il film, in parte precipitoso, quasi un po' maldestro, comunque evocativo di un'inevitabile disillusione, ideale per un pubblico in cerca di qualcosa di vagamente impegnato, ma che non comporti nemmeno eccessivi rischi. In definitiva film non originale ma sufficientemente riuscito, un film di facile consumo da vedere. Voto: 6
Una sequenza iniziale d'effetto avvia Open Grave, film del 2013 diretto da Gonzalo López-Gallego, con protagonista Sharlto Copley. Un uomo si risveglia in una fossa piena di cadaveri. Tirato fuori da una donna misteriosa, arriva ad una casa nella foresta dove trova altri tre uomini e una ragazza. Ognuno di loro si trova nella stessa situazione: perdita completa della memoria e conseguente sfiducia nei confronti del prossimo. Ad aggravare il tutto, nella foresta si nascondono individui che di umano hanno veramente poco. Quale sarà la verità? quale mistero si celerà? Le premesse iniziali sono quelle di un "Dieci Piccoli Indiani", poi il film prosegue come un episodio di "Lost" per andare a terminare dove comincia "The Walking Dead". Descrivendo la pellicola in questo modo, si potrebbe facilmente pensare quindi che sia una cosiddetta "gran figata", non lo è (o almeno non interamente). Voglio dire, non è affatto un brutto film, anzi, altrimenti non ne avrei parlato in questo post, ma eliminando alcuni difetti sarebbe stato di gran lunga superiore ai tanti thriller/horror (non solo quelli che ho citato prima) a cui si "ispira" palesemente. Cosa non funziona? Di sicuro lo script, a volte privo di logica e con qualche buco qua e la. In secondo luogo, l'approfondimento dei personaggi non è molto definito (eccetto forse per il protagonista), piuttosto è sacrificato al macchinoso sviluppo della vicenda che si rivela solo negli ultimi 10 minuti. Cosa funziona? La bravura di Sharlto Copley non manca (nella media il resto del cast, decisamente efficace nelle scene più drammatiche la bella comprimaria Erin Richards) e la regia, eccetto in qualche momento, non è affatto male, anche perché il regista spagnolo non racconta la storia con colpi di scena, preferisce mantenere il ritmo serrato e la tensione alta, è rivolto più a inquietare lo spettatore che a spaventarlo. E ci riesce bene, proprio perché quest'ultimo riesce a mantenere, supportato dal talentuoso protagonista, la narrazione compatta, nonostante la trama sia poi una miscellanea di vari generi, si va infatti dall'horror al mistery, dalle atmosfere thriller fin quasi alla fantascienza. A proposito del protagonista, egli interpretato appunto da Sharlto Copley, si dimostra sempre più bravo e versatile. L'attore sudafricano, all'epoca presente al cinema con Elysium, già prima protagonista in District 9 di Neil Blomkamp, nel "goffo" ruolo di Wikus Van De Merwe, e di Mad Murdock nel remake di A-Team, che in questo film interpreta invece il duro Jonah, in un ruolo sicuramente più fisico e d'azione (abbastanza vicino al sorprendente Hardcore Henry, dove davvero efficace lì era), si dimostra infatti all'altezza della parte e sulle sue spalle si regge quasi tutto il film, dando valore aggiunto a una sceneggiatura già intrigante. Una sceneggiatura in cui l'aspetto più originale resta però la soluzione del mistero e il conseguente finale (tra l'altro, ben fatta davvero l'ultima sequenza). Per non spoilerare troppo, mi limito a lodare l'idea di fondo considerandola una piacevole variante alla classica struttura logica degli "zombie movie". In definitiva ed in linea di massima insomma, posso affermare che vedere Open Grave non mi sia dispiaciuto affatto (c'è molto di peggio). Giacché mi aspettavo qualcosa di prevedibile, e invece alla fine sufficientemente soddisfatto di aver assistito ad una storia abbastanza originale, ad un film tutto sommato scorrevole e piacevole, non eccezionale, ma migliore di molti film simili. Il finale è poi così d'impatto e inquietante come solo una "open grave" potrebbe essere. E quindi assolutamente da consigliare agli appassionati. Voto: 6+
