E' tornato, con il secondo episodio speciale, Euphoria, stavolta incentrato su Jules, dal titolo F*ck Anyone Who's Not a Sea Blob. Il primo era incentrato su Rue e potete trovare il mio commento Qui, nel quale la ragazza esprimeva le sue emozioni in modo crudo al suo sponsor, questo secondo si concentra invece sulla prima seduta di analisi della transessuale Jules (Hunter Schafer), nella quale ella si apre con difficoltà e ci permette di esplorare in modo più profondo la sua personalità e i suoi dilemmi interiori. I due episodi sono inoltre collegati tra di loro, verso la fine vediamo infatti un evidente legame tra i due episodi. Ma mentre il primo speciale si mostrava studiato e calibrato su ogni singolo fotogramma, questo secondo titolo si rivela meno dinamico e magnetico, più legato a necessità riepilogative piuttosto che a un vero prodotto artistico autonomo. La seduta di analisi ci porta nelle problematiche di un adolescente in transizione, con le sue paure e le sue fragilità, attraverso un viaggio tormentato identitario e sessuale, travagliato da un rapporto con il materno devastato dall'alcolismo del genitore. Insomma, se il primo speciale di Euphoria ci mostrava la tragedia e la lotta perpetua di una persona con dipendenze, il secondo mira a mostrarci effetti e conseguenze nella vita dei suoi cari. La spessa rete di delusioni, affetto, paure e odio che Jules prova verso sua madre porta la ragazza alla ricerca di una figura simile su cui proiettare l'amore che per autodifesa non può rivolgerle. La qualità dei dialoghi è altissima e la regia pienamente adeguata, il tema trasversale della transessualità, poi, si dimostra molto ben costruito e preciso nel restituirne le complesse sfaccettature. Ciò nonostante, questo spaccato di storia non riesce a prendere e a trascinare così come ha dimostrato di essere in grado di fare il capitolo dedicato a Rue. In ogni caso questo nuovo speciale si dimostra all'altezza delle aspettative, confermando il buon livello della serie. Detto ciò, ecco, relativo a stagioni intere, e serie complete, cosa ho visto dall'ultima volta, tante belle cose, tre soprattutto.
Big Little Lies (2a stagione) - La seconda stagione di Big Little Lies lascia il sapore di un lussuoso prolungamento di un arco narrativo già abbondantemente esauritosi. Dopotutto la prima stagione era l'adattamento del romanzo omonimo di Liane Moriarty, questa seconda no. Tuttavia pur avendo più una rotta già tracciata da seguire, David Kelley e il suo team di autori ne trovano una nuova che non snatura i personaggi, ma parte da quanto accaduto per portarne avanti una evoluzione coerente. Un merito che va riconosciuto per quanto il viaggio (reso di suo però già arduo vista la difficoltà a questo giro di costruire la tensione, facilitata precedentemente dal senso di "tragedia annunciata" che pervadeva la prima stagione, ma qui mancante) non sia tuttavia privo di fastidiose turbolenze. Ancora una volta (ma più dell'altra volta), Big Little Lies si aggrappa al suo cast scintillante (ad una corona già ricca di gemme, la serie ha aggiunto in questa seconda stagione un gioiello ancora più splendente: Meryl Streep, alla iconica attrice viene affidato un personaggio difficile da gestire, ma che viene portato in scena con la convincente maestria di cui solo lei è capace) per nascondere dietro quell'arcobaleno di qualità i difetti di una scrittura che a volte inciampa rialzandosi in modo goffo. Tra bambini che sanno troppo e troppo in fretta e una scena conclusiva del season (finale che mette a rischio in maniera contraddittoria tutto quanto ognuna delle cinque amiche ha raggiunto in questa seconda stagione). Alla fine, Big Little Lies viene promossa ancora una volta. Ma la lode stavolta non la prende. La qualità sempre elevatissima della recitazione e di regia e fotografia offuscano sì le pecche di sceneggiatura, però non basta. Il risultato è tuttavia godibile. Voto: 7
