sabato 1 ottobre 2016

Gli altri film del mese (Settembre 2016) Parte 2

Dopo una corposa prima parte, ecco la seconda parte di tutti gli altri film visti a Settembre, soprattutto su Sky. Comunque ho introdotto una piccola novità, anche per questi film, oltre alla locandina, nella sua sezione ci sarà un foto del film, come mi capita spesso di mettere ormai quasi sempre ma mai in questo tipo di post. In ogni caso la prima pellicola della seconda parte, la prima la trovate qui, è un film, presentato in vari festival cinematografici, tra cui Festival di Berlino, Sundance Film Festival e Tribeca Film Festival, ma mai distribuito al cinema. In Italia infatti è stato trasmesso direttamente in televisione su Sky Cinema dal 5 agosto 2016. Il film in questione è Il volo del falco (Aloft), pellicola drammatica del 2014 scritta e diretta da Claudia Llosa, regista di origini peruviane. Ed è un toccante dramma che racconta la difficile storia di un figlio alla ricerca della madre, Nana (interpretata da una straordinaria Jennifer Connelly, una delle donne più belle al mondo), una donna in difficoltà, che vive in un luogo desolato, con due figli, di cui uno affetto da disabilità mentale, conseguente a una malattia debilitante. Parallelamente a questa storia, la regista ci trasporta nel presente dove assistiamo alla vita grigia e piuttosto infelice di Ivan (interpretato dal bravissimo Cillian Murphy) ormai sposato e padre di famiglia. Un giorno Ivan viene avvicinato da una giovane reporter francese (Ressemore, la stupenda Mélanie Laurent) che con la scusa di eseguire un documentario sui falchi (da lui allevati e ammaestrati, spunto di interessante e di bellezza sia visiva che umana, d'altronde il titolo è esplicativo) lo convincerà a intraprendere un viaggio all'estremo nord del paese per ricongiungersi con la madre che non vede da più di vent'anni e organizzare un incontro faccia a faccia tra i due che li farà riflettere sulle loro vite. Tra loro infatti c'è stata una frattura (che si accentuerà col passare del tempo), e nel dipanarsi della storia, tra un balzo nel passato e l'altro, si scoprirà che alla base di questa frattura ormai incolmabile tra Nana e Ivan c'è un incidente stradale causato dallo stesso figlio. Un incidente che costò la vita al fratello più piccolo e malato. Nana per questo si era rivolta disperata ad un rinomato guaritore, ma durante il percorso per raggiungerlo il falco di Ivan, Inti, provocò un incidente e venne abbattuto. In seguito spinta anche dal sedicente guaritore e convinta di possedere egli stessa doti guaritive, decise di abbandonarlo (senza troppi sensi di colpa o preoccupazioni a carico) poiché la convivenza tra loro divenuta sempre più tesa e conflittuale, segnata anche da bruschi dialoghi e accuse rivolte l'una all'altro, era ormai arrivata ad un punto di non ritorno.

Il volo del falco è un film intimista, un raffinato ritratto di un dramma famigliare che si distacca dal resto dei lungometraggi dalla stessa tematica sopratutto a causa della sua ambientazione. Dalle prime alle ultime scene, la pellicola si svolge in mezzo a lunghe distese di ghiaccio e boschi innevati di un luogo non meglio precisato, instillando un forte senso di suggestione, per la magnificenza dei luoghi naturali (sembra addirittura svolgersi in un futuro distopico), ma anche di freddezza e distacco che permeano l'intera pellicola. Il tema del distacco è d'altronde ricorrente nel suddetto film, quasi a servire da leit-motiv, e segnerà più volte i risvolti individuali della vita dei protagonisti. La trama, essenziale e drammatica quanto basta, segue attraverso l'intrecciarsi di due livelli narrativi differenti (passato e futuro, flashback e flashforward) la storia di Nana e Ivan. Il film, dunque, si presenta come un prodotto di stile e di qualità, che senza raddolcire troppo i passaggi narrativi mette in piedi un drammatico conflitto famigliare, ma che nonostante le forti motivazioni non riesce mai a risultare pienamente un prodotto incisivo e memorabile. L'impegno c'è e si vede, abbiamo a che fare con un prodotto curato nei minimi dettagli, dalla gelida ed evocativa fotografia naturale del luogo, all'interpretazione intesa e magnetica della Connelly (in splendida forma). Sfortunatamente però il film fallisce nel trasmettere le complicate ed instabili emozioni vissute dai protagonisti. Complice forse un'ostentata, e