Scritto e diretto dalla regista e sceneggiatrice Jennifer Fox, prodotto e trasmesso da HBO (e l'estate scorsa su Sky), The Tale racconta la progressiva presa di coscienza di una donna vittima di ripetuti abusi sessuali sepolti nel passato e nella memoria. Questo film del 2018 infatti, prima ancora di essere un'intensa e intelligente autobiografia audiovisiva, giacché le parole che si ascoltano in apertura sono esattamente quelle dell'autrice, perché The Tale è prima di tutto un film autobiografico, un memoir che parte dalle lettere che la stessa Jennifer Fox ha scritto all'età di tredici anni quando è stata vittima di Bill e della Signora G. mentre frequentava un centro di equitazione, è un prodotto necessario, un film che si pone il problema di parlare dell'abuso sessuale e delle difese che il cervello adotta per fare i conti con la violenza subita e lo fa senza alcun compromesso. Un film, un racconto realistico su come mente e corpo immagazzinano ed elaborano le memorie traumatiche. Difatti, avanti e indietro tra un presente fatto di rievocazioni, racconti e foto, e un passato che ritorna fuori piano piano, il film mostra diverse ricostruzioni, alcune ingannevoli, altre che si rivelano false e poi quella vera, per mostrare come il tempo avesse modificato i ricordi della protagonista e come a fatica questa stia comprendendo ed elaborando per la prima volta quegli eventi. È forse proprio questa una delle cose più interessanti di The Tale, ovvero la costante riflessione sulla natura della memoria, sui meccanismi di difesa dell'essere umano nel momenti in cui subisce traumi. Per molti anni infatti Jennifer è stata convinta che il rapporto tra lei e Bill avesse una natura consensuale, ma solo dopo quarant'anni riesce a elaborare davvero l'accaduto, facendo una vera e propria attività di ricerca sia all'esterno (rintracciando le persone che quarant'anni prima sono state in maniera più o meno diretta testimoni degli abusi) sia all'interno, scavando profondamente dentro la propria memoria per entrare in contatto diretto con una ferita mai davvero rimarginata. Jennifer Fox nel resuscitare i fantasmi del passato mette in scena la natura magmatica e anarchica della memoria, facendo della Signora G. un gigante agli occhi della se stessa bambina, un modello femminile inarrivabile (grazie anche all'azzeccata scelta di Elizabeth Debecki), salvo poi presentarla nel presente come una donna decisamente normalizzata, in particolare riguardo all'altezza (come dimostra la scelta della bravissima Frances Conroy). Allo stesso modo viene messo in scena in maniera perfetta il tentativo del cervello della protagonista di difendersi dal trauma: Jennifer ricorda se stessa molto più grande e più donna di quanto in realtà non fosse, ed è abbastanza disturbante ancorché efficace la giustapposizione tra l'immagine di sé a tredici anni che ha sempre avuto e quella reale, ovvero nulla di più di una bimba, interpretata benissimo da Isabelle Nélisse. Perché è proprio la differenza di sguardo fra la Jennifer bambina e quella adulta a rendere angosciante la narrazione, trasformando dei dialoghi apparentemente asettici e degli sguardi non particolarmente sinistri in sudici tasselli della vicenda. Una narrazione complessa e per certi versi poco enfatica, che inizialmente lascia spiazzati ma che nel corso del film incassa con gli interessi quanto investito, portando lo spettatore a vivere con maggiore empatia la storia di Jennifer (anche perché la regista opera una scelta coraggiosa, spiazzante ma in fin dei conti riuscita, ovvero quella di mettere in secondo piano la spettacolarizzazione di una vera e propria tragedia umana per privilegiare un approccio più intimo e psicologico, nell'intento di fare percepire allo spettatore ciò che lei stessa ha provato e vissuto). In tal senso Laura Dern è molto brava nel rendere quello che è prima di tutto un percorso interiore di presa di coscienza dei fatti, dando vita a una performance di grande misura ed equilibrio, fino ad una reazione umanamente più emotiva nel finale. Un'interpretazione di grande intensità e sostanza, che conferma il talento