Room 104 (4a stagione) - Si torna ad esplorare un'ultima volta la Room 104, con 12 nuovi episodi tutti da scoprire. In un viaggio finale che non si può certo definire sia stato indimenticabile, però neanche peggiore o migliore delle precedenti e della deludente terza stagione, ma semplicemente all'altezza delle (medie) aspettative. La quarta stagione sperimenta, l'esperimento non si può dire riuscito al meglio, ma comunque soddisfacente, non ci sono alti e non ci sono bassi, però ci sono episodi interessanti, piacevoli uniti ad alcuni semplicemente caotici. Come chi ha seguito lo show saprà (e per chi non l'ha fatto così è la cosa), nelle precedenti tre stagioni di Room 104, abbiamo assistito a una storia diversa e con differenti protagonisti in ogni episodio, tutte ambientate nella stanza che dà il titolo alla serie, andando ad assistere anche ad un cambiamento di genere dello show di puntata in puntata. La nota serie antologica infatti, ha esplorato vari generi: drama, comedy, horror e thriller tanto per citarne alcuni. In questa quarta (ed ultima) stagione c'è spazio anche per la dark comedy, la fantascienza e, anche per un episodio animato. Una ulteriore aggiunta di generi accompagnata da alcune canzoni originali interpretate dallo stesso Mark Duplass, presente per la prima volta in una moltitudine di ruoli, da sceneggiatore ad attore, regista e persino musicista dello show. Tra le storie che si avvicendano nella camera numero 104, quelle di un musicista che si esibisce in una performance di una sola notte facendo il tutto esaurito (è questo l'episodio con uno dei fratelli creatori dello show), una donna che combatte contro il suo oscuro passato a causa di una dipendenza (è Jillian Bell, una delle tante guest star, ad interpretarla), una terapista che cerca di aiutare il suo paziente (Dave Bautista come performance conferma di non essere solo un palestrato), un viaggio indietro nel tempo, uno schiuma party a metà degli anni '90, un episodio in stile cartone animato anni '80, e molto altro ancora, tra omaggi, un pizzico di magia e nostalgia. E insomma, al netto di alcuni inciampi, la vena surrealista e liberale della stagione che ha permesso al gruppo eclettico di registi e artisti di esprimersi audacemente, stimola e stuzzica, ed anche se convince a metà, riesce nell'intento di non compromettere (di nuovo) il lungo e tortuoso viaggio fatto. Nessun rimpianto, nessun rimorso. Da me sicuramente e spero anche dalla Room 104. Voto: 6
Lovecraft Country (1a stagione) - Nel titolo il cognome di uno degli scrittori più amati ma al contempo anche dei più criticati. La serie, prodotta da HBO e trasmessa in Italia da Sky Atlantic, prende le mosse dal romanzo dall'omonimo romanzo di Matt Ruff e prova a fare un'operazione molto particolare e decisamente ambiziosa (altalenante ma nel complesso riuscita). Il paese di Lovecraft, traducendo letteralmente il titolo dello show, ci indica un territorio di mostri, spettri e in generale paure, una terra dove tante persone non sono al sicuro, o quanto meno non si sentono tranquille, spesso perché minacciate da altre persone. È quindi la dimensione metaforica ad essere al centro del discorso, protagonista di un racconto che attraverso l'utilizzo dell'universo lovecraftiano racconta la storia di una serie di paure molto specifiche e molto concrete. E' prodotta da due nomi che non hanno bisogno di presentazioni, J.J. Abrams e Jordan Peele, al timone dello show però c'è una donna, Misha Green, una donna afroamericana al timone di una serie che sin dall'inizio prova a ribaltare i cliché narrativi, proponendo una storia che magari riprende l'eco di tante altre ma che al contempo prova ad adottare un punto di vista nuovo. Si tratta di uno show intimamente black, ambientato negli Stati Uniti di fine anni Cinquanta in cui la segregazione razziale era una realtà ineludibile e in cui il razzismo traspare non solo dal comportamento dei bianchi, ma dalla paura interiorizzata dei neri, il cui terrore riempie la parte soprannaturale della serie e si manifesta attraverso mostri lovecraftiani. Lovecraft Country, infatti, ha il grande merito di unire con equilibrio trame orizzontali e verticali, riuscendo in questo modo ad esplorare le tante facce dell'horror soprannaturale, passando dal road movie al body horror, dalla haunted house all'adventure, dal film di possessione al racconto fantascientifico, dedicando la giusta attenzione ad ogni personaggio. Del merito va attribuito anche all'ottimo cast (un nome è Courtney B. Vance, l'altro Abbey Lee) che sia nei protagonisti che nei personaggi più laterali dimostra eccellenti qualità e la capacità di muoversi in tranquillità da uno stile narrativo all'altro. Una menzione speciale per la colonna sonora che con le sue tracce sempre ricercate si fonde perfettamente alle immagini e compone un'antologia sulla black music, ma al contempo contiene al proprio interno anche discorsi celebri d'epoca piazzati in punti particolarmente significativi della serie. Lovecraft Country è quindi una serie avvincente e intelligente, in grado di fare con l'horror soprannaturale quello che Watchmen ha fatto poco tempo fa con il fumetto (peraltro tantissimi i punti di contatto tra le due serie), rappresentando una delle serie più belle viste in questo scorcio d'inizio 2021. Tra omaggi, citazioni e simili contesti, un viaggio nell'orrore decisamente e notevolmente affascinante. Voto: 7+