peraltro immotivata, freddezza emotiva dimostrata dai personaggi di Nana e Ivan, entrambi rilegati ad un inflessibile rigore sentimentale, ovviamente in piena armonia con l'ambiente che li circonda. Molto interessante è invece l'approccio che il film tenta di accennare tra la superstizione, riti di guarigione e autosuggestione. Alcune scene sono in bilico tra il reale e surreale, tra l'onirico e il concreto ed ecco perché risultano di forte impatto visivo. L'intera pellicola riecheggia aspetti mistici ed evocativi inquadrati nella disperata ricerca della donna di guarire il figlio seguendo pratiche non ortodosse, affidandosi ad autoproclamati curatori e al ricongiungimento con la natura più intima e selvaggia. Ma nonostante queste buone premesse il prodotto finale si rivela piuttosto scoordinato, algido e meccanico. Gli attori, nonostante l'indubbia bravura, non riescono difatti a risollevare il peso della pellicola, schiacciata da alcuni degli intrecci che si vengono a creare tra i protagonisti che risultano alquanto forzati e inverosimili. La risoluzione finale poi, comunque emozionante, è ben lontana da risultare catartica. Madre e figlio si ritrovano a tu per tu dopo molti anni e dopo aver elaborato il dolore e il lutto per la perdita, ognuno a seconda della propria prospettiva, si confrontano rabbiosamente. Insomma un melodramma che affascina ma non riesce a coinvolgere mai pienamente. La scena rubano l'ottima scenografia e fotografia nonché le suggestive scene con protagonista il falco. Per il resto la regia si districa freddamente in un abile incrocio tra passato e presente. L'intento di indagare ancora una volta all'interno dei fragili equilibri famigliari riesce soltanto in parte e la pellicola viene penalizzata da un finale rigorosamente composto e formale che non fa emergere alcun aspetto risolutivo del travagliato rapporto Nina-Ivan, lasciando un retrogusto di amarezza e incompletezza. In definitiva si tratta di un buon film, delicato e poetico, che poteva certamente risultare ottimo se trattato diversamente. Voto: 6,5 [Qui più dettagli]
Il famoso show vincitore di ben sette Tony Awards a Broadway (Little Orphan Annie), diventato un film classico per i bambini degli anni Ottanta, viene riproposto in chiave contemporanea dal regista Will Gluk con il titolo Annie: la felicità è contagiosa. Non siamo più negli anni '30 ma nella New York contemporanea, Annie non è orfana ma una bambina data in affidamento, tranne questi piccoli cambiamenti ciò che rimane dell'originale è la solarità e l'ottimismo della protagonista il cui sorriso contagioso ci accompagna per tutta la durata del film. Un film (prodotto, tra gli altri, da Jay-Z e Will Smith) che però è il remake di un film del 1982 diretto da John Huston (che non ho visto ma che non fu comunque un successo). In ogni caso Annie: la felicità è contagiosa (2014) è un musical, genere che non tanto apprezzo, ma che si lascia vedere, anche se a tratti, si ha l'impressione che sia una parodia, che raggiunge delle punte di cattivo gusto tali da sfiorare il sublime, con numeri coreografati alla bell'e meglio e attori, pur bravi quasi in blocco, lasciati allo sbaraglio in una storia che mescola piuttosto disinvoltamente diversi temi anche molto attuali e di sicuro interesse, come l'uso dei social network, che creano dal nulla fenomeni virali, il riccone che si sente solo, la piccola povera ma, in un certo senso, felice, ha anche elementi della fiaba (la strega cattiva, impersonata da Cameron Diaz, che nemmeno vestita in maniera pacchiana e con un trucco pesante riesce a non essere bella) nonché di critica sociale, ma ha dalla sua canzoni orecchiabili (la colonna sonora è infatti curata dal produttore Jay-Z, che ripropone cover delle musiche originali del film del 1982) cantate di volta in volta dai vari membri del cast (fortunatamente non tradotte in italiano ma sottotitolate). Ma entriamo meglio nella storia, aggiornata ai tempi nostri, dell'orfanella Annie (Quvenzhané Wallis, dinamica ed esplosiva), qui afroamericana, che passa dall'affido della perfida Hannigan (Cameron Diaz, artista frustrata col vizio dell'imbroglio e della bottiglia), per puro caso (salvata dall'uomo per strada), sotto la tutela delle capienti braccia del milionario Will Stacks (Jamie Foxx, facoltoso ed egoista magnate della telefonia mobile), candidato sindaco di New York, che vorrebbe sfruttare