e il carisma di questa attrice. Non sono da meno Ellen Burstyn, nei panni di una madre apprensiva e tormentata, che in età ormai avanzata cerca di rimediare a quanto da lei non compreso, o negato, molti anni prima, Common, nei panni del compagno, l'unico personaggio davvero positivo della vicenda, Elizabeth Debicki e Jason Ritter, interpreti della versione giovane dei due aguzzini di Jennifer, ed infine Frances Conroy e John Heard (quest'ultimo alla sua ultima interpretazione prima del suo improvviso e prematuro decesso), che riescono a delineare alcune sfumature più torbide dei rispettivi personaggi, orchi ormai invecchiati e pressoché inoffensivi, ma consapevoli del dolore da loro provocato. In conclusione, The Tale si rivela un dramma biografico coraggioso, di acuta introspezione psicologica e di grande impatto emotivo sul pubblico, non particolarmente ricercato dal punto di vista registico e fotografico, ma decisamente efficace per il suo saper tratteggiare il percorso interiore di una donna mortificata e spezzata in gioventù, soprattutto attraverso dei dialoghi secchi e pungenti. Un film un po' duro e crudele (per fortuna gli abusi sono realizzati con una controfigura adulta, come dichiarato nei titoli di coda), che ricorda i soprusi che quotidianamente avvengono anche nei luoghi e nelle situazioni apparentemente più sicuri. E che spinge lo spettatore a scavare nel proprio passato per superare anche le esperienze più dolorose. Voto: 7
Il film, basato sull'omonimo documentario del 2005, diretto da Rachel Boynton, sulle elezioni presidenziali in Bolivia del 2002, che portarono all'elezione di Gonzalo Sánchez de Lozada, aveva la possibilità, ma non l'ha sfruttata (pienamente), di andare un po' a fondo nei drammi economici e sociali che si vivono a latitudini come quelle della Bolivia (uno dei Paesi meno sviluppati del mondo). La sceneggiatura firmata da Peter Straughan (autore anche dell'applaudito La talpa) per questo All'ultimo voto (molto più serio il titolo originale Our Brand is Crisis) azzarda con discreto successo una discesa nei quartieri più degradati della capitale la Paz, ma l'opera (del 2015) del regista David Gordon Green resta comunque poco sotto la linea di galleggiamento per non perdere contatto con l'impostazione da semi commedia. Ecco, quindi, che per lo più l'impalcatura si regge sulle interpretazioni di due grandi attori come la sempre affascinante e convincente Sandra Bullock (premio Oscar nel 2001 con il commovente The Blind Side) e il magrissimo Billy Bob Thornton (Oscar da sceneggiatore per Lama tagliente nel 1997), anche se sul personaggio manca del lavoro a monte. Il loro duello psicologico a semi distanza è infatti, mentre gli altri contano poco perché Joaquin De Almeida non emerge da una personalità contraddittoria, il tridente di supporto formato da Anthony Mackie, Ann Dowd e Scott McNairy è strumentale alla portata principale (la leader Jane Bodine), e invece in pochi minuti Zoe Kazan lascia supporre che la sua parte da cacciatrice di scoop avrebbe meritato maggior risalto, uno degli ingredienti più gustosi della vicenda, la quale non manca mai di tenere alta l'attenzione dello spettatore. Interessante anche l'idea di mostrare le dinamiche della costruzione di una campagna elettorale per lo più basata (come avviene realmente dovunque) sul dare in pasto all'opinione pubblica e al popolo più sofferente, verità che nel migliore dei casi sono manipolate, se non spesso del tutto artefatte. In questo la pellicola di David Gordon Green per certi versi è affiancabile a Sesso & potere (1997, di Barry Levinson con due scatenati Dustin Hoffman e Robert De Niro). Nell'insieme la mano non troppo raffinata del cineasta americano (filmografia piuttosto leggera, suo il recente, emozionante ma mediocre, Manglehorn con Al Pacino) non fa spiccare il volo a questo film comunque a tratti piuttosto godibile. Un film in cui forse il limite più grosso dello stesso sta nel non averci detto niente di nuovo, tuttavia è ben fatto, ben recitato e quanto mai credibile. Si parla