The Undoing (Miniserie) - HBO avrà voluto forse replicare il successo di Big Little Lies? Rinsalda la collaborazione Nicole Kidman con lo showrunner David E. Kelley e ci propina (più o meno) la stessa solfa. Ma basta vedere un solo episodio per capire che purtroppo The Undoing non è Big Little Lies. È indiscutibile la presenza di molti elementi in comune: il modo in cui è costruito l'intreccio, il typecasting per Kidman e la ricchezza ostentata da ogni fotogramma. A The Undoing mancano però gli aspetti essenziali per una storia del genere (un'indagine in chiave mystery sulla tipica moglie americana), una delineazione psicologica dei personaggi e un percorso narrativo solido. Dopotutto The Undoing non è niente più che un banale thriller costruito su percorsi già battuti innumerevoli volte. Opera la distruzione di una famiglia apparentemente perfetta, coinvolta in prima persona in un caso di omicidio. Chi ha ucciso l'enigmatica e disinibita Elena Alves, la meravigliosa (sexy come non mai) Matilda De Angelis? Nei suoi sei episodi, The Undoing dissemina indizi per lo spettatore, ma questi non vanno verso un'unica direzione. Chiunque potrebbe aver ucciso Elena e nessuno può essere escluso dalle indagini. Il potenziale della serie come whodunnit viene però affossato da una narrazione estremamente lenta, che concentra i colpi di scena negli ultimi minuti di ogni episodio per assicurarsi che chiunque la vedi continui la visione. Questa staticità si ripercuote anche sulla caratterizzazione, portando a personaggi a malapena abbozzati e a un sofferto tentativo di correzione da parte del cast. Se Kidman riesce comunque a portare sullo schermo il conflitto interno a Grace, Hugh Grant rende Jonathan Fraser una parodia di se stesso. Susanne Bier, regista danese conosciuta al grande pubblico per il suo lavoro su The Night Manager e tanto altro (non sempre altro di memorabile), conosce come funziona il thriller e prova a salvare la serie, lavorando in simbiosi con l'indagine del detective Mendoza (Edgar Ramirez) e dello spettatore. Si sofferma così su dettagli che altrimenti sarebbero sfuggiti, ma vuole soprattutto evidenziare quasi esasperatamente l'interpretazione di Kidman. Se The Undoing è diventata un fenomeno mediatico e un successo di pubblico, lo si deve ai nomi coinvolti, incaricati di distrarre da una scrittura poco fantasiosa. Il potenziale per creare una serie realmente avvincente c'era, ma non è stato sfruttato. Forse The Undoing avrebbe potuto funzionare meglio sotto forma di lungometraggio, riassumendo quelle cinque ore e mezzo di durata in 100 minuti ed evitando che lo spettatore (me medesimo) si illudesse con teorie estremamente affascinanti e molto più intelligenti del risultato finale. Voto: 5,5
The Third Day (Miniserie) - Una serie tv per certi versi indimenticabile, nel senso che difficilmente dimenticherò la più disturbante, irritante e per certi versi pretenziosamente assurda serie che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. A volte ciò che vediamo nasconde significati vari e nascosti, simbologie che si offrono allo spettatore per una visione in profondità, un invito ad andare oltre la struttura narrativa convenzionale. Tante volte è capitato di aver amato film che per altri erano di scarso appeal o addirittura incomprensibili. Ma The third day, un ambizioso viaggio tra leggende celtiche, cristianesimo e satanismo, mi è risultato respingente e insopportabile. Ammetto che dopo una prima puntata che aveva annunciato la particolarità della storia, la seconda mi aveva quasi convinto, grazie soprattutto a Jude Law, che si confermava attore di qualità, anche in un ruolo così particolare. Ma subito dopo si è scivolati in una vicenda repellente, caotica e zeppa di allucinati elementi. Un po' come quando in un piatto si aggiungono troppi ingredienti e non si capisce più quale deve essere il gusto principale. Regna il caos e la confusione si impadronisce del tutto. Quando poi entra in scena la Madre, ovvero il secondo