l'occasione per vincere le elezioni. Il gesto eroico di Benjamin infatti accresce la sua popolarità e accende fantasia e ambizione del suo cinico press agent. Su suo consiglio, Benjamin accetta di prendersi cura della ragazzina ma quello che doveva essere un movimento filantropico strategico emergerà presto un sentimento sincero e tutto prenderà una piega differente. Annie: la felicità è contagiosa è quindi un film dolce, sensibile, profondo (ovviamente scontato), e anche se non è uno di quei film che ti appassionano per la suspence è bello, anche piuttosto originale, perché senza cercare di guardare nel razzismo o in simili che non c'entrano molto, il messaggio di amore, ottimismo e gioia di vivere di questa commedia allegra c'entra l'obbiettivo, anche grazie a performance vocali e coreografie discrete e un cast buono. La palma della migliore del cast va ovviamente alla piccola stella emergente Quvenzhané Wallis che interpreta la Annie del titolo, già ammirata (e premiata, la persona più giovane a essere stata candidata come miglior attrice agli Academy Award) per Re della terra selvaggia e al suo secondo successo personale, nonostante i soli undici anni al momento del film, dotata oltretutto di una gran bella voce. Ottima performance anche quella del premio oscar Jamie Foxx, di Rose Byrne (segretaria tuttofare di Will Stack, nonché di lui innamorata), Bobby Cannavale (attore poliedrico, straordinario in Vynil), astuto spin doctor sempre del milionario ed infine Cameron Diaz, nei volgari panni della strega cattiva, che ovviamente nel finale, si ravvederà, in alcune scene sopra le righe, ma complessivamente gradevole (immeritata candidatura ai Razzie Awards) ed autoironica. Insomma un film interessante, simpatico e dinamico, ma consigliato agli amanti del genere. Voto: 5,5 [Qui più dettagli]
First Response è un inedito action canadese per la tv del 2015 diretto da Philippe Gagnon. Il film infatti, dalla durata pressoché contenuta (85 minuti), è un mix di adrenalina e suspense, quella che si viene inevitabilmente a creare quando dopo aver compiuto una rapina (andata per il verso sbagliato), un criminale armato costringe due paramedici (Camilla e Gerry) a deviare il tragitto di un'ambulanza e a curare il fratello gravemente ferito. Con il divieto di avvicinarsi a qualunque ospedale, e sotto la minaccia di una pistola, nella parte posteriore della vettura, Camilla (di cui vediamo dei flashback poco inerenti alla storia, anzi inutili) deve eseguire procedure mediche delicate per cercare di tenere vivo il giovane mentre Gerry guida il veicolo per tutta la città per eludere la polizia. Ben presto però, Camilla capirà che forse dovrà sacrificare la vita di colui che sta cercando di salvare (anche se potrebbe non bastare) per evitare che lei e Gerry facciano una brutta fine, poiché con la polizia alle calcagna infatti la tensione salirà alle stelle, e tutto sarà in gioco. First Response è come vedere una puntata di Chicago Fire tirata per lunghe, dove in situazioni di pericolo tutto si aggiusta e dove quando è calma piatta tutto viene messo in discussione, ma purtroppo senza girarci troppo intorno, è un film senza tanto mordente e senza tanto interesse, perché anche se in parte originale, il racconto è davvero troppo prevedibile e addirittura fa rabbia, perché Camilla (interpretata dalla bella Dania RamirezHeroes e Senza freni, unico attore più o meno conosciuto al pari del suo collega Kristopher Turner, Without a paddle) rimette sempre in bilico la situazione con scelte e azioni scriteriate. E ciò insieme ad una lentezza di fondo, fa di questo film un mediocre e neanche minimamente coinvolgente film d'azione, privo di pathos, prevedibile e assolutamente da dimenticare, perché al di là dell'originalità non ha niente per cui qualcuno dovrebbe vederlo. Assolutamente da dimenticare. S.V. [Qui più dettagli]