della Bolivia perché si ritiene un paese, "difficile e politicamente ballerino", ma in realtà si sa che le vicende narrate possono riguardare qualsiasi altro stato, perché dappertutto le tante promesse elettorali di candidati ben istruiti a mentire e disposti a qualsiasi inganno, grazie a campagne elettorali orchestrate da geniali burattinai, non vengono quasi mai mantenute, soprattutto quando possono favorire le classi più deboli, a scapito dei ricchi e quindi di chi detiene il vero potere. Insomma la politica è sporca e chi la pratica, prima o poi, ne resta contaminato. Ormai questo lo sanno tutti, i candidati e gli elettori, ma poi non si esimono, dal fare il gioco delle parti. Dopotutto All'ultimo voto ripropone la regola secondo la quale il fine giustifica i mezzi, e tuttavia quando le bocce si fermano e il lavoro finito, sopraggiunge il momento della riflessione, con promesse e realtà in progressivo allontanamento, come la vita politica ci ricorda spesso e volentieri, in tal senso, il finale è coerente con il film, in parte precipitoso, quasi un po' maldestro, comunque evocativo di un'inevitabile disillusione, ideale per un pubblico in cerca di qualcosa di vagamente impegnato, ma che non comporti nemmeno eccessivi rischi. In definitiva film non originale ma sufficientemente riuscito, un film di facile consumo da vedere. Voto: 6
Una sequenza iniziale d'effetto avvia Open Grave, film del 2013 diretto da Gonzalo López-Gallego, con protagonista Sharlto Copley. Un uomo si risveglia in una fossa piena di cadaveri. Tirato fuori da una donna misteriosa, arriva ad una casa nella foresta dove trova altri tre uomini e una ragazza. Ognuno di loro si trova nella stessa situazione: perdita completa della memoria e conseguente sfiducia nei confronti del prossimo. Ad aggravare il tutto, nella foresta si nascondono individui che di umano hanno veramente poco. Quale sarà la verità? quale mistero si celerà? Le premesse iniziali sono quelle di un "Dieci Piccoli Indiani", poi il film prosegue come un episodio di "Lost" per andare a terminare dove comincia "The Walking Dead". Descrivendo la pellicola in questo modo, si potrebbe facilmente pensare quindi che sia una cosiddetta "gran figata", non lo è (o almeno non interamente). Voglio dire, non è affatto un brutto film, anzi, altrimenti non ne avrei parlato in questo post, ma eliminando alcuni difetti sarebbe stato di gran lunga superiore ai tanti thriller/horror (non solo quelli che ho citato prima) a cui si "ispira" palesemente. Cosa non funziona? Di sicuro lo script, a volte privo di logica e con qualche buco qua e la. In secondo luogo, l'approfondimento dei personaggi non è molto definito (eccetto forse per il protagonista), piuttosto è sacrificato al macchinoso sviluppo della vicenda che si rivela solo negli ultimi 10 minuti. Cosa funziona? La bravura di Sharlto Copley non manca (nella media il resto del cast, decisamente efficace nelle scene più drammatiche la bella comprimaria Erin Richards) e la regia, eccetto in qualche momento, non è affatto male, anche perché il regista spagnolo non racconta la storia con colpi di scena, preferisce mantenere il ritmo serrato e la tensione alta, è rivolto più a inquietare lo spettatore che a spaventarlo. E ci riesce bene, proprio perché quest'ultimo riesce a mantenere, supportato dal talentuoso protagonista, la narrazione compatta, nonostante la trama sia poi una miscellanea di vari generi, si va infatti dall'horror al mistery, dalle atmosfere thriller fin quasi alla fantascienza. A proposito del protagonista, egli interpretato appunto da Sharlto Copley, si dimostra sempre più bravo e versatile. L'attore sudafricano, all'epoca presente al cinema con Elysium, già prima protagonista in District 9 di Neil Blomkamp, nel "goffo" ruolo di Wikus Van De Merwe, e di Mad Murdock nel remake di A-Team, che in questo film interpreta invece il duro Jonah, in un ruolo sicuramente più fisico e d'azione (abbastanza vicino al sorprendente Hardcore Henry, dove davvero efficace lì era), si dimostra infatti all'altezza della