trittico di episodi, l'irritazione cresce per l'assurdità di ogni scelta dei personaggi, che fanno sempre la cosa meno indicata, che sembrano non comprendere, chiudere gli occhi dinanzi alla realtà sempre più evidente che gli si manifesta dinanzi. Quando sono spettatore, forse eccedo in voglia di razionalità e se vedo personaggi compiere gesti e azioni stupide (può una madre che tiene ad aver cura dei figli lasciarli soli a più riprese in territorio ignoto e pericoloso per tutti?). Insomma, il disegno ci sarà e seguirà una sua logica, ma assistere a questa storia risulta davvero faticoso e pesante, senza un briciolo di divertimento o reale coinvolgimento. Un puzzle assurdamente cruento e pulp, nel nome di un mistero che solo alla fine si scioglierà, lasciando lo spettatore con la sensazione di aver sprecato quasi sei ore di tempo. Sempre che non si decida di farsi del male e di connettersi anche con le cinque ore di diretta teatrale all'aria aperta, reperibili su Facebook, uno speciale su quanto avviene sull'isola di Osea (unita alla terraferma da una striscia di strada percorribile solo poche ore al giorno, di fatto l'ambientazione suggestiva l'unico elemento salvabile) che si integra con i sei episodi. Voto: 4,5
Perry Mason (1a stagione) - Ricordate il Perry Mason del piccolo schermo? Quello capace di risolvere in tribunale qualsiasi caso? Io personalmente avrò visto sì e no una decina di episodi, comunque ora che lo avete ricordato, però, dovete subito dimenticarlo perché il nuovo Perry Mason lanciato da HBO (distribuito in Italia da NowTV e Sky Atlantic) non ha nulla a che vedere con quelle che sono le vecchie trasposizioni televisive e cinematografiche del personaggio creato da Erle Stanley Gardner negli anni '30. Questo reboot infatti più che un rifacimento può essere considerato un vero e proprio prequel che racconta gli inizi della carriera del legale più famoso di sempre trasportandoci nella Los Angeles corrotta, depravata ed immorale della grande depressione e del proibizionismo. In questo scenario il giovane Mason (interpretato superbamente da Matthews Rhys) non è altro che un detective privato sull'orlo della bancarotta che sbarca il lunario scattando fotografie compromettenti di divi del cinema e starlette, per poi ricattarli. Alcolizzato, depresso e inaffidabile il giovane investigatore è quanto più lontano ci si possa aspettare dal personaggio "originale" e la prima parte della stagione è un racconto noir-hardboiled in piena regola. Una detective story che prende il via con la brutale uccisione di un neonato che era stato rapito e viene riconsegnato cadavere, nonostante il pagamento del riscatto. I sospetti ricadono da subito su entrambi i genitori, legati alla controversa comunità religiosa evangelica denominata "Radiosa Assemblea di Dio". In loro difesa viene assunto il noto avvocato E.B. Jonathan (un grande John Lithgow) che per reperire prove volte a scagionarli si rivolge proprio a Mason il quale inizierà a indagare su una vicenda che si presenta da subito piena di punti oscuri. Come detto precedentemente la prima parte del racconto ha le tinte del noir, tra indizi, misteri, strade fumose, sbirri corrotti e borsalini calati sugli occhi. Nella seconda parte, invece, entriamo ufficialmente nel territorio del legal drama tra processi, accuse, difese, testimoni e giurie da convincere. Ecco, nonostante una storia investigativa debole, è molto più interessante infatti l'occhio rivolto verso la critica sociale e religiosa dell'epoca, ed accurata è anche la storia processuale, Perry Mason funziona, anche grazie alla qualità nonché livello delle maestranze. E se scrittura, regia, ricostruzione storica, scenografia e colonna sonora sono praticamente impeccabili, il cast non è certo da meno: oltre ai già citati Rhys e Lithgow è doveroso menzionare le prove di Shea Whigham, Crish Chalk, Tatiana Maslany e Gayle Rankin. Perry Mason è una serie esplicita e forte, indirizzata un pubblico adulto, che si prende i suoi tempi, approfondisce i personaggi e come nei migliori gialli lascia che sia lo spettatore a mettere insieme le tessere del mosaico. HBO modernizza un'icona del piccolo schermo raccontandone le origini, un personaggio romanticamente solo e pieno di dubbi, in grado si ritagliarsi da subito un posto speciale nel cuore degli spettatori. Voto: 7
Su Undoing siamo in linea..😁
RispondiEliminaNon credevo, e invece avevi ragione, incredibilmente sopravvalutata..