Hungry Hearts è uno sconcertante e intenso film drammatico diretto da Saverio Costanzo, ed è tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. Il film, presentato in concorso al Festival di Venezia del 2014, sfruttando le dinamiche del thriller, porta lo spettatore a riflettere in profondità sulla genitorialità al tempo degli OGM. Ambientato interamente a New York (intuizione fantastica perché se fosse stato girato in Italia sarebbe stato pessimo), il film comincia in modo alquanto singolare e anche originale, dato che una delle cose migliori del film sta sicuramente nell'utilizzo di un artificio narrativo bello e delicato allo stesso tempo come quello della commistione dei generi cinematografici, il film infatti inizia in maniera comica con i due protagonisti che si conoscono in un bagno pubblico e da cui non riescono ad uscire perché la porta si è bloccata e l'aria non è molto...respirabile. Subentra così la commedia che ci descrive il legame sentimentale dei due personaggi Jude e Mina che si uniscono in matrimonio e vanno a vivere in un appartamento a Manhattan. Ma la vita coniugale si sa che non è tutta rosa e fiori e quando arriva un figlio il rapporto della coppia peggiora improvvisamente e arriva quindi il momento del dramma. Perché Mina si rivela una madre possessiva verso il bambino, addirittura esasperando il consiglio di una maga che le suggerisce un progetto di purezza, lo costringe a seguire una dieta vegetariana (privandolo di una normale alimentazione) che gli impedisce di crescere (tanto da causare un clamoroso ritardo di sviluppo), non lo sottopone alle cure mediche di routine perché non si fida della medicina tradizionale e non escono mai di casa perché l'aria esterna potrebbe essere nociva per il piccolo. Jude però anche se all'inizio la segue affettuosamente, quando avverte i rischi incontrati dal neonato, la contrasta sempre più energicamente, sino a chiedere la collaborazione di sua madre. A questo punto, grazie anche una sapiente regia che sa come impostare il cambio di ritmo e di stile, il racconto diventa thriller, forse più esatto definirlo noir. Poiché gli animi si accenderanno, e la pellicola che tiene alta la suspence e la dinamica della storia, nonostante qualche sbavatura ad onor del vero in questa fase ci sia (la scena della madre che cerca di bloccare la nuora che è andata a riprendersi il figlio è profondamente sbagliata, involontariamente comica), arriverà ad un punto di rottura (il male si sconfigge con altro male, per prospettare un futuro di normalità) fino ad arrivare ad un finale di struggente bellezza e malinconia. Hungry Hearts soprattutto per la capacità (che spiazza) con cui, in maniera ben calibrata e precisa sa far cambiare pelle al film, attraverso una gamma di generi davvero eterogenei tra loro che non disgregano affatto la storia, ma anzi la rinsaldano e la rendono, per quanto angosciante, solida e intensa, risulta davvero interessante come operazione. Costanzo difatti ci regala un film inusuale (almeno per la cinematografia italiana) poiché il senso di straniamento è lucidamente espresso dall'ambiente claustrofobico della residenza. Un ambiente dove Mina e Jude, che evidentemente hanno problemi esistenziali, una infanzia e una adolescenza difficili, la solitudine, il disorientamento in una grande metropoli per lei, in grado minore per lui, cercano di risolvere i problemi affettivi, che si intrecciano, in maniera normale, dopo la nascita del bambino. Problemi che erano stati superati dall'accendersi di un amore ardente all'inizio, ma Mina, certamente la più fragile tra i due, ha reagito in modo anomalo, catatonico. Reazioni lucidamente espresse dagli artifici fotografici del grandangolo e, a tratti, dalla deformazione visiva dei corpi. La musica di Piovani poi interviene opportunamente ed efficacemente a sottolineare i diversi momenti dell'evolversi della vicenda, coadiuvata anche da motivi noti della musica leggera davvero poetici e belli come il film, quasi perfetto. Perché quello che manca decisamente al film di Saverio Costanzo è l'ambiguità, quanto mai necessaria in una vicenda come questa per non dare tutto per scontato e per deciso già a priori. Invece il personaggio della madre, interpretato da Alba Rohrwacher (ancora una volta alle prese con un personaggio allucinato e ancora una volta eccezionale), non ha alcuna sfumatura, non ha tridimensionalità, non sembra dotato di quella normalità plausibile che avrebbe reso ancor più agghiacciante la vicenda. La madre, così come rappresentata nel film, è una pazza, donna fragile e facilmente suggestionabile che, senza alcuna gradualità, mostra subito dopo la prima scena una mente già completamente malata e annebbiata. Così come il padre, interpretato da Adam Driver (decisamente più in parte che in Star Wars VII), l'uomo normale, buon marito e padre affettuoso, alle prese con un problema inaspettato, la follia totale della moglie. Per farne un thriller problematico e convincente perciò si sarebbe dovuto lasciare allo spettatore una buona dose di dubbio sull'interesse reale, ma nonostante tutto e nonostante le inquadrature claustrofobiche (giusto per aumentare il senso di angoscia), e dialoghi lentissimi, complessivamente il risultato mi sembra discreto. Merito soprattutto dei due interpreti, entrambi meritatamente Coppa Volpi a Venezia. Comunque alla fine di questo intenso dramma una domanda viene spontanea, gli OGM sono davvero utili? è giusto far seguire ad un neonato una dieta vegetariana? Forse no. Voto: 6,5 [Qui più dettagli]