parte e sulle sue spalle si regge quasi tutto il film, dando valore aggiunto a una sceneggiatura già intrigante. Una sceneggiatura in cui l'aspetto più originale resta però la soluzione del mistero e il conseguente finale (tra l'altro, ben fatta davvero l'ultima sequenza). Per non spoilerare troppo, mi limito a lodare l'idea di fondo considerandola una piacevole variante alla classica struttura logica degli "zombie movie". In definitiva ed in linea di massima insomma, posso affermare che vedere Open Grave non mi sia dispiaciuto affatto (c'è molto di peggio). Giacché mi aspettavo qualcosa di prevedibile, e invece alla fine sufficientemente soddisfatto di aver assistito ad una storia abbastanza originale, ad un film tutto sommato scorrevole e piacevole, non eccezionale, ma migliore di molti film simili. Il finale è poi così d'impatto e inquietante come solo una "open grave" potrebbe essere. E quindi assolutamente da consigliare agli appassionati. Voto: 6+
Scritto e diretto dalla regista e sceneggiatrice Jennifer Fox, prodotto e trasmesso da HBO (e l'estate scorsa su Sky), The Tale racconta la progressiva presa di coscienza di una donna vittima di ripetuti abusi sessuali sepolti nel passato e nella memoria. Questo film del 2018 infatti, prima ancora di essere un'intensa e intelligente autobiografia audiovisiva, giacché le parole che si ascoltano in apertura sono esattamente quelle dell'autrice, perché The Tale è prima di tutto un film autobiografico, un memoir che parte dalle lettere che la stessa Jennifer Fox ha scritto all'età di tredici anni quando è stata vittima di Bill e della Signora G. mentre frequentava un centro di equitazione, è un prodotto necessario, un film che si pone il problema di parlare dell'abuso sessuale e delle difese che il cervello adotta per fare i conti con la violenza subita e lo fa senza alcun compromesso. Un film, un racconto realistico su come mente e corpo immagazzinano ed elaborano le memorie traumatiche. Difatti, avanti e indietro tra un presente fatto di rievocazioni, racconti e foto, e un passato che ritorna fuori piano piano, il film mostra diverse ricostruzioni, alcune ingannevoli, altre che si rivelano false e poi quella vera, per mostrare come il tempo avesse modificato i ricordi della protagonista e come a fatica questa stia comprendendo ed elaborando per la prima volta quegli eventi. È forse proprio questa una delle cose più interessanti di The Tale, ovvero la costante riflessione sulla natura della memoria, sui meccanismi di difesa dell'essere umano nel momenti in cui subisce traumi. Per molti anni infatti Jennifer è stata convinta che il rapporto tra lei e Bill avesse una natura consensuale, ma solo dopo quarant'anni riesce a elaborare davvero l'accaduto, facendo una vera e propria attività di ricerca sia all'esterno (rintracciando le persone che quarant'anni prima sono state in maniera più o meno diretta testimoni degli abusi) sia all'interno, scavando profondamente dentro la propria memoria per entrare in contatto diretto con una ferita mai davvero rimarginata. Jennifer Fox nel resuscitare i fantasmi del passato mette in scena la natura magmatica e anarchica della memoria, facendo della Signora G. un gigante agli occhi della se stessa bambina, un modello femminile inarrivabile (grazie anche all'azzeccata scelta di Elizabeth Debecki), salvo poi presentarla nel presente come una donna decisamente normalizzata, in particolare riguardo all'altezza (come dimostra la scelta della bravissima Frances Conroy). Allo stesso modo viene messo in scena in maniera perfetta il tentativo del cervello della protagonista di difendersi dal trauma: Jennifer ricorda se stessa molto più grande e più donna di quanto in realtà non fosse, ed è abbastanza disturbante ancorché efficace la giustapposizione tra l'immagine di sé a tredici anni che ha sempre avuto e quella reale, ovvero nulla di più di una bimba, interpretata benissimo da Isabelle Nélisse. Perché è proprio la differenza di sguardo fra la Jennifer bambina e quella adulta a rendere angosciante la narrazione, trasformando