EliminaSicuramente un cast importante rappresenta almeno la metà del successo di un film o di una serie. E con Undoing mi pare sia accaduto proprio questo.
RispondiEliminaSuccesso sì, la riuscita non sempre..
EliminaMi ispira Lovecraft.
RispondiEliminaDelle altre ho visto solo Big Little Lies e The Undoing, molto dimenticabili purtroppo!
E' horror ma non solo, Lovecraft merita assolutamente una chance ;)
EliminaSoprattutto la seconda, anche se la Matilda impossibile dimenticare..
Mi pare che siano tutte su Sky, quindi non ho visto nulla :D Noi stiamo vedendo The Falcon & The Winter Soldier su Disney+, poi Leonardo su Rai1 :D e stiamo recuperando Boris che non avevamo mai visto!
RispondiEliminaSì sì, ho Sky e quindi sfrutto soprattutto questa "piattaforma" ;)
EliminaNeanch'io ho visto Boris...forse provvederò...mentre quella su Disney vorrei vederla...Leonardo invece anche no...
La serie su Lovecraft mi era sfuggita, probabilmente perché la danno su Sky.
RispondiEliminaHo notato che le serie HBO sono meno pubblicizzate di un tempo, forse ancora la gente è scottata dal finale di Game of Thrones.
Cercherò di recuperarla.
Meno pubblicizzate non saprei, per quel motivo poi chissà se è vero, ma Lovecraft la meriterebbe, perché davvero bella ;)
EliminaOrmai nei siti specializzati si parla per lo più delle serie su Netflix, ed ogni tanto qualcuna di Prime ( che ho e dove ne stanno uscendo con il contagocce ).
EliminaQuesta mi era totalmente sconosciuta, ma meno male che è arrivato il tuo post.
Ah quello sì, ed è un peccato che alcune vengano dimenticate...
EliminaPrego, anche se non sono stato il primo a parlarne ;)
Di quelle viste e piaciute salvo sia Big Little Lies che The Undoing. Per il resto mi ispira la serie Lovecraft Country. Vedremo.
RispondiEliminaVedrai sì, e fammi poi sapere ;)
EliminaVedo sempre più visi famosi nelle nuove serie tv, credo che dovrei guardarmi almeno una, giusto per vedere cosa cambia (se dovesse veramente cambiare qualcosa) nel modo in cui recitano.
RispondiEliminaC'è differenza tra film e serie, ma come sempre dipende dalla qualità/quantità del prodotto..
EliminaLovecraft, boh. Non mi ispira, pur avendo letto più volte tutto delle sue opere. Diciamo che questo tipo di operazioni mi lasciano un po' freddino (ricordo quella su P.K. Dick, Electric Dreams, una ciofeca al limite dell'insulto).
RispondiEliminaEppure Electric Dreams ho ancora segnata nella lista...
EliminaPer quanto riguarda Lovecraft che dire, merita, comunque secondo me geniale è stata la scelta del cast tutto nero... ;)
Anche a me The undoing non ha fatto impazzire però al contrario tuo ho trovato meglio Grant della Kidman!
RispondiEliminaMa non ho detto che è stata più brava, anzi, nessuno migliore dell'altro..
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