Coppia diabolica (The Devil You Know) è un inedito e pessimo film giallo del 2013 diretto da James Oakley e scritto da Alex Michaelides. Il film infatti, che parte da uno spunto interessante, impreziosito dalla presenza di Lena Olin (famosa attrice svedese) e da Rosamund Pike, la pazza furiosa di L'amore bugiardo: Gone girl (qui in una veste quasi identica) si perde e finisce per risultare noioso, inconcludente, e neanche lontanamente interessante, con un finale che non dice niente e non va da nessuna parte. Che poi definirlo film diventa complicato dato che la sua durata effettiva è di ben 62 minuti! solo con i titoli iniziali e quelli finali (di ben 9 minuti) raggiunge i 73 nonostante i 76 in 'cartellone', davvero disprezzabile come cosa. E neanche la storia si salva, dato che questo dramma a tinte dark, che narra la storia di Kathryn Vale, ex stella del cinema, che da anni ha abbandonato la scena in seguito alla misteriosa morte del marito, non offre nessun spunto originale, nonostante l'intrigante presenza della bella Pike, attrice straordinaria, che con i suoi sguardi mette sempre in soggezione, perché non sai cosa può succedere quando c'è lei. La storia poi prende una piega inaspettata quando questa ex stella del cinema, ritirata con un terribile segreto da nascondere, proprio mentre la figlia ha deciso di fare la sua stessa carriera, vorrebbe tornare sotto i riflettori ma diventa il bersaglio di un anonimo e insospettabile ricattatore. Una serie di drammatici eventi infine la costringeranno ad affrontare una scomoda verità, che coinvolgerà lei stessa e coloro che la circondano. Insomma tutto abbastanza lineare e semplice, ma il finale (abbastanza scontato) non convince ma soprattutto risulta piatto, come quasi tutto il film, imperniato da un'aura noir dark vintage, ma senza alcun mordente, senza nessun colpo di scena, nonostante l'incipit. Coppia diabolica è perciò quello che si potrebbe definire il classico prodotto di serie B senza nessun coinvolgimento ed emozione, il classico film spazzatura, perché senza essere cattivo è davvero un film (più che altro cortometraggio) orribile, che non consiglierei neanche al mio peggior nemico. Inutile e dimenticabile. S.V. [Qui più dettagli]
Le armi del cuore (War Room) è un inusuale e atipico film drammatico statunitense del 2015, poiché almeno personalmente non ho mai visto un film di questo genere, ovvero i Christian Film, molto apprezzati da un vasto pubblico (ma non dalla critica), anche se i produttori continuano a considerarli prodotti di nicchia. Perché è innegabile che le storie che vengono raccontate sono sempre più frequentemente estremizzate. Le armi del cuore infatti è una emozionante e potente guerra della fede, credere fortemente a Dio (soprattutto in America poi, dove a volte si rischia di esagerare con certi precetti) nonostante le difficoltà, affidarsi totalmente a lui perché l'aiuto ti sarà dato, sempre e comunque. A volte il film difatti forza troppo queste dinamiche, poiché anche se è giusto e buono, non tutto sembra credibile, qualunque sia il problema basta affidarsi alla preghiera e tutto si sistema. Non sempre è così purtroppo, e non sempre va in meglio. Anche se l'anziana donna del film Clara, è sicura di ciò, tanto che aiuta una giovane donna Elizabeth Jordan e suo marito Tony che sembrano avere tutto dalla vita, un buon lavoro, una bella figlia e la casa dei loro sogni, ad uscire da un empasse perché le loro non sono altro che apparenze, in realtà, il loro matrimonio è diventato un terreno di guerra e a subirne gli effetti è la figlia. Lui, venditore farmaceutico di successo, è tutto perso dai suoi impegni e dai suoi successi, trascura la figlia, non disdegna le conoscenze femminili che riesce a fare nelle sue numerose