dei dialoghi apparentemente asettici e degli sguardi non particolarmente sinistri in sudici tasselli della vicenda. Una narrazione complessa e per certi versi poco enfatica, che inizialmente lascia spiazzati ma che nel corso del film incassa con gli interessi quanto investito, portando lo spettatore a vivere con maggiore empatia la storia di Jennifer (anche perché la regista opera una scelta coraggiosa, spiazzante ma in fin dei conti riuscita, ovvero quella di mettere in secondo piano la spettacolarizzazione di una vera e propria tragedia umana per privilegiare un approccio più intimo e psicologico, nell'intento di fare percepire allo spettatore ciò che lei stessa ha provato e vissuto). In tal senso Laura Dern è molto brava nel rendere quello che è prima di tutto un percorso interiore di presa di coscienza dei fatti, dando vita a una performance di grande misura ed equilibrio, fino ad una reazione umanamente più emotiva nel finale. Un'interpretazione di grande intensità e sostanza, che conferma il talento e il carisma di questa attrice. Non sono da meno Ellen Burstyn, nei panni di una madre apprensiva e tormentata, che in età ormai avanzata cerca di rimediare a quanto da lei non compreso, o negato, molti anni prima, Common, nei panni del compagno, l'unico personaggio davvero positivo della vicenda, Elizabeth Debicki e Jason Ritter, interpreti della versione giovane dei due aguzzini di Jennifer, ed infine Frances Conroy e John Heard (quest'ultimo alla sua ultima interpretazione prima del suo improvviso e prematuro decesso), che riescono a delineare alcune sfumature più torbide dei rispettivi personaggi, orchi ormai invecchiati e pressoché inoffensivi, ma consapevoli del dolore da loro provocato. In conclusione, The Tale si rivela un dramma biografico coraggioso, di acuta introspezione psicologica e di grande impatto emotivo sul pubblico, non particolarmente ricercato dal punto di vista registico e fotografico, ma decisamente efficace per il suo saper tratteggiare il percorso interiore di una donna mortificata e spezzata in gioventù, soprattutto attraverso dei dialoghi secchi e pungenti. Un film un po' duro e crudele (per fortuna gli abusi sono realizzati con una controfigura adulta, come dichiarato nei titoli di coda), che ricorda i soprusi che quotidianamente avvengono anche nei luoghi e nelle situazioni apparentemente più sicuri. E che spinge lo spettatore a scavare nel proprio passato per superare anche le esperienze più dolorose. Voto: 7
Devo vedermi giusto The Tale, che la Dern la si adora sempre moltissimo. ☺️
RispondiEliminaGiusto giusto il migliore, con un'attrice di grandissimo livello ;)
EliminaChe bello.
RispondiEliminaIn un unico post hai inserito due tra i miei attori preferiti, ovvero Liam Neeson e Sandra Bullock.
Comunque mi sembrano tutti ottimi film.
P.S. La prossima volta che ti salta la linea, vedi di inviarmi un segnale di fumo, se no mi viene l'ansia.... :P
Sì, sono tutti film, a parte i generi diversi, piacevoli e gradevoli, tutti film che potresti tranquillamente vedere e che forse potrebbero, soprattutto i due film con quei due attori, davvero piacerti ;)
Eliminap.s. L'ansia credo che verrebbe ad entrambi, ma sì comunque, tanto siamo vicini e i segnali potrebbe arrivare davvero via fumo :D
No infatti, non è sicuramente originale ma si fa vedere, un po' come Open Grave, certamente più originale, non perfetto, ma che ugualmente si lascia vedere ;)
RispondiEliminaL'uomo sul treno mi era capitato su Sky pochi giorni fa, era già iniziato e non ho continuato a vederlo ma Liam Neeson credo sia sempre una garanzia! Devo decisamente riprenderlo perché mi pare sia un thriller psicologico che tutto sommato tiene buona compagnia. Ma tanto per capirci, se lo hai visto, come lo poni rispetto a Unknown-Senza identità?
RispondiEliminaDiciamo che è allo stesso livello, un livello non eccelso ma accettabile, tanto che merita certamente una "ripresa" ;)
EliminaLiam Neeson è una garanzia, peccato che il film non sempre sia all'altezza delle doti recitative dell'attore.