trasferte, e ritiene che per sua moglie sia sufficiente vivere la vita agiata che le può permettere. Ma lei che, lavora in un'agenzia immobiliare, è molto demoralizzata da questo, ma proprio quando la situazione si fa disperata conosce una signora anziana, vedova, che le propone di fare con lei un incontro settimanale. Vuole convincerla che per risolvere il suo problema, l'arma migliore è solamente la preghiera, usando le armi del cuore e la forza della fede deve pregare per suo marito, pregare perché il diavolo si allontani dalla loro famiglia e dalla loro casa. Le armi del cuore è diretto dai fratelli Kendrick, ormai punta di diamante di questo filone, e come nei precedenti lavori esplorano i lati umani della fede. Questa volta l'angolo di osservazione è diverso, il baricentro di ogni azione volta a risolvere una crisi familiare è la preghiera. Una preghiera intensa e fiduciosa che non può non tardare ad avere risvolti positivi. Certo è un film, però è troppo dannatamente scontato e prevedibile come lo schema preghiera-evento esterno-crisi-conversione. Il film poi assume toni trionfalistici e di orgogliosa sicurezza (soprattutto dagli attori, in certi casi sopra le righe), cosa che non è male, ma che irrita leggermente. In ogni caso è un film da vedere, perché veramente reale, i fratelli Kendrick poi sono dei pastori battisti e per chi è cattolico, non può che destare stupore questo film il quale, pur parlando continuamente di fede, ha una sola rapida sequenza che si svolge in una chiesa. Comunque per chi non lo sapesse la War Room, cioè la stanza delle preghiere, è un piccolo sgabuzzino della casa, liberato di ogni oggetto. Insomma un film davvero atipico anche se bello vedere anche in un film quello che succede nella vita di milioni di persone, ogni giorno, la potenza della preghiera, che cambia le circostanze e le situazioni negative e impossibili, che ci crediate o meno. In definitiva quindi poetico, emozionante e diretto. S.V. [Qui più dettagli]
I toni dell'amore: Love Is Strange (Love Is Strange) film del 2014 diretto da Ira Sachs, è un'opera di rara delicatezza e sensibilità che fa riflettere su argomenti riguardanti la vita di tutti e di un mondo quello omosessuale, sempre in guerra con la società, alla costante ricerca dei propri diritti. Come quelli di Ben (John Lithgow) e Jorge (Alfred Molina), due 'anziani' omosessuali che stanno insieme da 40 anni, che approfittando delle nuove leggi sul matrimonio gay, finalmente si sposa. Celebrano il loro matrimonio tra parenti e amici in armonia ma, il passo costerà caro a George poiché subito dopo perderà il suo posto di direttore di un coro e senza lavoro tutto cambia nella loro vita. Saranno difatti costretti a vendere l'appartamento a Manhattan, dovranno separarsi e affrontare una nuova vita ospiti di parenti e amici. Come conseguenza il loro rapporto ne risentirà, fino ad un finale piuttosto mesto. I toni dell'amore è perciò un film ricco di sentimenti ed emozioni, anche se il titolo italiano mi sembra un po' maldestro, anche se l'originale "Love is strange" forse non era facilissimo da rendere con un'espressione che non fosse "L'amore è strano". Titolo a parte, il film è una commedia di buon livello, perché anche se la loro evidenza di un amore costante e profondo, arricchito di ricordi, può fare da catalizzatore positivo sui problemi del nipote di Ben e forse anche sui genitori, in crisi della media età, il film non da per questo messaggi ma racconta della vita e dell'amore alle varie età, con brevi momenti di commozione. Ira Sachs infatti è un regista e sceneggiatore apertamente e serenamente gay, per cui non ha nulla da far giungere come opinioni, ma solo da raccontare le vicende della vita che possono approfondire un legame e fare da esempio positivo agli altri, e anche se nel film avrà messo probabilmente molto di personale, si può apprezzare per aver spostato il focus narrativo, per una volta, su due gay anziani, di cui il cinema raramente si è occupato. Il tono prevalente è dolce-amaro, con una maggiore importanza data ai personaggi rispetto all'intreccio, una buona definizione delle psicologie e dialoghi che risultano veritieri, ben serviti da un cast ispirato. La scrittura è all'insegna della leggerezza, con musiche molto poetiche di Chopin nella colonna sonora, per un'opera sensibile e mai invadente che però nel complesso non riesce a fare un'impressione memorabile. I toni dell'amore non è un film ruffiano o stereotipato nei ruoli e nelle vicende, è un tentativo di mostrarci realisticamente i fatti della vita, talora imprevedibili, come possono influenzare le personalità a seconda dell'età. I toni dell'amore però ha un grande pregio, si avvale soprattutto di due attori giganteschi come John Lithgow e Alfred Molina che rendono invisibile o di poco conto anche qualche manierismo o vezzo registico evidentemente irrinunciabile (regia elegante ma anche sobria, scenografie ovattate sin quasi a sfiorare la maniera). La bravura degli attori infatti rende la visione molto piacevole e coinvolgente a tratti. Fra i caratteristi si rivede Marisa Tomei, già premio Oscar e attrice di belle speranze non proprio mantenute, discreta nella parte della nipote di Lithgow. In definitiva comunque il film non è di quelli da non perdere, ma ben fatto, privo di volgarità e con momenti pieni di poesia. E anche se non è un argomento personalmente interessante è un film discretamente intelligente e poetico nonché sensibile. Voto: 6 [Qui più dettagli]
La trattativa (reso graficamente come #LaTrattativa) è un film del 2014 scritto e diretto da Sabina Guzzanti. Il film è un indagine sui misteri della storia più recente dell'Italia, che svela i segreti della vicenda più spinosa della seconda Repubblica: la trattativa Stato-Mafia. Un gruppo di lavoratori dello spettacolo, capitanatati dalla Guzzanti, mettono in scena le vicende controverse relative alla cosiddetta "trattativa", quella che sarebbe intercorsa tra Stato e mafia all'indomani della tragica stagione delle bombe (Roma, Milano, Firenze). In un teatro di posa, un gruppo di attori ricostruisce, nei modi di una "fiction giornalistica", (tramite attori ed attrici che interpretano alcune figure del periodo: mafiosi, massoni, agenti dei servizi segreti, alti ufficiali, magistrati, politici, vittime e persone oneste) i passaggi fondamentali di una vicenda complessa e piena di omissis (che si è comunque rigorosamente attenuta a fatti riscontrati ed ancora in piena fase di sviluppo) che inizia dall'uccisione di Falcone e Borsellino fino ad arrivare al processo che vede sul banco degli imputati, fianco a fianco, politici e mafiosi. Vent'anni di storia italiana, l'uccisione di Salvo Lima, il maxi processo, la strage di Capaci, l'uccisione di Borsellino, le bombe a Roma, Firenze, Milano, la fallita strage allo Stadio Olimpico...con i suoi discussi protagonisti: Riina, Provenzano, Ciancimino padre e figlio, Caselli, i capi del Ros Mori e Subrani, Napolitano, Mancino, Scalfaro, i pentiti, Gaspare Spatuzza, Mutolo, Dell'Utri, Mangano...e Berlusconi, ovviamente, quello vero e quello fatto dalla Guzzanti. E anche se le risposte agli interrogativi (tanti) posti nel corso del film non trovano certezze, la vera verità molto probabilmente non la sapremo mai, come la maggior parte degli eventi politico-catastrofici avvenuti dal dopoguerra ad oggi. La tesi è quella arcinota riportata da tutti i giornali e trattata dai processi seguiti alle dichiarazioni-shock del pentito Massimo Ciancimino. Perciò la regista si prende un rischio, in più strania lo spettatore da subito, parlando in camera e mostrando la messinscena, lo spettatore vede il teatro di posa e immediatamente comprende che i personaggi che interpretano magistrati, giornalisti, comandanti di polizia sono persone di 'spettacolo', attori, teatranti. Il cinema è fatto di questo ma la Guzzanti decide di 'metterlo in chiaro' e renderlo palese, scatenando una serie di domande sul significato di ciò che si vedrà di lì a poco, ma anche sul significato complessivo del suo lavoro. Un lavoro di raccolta immane, interviste, documentari, stralci di telegiornali dell'epoca, testimonianze. Sullo schermo si muovono i grandi protagonisti della vicenda riportata, oltre al già citato Ciancimino, ci sono mafiosi e politici di spicco, da Mangano a Mutolo, da Dell'Utri a Scalfaro, un linea temporale che va dall'inizio degli anni '90 fino alla scesa in campo di Silvio Berlusconi. Un film che però, si veda il background dell'autrice, si veda lo stile icastico ma che mai dà la sensazione di essere realmente neutrale, divide il pubblico tra chi si ha un certo pensiero sulla questione e chi invece non la pensa come la cineasta, rimanendo una pellicola di confine che scava nel passato ma che spesso dalla denuncia passa all'intrattenimento con un turbinio di nozioni ed informazioni che possono spiazzare lo spettatore, una sorta di concentrato a volte un po' scolastico o didattico. Più ritmato e coinvolgente nella prima parte, più compassato nella seconda. Questo non toglie che La trattativa (come la si pensi) sia, ad ogni modo, un prodotto di qualità, ben strutturato, della quale si consiglia la visione, che andrebbe proiettato nelle scuole Italiane e in tutte le sedi Istituzionali ad iniziare dal Parlamento. Insomma interessante e sconvolgente, ma anche molto serio nonché divertente a tratti. Voto: 6- [Qui più dettagli]