RispondiEliminaNon possono mica essere tutti Schindler's List, e tuttavia poiché il genere thriller action per lui è perfetto, in questo film basta ed avanza ;)
EliminaPenso che mi potrebbe piacere L'uomo sul treno.. anche All'ultimo voto mi incuriosisce
RispondiEliminaSe non li vedi non potrai sapere, quindi provaci ;)
EliminaL'uomo sul treno mi intriga. Buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Effettivamente intriga, ne è la dimostrazione che non sei l'unica oggi a cui interesserebbe vederlo ;)
EliminaPrima di tutto auguri a tuo fratello, io adoro festeggiare la vita anche se non dimentico mai chi ci ha lasciato e per questo ti sono vicina per l'altro evento di cui hai parlato. Parlando dei film però devo dire che il tuo paragone ai libri di Agatha Christie è molto intrigante e riuscito, secondo me alza anche il livello dei film di cui parli. Ho già parlato nel mio commento di Instagram del film L'uomo sul treno e ho detto quello che avevo da dire, volevo leggere il tuo post per farmi un idea su che altri film cercare e fino ad adesso l'unico che m'ispira per questo momento è Open Grave. Sarà perché sto passando per un momento brutto di disillusioni e ho bisogno di credere che i cattivi sono solo nei film e vengono uccisi con furia (credo anche che sempre per questo motivo ho cominciato a guardare film dell'orrore) ma i film drammatici e troppo impegnativi emozionalmente e psicologicamente li lascio un attimo da parte. Mi segno comunque i nomi per guardarli in un altro momento. Complimenti per l'accurata analisi psicologica, se non leggo i tuoi post più spesso è perché a me piace leggere interamente un post (il più delle volte, quando non trattano argomenti superficiali, che non è il tuo caso) e soffermarmi a riflettere e rispondere il che nel caso dei tuoi post richiede molto tempo perché tratti sempre argomenti complessi e quindi è molto impegnativo per me che non so mai come gestire meglio il mio tempo 😜
RispondiEliminaBuon fine settimana a prepariamoci per le più belle feste dell'anno!
Saluti,
Flo
Grazie per gli Auguri e l'altro pensiero innanzitutto, poi che ho letto e son contento che ti sia piaciuto L'uomo sul treno e che ti sia piaciuto anche il suo paragone, che se stai cercando un film violento Open Grave fa al tuo caso, che comunque fai bene a segnarteli gli altri perché valgono e che infine ti ringrazio dei complimenti ;)
EliminaBuona fine settimana e buona preparazione a te :)
Vedrò sicuramente The Tale.
RispondiEliminaGrazie!
Grazie a te ;)
EliminaAuguri a tuo fratello! 🎊 🎂 Vedrò sicuramente il film L'uomo sul treno!😊 Buon sabato!👋
RispondiEliminaGrazie e buona visione nonché sabato a te ;)
EliminaL'uomo sul treno è da sbattere al muro. Hai visto Radius?
RispondiEliminaSempre gentilissimo con i film :D
EliminaNo, Radius no, ma conto di vederlo prossimamente..
Ahah.. certe pellicole mi procurano un irrefrenabile nervoso... Radius è un prodotto particolare, incolla allo schermo con un 'idea straordinaria, sul prosieguo se ne può discutere..
EliminaDi Radius ho letto la trama ed è abbastanza intrigante effettivamente, su altro verificherò e vedremo in quale post finirà ;)
EliminaLeggere le tue recensioni Pietro è come sedersi su di una poltrona cinematografica .
RispondiEliminaSono un po' latente in queste ultimi tempi di imprese cinematografiche, guardo i vecchi film, anche perchè spesso impossibilitata ad uscire.
Quindi doppio piacere seguire le tue recensioni.
Grazie di cuore amico caro. Buona serata. Abbraccio forte
Grazie di cuore a te, che mi dedichi queste belle parole che mi rendono orgoglioso e soddisfatto di quello che faccio con questo blog ;)
EliminaOpen Grave l'avevo visto al cinema all'epoca e mi era piaciuto molto!!
RispondiEliminaPer farmi "un'idea" ho letto quel tuo vecchio post, quindi lo so, ed infatti ho evitato spoiler anch'io ;)
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