Roboshark è un esilarante film trash del 2015 diretto da Jeffery Lando, il simpaticone dietro la regia di questo film TV bulgaro-canadese creato per la solita emittente SyFy. Questo film infatti è davvero incredibile, la trama (geniale) poi è assolutamente imperdibile, un grande squalo bianco mangia una misteriosa palla proveniente da un astronave aliena e si trasforma in un robo-squalo dall'aspetto molto Tron che porta distruzione nella città di Seattle. Ovviamente lo svolgimento di una trama simile non può certamente stare nei binari della normalità, ed ecco quindi il solito nucleo familiare casuale pronto a salvare il mondo (un capetto della ditta che gestisce le fogne di Seattle, sua moglie che fa la meteorologa e la loro figlia che fa l'adolescente nerd super high tech) e l'altrettanto tipico gruppo militare che non ha capito nulla della situazione ma sono soldati quindi vogliono fare tanti boom, senza dimenticare il momento in cui per cercare di fermare la creatura interviene un eccentrico milionario dell'informatica chiamato Bill Glates (e no non ho scritto male ). Roboshark fa ridere per far ridere, non è che è fatto così male che fa ridere, è fatto proprio di continuo per fare ridere. Prende in giro un po' tutto, i personaggi sono matti, schizzati, insensati, molte scene sono volutamente stupide (i soldati che marciano dicendo: Hop! Hop! Hop! tutto il tempo) e qualche sorriso te lo strappano. C'è anche un minimo di satira in questo film, in questa storia. Una storia che continua con il mostro che un suo obbiettivo non chiaro e tutti che gli danno la caccia…almeno finché la ragazza non scopre che lo squalo la segue su Twitter e ci chatta. Sì. Lo avete letto bene. Divengono amiconi e si comincia ad avere una storia quasi alla E.T. (una genialata in piena regola) con questo mostro senza senso, non fosse che arriveranno sempre più soldati americani incazzati per giungere ad una conclusione che, per quanto banale, un po' dispiace e quasi avresti voluto saperne di più o vedere un finale più surreale e stupido magari, ma diverso. In ogni caso in Roboshark la recitazione (del cast che comprende Nigel Barber di Spectre, Alexis Peterman, Vanessa Grasse, Laura Dale, Matt Rippy) è disastrosa, anche volendo essere comici i personaggi non ottengono un granché. Gli effetti speciali sono fintissimi, come sempre e in linea coi prodotti del genere…quasi, perché in realtà l'ufo era perfino fatto bene! Proprio per ciò, questo film lo metto nei comici invece che negli horror perché era lì che voleva finire. Comunque l'obbiettivo di film come Roboshark è quello del mero intrattenimento a cervello spento, non mi stancherò mai di ripeterlo, ed in questo la pellicola centra l'obbiettivo, ovviamente dovete avere interesse in questo tipo di intrattenimento 'fesso' ed a tratti nonsense, con momenti simpatici fatti di battutine stupide, citazioni ed inside Joke, se vi piace il genere per voi questo sarà quindi un film sufficiente, meglio anche di molti altri della categoria, non meno brutto di questi. Voto: 6 [Qui più dettagli]

2 commenti:

  1. Quante belle recensioni mio caro io che latito da un po' troppo tempo dal panorama cinematografico per ragioni di lavoro e di" troppa" stanchezza...
    Ho segnato i titoli , speriamo abbia l'opportunità di riprenderli appena si rallenta questa onda di lavoro..è un vero peccato perdere qualcuno che hai così mirabilmente descritto.
    Grazie ancora e un abbraccione serale!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie...il lavoro toglie sempre qualcosa ma son sicuro che quando avrai un po' di tempo e spazio ricomincerai ad affacciarti nuovamente al panorama cinematografico, e spero vivamente che i miei consigli ti aiutino a trovarlo presto. Grazie a te, ciao ;)

      Elimina